sabato 7 novembre 2009

La vita rosea






C’è stato un tempo in cui la lettura de “la Gazzetta dello Sport” era irrinunciabile e il personale rapporto con lo sport buono e salutare.


Per la verità l’approccio con i giornali sportivi era cominciato con “Stadio”, una testata scomparsa, allettato dalle foto a colori che oggi sono la regola nei quotidiani, ma a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, costituivano un’autentica rarità. E per questo la seduzione dal chiosco dell’edicolante era fatale, anche se la frequentazione limitata al lunedì.


Cronache del campionato, tabelle e pagelle. Però “Stadio” era strano, perché i voti nelle pagelle seguivano una singolare scala di valori: dall’1 al 5. Incomprensibile per l’adolescente che si cimentava con la lettura. Così si compì il tradimento è passai al “Corriere dello Sport” che rendeva tutto più chiaro: qui i voti comprendevano il 5, il 6, ma anche l’8 o il 9. Si capiva tutto, insomma.


Un lunedì, per caso, mi ritrovai tra le mani quello strano quotidiano di carta rosa, ammiccante anch’esso, ma ancora più imperscrutabile e lacunoso. Non c’erano pagelle, non c’erano voti, ma nel tabellino venivano indicati soltanto i migliori di ciascuna squadra. Un po’ poco, anzi quasi nulla, per soddisfare la voracità che in quegli anni si aveva, eppure quel giornale mi ammaliò e lo cercai con maggior frequenza.


Il lunedì, dopo le partite di campionato, appuntamento in edicola. Giornale sfogliato con impazienza, in attesa del ritorno a casa da scuola, per gustarlo.


Mi ero anche organizzato in questo modo, durante la settimana. Il lunedì dedicato alla serie A: resoconti, classifiche, tabellini. Nulla doveva sfuggire per fronteggiare le tradizionali e interminabili conversazioni nel più classico dei bar dello sport. Per fare i compiti ci sarebbe stato sempre tempo. Insomma, il lunedì era un po’ speciale, con i riflessi che la sana domenica sportiva ancora irradiava.


Il martedì era invece il turno della serie B. In un paio di pagine erano racchiuse le cronache e si leggeva tutto molto bene. Anche perché quelle informazioni non passavano attraverso la tv che dedicava la maggior parte del tempo alla serie maggiore. E così ricostruivo, attraverso quelle narrazioni, azioni e gol. Il mercoledì, poi, toccava all’affascinante serie C, che mi portava a “volare” in zone sconosciute, località fuori dal giro del grande calcio, la provincia in genere. Di solito c’era il pezzo dell’inviato, per la partita più importante e poi le corrispondenze dei giornalisti locali, in genere molto scarne, a causa di una gerarchia che doveva essere seguita.


Il giornale del lunedì aveva vita lunga e anche tre giorni dopo conservava, integralmente, la sua vitalità. Perché l’attenzione era riservata al basket e allo strano modo di compilare la classifica (solo vittorie o sconfitte), ai tabellini ricchi di numeri e a quei punteggi che non prevedevano lo 0-0.


Ma la fame continuava e così m’inventai giornalista. Dopo averlo spolpato a fondo, il giornale, volli creare qualcosa di mio. Perciò ricorsi alla classica “Lettera 22” . Prendevo il foglio, facevo scorrere il rullo e cominciavo, un dito dietro l’altro, a immaginare di trovarmi in una redazione, che peraltro non avevo mai visitato. L’obiettivo era quello di avere un quadro sintetico della giornata di campionato, più snello di quello che il quotidiano poteva fornirmi. E così anche matita e righello entravano in gioco. Caselle, schemi, la gomma a portata di mano e il foglio bianco cominciava ad animarsi. Una vera e propria griglia che avrei riempito. Word e la videoscrittura erano molto in là da venire, di certo però mi divertivo moltissimo. Ed ecco generarsi nella domenica sera, prima di cena, un prospetto che rispondeva a tutti quei requisiti immaginati nella fase di ideazione.


Vivevo di sport, di calcio soprattutto. Lo mangiavo a colazione e poi nelle discussioni tra compagni di scuola al mattino e al bar nel pomeriggio. Quale aperitivo per le partite nel cortile dell’oratorio che, dalle gesta domenicali degli atleti, traevano linfa per l’emulazione in campo. Quasi facessero da doping. Un doping sano, beninteso. Quando poi il significato di questo termine era estraneo al mio vocabolario.


C’è stato quel tempo e adesso non c’è più. Da alcuni giorni ho eliminato dalla mazzetta di giornali “la Gazzetta dello Sport”, salvo farla rientrare la domenica e il lunedì. Mancanza di tempo solo per sfogliarla, leggere qualcosa utopia e allora meglio rinunciare.


Molte cose sono cambiate e un altro lusso che non posso più permettermi è quello di leggere le gesta quotidiane del calciatore, piuttosto che quelle del nuotatore o del tennista, immergendomi in quel mondo e lasciando che tutto il resto rimanga fuori. Ormai non vivo di sport, sono inappetente e i forum in Rete non assomigliano per niente ai tanti bar dello sport che contrassegnano ogni località d’Italia. Meglio, allora, lasciare che i ricordi restino in rosa conservati nella bacheca del cuore.

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