venerdì 31 dicembre 2010

Decennio che va, decennio che viene

Elenco delle cose e delle idee abbandonate nel decennio passato e che abbandoneremo nel decennio prossimo futuro.



Le videocassette,

le agenzie di viaggio,

la separazione tra vita lavorativa e vita privata,

l’oblio,

le librerie,

l’orologio da polso,

le linee erotiche,

le cartine geografiche,

la chiamata telefonica,

gli annunci sui giornali,

le connessioni dial-up,

l’enciclopedia,

il Cd,

la linea fissa,

le pellicole,

le pagine gialle,

i cataloghi,

il fax.

i fili (grazie al wireless).

Ho preso lo spunto da qui,
mentre il pretesto era quello di lasciare gli auguri per un 2011 che non si annuncia certo sereno. Ma spero di sbagliare alla grande.

martedì 21 dicembre 2010

Il Grande Vecio





Si è spento consumato dal tumore, in silenzio, come una candela che dopo aver illuminato il buio con la sua fiammella tremolante, si accorcia fino ad estinguersi. Enzo Bearzot è morto questa mattina a Milano.

Per caso mi trovavo sul sito repubblica.it quando c'è stato l'aggiornamento che mi ha provocato un colpo al cuore, quello che ha conservato intatto il ricordo di una notte estiva tra le più straordinarie che possa ricordare. Quando il calcio, quel calcio che non c'è più come oggi il "vecio", era capace di regalare emozioni intense, di sedurre come neppure una donna potrebbe e saprebbe fare.

Correva l'11 luglio 1982, il giorno dopo sarei dovuto partire per un lavoro stagionale, ma quella notte la volli vivere tutta intera. Rividi quella finale mondiale tre volte: prima con gli amici, poi nella piazza dove si stava festeggiando e trasmettendo su schermo gigante (i primi esperimenti) la ripetizione della gara e, infine a casa, quando la tv stava ritrasmettendo, ancora una volta, Italia-Germania.

Il mattino dopo, di buon'ora, saccheggiai l'edicola acquistando una copia di tutti i quotidiani disponibili. Preparai i bagagli per la partenza tra un resoconto e l'altro, già sapendo che sarebbe stata storia quella che stavo vivendo. Nella stazione di arrivo, tardo pomeriggio del 12 luglio, mi fermai davanti ad un chiosco ormai quasi vuoto, da dove raccattai un paio di testate residue, per completare la collezione.

Una ricognizione adesso dolorosa, impregnata di struggente malinconia e non nascondo che ho dovuto stringere forte gli occhi per non essere sopraffatto dall'emozione, quella che solo la morte di un uomo giusto è capace di provocare. Intervistato da Gianni Mura, tre anni fa in occasione del suo ottantesimo compleanno, che gli chiese - tra l'altro - come avrebbe voluto essere ricordato, così Enzo Bearzot rispose alla domanda conclusiva: "Come una persona perbene". Per questo lo piango.

Che la terra gli sia lieve.




Per ricordare Bearzot ho scelto un brano, tratto dal suo libro.



Come un’orchestra jazz

Quando penso ai miei azzurri mi viene facile il paragone con un complesso musicale, con un’orchestra di jazz. Sarà perchè a me piace il jazz, un tipo di musica che nasce dalla sofferenza, che deve essere eseguita con una intensa partecipazione emotiva, col cuore. Sarà perché sono un po’ fissato nel preferire una squadra vista come complesso affiatato e compatto piuttosto che un insieme di campioni, siano pure ammirevoli e talentosi. Il calcio non è diverso dalla musica, anche in campo contano l’affiatamento e il cuore, l’estro e la grinta: al momento giusto ci sta bene un «assolo», ma lo spartito devono conoscerlo bene tutti quelli dell’orchestra e alla fine gli applausi (o i fischi) vanno divisi fra tutti, in parti uguali.

A me tocca fare il direttore d’orchestra. Non so dire se ho le qualità giuste per un ruolo tanto delicato, posso solo dire che ce la metto tutta. Perché il calcio è una musica che mi suona sempre nelle vene e riesce a farmi sentire giovane, anche adesso che ho quasi sessant’anni, e mi piace fare il nonno, non troppo burbero, col mio nipotino Rodolfo. A quelli che ogni tanto mi chiedono se continuerò ad allenare la Nazionale, se resterò ancora a lungo in panchina o accetterò altri incarichi in azzurro o altrove, non so rispondere.

Posso solo dire che il calcio, con il Mundial o senza, fa ormai parte di me: e che nel mio lavoro posso accettare tante cose, anche spiacevoli, ma non sopporterò mai di modificare le mie caratteristiche naturali, il mio modo d’essere. Mi rendo conto, per come sono fatto, convinto sino alla testardaggine, di rischiare spesso l’isolamento: forse mi è indispensabile, forse è inevitabile, soprattutto quando si avvicina un appuntamento delicato come un Mondiale. Forse mi piacerebbe essere isolato senza essere solo: è possibile?

(pagg. 115-116)




Bearzot, Enzo. Il calcio mundial. 1. ed. Milano: Arnoldo Mondadori Editore, aprile 1986.



Qui
, invece, una biografia accurata con adeguato corredo fotografico.


 


domenica 19 dicembre 2010

Le generazioni bruciate



La sordità, l'ignavia e la pavidità di un'intera classe dirigente da una parte le impedisce di ascoltare la protesta -  che è poi anche contestazione e ricusazione - di una larga parte della società civile, di categorie molto spesso ignorate, mentre dall'altro lato suggerisce di barricarsi nel Palazzo chiedendo assistenza e tutela proprio a quegli stessi poliziotti che, il giorno prima, erano confluiti con le loro rappresentanze, sotto la villa di Arcore, per denunciare l'avvilimento che patiscono con il taglio indiscriminato a stipendi e prestazioni, con la riduzione pesantissima di risorse che si traduce, poi, nella progressiva scomparsa della dignità.



Il portone di Montecitorio sbarrato, mentre nell'aula proprio sorda e più che grigia si compie l'ennesimo sfregio alla democrazia e alla Costituzione, nata dalla guerra antifascista; l'allargamento scriteriato della "zona rossa" a tutela di lorsignori, i quali sono ben consapevoli di essere protagonisti dell'ulteriore mortificazione inflitta ad un Paese che ha ancora una parte sana, ma non riempie il Parlamento (proprio perchè sana), rappresenta l'emblema degli ultimi giorni di un regime ormai avviato al tracollo. Un regime che ha paura dei cittadini, che è terrorizzato dal dissenso che sbugiarda "la favola bella che ieri t'illuse, che oggi m'illude".

Ho raccolto, a modo mio, alcuni contributi per meglio capire ciò che sta avvenendo in questa Italia infettata dal morbo B., lobotomizzata dalle televisioni del cancro B., che hanno svezzato ragazzi cresciuti con il mito dei tronisti e delle veline, ma dove nonostante questa deriva culturale, etica e sociale si è anche formata una generazione che dice "no", che non ci sta e non vuole arrendersi alla prospettiva di un futuro inesistente. E se lo vuol riprendere.

Che siano, almeno, incazzati i giovani è proprio il minimo.



 

Il colloquio

Manganelli: noi, soli a fronteggiare l’emergenza sociale

Parla il capo della Polizia: svolgiamo un ruolo di supplenza della politica in condizioni difficili. «A Roma nessun infiltrato, solo personale in borghese»

 

CLAUDIA FUSANI

 

Tensioni sociali «in forte crescita in tutto il paese» provocate da una grave crisi economica e «dall’instabilità anche del quadro politico»: tutto questo «costringe la forze dell’ordine ad un’attività di supplenza sempre più complessa e delicata». Un «superlavoro» richiesto a chi, tra l’altro, vede stipendi sempre più ridotti. Il Capo della Polizia Antonio Manganelli cerca di ragionare, il giorno dopo il martedì nero di Roma messa a ferro e fuoco, sulla situazione generale.

Un’analisi che parte dalla manifestazione degli studenti. Ma poi comprende Terzigno con le cariche per i rifiuti e Brescia con quelle sotto le gru dove si erano rifugiati gli extracomunitari senza permesso di soggiorno.

Il giorno dopo al Viminale si mettono insieme i fotogrammi di una giornata durissima ancora da decifrare. Il bilancio del 14 dicembre romano è pesante, le foto delle devastazioni e del finanziere con l’arma in pugno hanno fatto il giro del mondo. Roma come Mosca, Madrid, Atene. Il bollettino della Digos della questura di Roma è abbastanza eloquente: 23 persone arrestate, 5 denunciate, 124 feriti tra le forze dell’ordine. È andata male ma poteva andare sicuramente peggio. Manganelli elogia il questore Francesco Tagliente e il prefetto Giuseppe Pecoraro, il vertice della gestione dell’ordine pubblico, e tutto il personale in servizio «capace di sostenere una situazione estrema con grande sangue freddo».

Che martedì sarebbe stata «una giornata ad altissimo rischio» lo dicevano i report delle Digos delle varie città e lo confermavano le segnalazioni di intelligence. Il mandato del Viminale era chiaro: garantire il diritto di manifestare e tutelare i luoghi istituzionali delle democrazia. I tentativi di assalto a Montecitorio, promessi e trascritti sui manifesti, non sarebbero stati tollerati. E così è stato. Lontano da quei luoghi, da palazzo Chigi, da Montecitorio, da palazzo Madama, al di là di una cintura di mezzi blindati posizionati lungo il perimetro ampio di una gigantesca zona rossa, è successo di tutto.

«Volevano sfondare e sfasciare, abbiamo visto momenti di violenza inaudita e gratuita. Autentica rabbia», dice Manganelli mentre scoppia la polemica sugli infiltrati, agenti provocatori mimetizzati nel corteo in attesa del momento opportuno, il più utile, per scatenare la guerra.

La parola infiltrati non è ricevibile dal Capo della Polizia che boccia ogni ipotesi di questo tipo. C’era, semmai, «personale in borghese lungo il corteo» per monitorare la piazza. «La foto del finanziere che sta stringendo la pistola - precisa il prefetto - è il fotogramma di una lunga e drammatica sequenza che purtroppo abbiamo visto in diretta e con l’audio acceso qui in ufficio sui video al plasma che rinviavano le immagini dai punti più critici della città. Quel finanziere era stato aggredito da un gruppo di manifestanti che gli avevano strappato manette, casco, giubbotto, manganello. Lui temeva che potessero prendere l’arma. Ecco perché l’ha impugnata, per difenderla». Intorno a lui, a proteggerlo, colleghi in borghese, a loro volta con felpe, cappucci, anche caschi, magari di altri corpi di polizia.



Chi ha incendiato la piazza? C’è stata una regia? Da dove sono saltati fuori i black bloc? Le domande del giorno dopo. I filmati ricostruiranno la dinamica dei fatti. «Anarchici, studenti, molti arrivati da fuori, dalla città del nord, più o meno organizzati. Dobbiamo ancora capire quali effettivamente erano le categorie in piazza. C’erano decine di migliaia di persone, molti volevano assaltare Montecitorio e noi dovevamo impediarlo. C’è stato un collegamento temporale evidente tra il voto di fiducia e l’inizio dei disordini.Tutto era già programmato». Ci si chiede perché non sia stato possibilefermare prima gli assaltatori. Ma non erano un gruppo individuato e individuabile,«all’improvviso nel corteo sisono staccati gruppetti di 50-100 persone, si sono travisate ...». Ed è cominciata la guerra.

Ma non finisce qua. Il problema è la rabbia sociale che c’è in giro. Giovani e meno giovani che poco o nulla hanno a che vedere con la politica e le ideologie e che sono gonfi di rabbia, disposti a tutto. «Rifiuti, Fiat, aziende che chiudono, tanti sono i focolai di tensione. Perché i rifiuti di Napoli devono diventare un problema di polizia? Semmai è di pulizia», ragiona il prefetto. «Madrid, Londra, Atene, le grandi capitali s’incendiano. È chiaro che c’è un problema che va al di là del quadro politico italiano. Ma è altrettanto chiaro che tensioni ed instabilità

politica ed economica costringono le forze dell’ordine a svolgere una sempre più difficile attività di supplenza. Un superlavoro richiesto a chi, tra l’altro, è pagato sempre meno». Tra i tanti cortocircuiti a cui assistiamo c’è anche quello di vedere il giorno prima - è successo lunedì - i poliziotti protestare contro il governo per gli stipendi tagliati. Erano gli stessi che il giorno dopo, martedì, difendevano quegli stessi palazzi da chi, come loro, chiede ascolto e diritti.

(16 dicembre 2010)




 



http://it.peacereporter.net/articolo/25844/Cattivi+pensieri



 

Cattivi pensieri



Il presidente della commissione Difesa: "Perché a Roma il finanziere con la pistola non ha sparato?" Un carabiniere: "Parole infelici e preoccupanti. Non serve usare le armi, ma una gestione più professionale dell'ordine pubblico"



Perché il finanziere aggredito durante gli scontri di Roma, quello fotografato con la pistola in mano, non ha sparato ai manifestanti? È l'inquietante domanda che il presidente della commissione Difesa della Camera dei Deputati, Edmondo Cirielli, ha posto in un interrogazione al ministro dell'Interno. Una provocazione che ha destato allarme negli stessi ambienti delle forze dell'ordine.

PeaceReporter ha raccolto le inquietudini di un carabiniere in servizio, che per ovvi motivi ha chiesto di rimanere anonimo.

 

Quelle di Cirielli sono dichiarazioni infelici - afferma il carabiniere - tanto più perché fatte nella veste di presidente della commissione Difesa. Invocare l'uso delle armi da parte delle forze dell'ordine è preoccupante perché getta benzina sul fuoco, perché affronta in maniera sbagliata il problema e, non ultimo, perché lo fa un ufficiale dei carabinieri che, finito il suo mandato parlamentare, potrebbe tornare in servizio e combinare guai seri.

Nella sua interrogazione, il presidente della commissione Difesa invita il governo a ''meglio disciplinare'' l'uso delle armi da fuoco da parte delle forze dell'ordine per consentirne un uso più disinvolto. Cosa ne pensa?

La legge è chiara nello stabilire che le forze dell'ordine possono usare le armi da fuoco per legittima difesa solo in presenza di un’offesa di almeno pari entità, quindi si presume che un agente tiri fuori l'arma quando si trova davanti gente armata allo stesso modo. L'uso di armi è consentito in circostanze estremamente gravi, ma qui si entra nel campo dell'interpretazione. Un'efficace gestione dell'ordine pubblico non dipende dall'uso delle armi, ma dall'adeguatezza numerica e professionale del personale.



A Roma non è stato solo il finanziere aggredito a tirare fuori la pistola: anche suoi colleghi carabinieri hanno estratto l'arma, come dimostra la foto pubblicata giovedì sulla prima pagina del Manifesto.

Quel finanziere e quei carabinieri sono stati lasciati soli. Come dicevo, se gli agenti messi in campo sono pochi e male addestrati, succede quello che non dovrebbe succedere, perché si creano facilmente situazioni in cui alcuni uomini rimangono isolati, cosa che non dovrebbe mai accadere, finendo in condizioni personali di pericolo che possono far perdere la testa. La questione non è se permettere o no un uso più disinvolto delle armi da fuoco: la questione è evitare di finire in situazioni pericolose, e ciò è possibile solo se gli uomini in campo sono in numero sufficiente, operano in maniera professionale e ben coordinata, con un buon supporto di intelligence, in maniera che la situazione sia sempre sotto controllo e nulla sia lasciato al caso.

Si profilano all'orizzonte nuove proteste contro la riforma Gelmini e, vista la situazione politica ed economica che stiamo attraversando, è facile prevedere un periodo molto 'caldo'. Pensa che la provocazione di Cirielli possa incidere negativamente su un'equilibrata gestione dell'ordine pubblico?

Confido nella tradizionale moderazione delle forze dell'ordine italiane, che solo in pochi e ben noti casi hanno perso la testa per i motivi a cui ho accennato prima. La provocatoria iniziativa del presidente della commissione Difesa non avrà ripercussioni se, come mi auguro, il ministro Maroni ignorerà le parole di Cirielli e se altrettanto faranno i mass media, soprattutto la televisione. Spero che questa interrogazione finisca dimenticata in un cassetto. Io la ricorderò con amarezza.

Enrico Piovesana

(17 dicembre 2010)

 

http://it.peacereporter.net/articolo/25850/Le+amnesie+di+Alemanno:+tre+arresti+e+tre+assoluzioni.+Ma+oggi++contro+le+scarcerazioni+altrui

 




Le amnesie di Alemanno: tre arresti e tre assoluzioni. Ma oggi è contro le scarcerazioni altrui



Un agguato contro un 23enne, una molotov contro l'ambasciata Urss, un tentativo di bloccare il corteo di Bush padre a Roma. Tre volte accusato, con 8 mesi di carcere. Poi sempre assolto

"Sono costretto a protestare a nome della città contro le decisioni assunte dalla sezioni II e V del tribunale di rimettere in libertà in attesa di giudizio quasi tutti imputati degli incidenti del giorno 14". Gianni Alemanno, sindaco di Roma, se la prende con i magistrati.

Il sindaco di Roma, da tempo in giacca e cravatta e modi urbani, è lontano anni luce dalla sua turbolenta 'giovinezza', celtica al collo a parte (ma quello è un ricordo affettivo e personale). Il fatto che stupisce è come Alemanno, che conta all'attivo tre arresti, otto mesi di carcere e proscioglimenti in tutti i tre i casi, non riesca a capacitarsi delle decisioni motivate dei giudici.

"C'è una profonda sensazione di ingiustizia - insiste Alemanno - perché i danni provocati richiedono ben altra fermezza nel giudizio della magistratura sui presunti responsabili di questi reati. Non è minimizzando la gravità di certi fatti che si dà il giusto segnale per contrastare il diffondersi della violenza politica nella nostra città".

L'arringa accusatoria viene da chi ha vissuto da protagonista ben altre stagioni della violenza politica. I casi in cui è rimasto impigliato l'attuale sindaco sono tre:



Novembre 1981 per aggressione di uno studente di 23 anni. (Ansa, 20/11/1981)

Nel 1982 viene fermato per aver lanciato una molotov contro l’ambasciata dell’Unione Sovietica a Roma, scontando poi 8 mesi di carcere a Rebibbia. (Ansa, 15/05/1988)

Il 29 maggio 1989 viene arrestato a Nettuno per resistenza aggravata a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, tentato blocco di corteo ufficiale, lesione ai danni di due poliziotti, in occasione della visita del Presidente Usa George H. W. Bush (Ansa 29 e 30/05/1989).

In tutti e tre i casi l'Alemanno - direbbe il linguaggio da questura - ne riesce a uscire pulito dal punto di vista giudiziario. Ma i ricordi delle 'ingiustizie' subite, evidentemente, non giovano alle dichiarazioni ufficiali. "E' evidente che queste persone hanno dimostrato di essere soggetti molto pericolosi per la nostra città", ha detto ancora.

Chissà che fra i ragazzi scarcerati non si celi un prossimo ministro o sindaco dell'Urbe.

Angelo Miotto

(17 dicembre 2010)



Prime pagine de: il manifesto del 15 dicembre, il manifesto del 17 dicembre, Liberazione del 17 dicembre, il manifesto del 16 dicembre, il manifesto del 18 dicembre, l'Unità del 18 dicembre.

 

 


mercoledì 15 dicembre 2010

Gocce di memoria




PD: Calearo capolista in Veneto

18:09 dom 02 marzo 2008

(ANSA) - PRATO, 2 MAR - Massimo Calearo, presidente di Federmeccanica, sara' capolista del Pd in Veneto. Lo ha annunciato Walter Veltroni durante un comizio a Prato. Veltroni ha definito Calearo 'un grande industriale veneto', che incarna quello che e' il progetto del Pd, e cioe' 'un patto fra produttori e lavoratori' per la crescita del Paese. 'Sento che la Sinistra Radicale parla di lotta di classe contro i padroni. Noi abbiamo un'idea diversa'.



Si è vista ieri la meravigliosa idea diversa. Per esempio.

sabato 11 dicembre 2010

La casetta in proprietà



Ho iniziato a giocare a puzzle poco più di un anno fa. L’ultima tesserina è stata inserita all'inizio di dicembre. Il quadro completato produce adesso un bell’effetto, soprattutto mentale. Perché poi ci vivo dentro.

Il primo tassello: l’ingresso nell’ufficio del direttore di una filiale bancaria. Era la fine di ottobre del 2009. La stretta di mano al notaio, già ingrassato da una corposa parcella, il pezzetto conclusivo. In mezzo mesi di altalenanti sentimenti, periodi di angosciante attesa e logoramento nello spirito talora acceso da confortanti speranze, talaltra estinto da scoramenti profondi quanto inattesi.

Un’immagine che rende l’idea è rappresentata dall’altimetria del percorso di una gara ciclistica, una tappa alpina per intenderci, con pochi tratti pianeggianti e scorrevoli che si alternano a scalate progressivamente più ardite. Il rischio di precipitare sempre elevato, senza sapere se le successive vette saranno più ripide.


Perché poi non si è trattato solo di un rapporto con interlocutori diversi, ma vissuto con la pressione esercitata dai parenti, tenue nei primi mesi (dopo un lutto recente che aveva frantumato la proprietà dell’immobile in cui abito) e progressivamente sempre più marcata. Incontri di famiglia, per i necessari aggiornamenti, vissuti come un redde rationem, sfociati all’inizio dell’estate in un ultimatum che mi ha causato un drammatico stato di prostrazione.

Da una parte non volevo spezzare i rapporti familiari, introducendo figure terze (avvocati) e luoghi (tribunali) che avrebbero sancito la separazione definitiva, dall’altra mi trovavo costretto a soddisfare richieste impegnative che non potevo onorare con le mie risorse. E spazio per trattative non esisteva. L’alternativa, cedere la quota, vendere tutto e trasferirmi, considerata anche la modestia della stessa quota, irrealizzabile nell’attuale contesto economico.

Ricordo serate trascorse, nella fase più delicata, a navigare tra un sito e l’altro di agenzie immobiliari ricevendone un disagio che attentava alla mia integrità mentale. Eppure la stavo vivendo quella realtà, non apparteneva ad un altro, non si trattava di elaborazioni teoriche, di prospettive futuribili, mentre il calendario incalzava con le date e le scadenze.

I fine settimana, soprattutto, tanti fine settimana, li ho vissuti con l’apprensione per una telefonata, per una convocazione, per un contatto diretto a cui non ero in grado di rispondere come si pretendeva. Potevo solo chiedere tempo, che stava finendo, assieme alla pazienza.

Brutta cosa i parenti, soprattutto quelli acquisiti, che diventano serpenti quando possono mordere ed iniettare il loro veleno, quello che magari hanno accumulato in passato, facendone provvista, nella prospettiva di diventare esiziale.

Altrettanto brutali si rivelavano i rientri dalle vacanze estive o di fine anno, quando era un sms a far vibrare il cellulare e bastavano un nome, una semplice domanda a disperdere quel patrimonio di benessere che si era creato, seppur fatuo, seppur friabile ed illusorio.

Non so come sia riuscito, in questo arco di tempo a gestire sia questa pesantissima situazione che erodeva energie, sia il lavoro che è cresciuto, assieme al carico di responsabilità. Con la paradossale situazione che dovevo preoccuparmi per scadenze altrui, per documentazioni da consegnare e relazioni da stendere, mentre erano immanenti le mie di scadenze, le mie di documentazioni, le mie di contabilità da fare e rifare, perché poi i conti dovevano tornare, anche se nel loro linguaggio più crudo. Quei numeri non si prestavano ad alcuna interpretazione: erano lì, nudi, davanti a me. Ad agitarsi come spettri, per abitare serate da incubo.

Ho cercato di distrarmi, di dedicarmi ad altro, ma mentre il tempo trascorreva, mi sono reso conto di esserci riuscito poco. Il blog, per esempio, ha patito questo disagio, sia per le pause più o meno lunghe che si sono susseguite, sia per mancati aggiornamenti e, soprattutto, mancate risposte. Perché poi integrare i commenti altrui significava anche trasferirsi nei vari blog, intervenire, se necessario manifestare disaccordo, discutere comunque e mi accorgevo della mia fragilità di fronte a questo, della dimessa reattività, nonchè residua capacità di analisi.

Frank57 appariva isolato.

Ne hanno risentito, di conseguenza, anche i rapporti con le persone stesse. Sono in contatto
privato (preferisco non adoperare il verbo al passato) con alcune e alcuni blogger, ormai da tempo associati al rispettivo nickname. Un rapporto personale ricco e arricchente. Qui ho ceduto, rarefacendo le mail. E anche altre amiche e amici, al di fuori della blogosfera, hanno dovuto subire analogo trattamento. Che non era disinteresse, ma incapacità di rapportarsi, di esprimere il meglio, oppure se stessi, senza che poi dovesse trapelare inevitabilmente il malessere. Perché poi, quando le amicizie sono consolidate da anni, è questo l’approdo naturale: quello delle confidenze o degli sfoghi.

Non ero in grado di sostenere né le une né gli altri.

Adesso il compito più impegnativo, ma a cui mi dedicherò appassionatamente, sarà il recupero delle persone. La moltiplicazione delle mail inviate, perché la cartella è ridotta ai minimi termini. Sono altrettanto consapevole che non tutti i riagganci saranno premiati, che riaprire dialoghi richiederà anche fortuna, ma ci butterò dentro anche la costanza e la pazienza che sono state mie compagne in questo periodo.

La fortuna, soprattutto, che si manifesta nell’amico al quale ti aggrappi e che c’è proprio quando ne hai bisogno. Una parola giusta, un’idea, una consolazione, proprio nell’attimo necessario, cambiano la prospettiva, l’inquadratura della scena. Infondono speranza. E non pensi sia illusione. E, anche se lo fosse, la mantieni viva questa illusione, perché non deve evaporare.

La fortuna è anche conoscere la persona giusta che t’introduce al percorso ad ostacoli, tenendoti per mano e accompagnandoti nei vari passaggi. Rassicura, minimizza, conforta. È presente, talvolta proprio in coincidenze favorevoli ed inaspettate.

Ho poi imparato che, pur avendo cercato informazioni su mutui e procedure, la prassi definisce altri e diversi profili, in genere peggiorativi e perciò si cerca di limitare i danni. Però essere informati serve, perché solo grazie ad un’utile pubblicazione di qualche anno fa, ho appreso – per esempio - dell’esistenza di una particolare clausola, prezzo-valore, che mi ha permesso di ottenere una significativa riduzione nella parcella notarile.

C’è poi una giornata che mi è rimasta impressa, dove non è accaduto qualcosa di efficacemente concreto, ma una sensazione ben precisa percepita, vale a dire che la direzione era ormai quella giusta.

Giovedì 24 giugno, ore 16.00: il giorno di Slovacchia-Italia, gara decisiva del primo turno del Mondiale di calcio in Sudafrica. In quel pomeriggio, mentre la partita stava per cominciare, in una città deserta e sotto il caldo torrido, percorrevo a piedi il tratto di strada per arrivare in banca, dove ero stato convocato dalla funzionaria per comunicazioni che mi riguardavano.

Avevo naturalmente archiviato l’idea di assistere all’incontro e invece si trattava solo di alcuni documenti da firmare, mentre venivo aggiornato sulla situazione della pratica di mutuo che, a suo giudizio, si stava evolvendo positivamente. Un barlume di speranza.

Il primo tempo era già iniziato, la città deserta non restituiva alcuna eco, rientravo nell’intervallo e mi trovavo ad assistere, in una nuova dimensione alla gara, accaldato, quasi stordito, eppure alleggerito e disincantato di fronte a quella che era una delle prestazioni più avvilenti della Nazionale. L’eliminazione dal torneo, il conseguente dibattito, le inevitabili polemiche vissute da estraneo e, comunque, prive di quell’angoscia che invece nel passato avevo vissuto.

La sensazione di raggiungere il mio traguardo, anche se l’avrei tagliato sei mesi più tardi, era talmente palpabile che stappavo un’indispensabile birra per bere alla mia salute.