martedì 24 marzo 2009

Quel massacro di 65 anni fa



L'eccidio delle Fosse Ardeatine è il massacro compiuto a Roma dalle truppe di occupazione della Germania nazista il 24 marzo 1944, ai danni di 335 civili e militari italiani, come atto di rappresaglia in seguito a un attacco partigiano contro le truppe germaniche avvenuto il giorno prima in via Rasella. Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime, e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, è diventato l'evento simbolo della rappresaglia nazista durante il periodo dell'occupazione. (tratto da Wikipedia) 





Riemergono dall’archivio alcuni numeri del settimanale “Avvenimenti”. Giusto oggi, 65° anniversario del massacro delle Fosse Ardeatine.


Ho diviso il post in tre parti: nella prima viene tracciato il ritratto di Herich Priebke. Nella seconda riporterò uno stralcio della confessione di Herbert Kappler, mentre nella terza posterò la drammatica e sconvolgente testimonianza del ritrovamento e del recupero delle salme. A seguire, nel blog ritagli di stampa, la lista completa dei 335 martiri.


 


FOSSE ARDEATINE. L'UOMO DELLA LISTA DELLA MORTE


PRIEBKE’S LIST STORIA SEGRETA DI UN ASSASSINO


MICHELE GAMBINO


«Kappler fu il primo a sparare, poi venimmo noi. Lui dava l'ordine e noi sparavamo. La lista fui proprio io a redigerla». E capitano Erich Priebke riemerge dal suo tremendo passato, ma non è pentito: «fu una rappresaglia dura ma giusta», dice dalla sua casa di Bariloche, in Argentina. In questi anni è tornato in Italia da turista, e ha mantenuto buoni rapporti con l'amato colonnello Kappler. In queste pagine la ricostruzione dei suoi crimini, della sua fuga, delle sue protezioni; la confessione di Kappler; e il racconto di una tragedia che parla ancora alle donne e agli uomini d'oggi


 


Il capitano delle Ss Herich Priebke sembrava instancabile quella mattina del 24 marzo 1944 : aiutava gli italiani con le mani legate dietro la schiena a scendere dai camion, li allineava ordinatamente in gruppi di cinque, li spingeva verso il plotone di esecuzione, ritornava verso il camion per prenderne altri cinque. A ogni esecuzione, cancellava una riga dalla lista che teneva in mano. La lista di Priebke. Tutt’intorno, laggiù alle Fosse Ardeatine, erano urla, spari e confusione. Anche il capitano Priebke si confuse un pochino. Raccontò al processo per la strage il suo superiore, Herbert Kappler: «Nel corso della mattinata (del giorno successivo alla strage, n.d.r.) Schutz e Priebke vennero da me e mi riferirono che, dopo una constatazione, risultavano giustiziati 335 e non 330 e mi diedero su per giù la seguente spiegazione. Man mano che le vittime scendevano dal camion, i nomi venivano cancellati dalla lista…Priebke mi spiegò di avere avuto l'elenco della polizia italiana, senza la numerazione delle vittime e che dopo l'esecuzione, nel fare la somma delle varie liste, constatò che la lista italiana comprendeva 55 e non 50 nomi».


I soliti italiani caciaroni, insomma. Colpa di quel Caruso, questore di Roma, a cui fu ordinato di consegnare i suoi prigionieri - tra cui molti ventenni arrestati soltanto per distribuzione di volantini antifascisti - alle Ss che cercavano nomi da aggiungere alla lista di Priebke. Dopo la liberazione di Roma a Caruso toccò il più inumano dei castighi, la fucilazione alla schiena. Priebke fu invece internato in un campo di prigionia inglese a Rimini, da dove i prigionieri potevano andare in libera uscita semplicemente giurando sul proprio onore di fare rientro alla sera. Secondo lo storico Amedeo Montemaggi, «gli ufficiali inglesi trattavano quelli tedeschi con grande rispetto. Churchill aveva   anche progettato di utilizzare il 76° Panzer Korps contro i sovietici,  se fosse stato necessario». Priebke ebbe la  fortuna, insieme a migliaia d'altri criminali nazisti di finire dentro il cono d'ombra descritto da Frederick Forsith in "Dossier Odessa". Grazie alla complicità del Vaticano e dei servizi segreti inglesi poté fuggire nel 1946 e si rifugiò in Spagna. Il mandato di cattura internazionale spiccato nei suoi confronti per omicidio continuato fu presto dimenticato. Quando si apri il processo per le Fosse Ardeatine, il 3 maggio del 1948, Erich Priebke gestiva una macelleria a Madrid. La sua posizione venne stralciata, ma alla luce di quanto accade in questi giorni questa forse non fu una fortuna. Se Priebke fosse stato processato, infatti, oggi probabilmente non avrebbe alcun debito con la giustizia. Il tribunale territoriale militare di Roma condannò il colonnello Kappler all'ergastolo ma assolse i suoi cinque sottoposti (Belante Domizlaff, Hans Clemens, Iohannes Quapp, Kurt Schutz e Karl Windner) perché alle Fosse Ardeatine «agirono per ordine di un superiore». Nel 1962 l'ufficio istruzione di Roma, nell'ormai generale disinteresse per quelle vecchie storie, archiviò il fascicolo intestato a Priebke.                    


Probabilmente, però, nel dossier della magistratura non c'erano gli elementi forniti all'opinione pubblica in questi giorni dal centro Simon Wiesenthal di Los Angeles. Secondo il rabbino Martin Hier, Priebke potrebbe aver partecipato alla deportazione di ebrei nei campi di sterminio nazisti quando prestava servizio a Verona. Di certo, egli non fu – come lui stesso si dipinge - un semplice esecutore di ordini. L'ex ministro della giustizia Giuliano Vassalli, che fu prigioniero del carcere roma­no della Ss, in via Tasso, ricorda ancora che «alle forze di resistenza romane il nome del capitano Priebke era notissimo come quello del principale luogotenente di Kappler». Se­condo documenti pubblicati in esclusiva dal giornale argentino "pagina 12", Priebke era il numero tre della gerarchia della Gestapo in Italia, capo assoluto della regione di Brescia e membro di una "sezione speciale" diretta da Adolf Eichmann, uno dei principali organiz­zatori della "soluzione finale" per gli ebrei.


L'Erich Priebke rintracciato la scorsa settimana a Bariloche da Sam Donaldson dell'Abc non sembra aver tagliato il cordone ombeli­cale che lo lega all’Erich Priebke della campa­gna d'Italia. Col suo cappellino bavarese e il giubbetto di fustagno, l'ex capitano delle Ss ha ricordato le Fosse Ardeatine: «Ero lì, all'in­gresso della grotta, avevo l'elenco in mano. Era buio, non potevo vederli in faccia. Kappler fu il primo a sparare, poi venimmo noi. Lui dava l'ordine e noi sparavamo. La lista fui proprio io a redigerla, anche se vi lavorarono altri camerati». Si trattò, ha detto, di una rap­presaglia «dura ma giusta». E in tutti questi anni non si è mai dato pena di dimenticare il suo passato : è preside del liceo tedesco e pre­sidente dell'associazione culturale tedesco-ar­gentina di Bariloche, una sorta di associazio­ne di reduci nazisti, e il suo migliore amico è Wilfred Von Owen, che era il numero due del­la propaganda di Goebbels. Priebke è anche tornato in Italia un paio di volte, da turista, e prima della fuga di Kappler dalla prigione mi­litare del Celio era in rapporto epistolare con l'amato superiore. Il clamore suscitato dalla scoperta della televisione americana non lo induce alla vergogna ma allo stupore. E in questo, tutto sommato, Priebke ha un po' di ragione: a suscitare l'interesse del mondo in­tero sul suo caso sono due eccezionali coinci­denze : il successo di un film intitolato "Schindler's list", e l'ingresso nel governo di un paese europeo, per la prima volta nella storia del do­poguerra, di un partito che si richiama al fa­scismo. Proprio nei giorni precedenti all'esplo­dere del caso Priebke, la Comunità Europea aveva ufficialmente invitato l'Italia a non far­si rappresentare da ministri fascisti. Le om­bre del passato tornano ad allungarsi sul pre­sente. Che a Berlusconi piaccia o meno. (continua)

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