giovedì 30 marzo 2006

Tumore mafioso


La mafia è la grande assente dal dibattito (ehm) elettorale nazionale, rimossa come una pestilenza, circoscritta alla Sicilia quasi che fosse una cosa soltanto loro. Meglio non occuparsene, semmai far occupare posti in lista da personaggi “in odore di mafia” come si suol dire, odore che poi, trattandosi di mafia, è puzza nauseabonda.


La mafia è la grande emergenza nazionale, ma procura più voti giocare sul terrore di presunti attentati del generico terrorismo internazionale, oppure - per restare in casa - degli anarco-insurrezionalisti. Eppure Cosa nostra fa campagna elettorale, senza manifesti o proclami, ma con quella forza di convinzione che deriva dalla semplice minaccia, dall’avvertimento. La tutela dei padrini si estende tentacolare non solo sulla bella isola del sud, ma anche sull’Italia. Però meglio far finta di niente. E qui ci sarebbe anche di che discutere sulla presunta civiltà occidentale di cui ci siamo autonominati vessilliferi.


Inutilmente ho cercato, tra le rassegne stampa (e forse avrei dovuto cercare di più, chissà?) notizie su Sonia Alfano (figlia di un giornalista assassinato dalla mafia), sulle pesanti intimidazioni che sta subendo e sul fatto che da oggi è stata messa (finalmente) sotto protezione.


Ne ha scritto un bravo giornalista come Riccardo Orioles, uno di quelli che credono ancora nella missione del lavoro di denuncia, su Articolo21. Mi fa piacere proporvelo, proprio perché non si possa dire che è cosa soltanto loro.


 


La ‘’Primavera’’ di Sonia Alfano


di Riccardo Orioles  (21 marzo 2006)


"E' finito il tempo delle deleghe, il tempo dei soprusi e dei ricatti. Si sono potuti permettere di uccidere persone e far sì che, con la complicità di qualcuno, un chiaro omicidio diventasse suicidio o incidente. La gente ha capito e soprattutto ne parla, non è più un mormorio spaventato. Io continuo a ribadire il mio impegno nella lotta  alla mafia, soprattutto alla ricerca delle verità sull'assassinio di mio padre, ma anche su quei soprusi, abusi e atteggiamenti mafiosi che qui hanno scandito ogni attimo degli ultimi vent'anni. Ho assicurato alle tante persone oneste che mi hanno chiesto di tornare per aiutarli in questa uscita dal tunnel che sarò presente e che nessuno potrà fermare questo processo di rinascita perchè è la gente onesta che lo vuole. La loro e la mia necessità è più forte di qualsiasi Saro Cattafi, Giuseppe Gullotti, Piero Arnò, Giovanni Sindoni e di qualunque infedele rappresentante delle istituzioni". (Sonia Alfano)


Questo articolo (coi suoi bravi nomi e cognomi al posto giusto: si vede che chi le ha insegnato a scrivere le ha insegnato bene) è di una giovane donna che appartiene a una famiglia di giornalisti siciliani. E' uscito su un giornaletto che facciamo giù in Sicilia, in un paesino piccolo e assediato dai mafiosi (trenta morti in vent'anni) e però con dei compagni che lo difendono contro i mafiosi.


Sonia, pochi giorni fa, è stata minacciata dai mafiosi mostrandole una pistola. In questo momento è al liceo di Barcellona, insieme ad alcuni di noi, a parlare ai ragazzi. Fra poche ore saremo tutti in piazza a Milazzo, al comizio dell'antimafia. Faremo, ancora una volta, i nomi e i cognomi.


(Il giornale - ma è un foglio solo, fotocopiato - si chiama "La primavera", e ne sono orgoglioso. Meglio qui a fare questo che coi fagiolini, i ritanni, i comunisti di banca e i giornalisti da tavolino lassù a Roma).


"Questo foglio è semplicemente un promemoria per tutti coloro che vogliono bene a Milazzo (nella foto). Per quelli che da ragazzi si sono tuffati al Capo e hanno nuotato a Mardiponente, per quelli che hanno passeggiato con la loro ragazza alla Marina e hanno passato una vita qui oppure sono partiti e sono tornati poi dopo tanti anni. E trovano qualcosa di strano. Il mare c'è sempre, il tramonto è sempre bellissimo e struggente. Ma c'è un che di cupo e grigio, di prepotente, che prima sicuramente non c'era. Sicilia, Calabria e Campania sono, nella classifica del benessere e dell'occupazione, agli ultimissimi posti. Perché? Perché c'è la mafia, lo sappiamo tutti. I tassi di disoccupazione giovanile vanno di pari passo coi numeri degli omicidi, degli appalti truccati e dei traffici di droga. Ogni nuovo milione fatto da un mafioso, è un altro gruppo di ragazzi che resta disoccupato e se ne va. Noi no, a Milazzo no! Milazzo è un'altra cosa, Milazzo è un'isola. Lo credevo anch'io. Ma i numeri sono quello che sono. Milazzo oggi è assediata dalla mafia esattamente come Partinico o Corleone. Se le lasciamo prendere piede, non ce ne liberiamo mai più. Perciò dobbiamo avere il coraggio di muoverci ora, tutti insieme, senza paura.


Chi è contro la mafia è amico nostro, qualunque sia il suo partito. Chi è con la mafia (e si può essere con la mafia in tanti modi, anche per semplice tolleranza o leggerezza) è dall'altra parte. Ai delitti di mafia, ci pensano i magistrati. Ma ai comportamenti di mafia dobbiamo pensarci tutti noi. Nessuno che abbia a che fare coi mafiosi deve poter fare politica, essere interlocutore politico, essere accolto in una maggioranza comunale. Su questo giudicheremo i politici, e non sui discorsi"


 


DOSSIER/ CINQUE STORIE DA NON DIMENTICARE



LA RAGAZZA




Graziella Campagna, diciassette anni, lavora in una lavanderia a Villafranca Tirrena. Nell'abito di un cliente, per caso, trova un'agenda. E' l'agenda di Gerlando Alberti junior, un boss palermitano. Una rapida "inchiesta" dei mafiosi e, pochi giorni dopo, Graziella viene rapita e uccisa. E' il 12 dicembre 1985.


IL BAMBINO


Si chiamava Giuseppe Sottile e aveva tredici anni. I killer spararono per colpire suo padre ma uccisero lui. Questo avvenne sedici anni fa, nel 1990.



LA STUDENTESSA




Anna Cambria stava andando al bar per prendere un gelato quando i killer, come si dice, "entrarono in azione". Per terra rimasero la vittima designata, un ex calciatore, e anche lei. Aveva sedici anni e faceva il commerciale. Era l'autunno dell'89. Nessun colpevole individuato.


IL GIORNALISTA


Le inchieste di Beppe Alfano, ucciso a Barcellona il 18 gennaio 1993, non si limitavano alla sua città. Furono oggetto della sua attenzione anche gli scandali dell'Aias di Milazzo (speculazioni edilizie e finanziarie coi soldi destinati ai bambini disabili), delle truffe all'Aima (contributi agricoli a boss e imprenditori), e dei traffici sul complesso turistico di Portorosa.


IL DOTTORE


"Il dottor Attilio Manca di Barcellona, è stato rinvenuto cadavere nella sua casa di Viterbo...". Era il 12 febbraio 2004 e Manca la sera prima era stato invano atteso da un collega. A un altro aveva detto di dover fare un "intervento delicato", senza dire dove. Causa della morte, un'iniezione letale. Vicino, su un tavolo, i suoi strumenti di lavoro. Manca, che era urologo, poteva essere utile - pensano i genitori - a qualche boss operato alla prostata, per esempio Provenzano.


 


DOCUMENTI/ DALLA RELAZIONE DI MINORANZA DELLA COMMISSIONE ANTIMAFIA


«Molto lacunoso appare l'intervento degli organi giudiziari e di polizia a proposito della città di Milazzo, che è uno snodo importante sia come possibile terminale di investimento in attività commerciali dei proventi dei traffici illeciti della mafia barcellonese sia per i suoi collegamenti con le Isole Eolie, da sempre nelle mire degli interventi speculativi di Cosa Nostra. Peraltro, indagini del passato avevano portato alla luce una base provenzaniana creata a Milazzo da Luigi Ilardo».«Desta ovvio sconcerto che Domenico Italiano, arrestato e condannato a Caltanissetta con sentenza definitiva nel processo. "Grande oriente", sia divenuto, dopo aver scontato la pena, presidente della locale squadra di calcio, peraltro foraggiata dai finanziamenti dell'amministrazione comunale. Senza tacere che nella stessa società calcistica un ruolo dirigenziale ha svolto Santino Napoli, il quale, da inequivoche intercettazioni telefoniche del procedimento "Omega", è risultato l'autorevole referente del clan barcellonese nella città di Milazzo».«Città nella quale Napoli, per sovrapprezzo, è in atto consigliere comunale, per il secondo mandato consecutivo (significativamente sempre schierato con la maggioranza, prima a sostegno di un'amministrazione di centrosinistra e ora di centrodestra), e controlla rilevanti attività economiche anche attraverso il figlio».

lunedì 27 marzo 2006

L'ultimo volo di un Angelo

Mi ha colpito la tragica notizia della morte di Angelo D'Arrigo. Non conoscevo, se non limitatamente, l'uomo, le sue imprese, ma penso fosse una di quelle persone che se le incontri sei un privilegiato, perché sono in grado di trasmettere sensazioni stordenti e di rara bellezza. Persone, insomma, che meriterebbero di compiere sulla terra o nell'aria (che era il suo habitat ormai più naturale) un cammino molto prolungato. E invece... Peccato che siano sempre i Grandi Uomini a morire, mentre quelli piccolissimi... Meglio il silenzio, questa sera.


Angelo D'Arrigo

Nel corso della sua carriera agonistica ai vertici internazionali del volo sportivo, Angelo d'Arrigo ha avuto modo di volare in giro per il mondo. Durante i suoi viaggi attraverso i vari continenti, Angelo ha sorvolato mari, deserti, vulcani e catene montuose, insieme ad aquile e rapaci di ogni specie.



Laureato all'Universita dello Sport di Parigi, ma innamorato della montagna, Angelo d'Arrigo esce dalla sua metropoli per cimentarsi negli sport estremi.
Con i suoi titoli di istruttore di volo, di maestro di sci e di guida alpina, riesce a vivere delle sue passioni legate agli sport "Plein Air".
Progetta e realizza delle "Prime" sulle Alpi nelle sue tre specialita: Sci Estremo, Volo Libero e Alpinismo.
Dal Monte Bianco al Cervino, dall'Aiguille Verte all'Aiguille du Midi, Angelo riesce ad esprimere il suo stile di vita con successo.
Realizzando dei documentari amatoriali sulle sue "imprese"che divulga nelle scuole e nei centri culturali della capitale francese, Angelo ha contribuito allo sviluppo e alla popolarizzazione degli sport estremi, dove l'individuo e la natura sono gli assoluti protagonisti.
Denominato, allora in Francia, "Le Funambulle de l'Extreme", Angelo progetta di operare anche fuori Europa: l'Himalaya e le Ande.
In occasione di un reportage per una rete nazionale francese, Angelo vola per la prima volta dal vulcano piu alto d'Europa in piena eruzione: l'Etna.
Attratto dal contrasto degli elementi di questo paesaggio Siciliano, al quale sono legate le sue origini, Angelo decide di istallarsi sulle falde del vulcano e crea una scuola di volo libero: l'ETNA FLY.
Ambientato in un quadro unico e spettacolare, dove i quattro elementi ARIA ACQUA TERRA e FUOCO si mescolano, questo centro di addestramento al volo libero si e trasformato, oggi, in un centro turistico basato sulla pratica di sport estremi: il No Limits Etna Center.
Dopo anni di agonismo in volo libero e due titoli mondiali con il deltaplano a motore, Angelo decide di allontanarsi dal circuito delle competizioni per potersi dedicare ai voli record ma soprattutto all'emulazione del volo dei rapaci per la ricerca del volo istintivo.
Avvia un progetto intitolato "Metamorphosis" che e uno studio analitico delle tecniche di volo dei piu grandi rapaci dei cinque continenti.
Dalle aquile delle Alpi ai rapaci dell'Himalaya e dagli avvoltoi dell'America Latina a quelli Australiani, Angelo impara ad osservarli e convivere con loro, nel loro elemento e con le loro regole gerarchiche.

Osservare, studiare ed imitare il volo istintivo dei grandi veleggiatori è stato per lui un percorso naturale che gli ha permesso di perfezionare la sua tecnica di volo.




Angelo ha voluto dedicare questo suo bagaglio di esperienze al servizio della scienza. Questa sua ricerca lo ha portato a compiere delle imprese uniche che hanno suscitato un forte interesse mediatico a livello mondiale.
E' stato il primo uomo a percorrere in volo libero, senza ausilio di motore, il Sahara, ad attraversare la Siberia e ultimamente a sorvolare la montagna più alta della terra: l'Everest.




Un'incredibile esperienza umana, in luoghi ostili e spesso inesplorati che lo hanno visto protagonista di eventi straordinari dai quali sono stati tratti diversi documentari.



Questo misto di sport, avventura, scienza e tecnologia hanno reso possibile il sogno dell'uomo che, dai tempi di Icaro fino a quelli di Leonardo da Vinci, ha sempre sognato di volare come gli uccelli.

venerdì 24 marzo 2006

Il nero che fa schifo

Ho trovato su MicroMega/4 (settimanale) del 23 marzo 2006 un interessante riflessione di Erri De Luca che ho apprezzato, perché scevra di quella eccessiva prudenza e calcolo elettoralistico che ha contraddistinto, invece, gli esponenti dell’Unione che si sono pronunciati sugli incidenti avvenuti a Milano un paio di settimane fa. Un pezzo, condiviso nella sua impostazione, che propone una lettura differente e più conforme al vero di quella giornata. Mi sembra, infatti, che sia stato trascurato un dettaglio niente affatto secondario, vale a dire le ragioni della protesta, seppure violenta, che scaturivano dal permesso accordato ad una manifestazione dichiaratamente apologetica del fascismo, svoltasi purtroppo nello stesso pomeriggio. Un macabro corteo di simboli nefasti che lordano, ormai, anche buona parte degli stadi italiani. Quelle macabre esposizioni domenicali vengono stigmatizzate (nell’ultimo derby capitolino regnava una lugubre atmosfera tra croci celtiche, svastiche e ritratti del duce), eppure hanno avuto la possibilità di sporcare le strade di una grande città italiana. Su questo avei voluto sentire tutta la ripugnanza dei rappresentanti dell’Unione e invece l’opportunistico silenzio elettorale ha obnubilato tutto.


La violenza e l'oltraggio


di Erri De Luca



“Un gruppo di qualche centinaio di rivoltosi fa danni consistenti nel centro di Milano. Ne arrestano una quarantina, una decima, o una decimazione. Avranno la punizione di un processo in cui si dovranno distinguere le responsabilità individuali. Il tempo delle condanne in blocco per comitive di colpevoli, come ai tempi delle lotte armate, è finito da un pezzo. Si accerteranno le responsabilità di ognuno e i colpevoli risponderanno dei singoli capi d’accusa. Causa di questo subbuglio in una domenica elettorale è il permesso accordato a una manifestazione dichiaratamente fascista, cioè di esaltazione della dittatura esercitata dal disciolto Partito fascista, nell’abbondante ventennio 1922-1945 (Repubblica Sociale compresa). Ogni manifestazione di approvazione del fascismo in Italia è espressamente vietata. Lasciare svolgere una qualunque propaganda fascista è una violazione della legge. I responsabili dell’ordine pubblico a Milano hanno mancato di fare rispettare una sensibile legge dello Stato. Sensibile: il fascismo ha portato l’Italia alla rovina, non solo per la dittatura, ma per l’alleanza con la più oscena macchina di sterminio della storia umana. Sensibile è l’oltraggio alla legge che vieta ogni manifestazione fascista.
Se le forze dell’ordine avessero impedito, come era dovere di ufficio, la manifestazione fascista, avrebbero dimostrato ai giovani rivoltosi il doppio torto, materiale e politico, di far danni quel giorno. Consentendo invece lo svolgersi della manifestazione, hanno fornito ai danneggiatori la più evidente giustifica.

Quel gruppo di giovani si assumerà le sue responsabilità e paga già con la prigione i propri atti politici violenti.


Un più numeroso gruppo di responsabili dell’ordine pubblico ha tollerato una manifestazione fascista nel centro di Milano, città medaglia d’oro della Resistenza. Quei funzionari non hanno solo violato la legge, l’hanno offesa. Il loro torto è più sensibile, perché a loro i cittadini affidano il monopolio della forza per far rispettare le leggi. A Milano, 11 marzo 2006, si sono consumati due reati politici”.


 




 

martedì 21 marzo 2006

Una scelta sbagliata

È ormai arrivato quasi alla fine del suo mandato, eppure la scelta – su ispirazione del ministro Pisanu – di assegnare la medaglia d’oro a Fabrizio Quattrocchi resterà una macchia sul settennato di Carlo Azeglio Ciampi, presidente della Repubblica. Una scelta sbagliata, un eroe posticcio che merita solo il rispetto dovuto ad una persona che è stata uccisa, ma nulla più. Eroe è chi viene assassinato per un’idea, per cause nobili. E per me rimane assai improbabile vedere tutto ciò nel mercenario assassinato in Iraq.


Tv svizzera, video su Quattrocchi al lavoro a Baghdad


Tv svizzera, video su Quattrocchi al lavoro a Baghdad E' armato, perlustra, non parla. Parla l'arruolatore Simeoni: «Sì siamo mercenari, anche se è una parolaccia».


di Gianni Beretta da “il manifesto” del 25 maggio 2004


Fanno una certa impressione le immagini di Fabrizio Quattrocchi in piena azione in Iraq come guardia di sicurezza pochi giorni prima del suo sequestro e della sua esecuzione. Mentre Paolo Simeone, che lo aveva ingaggiato, alla domanda se si consideri un mercenario risponde: «Mercenario mi sembra un po’ una parolaccia; ma è quello che siamo; anche se è una parolaccia, secondo il dizionario è una persona che svolge un'attività militare contro pagamento; ed è quello che noi facciamo». Le sequenze di Quattrocchi armato che scruta Baghdad con un cannocchiale e l'intervista in inglese di Simeone, in attività di pattugliamento insieme a lui, sono la parte finale di un lungo documentario realizzato dalla Televisione svizzera francese dal titolo «Guerrieri affittansi», andato in onda qualche giorno fa in contemporanea sulla Televisione svizzera italiana.


Per la verità un flash di quelle immagini di Quattrocchi era stato trasmesso da Canale 5 che le avrebbe piratate con tanto di logo svizzero da anticipazioni del tg di Ginevra (mentre il documentario era ancora in lavorazione); tant'è che fra Mediaset e la televisione romanda è nata una controversia.


Nel video Quattrocchi non parla mai, anzi è definito nel documentario «il più discreto» rispetto a Simeone e all'altro collega Luigi (rientrato poi in Italia) ripresi in macchina mentre stanno pattugliando le strade della capitale irachena. E' solo Paolo Simeone a farsi intervistare; in fin dei conti è lui il capo: «Bisogna essere molto discreti, ma anche essere abbondantemente armati; per noi il problema è questo; è difficile nascondere un fucile d'assalto o una mitraglietta».
E nel caso di attacco: «A volte rispondiamo al fuoco; altre fuggiamo; dipende; sparare ad esempio in una situazione come questa è assai pericoloso perché ci sono molti civili; o identifichi molto bene il bersaglio e sei sicuro di te, oppure è meglio fuggire perché si corre il rischio di uccidere degli innocenti; e noi non ne abbiamo il diritto».


In «Guerrieri affittansi» il 32enne Simeone è presentato come il responsabile della compagnia Presidium, al servizio di grossi clienti statunitensi sia come guardaspalle che nella protezione di infrastrutture. Mostra il fucile svizzero SIG 543 che ha in mano, dicendo di averlo trovato al mercato nero. E quando gli viene chiesto cosa gli piaccia di questo mestiere, risponde: «Mi piace viaggiare per il mondo, l'adrenalina; amo questo lavoro perché posso applicare tutte le mie conoscenze in situazioni reali». E sull'adrenalina precisa: «Mi riferisco al rischio; è questo che ci motiva tutti a fare il nostro lavoro, a cercare il pericolo; mettere la nostra vita in pericolo è il cuore del nostro business».


Ma non è tutto qui: in «Poveri eroi» la televisione svizzera esibisce copia della e-mail di proposta di reclutamento in Iraq inviata da Simeone all'«agente di sicurezza» Davide Giordano (amico di Quattrocchi) che gli aveva mandato il suo curriculum vitae da Genova. Si parla di «training alla polizia locale»; di servizio di body-guard a «Vip locali (politici o giudici) e italiani (personale dell'ambasciata, di ditte e organizzazioni)»; e infine di «controllo armato a pipelines e linee elettriche»; per «un salario di seimila euro al mese, più vitto e alloggio»; con un addestramento sul posto di tre giorni a sei tipi di armi (specificate). Nell’e-mail da Bagdad Simeone aggiunge: «Mi hanno dato carta bianca per la scelta del personale, non tanto perché si fidino di me ma perché il personale è finito, e posso prendere specialisti dal mercato dei free-lances». Per sua fortuna, a differenza di Paolo Quattrocchi, alla fine Davide Giordano decise di non arruolarsi.


A nessuna televisione italiana è venuto in mente di comprare i diritti per mandare in onda almeno la parte del documentario svizzero che riguarda le guardie private italiane, soprattutto per quanto si riferisce alle dichiarazioni di Simeone, che oggi risuonano alquanto sinistre; neppure a Ballarò di Rai 3, che pure la settimana precedente aveva chiesto in visione (senza poi acquistarlo) il servizio «Poveri eroi» di produzione della televisione ticinese, nel quale si anticipava la seguente dichiarazione di Simeone ai romandi: «E' difficile lavorare qui; bisogna mantenere un profilo molto basso; ma nello stesso tempo occorre essere armati fino ai denti e pronti a sparare; oggi l'Iraq è il centro degli affari per chi si occupa di sicurezza; parliamoci francamente: questo è il posto giusto e il momento giusto per far soldi; il business è davvero grande; sono molte le agenzie di sicurezza venute ad operare qui, e circola molto denaro; non potevo rinunciare; anche se ho tanta paura».


Note:http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/25-Maggio-2004/art34.html


Foto: http://www.sestaluna.com/maurobiani

mercoledì 15 marzo 2006

L'altra America


Help us make America, America again, «aiutateci a far sì che l'America torni a essere l'America»: ospite d'onore della cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico dell'università Roma Tre aperta dal rettore Guido Fabiani e conclusa da Walter Veltroni, Kerry Kennedy conclude così il suo duro intervento nell'aula magna gremita, un feroce atto d'accusa in dodici capitoli dell'«assalto senza precedenti ai nostri valori fondamentali e alle nostre più nutrite convinzioni» scatenato dal governo Bush dopo l'11 settembre sotto l'ombrello della guerra al terrorismo. Un assalto alla democrazia costituzionale che ha distrutto la libertà, ovvero «il cuore e l'anima dell'idea di America», mentre ne propagandava l'esportazione armata in Afghanistan e in Iraq; e rischia di snaturare a tal punto l'accogliente terra che Walt Whitman definiva “a teeming nation of nations”, «una nazione brulicante di nazioni», che «se non facciamo qualcosa, la generazione dei nostri figli erediterà i frutti della nostra indifferenza».


Che cosa fare, la figlia di Robert Kennedy lo dirà alla fine, non lesinando giudizi durissimi contro il terrorismo né rifiutando l'uso di mezzi altrettanto duri per combatterlo, ma invocando d'altra parte la cooperazione internazionale contro i responsabili dello sfondamento del diritto all'interno degli Usa, l'adesione americana ai trattati e alle corti penali internazionali, l'aiuto americano ai sostenitori dei diritti fondamentali laddove sono negati.


Prima, però, c'è la denuncia: in dodici capitoli, quanti sono gli strappi ai diritti e alle garanzie che l'amministrazione Bush ha perpetrato. Niente di più di quello che la cronaca ci ha messo sotto gli occhi dall'11 settembre in poi, ma che certo rimesso in fila in una sorta di catalogo della de-costituzionalizzazione fa una certa impressione.


Ecco i titoli: rottura del Freedom Information Act (che dal 1966 garantiva l'accessibilità ai cittadini dei documenti dell'amministrazione), del Whistle Blower Protection Act (che tutela i funzionari che denunciano abusi e soprusi dell'amministrazione), dell'Attorney Client Privilege (che garantisce la segretezza delle conversazioni fra gli imputati e i loro avvocati); tortura in appalto e tortura sotto custodia americana; spionaggio interno; invasione della privacy attraverso la raccolta dei dati personali; intercettazioni abusive delle telefonate; persecuzione discriminatoria degli immigrati e racial profiling («un anatema sui nostri valori»); detenzione infinita dei «nemici» internati a Guantanamo nonché di cittadini americani; istituzione dei tribunali militari speciali.


Il quadro complessivo è quello di un paese che non ha solo sacrificato alcune libertà alle necessità della sicurezza, ma che ha approfittato dei sentimenti di paura scatenati dall'11 settembre per svuotare le garanzie costituzionali e per instaurare pratiche di controllo, sorveglianza, punizione, discriminazione che eccedono largamente le urgenze della «guerra al terrorismo». Un paese in cui vengono raccolte le tracce che si lasciano consultando libri in biblioteca o comprando medicine in farmacia, in cui vengono spiace le telefonate private e le navigazioni in rete, un paese che censura la critica e il dissenso interno, che ha riammesso la tortura, che fa sparire gli immigrati sospetti «come nell'America latina degli anni 80», che nega agli imputati le garanzie del giusto processo e li tiene internati in condizioni inumane senza imputazione, un paese che usa gli agenti dell'Fbi per spiare le riunioni di carattere religioso e scheda senza vergogna gli immigrati musulmani facendoli sottoporre a «interrogatori volontari».


Conclusione: «Il governo Bush ha approfittato delle nostre paure per tacitare la critica, imprigionare gli innocenti, torturare i sospetti, invadere la nostra privacy, creare un'atmosfera di repressione che pervade gli americani e seduce i peggiori istinti contro di noi per tutto il pianeta». Help us make America, America again, prima che sia troppo tardi”



L'America che non è più America


L'assalto alle garanzie costituzionali dopo l'11 settembre nella scarna e feroce denuncia di Kerry Kennedy


di IDA DOMINIJANNI (“il manifesto” del 25 febbraio 2006)


 



Kerry Kennedy, prestigiosa attivista per i diritti umani, figlia di Robert Kennedy, laureata alla Brown University ed al Boston College Law School,vive vicino a New York con le sue tre figlie; ha iniziato a lavorare nel campo dei diritti umani nel 1981 quando investigava sugli abusi commessi dall'Immigrazione degli Stati Uniti nei confronti dei rifugiati di El Salvador; da quel momento ha dedicato la sua vita alla lotta per la giustizia, alla promozione e alla protezione dei diritti umani e al rispetto della legalità; fa parte di circa 40 delegazioni per i diritti umani presenti in piu' di 30 Paesi; e' nel Board of Director's del "Robert F. Kennedy Memorial Center for Human Rights" (un'organizzazione non profit che si occupa di problemi di giustizia sociale e ha lo scopo di assicurare protezione ai diritti codificati in base alla Dichiarazione dei Diritti Umani delle Nazioni Unite; il "RFK Memorial Center" provvede inoltre a sostenere numerosi difensori dei diritti umani nel mondo; si preoccupa di smascherare e denunciare pubblicamente abusi come la tortura, le sparizioni,le repressioni del libero pensiero e lo sfruttamento del lavoro infantile;promuove programmi per accrescere il rispetto dei diritti umani).



L'America che preferisco è riflessa nel  luminoso volto di Kerry Kennedy e si rispecchia nelle sue parole.


*foto bandiera Usa http://forum.belmont.edu/cornwall/god%20bless 20america.jpg 


*foto Kerry Kennedy http://www.kepplerspeakers.com/speakers/pics/kennedy k.jpg








Comunicazione di servizio. Ho varie integrazioni da aggiungere ai commenti: domani provvederò. Abbiate pazienza.



giovedì 9 marzo 2006

La violazione di una donna

Stupro, nuova sentenza choc: pena più lieve per un reduce dall'Iraq
di 
red

 La violenza sessuale è meno grave se a compierla è un soldato statunitense appena tornato dall’Iraq. È quanto si può leggere nelle motivazioni della sentenza che spiega la condanna (del novembre scorso) per violenza sessuale a cinque anni e otto mesi (più 100 mila euro di risarcimento, invece dei 7 anni chiesti dal pm) di un parà statunitense di stanza alla caserma «Ederle» di Vicenza. Una condanna mitigata dal fatto che al parà in questione sono state concesse le attenuanti generiche a causa dell’«esperienza bellica ed extrabellica che lo ha logorato psicologicamente e spinto a dare minore importanza alla vita e alla incolumità altrui».
I fatti. Secondo quanto ricostruito in aula durante il processo James Michal Brown, parà di 27 anni dell’Oregon, la notte del 22 febbraio del 2004 (due giorni dopo il suo rientro dall’Iraq), ubriaco, fa salire sulla sua auto una coetanea nigeriana. Quindi la picchia, la violenta e la lascia per strada nuda, ammanettata e in evidente stato di choc.
Sono proprio le manette Smith&Wesson (oltre che la descrizione fatta dalla ragazza) a tradire il soldato. Infatti sono in dotazione dei 1900 militari americani della caserma Ederle, sede della Task force dell'Europa meridionale. Riconosciuto e arrestato il soldato, difeso dall'avvocato Antonio Marchesini, dopo 6 mesi di carcerazioni preventiva, racconta in aula di essere un paracadutista, di essere appena rientrato da una missione di 11 mesi in Iraq, di aver preso parte a molti scontri a fuoco e a corpo a corpo. E inoltre spiega che, tornato in Italia, è stato sottoposto a una terapia di recupero, durante la quale è vietato bere alcolici. Regola che ovviamente lui non ha seguito.
La condanna e le attenuanti. Alla fine del dibattimento il soldato (che nel frattempo è stato espulso dall'esercito e spedito in carcere in Germania) viene condannato per violenza sessuale: cinque anni e otto mesi più 100 mila euro di risarcimento. IL pm ne aveva chiesti 7 ma il tribunale ha stabilito che: «vanno riconosciute le attenuanti generiche, perché appare verosimile che l'imputato, nella commissione dei reati, sia stato influenzato da atti di violenza cui ha assistito in Iraq e che nulla avevano a che fare con la necessaria violenza bellica».
Valutazioni soggettive. Nonostante la sentenza abbia provocato polemiche e scalpore la procura della Repubblica di Vicenza non appare intenzionata a fare ricorso. Anche se le motivazioni della sentenza, secondo procuratore di Vicenza Ivano Nelson Salvarani, sono «non adeguate al contesto concreto» e «non rispondenti agli elementi di causa», sulla adeguatezza della pena la procura non ha nulla da eccepire: «Il pm - ricorda Salvarani - aveva chiesto mi pare sette anni. Non molto distante quindi dalla decisione dei giudici. Non credo che faremo ricorso perché la pena appare adeguata al fatto».
«Ci sono due fatti veri - dice infine Salvarani - il soldato era tornato da poco dall'Iraq ed era ubriaco». Tutto il resto, cioè l'accostamento ai possibili effetti della sua permanenza in Iraq, a quanto ha visto in quei luoghi sul piano della violenza, sembrano rientrare sul fronte della «valutazione soggettiva». (www.unita.it del 7 marzo 2006)

mercoledì 8 marzo 2006

Oggi come 98 anni fa


24 febbraio 2006, Chittagong, Bangladesh, ore 5,30 del mattino. Scoppia un incendio in una fabbrica tessile,
la Kts Textile
Mills. Scene di disperazione degli operai che non riescono a scappare, sbarre alle finestre e porte blindate, come si usa sempre più spesso in Asia per aumentare la produttività e il controllo. Notizie ancora incerte sul numero delle vittime. Ma almeno 65 sono i morti. Erano quasi tutte donne. Bruciate.


La stessa cosa accadde il 25 novembre 2000. Analogie da brividi a leggere la cronaca.


 


Donne al rogo


di MARIUCCIA CIOTTA ("il manifesto" del 25 febbraio 2006)


La chiave non è stata trovata subito. Il padrone della Kts Textile Mills di Chittagong, Bangladesh, l'aveva messa al sicuro, al contrario dei 500 operai del turno di notte che al sicuro non ci stavano affatto. Anche le finestre erano chiuse per impedire che qualcuno lasciasse il lavoro. Così ieri sono morti in 65 (bilancio provvisorio, centinaia i feriti), la maggioranza donne, ma l'odore di bruciato non è arrivato fino a noi, tanto che i Tg hanno ignorato la notizia nei titoli di testa. Quella fabbrica è lontana, dove sta Chittagong sulla cartina geografica? Così lontana anche per le condizioni disumane, ottocentesce, anti-sindacali in cui vivono i lavoratori che hanno visto i rotoli di stoffa sparsi qua e là avvampare per lo scoppio di un radiatore elettrico, e provocare un rogo improvviso, senza via di fuga, senza scampo. Erano le 5.30 del mattino e le fiamme si sono propagate rapidamente in tutto il fabbricato tanto che i vigili del fuoco dopo 12 ore parlavano di numerosi corpi da recuperare sotto le macerie. Molti operai sono rimasti bloccati da ondate di fuoco e di fumo, alcuni hanno sfondato le finestre e si sono gettati dal terzo piano.


L'immagine del disastro riporta indietro fino al 1908 quando 129 operaie tessili - in sciopero per ottenere orari e condizioni decenti di lavoro - bruciarono nello stabilimento della Cotton di New York, chiuse a chiave dalla proprietà. E l'episodio, accaduto l'8 marzo, si vuole all'origine della Festa della donna. Una tragedia persa nell'immaginario che dà ancor di più un'aura da «leggenda» a quella successa ieri. Eppure abbiamo i loro abiti negli armadi. Sei miliardi di dollari annui, infatti, sono il fatturato dell'esportazione dei prodotti tessili del Bangladesh, dove le donne sono le più utilizzate e prendono stipendi più bassi degli uomini per turni massacranti, spesso di notte, sicurezza zero.


Nell'aprile del 2005 più di 70 persone sono state schiacciate dal crollo di una fabbrica tessile illegale costruita abusivamente su un terrono paludoso a Palash Bari, distante pochi chilometri da Dacca. Nel 2000, 48 operai sono morti in un altro incendio sempre vicino alla capitale, l'uscita di sicurezza era chiusa. E il conto sale fino a 350 morti e 2500 feriti negli ultimi anni in quei baracconi che si chiamano «fabbriche delocalizzate», lontane. Vicinissime. È dietro l'angolo
la Kts Textile
Mills con i suoi marchi occidentali che troneggiano nelle nostre vetrine, e che non vogliono sapere delle ditte in franchising dove le porte sono chiuse. Non c'è né tempo né distanza che ci separi da Chittagong e dalle operaie prigioniere - fantasmi che ardono dietro finestre sbarrate - i cui nomi non sapremo mai. Di quella chiave che non si trova, qui, molti ne hanno una copia in tasca.


*La foto - tratta da repubblica it. - si riferisce all'incendio del 2000.


 


Care donne, non comprate o regalate mimose, perché fareste la festa di tanti altri, ma non la vostra che dovrebbe durare 365 giorni, senza arricchire oggi fiorai, commercianti, albergatori e tutta la varia umanità speculatrice.


 

sabato 4 marzo 2006

E.R.


Soffia il vento nella notte, scuote le serrande. È impetuoso, ma non riesce a scacciare via la giornata odierna. Mi ritrovo stanco e intriso di un fastidioso sentore da “ultimi giorni”. Rewind. E torno a questa mattina, a quella telefonata che mi ha sorpreso, in azienda, accanto alla macchinetta del caffé. “Pronto soccorso, incidente, investito, nostra sorella dice che... Mio padre, 81 anni”.


Un brivido e poi mi lancio verso l’ospedale. Arrivo al pronto soccorso mentre il sole continua a nascondersi dietro le nuvole, metafora di uno stato d’animo. Non chiedo neppure quale codice gli abbiano assegnato. Stranamente nella sala d’ingresso regna un’insolita calma per essere quello il luogo delle “emergency room”.


Poi lo vedo disteso su una barella, il sangue raggrumato attorno alle labbra e sul viso. Un dito fasciato. Mia sorella accanto a lui, ancora turbata, ma pare che vada tutto bene. Ancora. Lo hanno sottoposto alle radiografie del caso, si è in attesa di un ecografia. Mi viene indicata anche la persona che guidava l’auto. Ricostruisco.


Mio padre era uscito di casa verso le 8:30, reggendosi al bastone che lo accompagna ormai da più di un anno e mezzo. Un’artrosi molto dolorosa e cronicizzata gli rende le gambe ballerine e deve sempre fare attenzione a procedere con un passo regolare e senza forzature. Un caffé bevuto al bar, una sigaretta fumata stando seduto su una panchina, mentre la piazza si animava. Poi si alza, attraversa la strada, deve avere un’incertezza, vede un auto in movimento, si sposta per portarsi a distanza di sicurezza e in quel momento un altro veicolo che sta facendo manovra per uscire dal parcheggio lo urta, poco (suppongo) ma quanto basta perché finisca a terra sul fianco sinistro, con il naso e la bocca che sbattono sull’asfalto. Immediati i soccorsi, il vigile urbano di turno che ha la sede a pochi passi dall’incidente, raccoglie la versione della donna alla guida dell’auto, altre testimonianze, scatta alcune foto e redige un verbale.


Conosco la sfortunata – almeno quanto mio padre – autista che attende anche lei in un angolo. Mi avvicino, cerco in qualche modo di confortarla, ma anche di non eccedere troppo in facili giustificazionismi. Frasi di circostanza e d’altra parte in quel momento non conosco l’esatta dinamica dei fatti, perciò a che titolo potrei, per esempio, scaraventarle addosso la mia insofferenza? Mi sembra già abbastanza sconvolta, perché consapevole che, per quanto piccola la botta e magari circoscritti i danni, si tratta sempre di una persona anziana, pure malata e certi episodi possono anche produrre effetti indesiderati, magari nel tempo. E poi anche il luogo non si presta a polemiche.


Intanto arriva una confortante valutazione: vengono escluse fratture, nessun farmaco da assumere (già ne prende una decina...), ritorno a casa dopo poche ore e appuntamento per togliere i punti, in bocca e sul dito, fra una settimana. Durante il pomeriggio e poi in serata, a cena, mio padre è parso abbastanza ritemprato, anche se fino a venerdì prossimo dovrà alimentarsi con liquidi e semiliquidi.


Forse non l’ha spezzato neppure questa disavventura, ma intanto la vecchiaia avanza e ha inciso un’altra tacca nella corteccia, sempre più sottile, di un uomo verso il quale il destino non è stato per nulla prodigo, privandolo prematuramente  della moglie e poi, molto più di recente, della figlia forse (e giustamente) più amata.


Adesso il vento ha smesso di soffiare, mentre le mie inquietudini scorrevano via. Non saranno giornate facili, le prossime, ma non lo sono mai state da quando si è ammalato. Avverto sulle mie spalle un peso sempre più crescente da portare. Saperlo reggere è la sfida che da domani si incrudelirà maggiormente.

venerdì 3 marzo 2006

Avere ventanni


È fantastico girare per la propria città completamente svuotati da impegni e responsabilità, ritagliarsi dei propri spazi, dare importanza a quelle piccole cose che non si ha mai tempo di fare, decidere di essere un po' turista, un po' perditempo, un po' sognatrice.


Ho passato così il mio pomeriggio di ieri. Ho girato alla Feltrinelli dopo il corso d'inglese, ho comprato “Garage Olimpo” (salvo scoprire poi che è un film tostissimo), ho passeggiato per il centro, ho comprato alcuni libri per l'università. Avevo i Block Party sparati nelle orecchie e una copia di “Le regole dell'attrazione” nello zaino blu.


Mi sono rintanata nella sala da tè, quella adorata da me, da A. e da G.. C'era sempre la stessa atmosfera un po' bohemienne, un po' esistenzialista, molto europea. Ho preso un tè ai frutti rossi. Ho curato me stessa come volevo fare da tempo. Poi ho incontrato un amico di un’amica, un ragazzo che canta in un gruppo. Prendeva il tè con una ragazza bellissima, una di quelle che oggettivamente non puoi ignorare anche se sei donna e verso le donne non provi il minimo impulso sessuale. Ho parlato un po' con loro. Poi di nuovo Block Party e via di corsa verso Amnesty, su per una strada buia. Ho camminato col vento freddo tra i capelli, libera, con solo i rintocchi in lontananza di un campanile dismesso”.


Questa descrizione di un pomeriggio trascorso dedicando attenzione a se stessa è di una giovane amica, ventidue anni a maggio. L’ho trovata incantevole.


E l’incanto, il fascino, la seduzione, il coinvolgimento dei sensi derivano non solo dalla qualità di scrittura e di osservazioni, accresciute dal felice superamento di Diritto commerciale il giorno prima (26) e, quindi, anche dalla leggerezza per un peso in meno sulle spalle. Vi è altro di magico che letto e riletto porta a godere della vitalità, del dinamismo, dell’esuberanza che i ventanni accordano: la straordinaria semplicità del racconto, le pennellate su un quadro che racchiude tutta l’essenza di questa giovane donna che nulla si proibisce e molto concede al proprio cervello. Il senso di libertà, padrona del suo tempo.


C’è tutto in questo racconto, tutto ciò che una ragazza del terzo millennio, dotata di viva intelligenza, è capace di cercare e di produrre. E vissuti con lei questi anni, per nulla facili, diventano esaltanti. Una fortuna per i suoi coetanei, compreso il cantante di un gruppo locale e la sua compagna bella da morire. La felicità a portata di mano. Una carezza. Il calore umano.


 



Berlusconerie-2


I problemi del porto di Torino


Sabato 30 novembre 1996. Il cinema Lux di Torino è affollato di sostenitori adoranti. Il suo esordio: “Vi leggerò l’intervento che ho fatto in Liguria, perché la situazione economica è molto simile”.


Il Cavaliere vaga sulle generali. Ma non può, ad un certo punto, non criticare le “discutibili decisioni prese per la zona vicino al porto”.


Nella sala scende il silenzio, che diventa gelo quando Berlusconi tuona: “Da parte della giunta regionale ci sono stati errori gravissimi” (in Liguria è di centrosinistra, in Piemonte è presieduta dal fedelissimo Enzo Ghigo, n.d.a.).


Ma si accorge della gaffe e corregge: “Sto parlando della Liguria”.


Poi continua: “Adesso vi dirò una cosa che non ha nulla a che vedere con Genova”. E parla di Trieste.


Alla fine gli chiedono l’identikit del candidato sindaco del Polo e lui: “Lo sceglieremo radicato nel territorio”.


(
la Repubblica
, 1 dicembre 1996)

mercoledì 1 marzo 2006

Berlusconerie


Alessandro Corbi e Pietro Criscuoli hanno raccolto in un agile volumetto per la casa editrice Nutrimenti il meglio del peggio di B.1816, con “Superberlusconate”, sottotitolo “Greatest Hits”, secondo libro dopo le precedenti “Berlusconate”.


Ho pensato che sarà utile accompagnare questo travagliato percorso verso il 9 e 10 aprile con un promemoria delle “berlusconerie” (contrazione dei termini berlusconi e castronerie). Dosi omeopatiche quotidiane per avere conferma di come la stupidità di quest’uomo allarghi i propri confini nell’infinità dell’universo. E per non dimenticare cinque anni tappezzati dalle sue sciocchezze. Sperando che non lo dimentichi neppure il centrosinistra dormiente. Perché allora si trasformerebbero in un incubo.


 


Fuori onda.


“Voi ex democristiani mi avete rotto il cazzo, me lo hai rotto tu e il tuo segretario Follini. Basta con la vecchia politica. Conosco i vostri metodi da irresponsabili. Fate favori di qua e di là e poi raccogliete voti, ma io vi denuncio, non ve la caverete a buon mercato, vi faccio a pezzi. Io le televisioni le so usare e le userò. Chiaro? Mi avete rotto i coglioni. Non mi faccio massacrare due anni e mezzo per poi schiattare come un pollo cinese. Se andiamo avanti in questo modo ci stritolano, lo capite o no, affaristi che non siete altro?”.


(Tratta da un articolo di Vittorio Feltri su Libero, 7 febbraio 2004)


 


“Uno come me, con un patrimonio di ventimila miliardi, deve perdere tempo con voi...”.


(Corriere della Sera, 14 aprile 2005)

Luci rosa


Un'emozione da poco. Brivido tiepido. Per par condicio mi aspetto che voglia rimirar le stelle pure il capezzolo sinistro, ma se non accadrà me ne farò una ragione.