domenica 29 novembre 2009

E venne un uomo come un “Rombo di Tuono”















Era un Paese in pieno “autunno caldo” quello che, il 22 novembre 1969 si diede appuntamento alle 14:30, davanti al video o allo stadio (Napoli, San Paolo), per incitare la Nazionale italiana contro la Germania Est, nella partita determinante per la qualificazione al Mondiale in Messico dell’anno dopo. Una pausa per rifiatare. Un’indispensabile distrazione a tre giorni dalla morte dell’agente di polizia Annarumma a Milano, durante violenti scontri con gli studenti, nel giorno dello sciopero generale.


Non c’era solo lo sbarco sulla Luna a catturare le attenzioni, ma un profondo malessere sociale percorreva l’Italia da nord a sud. Il 25 aprile una bomba era esplosa nello stand della Fiat, alla Fiera di Milano, provocando sei feriti. Un altro ordigno inesploso era stato ritrovato alla stazione Centrale. Iniziava la strategia della tensione, ad opera dei fascisti di Ordine Nuovo.


Alcuni mesi dopo, l’8 e il 9 agosto, altre otto bombe, collocate su diversi treni, deflagrarono provocando 12 feriti. Altre due, inesplose, vennero ritrovate nelle stazioni di Milano Centrale e di Venezia Santa Lucia. Annunci di strage nell’aria. E di morti.


Da settembre fino a dicembre imponenti cortei di lavoratori invasero le piazze per pretendere maggiori tutele. L’otto dicembre venne firmato il contratto nazionale dei metalmeccanici che fissò in 40 ore la settimana lavorativa e riconobbe i Consigli di fabbrica.


Il peggio stava per arrivare a Piazza Fontana, ma per un pomeriggio la tensione cedette volentieri lo spazio alla passione e l’Italia si ritrovò ancora una volta unita dal pallone, quando il calcio era ancora un gioco e cioè una cosa seria.


Dopo 40 anni resta vivo non soltanto il ricordo di quella partita, ma di un raggio di luce che la illuminò, di un “Rombo di Tuono” che la scosse al punto tale che quell’eco riecheggia ancora oggi. Per mia fortuna fui testimone di quella gara e di un gol incancellabile nella memoria.


La prodezza l’avete vista, sotto il bell’articolo rievocativo che “la Repubblica” ha dedicato al protagonista assoluto: Gigi Riva.


 



Qualificazioni Mondiali - Gruppo 3, Girone eliminatorio, 4ª partita

Napoli, sabato 22 novembre 1969 ore 14.30


ITALIA-GERMANIA EST 3-0


MARCATORI: Mazzola A. 7’, Domenghini 25’, Riva 36’


ITALIA: Zoff, Burgnich, Facchetti, Cera (Juliano 50’), Puia, Salvadore, Chiarugi, Mazzola A., Domenghini, De Sisti, Riva

Allenatore: Valcareggi Ferruccio


GERMANIA EST: Croy, Fraessdorf (Rock 69’), Urbanczyk, Seehaus, Bransch, Körner, Stein, Löwe (Ducke P. 46’), Frenzel, Irmscher, Vogel

Allenatore: Seeger


ARBITRO: Schiller (Austria)


RIGORI FALLITI: Riva 80’ (Italia)



 


 Quel tuffo di Riva che svegliò l' Italia. Volai per un gol


OTTAVIO RAGONE


 


NAPOLI - Quel gol che portò l'Italia in Messico fu il balzo di un puma con le sembianze di un uomo. «Ricordo quella rete, l' emozione nel cuore, il boato della folla, una gioia indescrivibile, cose che neanche se uno si ammalasse di Alzheimer potrebbe dimenticare...».


Stadio San Paolo di Napoli, 22 novembre 1969, Italia contro Germania Est. Quarant' anni fa, domani. La partita decisiva per andare ai Mondiali e affrontare il Brasile di Pelè. Gigi Riva raccoglie i ricordi con quel suo tono secco, senza fronzoli. «Segnai il gol del 30. Domenghini stava lavorando un pallone sulla fascia destra alla sua maniera, e correva. Io aspettavo il momento migliore per inserirmi in area. Vidi arrivare una palla tesa, forte, non mi restava che buttarmi con il corpo in avanti. Pensai: dai Gigi, devi guadagnare mezzo secondo di tempo, altrimenti non ce la fai. Mi inarcai, tuffandomi. Schiacciai il pallone di potenza con la testa, verso la porta. Poi sentii un boato spaventoso al San Paolo, una gioia incontenibile...». «Rete, rete, rete», urlava Nando Martellini ai microfoni della telecronaca.


«Ci giocavamo la qualificazione - racconta Riva - dovevamo assolutamente vincere. La Germania Est era una buona squadra. Sentivo molto la responsabilità, partecipai a tutti e tre i gol, anche se sbagliai un rigore. Il primo nacque da una conclusione mia, respinta, che poi Mazzola mise in porta. Il secondo venne da un mio assist per Domenghini. E l'ultimo...». L'ultimo fu un lampo. La prodezza di uno che non tirava mai indietro la gamba, anche a costo di rompersela. Poco italiano, nel senso che assumeva tutti i rischi del mestiere su di sé. Quello che rifiutò l' offerta di Gianni Agnelli e la Juventus. «Sì, certo, dissi no ad Agnelli. Cos'altro avrei potuto fare?», si chiede oggi Riva. «La Sardegna mi diede una casa, un affetto immenso. I soldi, certo, anche quelli. Ma l' umanità della gente, l' amore, non avevano prezzo. Che belli, quegli anni. E quel 1969. Forse il momento migliore per me, ero in una condizione splendida. E quello stadio, e Napoli che esplodeva...».


San Paolo di Fuorigrotta, ottantamila sguardi sulla Nazionale. E quel gol. Parte il cross di Domenghini. Riva è già in area, ma all'inizio non si vede. Le telecamere ritagliano un fazzoletto verde di erba e basta. Poi in basso nei teleschermi, del tutto imprevisto, si vede spuntare un missile umano. Si impone al raggio ottico della telecamera, volando, ventre a terra. Non s'è mai visto un numero 11 sospeso nell'aria, eppure al San Paolo accade. Riva si spinge con la testa lì dove ogni altro calciatore sarebbe giunto in scivolata. Un tuffo lungo interminabili istanti di adrenalina pura. «Mi dicevo: guadagna tempo, Gigi, guadagna quel mezzo secondo in più, ecco, colpisci ora...».


In quella stessa giornata, in altre parti della città non contagiate dall'urlo dello stadio, un italo-canadese spaccia dollari falsi e viene ammanettato in un bar del centro, un manovale di venti anni muore tamponato da un' auto a Brusciano, alla periferia di Napoli un uomo viene ferito con due pistolettate, e intanto Gigi vola, e diavolo di una città, si ripetono sempre le stesse cose e non sono quasi mai belle cose. Però almeno quell'Italia lì sembrava più unita, meno egoista, si ritrovava nel calcio, anche se il boom economico era finito da un pezzo e in quei giorni di novembre l'agente Antonio Annarumma veniva ucciso a 22 anni a Milano nei disordini in piazza tra dimostranti e forze di polizia.


«Era un'altra epoca, un calcio diverso, anche una società diversa» ricorda Riva. «Resistevano valori umani che non ci sono più. Tra noi eravamo davvero amici. Gli ambienti intorno al pallone sono cambiati. Oggi si gioca una partita quasi ogni giorno, per mascherare i problemi dell' Italia. I calciatori vivono tra gossip e veline. Anche noi andavamo con le veline, cosa credono? Ma non cercavamo le prime pagine, non portavamo le ragazze sulla spiaggia giusta per farci fotografare. Ed eravamo pure più concreti». Nel bene e nel male quel paese ha contorni netti, proprio come Riva al San Paolo mentre spicca il balzo verso la porta. Ha grinta, una voglia epica di vincere, e intanto guadagna altri centimetri di volo. Ecco, finalmente colpisce la palla di testa. Trafigge il portiere Groy, è una rete fenomenale e tutto lo stadio si alza in piedi e sembra un intero paese compatto e fuso in un comune sentire. «Fu meraviglioso, un intero stadio per noi. Napoli mi ha sempre regalato gioie forti, il calore della simpatia». Correva come un puledro senza briglie nel grido degli ottantamila: gol, gol, gol.


(21 novembre 2009)  


 


 

domenica 22 novembre 2009

La pestilenza italiana

(Eravamo scarsi a immondizia)










Ripesco due strepitose interviste  che risalgono alla prima decade di ottobre. Entrambe pubblicate su “l’Unità”, hanno per comun denominatore quella pestilenza nazionale che è il papi.


Gli interlocutori di Oreste Pivetta, sono di assoluto prestigio: un premio Nobel come José Saramago (1922) e il grande e illustre vecchio del giornalismo italiano, vale a dire Giorgio Bocca (1920). La data di nascita, posta accanto a entrambi i nomi, non è un vezzo, bensì la sottolineatura della lucidità assoluta del loro pensiero, unita alla speranza che ancora lunga sia la loro vita, perché è forte la consapevolezza che abbiano ancora da darci molto. Come potenti fasci di luce che spezzano l’oscurità intellettuale che stiamo vivendo, nonché la decadenza morale che sembra essere ormai diventata il tratto distintivo di quest'ultimo ventennio.


Personalmente sono meno ottimista di Giorgio Bocca (il che è tutto dire) e condivido totalmente l’analisi tracciata da Saramago.


Tutto questo al termine di una domenica ricca di stimoli: dalle dichiarazioni di Armando Spataro nella trasmissione “In mezz’ora”, al racconto della mitologia greca di Roberto Calasso a “ Che tempo che fa”, dove è tornata finalmente a graffiare la Littizzetto che sembrava imborghesita. Ma di Coccaglio, della porcata che si chiama impunità per il sultano avrò modo di scrivere in seguito, se sarà possibile.


Nota a margine: la piattaforma che ospita questo blog mi impedisce, per imperscrutabili motivi, di aggiungere commenti, perciò è un miracolo riuscire ad editare questo post.


 


 


Conversando con… José Saramago


Poeta e scrittore, premio Nobel per la letteratura nel 1998.


 


«Berlusconi è un bubbone ed è la malattia del Paese. La sinistra? Non ha idee»


ORESTE PIVETTA


 


Alto, magro, sottile nell’abito grigio, la giacca abbottonata, la cravatta rossa, ecco Saramago che mi cammina incontro lungo il corridoio di un albergo torinese, che mi porge la mano, che mi

dice cose terribili con la calma del saggio, la puntualità di chi misura le parole, di chi le parole usa da una vita e che delle parole ha fatto la sua ragione di vita. Siamo nel campo delle «interviste impossibili
»: come si fa a restituire il tono di fondo e il contorno di quelle parole, di parole come Obama, pace, sinistra, comunista e, naturalmente, Berlusconi e persino D’Addario.


Josè Saramago è a Torino. Ieri sera ha festeggiato il suo nuovo libro al Circolo dei lettori, oggi avrà altri appuntamenti a Palazzo Nuovo, l’università, lunedì sarà a Milano al Teatro Franco Parenti, mercoledì a Roma al Quirino. Il libro in questione è «Il Quaderno», pubblicato da Bollati Boringhieri dopo che la Einaudi l’aveva respinto. È la raccolta di quanto comparso nel giro

di un anno e mezzo, tra il 2008 e il 2009, nel blog di Saramago, un articolo, un

pensiero, una breve nota di carattere politico o un ricordo letterario: dalla sua Lisbona

alla poesia di Machado, da Ratzinger a Gaza. Einaudi lo bocciò per quel ritrattino impietoso di Silvio Berlusconi e del popolo italiano, che sta alle prime pagine: «Nel paese della mafia e della camorra, che importanza potrà mai avere il fatto provato che il primo ministro sia un delinquente?
»

Però vorrei cominciare dalla notizia del giorno: il Nobel per la pace a Obama. Lei ha dedicato molte pagine del suo blog al nuovo presidente degli Stati Uniti, dopo essersi dedicato con feroce lucidità al predecessore, George Bush, «bugiardo compulsivo
», «bugiardo emerito», un cow boy che credeva d’aver ereditato il mondo e lo aveva confuso con una mandria di buoi.


Adesso c’è Obama, quasi una rivoluzione, certo una speranza. Che cosa pensa di questo premio?


«Mi rallegra moltissimo. Attendo il suo discorso con curiosità. Qualcuno in giro dirà che è prematuro, che in fondo non si sono ancora visti i risultati di un’eventuale politica di pace di Obama. Io penso prima di tutto che si tratti di un buon investimento: la dimostrazione che vale per il mondo intero di quanto abbiamo bisogno di un uomo come Obama. Almeno dei pensieri, degli intendimenti che finora ha espresso. Bene. Certo che il presidente degli Stati Uniti si ritrova sulle spalle una responsabilità enorme. Come ho scritto, un uomo che ci sorprende in questo mondo cinico, senza speranza, terribile, che ci sorprende perché ha voluto alzare la voce per parlare di valori, di responsabilità personale e collettiva di rispetto per il lavoro e anche per la memoria di chi ci ha preceduto...».


Ma lei sapeva che anni fa un parlamentare italiano lanciò l’idea di una petizione popolare perché il premio Nobel per la pace venisse assegnato a Berlusconi?


«No, questo mi è sfuggito. E che cosa avrebbe mai fatto Berlusconi per la pace? Non so. Ho solo visto invece come ha ridotto il suo paese, ho potuto apprezzare la decadenza morale e culturale di un paese che amo molto...».


Berlusconi dirà che lei è un vecchio comunista. Non si senta solo... Però, di fronte alle sue analisi perfette (anche quelle che toccano la sinistra, il partito democratico, Veltroni) mi chiedo come faccia lei da Lisbona o da Lanzarote a vedere tutto, ad analizzare tutto con tanta precisione?

«Non mi è stato difficile, perché, ripeto, ho sempre amato l’Italia. In realtà quando sulla scena è comparso Berlusconi me ne sono allontanato. Dopo, ad ascoltare quanto accadeva, mi sono sentito addosso il dovere morale di dire quanto pensavo. Anche adesso: che Berlusconi è un bubbone ed è la malattia del paese, anche se ha riscosso molte simpatie, se è vero che per tre volte gli italiani lo hanno eletto. Un uomo senza morale, capace di tutto…
»


Sa anche delle escort?


«Sì e mi hanno molto colpito le sue proteste quando la signorina D’Addario è comparsa in televisione…»


Beh,si potrebbe dire che Palazzo Grazioli non è Palazzo Chigi. Palazzo Grazioli è “roba” di Berlusconi.


«Certo, ma lui ne ha fatto il luogo privilegiato di esercizio del suo potere, in modo aperto, chiaro, incontrando lì gli stessi uomini del governo italiano».


Lei non è tenero neppure con la sinistra, tantomeno con quella italiana. Ha scritto che il Partito democratico è cominciato come una caricatura di partito ed è diventato il convitato di pietra sulla scena politica. Ha scritto che Veltroni ha suscitato tante speranze defraudate dalla sua indefinitezza ideologica e dalla fragilità del suo carattere. È sempre di questa convinzione?


«Tempo fa durante una conferenza a Buenos Aires dissi che la sinistra (e mi riferivo alla sinistra dei paesi che conosco) non ha la più schifosa idea del mondo in cui vive. Della realtà che ci sta attorno. Francamente temevo reazioni durissime, parole forti contro di me, rivendicazioni di orizzonti, di progetti, di battaglie. E invece mi sono ritrovato immerso nel silenzio. Nulla. È la dimostrazione che la sinistra non ha idee. Si può dire che la sinistra moderata abbia ad esempio espresso qualcosa di sinistra di fronte alla crisi economica e finanziaria di questi tempi? Avete assistito a qualche reazione ispirata da una cultura di sinistra? E la sinistra comunista che fa? Aspetta di dar l’assalto a un altro Palazzo d’inverno».


Abbia pazienza: ci siamo tutti arresi al mercato e alla sue regole...


«Ho scritto anche e ne sono convinto che Marx non aveva mai avuto tanta ragione come oggi».

Mi ha colpito un capitoletto del suo blog, dove cita alcune parole cardine e cioè bontà, giustizia, carità. Per un comunista come lei e come noi non dovrebbe contare in primo luogo l’eguaglianza?

«Le ho pure collocate in ordine di importanza quelle parole: prima la bontà che dovrebbe implicare la giustizia, all’ultimo posto la carità che ha sempre qualcosa di compassionevole e soprattutto consente a chi la fa di godere di uno stato di superiorità. Di fronte alle mistificazioni del nostro tempo retrocederei la bontà (quanti fanno del male, assumendo le sembianze dei buoni) e farei avanzare la giustizia, introdurrei la parola libertà e cancellerei carità».


Eguaglianza niente?


«È un concetto molto complesso. Anche con la Rivoluzione francese arrivò per ultimo. L’eguaglianza è impossibile. Se la giustizia funziona ci si avvicina».


Abbiamo parlato dell’Italia. Lei segue la produzione letteraria italiana?


«Ci sono tanti bravi scrittori. Non parlo soltanto dei classici. Penso ai miei contemporanei, da Eco a Tabucchi a Camilleri. Sono scrittori che in Italia però mi sembra non abbiano eco. Non è un gioco di parole... Scrivono, dicono, fanno, ma nessuno li ascolta. Cioè non hanno alcuna influenza sulla società, sulla cultura e sul costume degli italiani, tantomeno sulla politica. Sono molto più apprezzati all’estero. Ho scritto di etica verdiana, riferendomi appunto alla straordinaria popolarità di quel grande compositore. Ma scrivere sui muri, come si faceva allora, “Viva Verdi” aveva un significato politico chiaro: Viva Vittorio Emanuele re d’Italia eccetera eccetera. Ora non c’è parola che scuota una società apatica, che non ha evidentemente coscienza del fatto che la democrazia non è una conquista garantita per l’eternità. Basta poco a perderla».


Lei è un grande scrittore, considerato tra i più grandi del secolo passato e di questo. Dia qualche consiglio ai giovani: come si fa a diventare bravi quanto lei?


«Non mi sogno proprio di dare consigli. Mi permetto solo di ammonire così: non avere fretta, non perdere tempo. La fretta è un difetto giovanile: si vuole arrivare presto ai risultati, al successo. Non perdere tempo, perché ogni momento è prezioso per studiare, imparare, conoscere,sperimentare».

Scusi, vorrei chiudere con una citazione, tanto per risollevare il morale della sinistra...

«Abbiamo ragione, la ragione che assiste chi propone di costruire un mondo migliore prima che sia troppo tardi…».


(10 ottobre 2009)







Primo Piano


La legge è uguale per tutti


Intervista a Giorgio Bocca


«Ci siamo liberati del fascismo, ci salveremo anche dal berlusconismo»


La reazione del premier? «Un padre padrone che disprezza le istituzioni e distrugge la democrazia ma quello che allarma è il male profondo di un paese così privo di dignità da accettare la guida di un uomo corrotto»


ORESTE PIVETTA



«Spero nel miracolo» risponde Giorgio Bocca a un amico partigiano, che gli chiede un confronto tra ieri e oggi, tra i vent’anni di Mussolini e i quindici di Silvio. Cioè: ci siamo liberati del fascismo, ci salveremo anche dal berlusconismo. E poi spiega: “Il popolo italiano ha già dimostrato altre volte una forza straordinaria e insperata... “. Prima di tutto dovrebbe rendersi conto del precipizio morale, della corruzione, della devastazione culturale. Più che Berlusconi c’è a spaventare l’esito diffuso della sua politica e della sua cultura. Parlano le immagini: “Basta guardare una fotografia: lui, il piccolo dittatore, vestito di nero, sempre circondato da cinque o sei energumeni vestiti di nero”.

Giorgio Bocca, partigiano e giornalista, a che punto siamo dopo la bocciatura del lodo Alfano? Che succederà?


«Berlusconi rimarrà al governo, i suoi avvocati inventeranno mille cavilli perchè i suoi processi cadano in prescrizione e se anche Berlusconi dovesse cadere resterà il berlusconismo, il male profondo di un paese che ha così poca dignità d’accettare la guida di un uomo corrotto che sta distruggendo la democrazia...».


Come scrive Saramago nel suo «Quaderno» censurato dalla Einaudi e pubblicato dalla Bollati Boringhieri: «Nel caso concreto del popolo italiano.., è dimostrato come l’inclinazione sentimentale che prova per Berlusconi, tre volte manifestata, sia indifferente a qualsiasi considerazione di ordine morale». Preciso, no?


«Che gli italiani, figli di un fascismo mai completamente estirpato, siano corrotti lo si vede: quanta mafia, quanta camorra, quante tangentopoli, quanto fisco evaso. Berlusconi ha avuto modo di dare una patente alla corruzione: con lui, sul suo esempio, non s’è più sentito il bisogno di celare, nascondere. Si può fare tutto alla luce del sole. Sentire quelli che si vantano perchè non pagano le tasse... Che cosa gliene importa della democrazia?».


La malattia è profonda. Tanto più difficile rimediare.


«Certo. Davvero occorre darsi tempo e sperare nel miracolo, appunto, o in quelle scosse profonde nella coscienza, cui abbiamo talvolta assistito».


Ti è già capitato di vivere momenti come questi?


«Da giovane ho conosciuto il fascismo e la privazione di tutti i diritti»


Berlusconi vanta i suoi sondaggi e il suo sessanta, settanta, ottanta per cento di preferenze tra gli elettori...


«Anche Mussolini vantava un grande seguito popolare. Era un padre padrone, proprio come s’atteggia Berlusconi. Mussolini andava a mietere il grano, si mostrava a torso nudo e incantava le folle. Berlusconi va in televisione e inaugura le casette. Hitler era un mostro. Loro li definirei dittatori morbidi».


Come giudichi, a proposito, le reazioni di Berlusconi?


«Privo di qualsiasi bussola politica. Come si fa a gridare che Napolitano è di sinistra, che Napolitano avrebbe dovuto pesare sulla Corte? Come si fa a dire che la Consulta è di sinistra? Una follia. Non è solo questione di rispetto di una sentenza, è anche mancanza di senso della realtà: ma li conosce i giudici della Consulta, che in maggioranza se mai sono di destra per formazione, cultura, età...».


E il presidente Napolitano?


«Cauto come sempre. Prudente. Vuol fare il Presidente. Di fronte alle nefandezze di Berlusconi avrei preferito sentire parole più forti. A un certo punto viene il momento di dire basta».

Oltre i giudici chi e che cosa dovrebbe temere di più Berlusconi? Fini?


«Ma intanto deve temere quanti nel suo stesso schieramento si sono convinti che un individuo simile è pericoloso anche per la destra. Si è capito poi che Berlusconi non incanta più gli industriali, che preferirebbero un Tremonti».


E la Chiesa, dopo gli scandali con le escort?


«La Chiesa Io tiene in piedi, perché sa di poterlo ricattare, sa di poter pretendere da lui in cambio soldi e leggi».


Non dimentichiamo la sinistra...


«Pelandrona e inconcludente. Di fronte a quanto sta avvenendo non ci si può limitare a dire che Berlusconi deve continuare a governare».


Per fortuna, stiamo in Europa.


«L’Europa è una garanzia. Non può consentire che nel suo cuore a un certo punto spunti un regime con i connotati del fascismo. Ma quello è pure capace di trascinarci fuori dall’Europa. Le tenterà tutte».


(9 ottobre 2009)



 


 


 



Le 7 domande che hanno inchiodato Berlusconi


di Marco Travaglio e Elio Veltri


 


Signor Berlusconi, potrebbe rispondere pubblicamente a queste domande?


 


Premessa:  la Banca Rasini di Milano, di proprietà negli anni Settanta di Carlo Rasini, è stata indicata da Sindona e in molti documenti ufficiali di magistrati che hanno indagato sulla mafia, come la principale banca utilizzata dalla mafia per il riciclo del denaro sporco nel Nord-Italia. Di questa Banca sono stati clienti Pippo Calò, Totò Riina e Bernardo Provenzano, negli anni in cui formavano la cupola della mafia. In quegli stessi anni il Sig. Luigi Berlusconi lavorava presso la Banca, prima come impiegato, poi come Procuratore con diritto di firma e infine come Direttore.


 


1) Nel 1970, il procuratore della banca Luigi Berlusconi ratifica un’operazione molto particolare: la banca Rasini acquisisce una quota della Brittener Anstalt, una società di Nassau legata alla Cisalpina Overseas Nassau Bank, nel cui consiglio d’amministrazione figurano Roberto Calvi, Licio Gelli, Michele Sindona e monsignor Paul Marcinkus. Questo Luigi Berlusconi, procuratore con diritto di firma della banca Rasini, era suo padre?


2) Sempre intorno agli anni Settanta il Sig. Silvio Berlusconi ha registrato presso la banca Rasini ventitré holding come “negozi di parrucchiere ed estetista”, è lei questo Signor Silvio Berlusconi?


3) Lei ha registrato presso la banca Rasini, ventitré “Holding Italiane” che hanno detenuto per molto tempo il capitale della Fininvest, e altre 15 Holding, incaricate di operazioni su mercati esteri. Le ventitré holding di parrucchiere, che non furono trovate a una prima indagine della guardia di finanza, e le ventitré Holding italiane, sono la stessa cosa?


4) Nel 1979 il finanziere Massimo Maria Berruti che dirigeva e poi archiviò l’indagine della Guardia di Finanza sulle ventitré holding della Banca Rasini, si dimise dalla Guardia di Finanza. Questo signor Massimo Maria Berruti è lo stesso che fu assunto dalla Fininvest subito dopo le dimissioni dalla Guardia di Finanza, fu poi condannato per corruzione, eletto in seguito parlamentare nelle file di Forza Italia, e incaricato dei rapporti delle quattro società Fininvest con l’avvocato londinese David Mills, appena condannato in Italia su segnalazione della magistratura inglese?


5) Nel 1973 il tutore dell’allora minorenne ereditiera Anna Maria Casati Stampa si occupò della vendita al Sig. Silvio Berlusconi della tenuta della famiglia Casati ad Arcore. La tenuta dei Casati consisteva in una tenuta di un milione di metri quadrati, un edificio settecentesco con annesso parco, villa San Martino, di circa 3.500 metri quadri, 147 stanze,una pinacoteca con opere del Quattrocento e Cinquecento, una biblioteca con circa 3000 volumi antichi, un parco immenso, scuderie e piscine. Un valore inestimabile che fu venduto per la cifra di circa 500 milioni di lire  (250.000 euro) in titoli azionari di società all’epoca non quotate in borsa, che furono da lei riacquistati pochi anni dopo per circa 250 milioni (125.000 euro). Il tutore della Casati Stampa era un avvocato di nome Cesare Previti. Questo avvocato è lo stesso che poi è diventato suo avvocato della Fininvest, senatore di Forza Italia, Ministro della Difesa, condannato per corruzione ai giudici, interdetto dai diritti civili e dai pubblici uffici, e che lei continua a frequentare?


6) A Milano, in via Sant’Orsola 3, nacque nel 1978 una società denominata Par.Ma.Fid. La Par.Ma.Fid. è la medesima società fiduciaria che ha gestito tutti i beni di Antonio Virgilio, finanziere di Cosa Nostra e riciclatore di capitali per conto dei clan di Giuseppe e Alfredo Bono, Salvatore Enea, Gaetano Fidanzati, Gaetano Carollo, Carmelo Gaeta e altri boss – di area corleonese e non – operanti a Milano nel traffico di stupefacenti a livello mondiale e nei sequestri di persona. Signor Berlusconi, importanti quote di diverse delle suddette ventitré Holding verranno da lei intestate proprio alla Par.Ma.Fid. Per conto di chi la Par.Ma.Fid. ha gestito questa grande fetta del Gruppo Fininvest e perché lei decise di affidare proprio a questa società una parte così notevole dei suoi beni?


7) Signor Berlusconi da dove sono venuti gli immensi capitali che hanno dato inizio, all’età di ventisette anni, alla sua scalata al mondo finanziario italiano? Vede, Signor Berlusconi, tutti gli eventuali reati cui si riferiscono le domande di cui sopra sono oramai prescritti. Ma il problema è che i favori ricevuti dalla mafia non cadono mai in prescrizione, i cittadini italiani, europei, i primi ministri dei paesi con cui lei vuole incontrarsi, hanno il diritto di sapere se lei sia ricattabile o se sia una persona libera.


 


P.S. Dato che lei è già stato condannato in via definitiva per dichiarazioni false rese ad un giudice in un tribunale, dovrebbe farci la cortesia di fornire anche le prove di quello che dice, le sole risposte non essendo ovviamente sufficienti.


 


NOTA – Le sette domande sono state pubblicate ne “L’odore dei soldi” di Elio Veltri e Marco Travaglio (Editori Riuniti) 2001. Quindi note a tutti i parlamentari del Partito delle Libertà, della Lega e all’opposizione. Berlusconi ha intentato due cause agli autori del libro: la prima, per diffamazione, si è conclusa nel 2005 con l’assoluzione dei due autori e la condanna a Berlusconi: 100.000 euro di spese. La seconda –  richiesta di risarcimento per diffamazione a mezzo stampa – è stata respinta dal Tribunale di Roma con l’obbligo del pagamento di 15.000 euro da parte del querelante. Carlo Costelli, dipartimento di Fisica & e INFN Università Sapienza, Roma, informa che questo testo in italiano, francese, inglese, spagnolo, tedesco è a disposizione su http://sites.google.com/site/carlocosmelliwebsite/Home gruppo facebook. Sta per entrare in rete la traduzione in arabo, giapponese, olandese.



 


 



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lunedì 16 novembre 2009

Contro il tempo






L’incontro con il bel volto di Daniele, con i suoi occhi azzurri, con i biondi capelli è avvenuto questa mattina, aprendo “il Fatto Quotidiano” che gli dedicava l’apertura. E leggendo poi una storia angosciante e tristissima che accade in un Paese che dirotta altrove i soldi per la ricerca (per esempio da Telethon ad Alitalia).


L’irritazione non basta più ormai, ci vorrebbe ben altro, che so un soprassalto di indignazione civile, una mobilitazione ad ampio raggio per contagiare i dormienti e scuotere la stupidità che ormai è la cifra stilistica dell’Italia in quest’epoca decadente.


Il Tg3 ha dedicato alla sua vicenda due servizi, diversi nelle edizioni delle 14:20 e delle 19:00, affidati alla delicatezza di una brava giornalista - e dunque poco visibile - come Maddalena Bolognini, la quale ha intervistato il padre di Daniele. Non so il TgDue cos’abbia fatto, mentre il TgUno era impegnato nel bollettino papale della domenica ,di cui non se ne avverte la necessità, nonché nelle veline governative che lo accreditano come megafono del regime.


Molte domande hanno poi accompagnato la giornata e così ho ritenuto che l’accostamento con un’altra notizia, apparsa su “la Repubblica” il 7 ottobre scorso, non fosse incongruo, ma c’entrasse e molto anche.


Da una parte una famiglia in lotta contro il tempo e l’ottusità dei cosiddetti governanti (anche se la somara unica Gelmini ha ribadito che i finanziamenti per la ricerca ci saranno. In che modo non si sa, forse un miracolo. Che sarebbe poi il secondo dopo essere rimasta incinta, fuori dal matrimonio, peraltro), dall’altra un tizio che non ha fretta di trovar lavoro, né si capisce  perché dovrebbe, visto che godersi la bella vita è meglio, incassando ogni mese il doppio della cifra che sarebbe necessaria a Daniele per poter continuare a sorridere, facendo brillare i suoi occhi azzurri e scintillare al sole il biondo dei suoi capelli per tanti anni ancora.


 




I cento passi di Daniele


Ha 2 anni: una distrofia rarissima lo sfiancherà. Per salvarlo serve la ricerca. Ma l’Italia è al palo


Luca Telese


 


Il giorno in cui i medici gli hanno dato la notizia, la prima reazione di Fabio Amanti è stata un gesto. Un movimento quasi automatico. È difficile raccontarlo, il dolore dei padri: spesso non ha parole. Lui, quando ha ricevuto la notizia è rimasto impietrito. Poi si è tolto l’orologio, lento, e non se lo è più rimesso: “Da allora il tempo è diventato nemico, e la salvezza di Daniele è una lotta contro il tempo. Ecco perché non potevo più guardare le lancette girare spensierate sul quadrante”.


Bambini a passo di danza. Fabio ed Eliana sono i genitori di Daniele. E quella mattina del 9 febbraio 2008 hanno avuto la certezza che loro figlio era malato. Affetto da un male raro: anzi, l’unico caso noto (al mondo) di una particolare forma di mutazione che causa la distrofia muscolare di Duchenne. In Italia 5 mila persone combattono contro questa malattia e la sua forma meno violenta, la distrofia di Becker. I muscoli di questi bambini (i sintomi si manifestano fra i 2 e i 4 anni) sono attaccati progressivamente: si cammina con sempre maggiore difficoltà, prima o poi si finisce in sedia a rotelle, finché – uno ad uno – vengono intaccati gli organismi vitali. Alla fine, quando la distrofia progredisce allo stadio finale, tocca all’apparato respiratorio: diaframma, muscoli intercostali, cuore. La prima cosa che vogliamo raccontarvi, in fondo, è semplice: Daniele non ha ancora 3 anni e ha bisogno di 250 mila euro.


Per ora, però cammina sorridente. Solo se lo guardi con attenzione noti un’andatura strana, quasi un passo di danza. È un movimento elegante, persino: in realtà Daniele forza i talloni per stare in equilibrio. Ma ha ragione suo padre, è una lotta contro il tempo: in uno qualsiasi di questi giorni, il male potrebbe farlo precipitare nel tunnel della distrofia. Eppure la storia che vi racconto non è una melensa esercitazione, un apologo di buoni e lacrimevoli sentimenti. È la storia di una battaglia difficile e bella iniziata proprio davanti a quel verdetto, in quella stanza in cui le lancette hanno smesso di girare, nel punto in cui molti altri avrebbero gettato la spugna. È la storia di due genitori normali, che vivono del loro stipendio: Fabio ha un negozio di computer, Eliana è architetto, un mutuo. È la storia di un bambino biondo, bellissimo e con gli occhi azzurri che è diventato una celebrità su Internet, ed è (anche) la storia di un’ impresa. Un apologo involontario su un paese in cui spesso chi viene colpito da un destino feroce deve fare tutto da solo, affrontando molte difficoltà in più, invece che qualcuna in meno.


Ricerca & brevetti. In Italia, tanto per dire, molti ricercatori di talento si occupano delle sindromi distrofiche. “Ma quando arrivano a qualcosa – racconta Fabio – “sono costretti a vendere i brevetti all’estero, perché nel nostro paese nessuno ha la forza per svilupparli”. Il primo segnale che allarma Fabio ed Eliana, racconta lei “sono dei banalissimi lividi. Solo che Daniele non era mai caduto”.Iniziano le visite, i sospetti, i primi accertamenti al Bambin Gesù di Roma. A luglio la prima analisi del sangue. Quando legge il referto Eliana è stordita: “Due enzimi muscolari, il Cpk e l’Ldh avevano valori fuori dalla norma: da 200 a 7000”. Eliana telefona a Fabio, che in tempo reale, su Google trova la risposta: “L’aumento delle Cpk significa distrofia”. Solo la biopsia muscolare, quando Daniele raggiunge l’età per farla, conferma scientificamente che il peggior sospetto è diventato realtà. Daniele ha una particolare forma della Duchenne. Il danno genetico si è prodotto in uno dei 79 esoni che costituiscono la catena della sua distrofina, esattamente fra l’8 e il 9. Consultando tutte le banche dati note al mondo, Fabio ed Eliana scoprono che non si conoscono altri casi. L’unico modo per trovare una cura, dunque, è un progetto di ricerca finalizzato (anche) alla sua malattia. E visto che in Italia ovviamente non esiste, i genitori di Daniele lavorano all’unica soluzione, la più difficile: costruire quel progetto, raggiungendo i 250 mila euro necessari con una colletta.

Burocrazia nemica. Fabio ha 43 anni, capelli foltissimi, che tendono al grigio, è estroverso, sorriso largo. Eliana ha 34 anni, occhi azzurri e capelli biondi, bella come Daniele, seria e riflessiva. Il giorno in cui quel referto si abbatté sulla loro vita Fabio è disperato: “E ora?”. Lei, come nemmeno nei film, risponde: “Non lo so. Ma qualunque cosa sia la facciamo insieme”. Così è stato. Metà della sua vita Fabio la trascorreva sui computer: il primo bandolo per uscire dal tunnel arriva da lì. Ama giocare a scacchi in rete: una sera vede un banner: ci si può iscrivere a un forum. Inizia così, raccontando la sua storia. Poi costruisce un sito. E poi apre delle pagine su Facebook raccontando la storia di Daniele, giorno dopo giorno. L’unicità di quella malattia lo rende un pioniere: “Avevo bisogno – spiega – di due cose: raccontare e scoprire”. Intanto il mondo non era gentile, con la famiglia Amanti. Quando sono andati a chiedere un permesso invalidi si sono sentiti rispondere: “Lo diamo solo quando il bambino ha tre anni”. Non ha senso questa norma: Daniele e i bambini come lui tendono a stancarsi e hanno un bisogno vitale della carrozzina . Ma gli Amanti aspettano: “A gennaio manca poco, in fondo, no?”. Intanto avviano le pratiche per l’invalidità. Hanno fortuna, gliela riconoscono. Ma il giorno in cui l’Inps versa la prima indennità sul conto, di nuovo un pasticcio burocratico. La banca non accredita i 465 euro che lo Stato riconosce loro ogni mese: “Una circolare interna richiede l’apertura di un nuovo conto...”. (E tu vorresti bruciarla). Se entri nel tunnel della malattia sei meno tollerante con le piccole-grandi vergogne di questo paese. Sorride amaro Fabio: “Quando ho saputo che i soldi per l’Alitalia sono stati presi anche dai fondi della ricerca raccolti con Telethon volevo sparare. Mi sono chiesto: ma quanti italiani lo sanno?”. Già.



Parent Project. L’incontro che cambia la vita, in un paese in cui le istituzioni spesso latitano è quello con un’associazione internazionale, la Parent Project, che assiste le famiglie dei bimbi malati. Il presidente della rete italiana, Filippo Buccella ha un figlio di 18 anni in sedia a rotelle: “Per fortuna che abbiamo incontrato lui – spiega Fabio – Filippo mi ha comunicato il massimo della lucidità e della speranza: ‘Quando i medici mi diedero la notizia di mio figlio il verdetto era: ‘Potrà vivere al massimo 15 anni. Adesso ne ha 18. E secondo le statistiche di oggi arriverà a 30”’. Intanto, nelle notti insonni che passa su Internet Fabio si costruisce una cultura medica da autodidatta: “I nostri muscoli per funzionare hanno bisogno della distrofina. La distrofina è una ricetta di 79 pagine, e alla ricetta di Daniele è stata strappata una pagina fra la 8 e la 9. Bisogna trovare il modo per ricostruire quella pagina”. Raccontando tutto questo su Facebook Fabio ed  Eliana trasformano il loro percorso in una battaglia. Incontrano tantissime persone che vogliono aiutare Daniele e persino qualcuno che vuole speculare.


Truffe. Ad esempio un tizio che visto il numero incredibile di visitatori continua a scrivere che lui una cura per Daniele ce l’ha: iniezioni di cellule staminali, in Cina e Thailandia. Il turismo della speranza. Fabio verifica le affermazioni di questo signore, scoprendo che non c’era nessun riscontro scientifico. “L’offerta era un pacchetto da 32 mila euro per 6 iniezioni. Un imbroglio – si arrabbia ancora Eliana – sulle speranze delle persone”. Così Fabio lo ha scritto nero su bianco: “Lei è un truffatore”. Intanto Fabio si accorge che cambia il suo modo di pensare: “Si hanno in testa tanti sogni, sui propri figli... io amo il nuoto, immaginavo che Daniele diventasse sub”. Ma siccome adesso la vita corre contro le lancette, bisogna fare tutto prima. Fabio insegna a Daniele ad andare sott’acqua a due anni; oppure lo porta una giornata a guardare gli aerei atterrare a Ciampino. E una mattina capisce che deve chiudere il suo negozio: “Non è nulla in particolare. Solo che arriva un cliente e ti fa: ‘Mi salvi l’hardware: c’è tutta la mia vita, lì... e tu, irragionevolmente, lo guardi male”. Prima il tempo era amico del suo lavoro: “Adesso odio il mio lavoro perché mi ruba il tempo per Daniele. E allora chiudo”. Anche in questo Eliana è diversa: “Vado tutti i giorni allo studio, torno alle otto. Poi giochiamo fino a mezzanotte: siccome il tempo di Daniele è prezioso, si è dilatato”. Il 70 per cento delle famiglie possono scoprire con l’esame del Dna se c’è il rischio di procreare bambini affetti da distrofia. Fabio e Eliana non potevano farci nulla. Il loro è un caso per cui, come spiega con una bellissima espressione il presidente di ParentProject “La differenza fra la vita e la morte è la conoscenza”.


I tre muri. Su Facebook gli amici sono diventati in un baleno 5000, il massimo. Allora Fabio ha aperto un’altra pagina. E poi un’altra ancora. Ogni giorno 15 mila amici chiedono cose del tipo: “Come sta Daniele?”. Fabio carica notizie, foto, i video girati dal nonno. Aggiorna ogni 15 giorni il contatore della sottoscrizione. Il 28 Aprile di quest’anno solo 9.209 euro, una goccia nell’oceano. Il 21 agosto già 13.849. Il 12 ottobre 15.035 euro. E poi sono arrivati tantissimi amici. Un giorno Gianmarco Tognazzi, con una lunga lettera di solidarietà. Un altro un comico come Enrico Bertolino; e poi un’attrice come Monica Guerritore. E poi il più celebre doppiatore italiano, Luca Ward, “regala” uno spot per Daniele. Scrive persino un ragazzino di 16 anni, che ha visto Fabio in un servizio di Studio Aperto: “Sei un babbo da paura!”: Fabio ed Eliana hanno riso e pianto, quel pomeriggio. L’incontro più bello, che ha prodotto tutti questi, è stato quello con Cinzia Lacalamita, una scrittrice triestina che ha perso sua figlia Sofia per la cosiddetta schiena bifida. Scrive un libro che finanzierà la ricerca. Adesso i 250 mila euro del traguardo sono meno lontani, di quando i genitori di Daniele si emozionavano per una notiziola su un sito Internet. In fondo questa storia si può raccontare anche così: “Ci sono tre muri da scalare – dice Fabio – Il primo è la malattia. Il secondo è la burocrazia. Il terzo è la cura” In camera sua Daniele ha una collezione di modellini, e nella sua lotta contro le lancette sfoglia Quattroruote: “Per noi – sorride Eliana – è un bambino come gli altri. Può sembrare una piccola cosa. Ma solo quando capisci questo trovi la forza per scalare le montagne”.


(15 novembre 2009)


 


Due storie un solo libro.


È madre, prima che scrittrice. Cinzia Lacalamita incontra su Internet Daniele, decide di aiutarlo. Ha perso sua figlia Daria: “Il suo corpicino era perfetto in ogni dettaglio, all’infuori di uno: un piccolo foro sulla schiena, segno di una tremenda malattia”. Si appassiona: scrive un libro, trova l’editore, pubblica Daniele, storia di un bambino che spera (Aliberti, 125 pp. 11,90 euro). I diritti d’autore vanno al Parent project Onlus direttamente sul conto (come i contributi) perché fabio, Eliana, Cinzia vogliono che nulla passi per le loro mani. “Se attiveremo il fondo abbiamo la speranza che produca risultati per Daniele”. E la certezza che aiuterà altri bambini”.











Per contribuire e aiutare Daniele:


POSTA: Fondo Daniele Amanti - Istituito presso il Parent project  onlus c/c n°94255007


BONIFICO: Banca di Credito Cooperativo di Roma


Iban: IT38V0832703219000000005775

(Intestato a: Parent Project Onlus.
Causale: Fondo Daniele Amanti)


CARTA DI CREDITO:


http://www.parentproject.org/italia/index.php?option=com_content&task=view&id=276&Itemid=36





http://www.danieleamanti.it/


 




Mancini, il riposo forzato del nababbo


 


MILANO Sedici mesi e otto giorni senza calcio. Mai successo, nella vita di Roberto Mancini. Il pallone rotolava e dietro c' era sempre lui: esordio in A, nel Bologna, il 12 settembre 1981 e 541 partite volate via, poi subito allenatore. Fiorentina, Lazio e Inter per sette anni, a parte una parentesi di sei mesi tra le dimissioni di Firenze e la Lazio. Infine la mazzata dell' esonero all' Inter, il 29 maggio 2008, pochi giorni dopo la conquista del secondo scudetto consecutivo (più il terzo a tavolino). Un trauma. Da quel giorno, il pallone ha smesso di rotolare davanti al Mancio, il più illustre dei "disoccupati", ma si fa per dire: è sotto contratto con l' Inter fino al 2011, per uno stipendio che si aggira sui 500 mila euro netti al mese. Ingaggio top class per un tecnico top class: uno che qualcosa di buono, sul piano del gioco, con le sue squadre l' ha sempre mostrato. Ora è a riposo. Fa lunghe vacanze, si gode lo yacht, continua a vedere tanto calcio. È fuori, eppure si parla sempre di lui. Ogni volta che una squadra di alto livello, ma anche medio, sta per cambiare allenatore, spunta il suo nome. Il più delle volte sono frottole, come l' ultima: «Non sono mai stato contattato dal Napoli», giura Mancio, ed è proprio così. Si è parlato di fantomatici accordi tra Intere Napoli per pagargli l' ingaggio insieme, con lui che avrebbe rinunciato a una parte del compenso pur di tornare. Macché: com' è normale, Mancini non rinuncerà mai a un centesimo di quello che gli spetta e al tempo stesso non è disposto a rientrare a ogni costo, non è certo alla disperazione. Nulla di vero, insomma. Come quando lo hanno accostato alla Roma, che stava perdendo Spalletti, o alla Samp che sostituiva Mazzarri. C' era qualcosa di concreto col Manchester City, lo scorso inverno: incontri e colloqui, poi gli arabi decisero di tenere Hughes. Hanno parlato di Mancini al Chelsea, al Portsmouth, al Fulham, persino al Notts County, che gioca nella quarta serie inglese, solo perché lì è andato a divertirsi Sven Goran Eriksson. Bufale. Lo vorrebbero anche in Russia: il Cska, tempo fa anche lo Zenit. Però Mancini rimane a casa. Che ora è tornata a essere Bologna, come trent' anni fa, quando tutto iniziò: il figlio Andrea gioca nelle giovanili rossoblù e la famiglia l' ha seguito. Il Mancio per ora attende «l' occasione giusta. Tutto accadrà a suo tempo. Non c' è fretta. Se arriverà un' offerta interessante la valuterò. Rimanere fuori non è una sofferenza». Chissà se è davvero così. Ogni tanto qualche tifoso interista, nostalgico di un certo bel gioco, torna a fare il suo nome. Altri hanno parlato di lui in un Milan futuribile, nonostante antichissimi dissapori con Galliani, perché ha il physique du role che piace a Berlusconi: quella sì che sarebbe una storia interessante, un rientro in grande stile che incendierebbe Milano. Ma è ancora presto. Il Mancio aspetta. Prima o poi qualcuno busserà.


ANDREA SORRENTINO


(7 ottobre 2009)