lunedì 31 luglio 2006

Il mattatoio


BEIRUT - E' strage di bambini a Cana, nel sud del Libano. L'attacco aereo israeliano sul villaggio, è arrivato nella notte. Una pioggia di bombe ad alta precisione: obiettivo un edificio di tre piani che è venuto giù come un castello di carte. Dentro si erano rifugiate da giorni molte famiglie spaventate dal conflitto. Sotto le macerie, una sessantina di cadaveri, 37 sono bambini (quindici di loro erano disabili). E' la strage che segnerà per sempre questa data e questa guerra. Per tutta la giornata il mondo è stato colpito e travolto dalle immagini dei soccorritori che scavano tra le macerie e sollevano corpi inanimati di bambini e bambine, li portano via a braccia, li mostrano urlando e chiedendosi perché. (continua su repubblica.it)  Foto: http://angryarab.blogspot.com/



IL VANGELO SECONDO GIOVANNI


Capitolo 2



1 Tre giorni dopo, ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la madre di Gesù. 

2 Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 

3 Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno più vino». 

4 E Gesù rispose: «Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora». 

5 La madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà». 

6 Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. 

7 E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le giare» e le riempirono fino all'orlo. 

8 Disse loro di nuovo: «Ora attingete e portatene al maestro di tavola». Ed essi gliene portarono. 

9 E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua), chiamò lo sposo 

10 e gli disse: «Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un po' brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono». 

11 Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. 

12 Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà solo pochi giorni. 

13 Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 

14 Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. 

15 Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, 

16 e ai venditori di colombe disse: «Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato». 

17 I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divora. 

18 Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». 

19 Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». 

20 Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». 

21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 

22 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. 

23 Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa molti, vedendo i segni che faceva, credettero nel suo nome. 

24 Gesù però non si confidava con loro, perché conosceva tutti




Fino a quando?


Eduardo Galeano  il manifesto” del 26 luglio 2006



Un paese ne bombarda due. L'impunità potrebbe meravigliare se non fosse costume normale. Qualche timida protesta in cui si dice di errori. Fino a quando gli orrori continueranno a chiamarsi errori? Questo macello di civili si è scatenato a partire dal sequestro di un soldato. Fino a quando il sequestro di un soldato israeliano potrà giustificare il sequestro della sovranità palestinese? Fino a quando il sequestro di due soldati israeliani potrà giustificare il sequestro del Libano intero? La caccia all'ebreo è stata, per secoli, lo sport preferito degli europei. Sboccò ad Auschwitz un vecchio fiume di terrori, che aveva attraversato tutta Europa. Fino a quando i palestinesi e altri arabi continueranno a pagare per delitti che non hanno commesso? Quando Israele spianò il Libano nelle sue precedenti invasioni, Hezbollah non esisteva. Fino a quando continueremo a credere alla favola dell'aggressore aggredito, che pratica il terrorismo perché ha diritto a difendersi dal terrorismo? Iraq, Afghanistan, Palestina, Libano... Fino a quando si potrà continuare a sterminare paesi impunemente? Le torture di Abu Ghraib, che hanno sollevato un qual certo malessere universale, non sono niente di nuovo per noi latinoamericani. I nostri militari hanno appreso quelle tecniche di interrogatorio nella School of Americas, che oggi ha perso il nome ma non il vizio. Fino a quando continueremo ad accettare che la tortura continui a legittimarsi, come ha fatto la corte suprema di Israele, in nome della legittima difesa della patria? Israele ha ignorato quarantasei raccomandazioni dell'Assemblea generale e di altri organismi delle Nazioni unite. Fino a quando il governo israeliano continuerà a esercitare il privilegio d'essere sordo? Le Nazioni unite raccomandano, però non decidono. Quando decidono, la Casa Bianca impedisce che decidano, perché ha diritto di veto. La Casa Bianca ha posto il veto, nel consiglio di sicurezza, a quaranta risoluzioni che condannavano Israele. Fino a quando le Nazioni unite continueranno a comportarsi come se fossero uno pseudonimo degli Stati uniti? Da quando i palestinesi sono stati cacciati dalle loro case e spogliati della loro terra, è corso molto sangue. Fino a quando continuerà a correre il sangue perché la forza giustifichi ciò che il diritto nega? La storia si ripete, giorno dopo giorno, anno dopo anno, e muore un israeliano ogni dieci arabi morti. Fino a quando la vita di ogni israeliano continuerà a valere dieci volte di più? In proporzione alla popolazione, i cinquantamila civili, in maggioranza donne e bambini, morti in Iraq equivalgono a ottocentomila statunitensi. Fino a quando accetteremo, come se fosse normale, la mattanza degli iracheni in una guerra cieca che ha ormai dimenticato i suoi pretesti? Fino a quando continuerà ad essere normale che i vivi e i morti siano di prima, seconda, terza o quarta categoria? L'Iran sta sviluppando l'energia nucleare. Fino a quando continueremo a credere che ciò basta a provare che un paese è un pericolo per l'umanità? La cosiddetta comunità internazionale non è per nulla angustiata dal fatto che Israele possieda 250 bombe atomiche, nonostante sia un paese che vive sull'orlo di una crisi di nervi. Chi maneggia il pericolosimetro universale? Sarà stato l'Iran il paese che buttò le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki? Nell'era della globalizzazione, il diritto di pressione è più forte di quello di espressione. Per giustificare l'occupazione illegale di terre palestinesi, la guerra viene chiamata pace. Gli israeliani sono patrioti e i palestinesi terroristi, e i terroristi seminano allarme universale. Fino a quando i mezzi di comunicazione continueranno a seminare paura? Questa mattanza, che non è la prima e temo non sarà l'ultima, accade in silenzio. Il mondo è diventato muto? Fino a quando le voci dell'indignazione continueranno a suonare come campane di legno? Questi bombardamenti uccidono bambini: più di un terzo delle vittime, non meno della metà. Chi si azzarda a denunciarlo è accusato di antisemitismo. Fino a quando continueremo ad essere antisemiti, noi che critichiamo il terrorismo di stato? Fino a quando accetteremo questa estorsione? Sono antisemiti gli ebrei che inorridiscono per quanto viene fatto in loro nome? Sono antisemiti gli arabi, tanto semiti quanto gli ebrei? Per caso non ci sono voci arabe che difendono la patria palestinese e ripudiano il manicomio fondamentalista? I terroristi si somigliano tra loro: i terroristi di stato, rispettabili uomini di governo, e i terroristi privati, che sono matti singoli e matti organizzati dai tempi della guerra fredda al totalitarismo comunista. E tutti agiscono in nome di dio, si chiami Dio, Allah o Jahvé. Fino a quando continueremo a ignorare che tutti i terrorismi disprezzano la vita umana e che tutti si alimentano tra loro? Non è evidente che in questa guerra tra Israele e Hezbollah sono i civili - libanesi, palestinesi, israeliani - quelli che ci mettono i morti? Non è evidente che le guerre di Afghanistan e Iraq e le invasioni di Gaza e del Libano sono incubatrici di odio, fabbriche di fanatici in serie? Siamo l'unica specie animale specializzata nello sterminio reciproco. Destiniamo duemila e cinquecento milioni di dollari, ogni giorno, alle spese militari. La miseria e la guerra sono figlie dello stesso padre: come qualche dio crudele, mangia i vivi e anche i morti. Fino a quando continueremo ad accettare che questo mondo innamorato della morte è il nostro unico mondo possibile?










mercoledì 26 luglio 2006

Chiare fresche e dolci acque (Petrarca)


Scene di apocalisse prossima ventura in coda ad una cassa, al supermercato. Tra i carrelli, che mani sudaticce spingono boccheggiando, sorrette da gambe barcollanti, ne spicca uno che si distingue per la quantità di merce trasportata. Un’unica tipologia: acqua minerale. Una dissennata campagna pubblicitaria, che ha suggerito nuove mode, ha fatto scattare in buona parte dei cittadini l’esigenza di placare la propria sete con l’acqua minerale, reputando quella che sgorga gratis dal rubinetto di casa, non adeguata a soddisfare palati improvvisamente diventati raffinati.  Sorgono locali di tendenza (glamour o cool?) destinati ad un consumo, quasi religioso, della preziosa bevanda. Andare ad acqua equivaleva solo pochi anni fa a segnalare un cammino poco esaltante, mentre ora porta là dove batte il tam tam della moda e cinguetta l’uccellino di Del Piero. L’animaletto alato intendo.


Ah, l’uomo del supermercato aveva caricato nel carrello nove confezioni di acqua minerale, per un totale di 54 bottiglie. Destinazione deserto del Gobi, evidentemente.


Il dossier acqua che trovo su Megachip (novembre 2005) è assai istruttivo. Il pezzo seguente rende bene l’idea.


 


Una politica che fa acqua da tutte le parti


di Carla Chiavaroli


 


L'acqua non è più la "madre della vita", la "sorella" di cui parlava San Francesco nel XIII secolo. Negli ultimi 20 anni, questo elemento ha perso la sua sacralità, trasformandosi in una merce di scambio sempre più preziosa.


La politica dell'acqua perseguita dai paesi occidentali a partire dagli anni '80 si basa su una concezione dell'acqua come "bene economico", allo stesso tempo risorsa e servizio. Questo principio viene affermato per la prima volta in modo ufficiale durante la Conferenza sull'Acqua delle Nazioni Unite tenutasi a Dublino nel 1992, dove viene anche ribadito anche che l'acqua è una proprietà dello Stato, come tutte le altre risorse naturali che appartengono al territorio sul quale esso esercita la sovranità.


Dal 2003, numerosi governi occidentali stanno cercando di fare applicare le proposte del “Panel Internazionale sul finanziamento delle Infrastrutture dell'acqua” diretto da Michel Camdessus (ex direttore generale del FMI) e redatto per iniziativa del Consiglio Mondiale dell'Acqua, del 3° Forum Mondiale dell'Acqua e del Global Water Partnership, istituzioni che fanno parte dell'oligarchia mondiale dell'acqua. La tesi principale di questo rapporto consiste nell'affermare che la soluzione finanziaria ai bisogni crescenti in materia di accesso all'acqua nel mondo passa principalmente dal coinvolgimento del settore privato, il solo in grado di garantire la massima efficienza in materia, e che tutto deve essere fatto per creare le condizioni più favorevoli affinché l'acqua diventi un settore di attività per i capitali privati.


Le Nazioni Unite lanciarono il "Primo Decennio Internazionale per l'acqua potabile ed il risanamento idrico" (1981-1990) nel 1977 con l'obiettivo di portare l'acqua a tutti gli esseri umani nel 1990 (obiettivo posticipato poi all'anno 2000). Nel 2000, 1,5 miliardo di persone erano ancora senza acqua potabile e 2,4 miliardi senza servizi sanitari. Un "Nuovo decennio dell'acqua" è stato proclamato nel 2004 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con l'obiettivo di rivolgere una maggiore attenzione ai problemi dell'acqua, e cioè di ridurre della metà, entro il 2015, la percentuale delle persone non aventi accesso, o incapaci di darsi l'accesso, all'acqua potabile e che non hanno nemmeno diritto ai servizi sanitari di base.


Le derive di questa politica sono evidenti:


- 2,4 miliardi di persone non hanno ancora accesso ai servizi igienici.


- 1,5 miliardi di persone non hanno accesso ad acqua potabile.


- 30.000 persone muoiono ogni giorno per malattie causate dall'assenza di acqua potabile e ai servizi igienici.


- il consumo quotidiano medio di acqua potabile della popolazione di paesi in via di sviluppo è di circa 20 litri. In Italia è di 213 litri, negli Stati Uniti di 600 (in California è di 4100).


Ma anche all'interno dei singoli paesi occidentali, le cose non vanno di certo meglio. In Italia, un terzo degli Italiani non gode ancora di un accesso regolare e sufficiente all'acqua potabile, pur essendo l'Italia il paese dell'Unione europea con il tasso di consumo d'acqua pro capite più elevato per usi domestici (78 m³/anno per ambiente).


Inoltre, il degrado del patrimonio idrico del Paese non cessa di aggravarsi. Gli Italiani sfruttano le risorse idriche nazionali in maniera eccessiva e sconsiderata. L'agricoltura da sola “beve” il 50% dei prelievi totali.


Come ribadisce il professor Riccardo Petrella, docente presso l'UCB di Bruxelles, per far fronte alla degenerante "cocacolizzaizone" e "petrolizzazione" dell'acqua, è indispensabile una nuova politica, basata su principi fondamentali e inalienabili. L'accesso all'acqua deve essere considerato un diritto fondamentale, appartenente non solo agli uomini, ma anche a tutte le altre specie viventi.


Il 2° Forum alternativo mondiale dell'acqua (Fame 2005), che si è svolto a Ginevra dal 17 al 20 marzo 2005, organizzato da varie ONG svizzere, dai membri del Contratto Mondiale per l'acqua e dalla Coalizione mondiale per la privatizzazione dell'acqua, si è posto come obiettivo quello di sviluppare e promuovere le istituzioni e le politiche pubbliche, che permettano un accesso a tutti gli esseri umani all'acqua potabile ed una gestione democratica, solidale e sostenibile dell'acqua. A tal proposito sono state avanzate delle proposte concrete, soprattutto basate su una nuova politica fiscale alternativa e mirata.


Non sappiamo quanto queste iniziative riusciranno nel loro intento. La sola cosa certa è che si ha bisogno urgentemente di un cambiamento radicale di prospettiva. Questa disuguaglianza e questa ingiustizia sociale non sono il frutto di una fatalità, ma di un'incuria politica che può essere combattuta solo con l'adozione di misure e regolamentazioni davvero alternative.


La foto scelta è del tutto casuale e tratta dal sito. Non può perciò intendersi come pubblcità occulta.

lunedì 24 luglio 2006

La pornografia della guerra


 



(fonte: As'Ad Abukhalil - Arab News Service)



"Cari amici e colleghi,



Dovrete scusarmi per avervi inviato questa mail. Sono foto dei corpi dei bambini uccisi dagli Israeliani nel Libano del Sud. Sono tutti bruciati. Ho bisogno del vostro aiuto. Sono quasi certo che queste foto non saranno pubblicate in Occidente, nonostante siano della Associated Press. Ho bisogno del vostro aiuto per mostrarle, se potete. Il problema è che queste sono persone a cui è stato chiesto di lasciare il loro villaggio, Ter Hafra, questa mattina, entro due ore, o meno ... Dunque quelli che erano in grado di fuggire si sono recati alla vicina base delle Nazioni Unite, dove è stato chiesto loro di andarsene. Penso che dopo il massacro di Qana nel 1996, quando i civili furono bombardati nonostante si fossero rifugiati nei quartieri delle Nazioni Unite, l'ONU non vuole essere responsabile per delle vite civili. POCHI MINUTI FA, gli Israeliani hanno chiesto alla gente del villaggio Al Bustan a Sud di evacuare le loro case. Sono preoccupato che i massacri continueranno ad avere luogo finché le azioni israeliane saranno prive di controllo. Vi prego, aiutateci, se potete.



Hanady Salman"


Foto 1: corriere.it.


Foto 2: repubblica.it 


Vignetta: sestaluna.com/maurobiani

mercoledì 19 luglio 2006

Il morto che camminava


[Questo brano è estratto dal discorso tenuto da Paolo Borsellino il 23 giugno 1992, ad un mese dalla strage di Capaci, alla cerimonia promossa dai boy-scout della parrocchia di Sant'Ernesto a Palermo; il testo integrale è nel libro di Umberto Lucentini, Paolo Borsellino. Il valore di una vita, Mondadori, Milano 1994, alle pp. 256-258].


 


Paolo Borsellino: un ricordo di Giovanni Falcone


Giovanni Falcone lavorava con perfetta coscienza che la forza del male, la mafia, lo avrebbe un giorno ucciso. Francesca Morvillo stava accanto al suo uomo con perfetta coscienza che avrebbe condiviso la sua sorte. Gli uomini della scorta proteggevano Falcone con perfetta coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte. Non poteva ignorare, e non ignorava, Giovanni Falcone, l'estremo pericolo che correva, perché troppe vite di suoi compagni di lavoro e di suoi amici sono state stroncate sullo stesso percorso che egli si imponeva. Perché non è fuggito, perché ha accettato questa tremenda situazione, perché non si è turbato, perché è stato sempre pronto a rispondere a chiunque della speranza che era in lui? Per amore!


La sua vita è stata un atto d'amore verso questa sua città, verso questa terra che lo ha generato. Perché se l'amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui, e per coloro che gli sono stati accanto in questa meravigliosa avventura, amare Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra qualcosa, tutto ciò che era ed è possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria a cui essa appartiene. Qui Falcone cominciò a lavorare in modo nuovo. E non solo nelle tecniche di indagine. Ma anche consapevole che il lavoro dei magistrati e degli inquirenti doveva entrare sulla stessa lunghezza d'onda del sentire di ognuno.


La lotta alla mafia (primo problema da risolvere nella nostra terra, bellissima e disgraziata) non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolgesse tutti, che tutti abituasse a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità, e quindi della complicità.


Ricordo la felicità di Falcone, quando in un breve periodo di entusiasmo, conseguente ai dirompenti successi originati dalle dichiarazioni di Buscetta, egli mi disse: "La gente fa il tifo per noi". E con ciò non intendeva riferirsi soltanto al conforto che l'appoggio morale della popolazione dà al lavoro del giudice. Significava soprattutto che il nostro lavoro, il suo lavoro, stava anche sommovendo le coscienze, rompendo i sentimenti di accettazione della convivenza con la mafia, che costituiscono la sua vera forza. (...)


 


“Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro organizzato dalla rivista Micromega, Borsellino parlò della sua condizione di "condannato a morte". Sapeva di essere nel mirino di cosa nostra e sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime designate”. (da Wikipedia, il link ulteriore l’ho aggiunto io)


 


[Il testo seguente consiste di due estratti da una lettera che la mattina del 19 luglio 1992 Borsellino aveva iniziato a scrivere in risposta ad una professoressa di Padova che tre mesi prima lo aveva invitato ad un incontro con gli studenti di un liceo. Testo ripreso dalle pp. 289-291 del libro di Umberto Lucentini citato].


 


Paolo Borsellino: da una lettera ad una insegnante


(...) 1. Sono diventato giudice perché nutrivo grandissima passione per il diritto civile ed entrai in magistratura con l'idea di diventare un civilista, dedito alle ricerche giuridiche e sollevato dalle necessità di inseguire i compensi dei clienti. La magistratura mi appariva la carriera per me più percorribile per dar sfogo al mio desiderio di ricerca giuridica, non appagabile con la carriera universitaria, per la quale occorrevano tempo e santi in paradiso. Fui fortunato e diventai magistrato nove mesi dopo la laurea (1964) e fino al 1980 mi occupai soprattutto di cause civili, cui dedicavo il meglio di me stesso. E' vero che nel 1975, per rientrare a Palermo, ove ha sempre vissuto la mia famiglia, ero approdato all'ufficio istruzione processi penali, ma alternai l'applicazione, anche se saltuaria, a una sezione civile e continuai a dedicarmi soprattutto alle problematiche dei diritti reali, delle distanze legali, delle divisioni ereditarie.


Il 4 maggio 1980 uccisero il capitano Emanuele Basile e il consigliere Chinnici volle che mi occupassi io dell'istruttoria del relativo procedimento. Nel mio stesso ufficio frattanto era approdato, provenendo anch'egli dal civile, il mio amico d'infanzia Giovanni Falcone, e sin da allora capii che il mio lavoro doveva essere un altro. Avevo scelto di rimanere in Sicilia e a questa scelta dovevo dare un senso. I nostri problemi erano quelli dei quali avevo preso a occuparmi quasi casualmente, ma se amavo questa terra di essi dovevo esclusivamente occuparmi.


Non ho più lasciato questo lavoro e da quel giorno mi occupo pressoché esclusivamente della criminalità mafiosa. E sono ottimista perché vedo che verso di essa i giovani, siciliani e non, hanno oggi attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarant'anni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanta io e la mia generazione ne abbiamo avuta. (...)


3. La mafia (Cosa Nostra) è un'organizzazione criminale, unitaria e verticisticamente strutturata, che si distingue da ogni altra per la sua caratteristica di «territorialità». Essa è divisa in famiglie, collegate tra loro per la dipendenza da una direzione comune (Cupola), che tendono a esercitare sul territorio la stessa sovranità che su esso esercita, o deve esercitare, legittimamente, lo Stato. Ciò comporta che Cosa Nostra tende ad appropriarsi di tutte le ricchezze che si producono o affluiscono sul territorio, principalmente con l'imposizione di tangenti (paragonabili alle esazioni fiscali dello Stato) e con l'accaparramento degli appalti pubblici, fornendo al contempo una serie di servizi apparenti rassemblabili a quelli di giustizia, ordine pubblico, lavoro, che dovrebbero essere gestiti esclusivamente dallo Stato.


E' naturalmente una fornitura apparente perché a somma algebrica zero, nel senso che ogni esigenza di giustizia è soddisfatta dalla mafia mediante una corrispondente ingiustizia. Nel senso che la tutela dalle altre forme di criminalità (storicamente soprattutto dal terrorismo) è fornita attraverso l'imposizione di altra e più grave forma di criminalità. Nel senso che il lavoro è assicurato a taluni (pochi) togliendolo ad altri (molti). La produzione e il commercio della droga, che pure hanno fornito Cosa Nostra di mezzi economici prima impensabili, sono accidenti di questo sistema criminale e non necessari alla sua perpetuazione.


Il conflitto irreversibile con lo Stato, cui Cosa Nostra è in sostanziale concorrenza (hanno lo stesso territorio e si attribuiscono le stesse funzioni) è risolto condizionando lo Stato dall'interno, cioè con infiltrazioni negli organi pubblici che tendono a condizionare la volontà di questi perché venga indirizzata verso il soddisfacimento degli interessi mafiosi e non di quelli di tutta la comunità sociale.


Alle altre organizzazioni criminali di tipo mafioso (camorra, 'ndrangheta, sacra corona unita) difetta la caratteristica della unitarietà ed esclusività. Sono organizzazioni criminali che agiscono con le stesse caratteristiche di sopraffazione e violenza di Cosa Nostra, ma non ne hanno l'organizzazione verticistica e unitaria. Usufruiscono inoltre in forma minore del «consenso» di cui Cosa Nostra si avvale per accreditarsi come istituzione alternativa allo Stato, che tuttavia con gli organi di questo viene a confondersi. (...)


 


Sono passati 14 anni da quella devastante domenica e ogni volta, nella commemorazione, il ricordo diventa rimpianto e l’eco del dolore si propaga.


 

Il mondo che cambia


Oggi, alla fermata dell’autobus, mi sono messo a contare le persone in attesa. Innocuo giochino per ingannare il tempo. Ma non solo. Alla fine mi sono reso conto che tra i quattordici potenziali passeggeri c’erano quattro italiani (oltre me, una donna sui 60 discretamente portati e due studentesse) e dieci stranieri: quattro ragazzini, tra i quali ci doveva essere senz’altro chi è nato in Italia e sei donne, verosimilmente dell’est Europa, di varie età che facevano gruppo a se stante, con l'aria di divertirsi molto. Una di loro, tra le più giovani, issata su zeppe vertiginose, molto carina e attraente, indossava con disinvoltura un top marrone e un leggerissimo gonnellino bianco: se li poteva permettere.


Mi chiedo se sono (siamo) attrezzati culturalmente per affrontare un processo integrativo di tali dimensioni, se in nome del “politicamente corretto” anche la mia classificazione possa ritenersi discriminatoria, laddove si tratta di semplici osservazioni. Non ho patito un senso di accerchiamento, però una situazione - per certi versi analoga - l’avevo vissuta qualche mese fa, sempre attendendo l’autobus in una zona periferica e scarsamente frequentata. Accanto a me, sotto la pensilina, due altissimi neri (Edoardo Vianello dixit) che ascoltavano musica e battevano il tempo. Salito sul mezzo constatavo come ci dovevano per forza essere luoghi, orari e giorni in cui gli stranieri erano più presenti.


Ci troviamo, la mia, la nostra generazione e qualcuna anche a  seguire, nel mezzo di cambiamenti epocali in divenire (se penso pure alle mutazioni del clima, al progressivo e ineluttabile esaurirsi delle tradizionali fonti energetiche, al sovrappopolamento delle grandi aree urbane, alla desertificazione che avanza) di cui non siamo in grado di cogliere la reale valenza. Non tanto per miopia, pregiudizi o scarsa lungimiranza, quanto perché tutto si sta trasformando qui e subito, sotto i nostri occhi, ma di questo possiamo rilevare solo aspetti parziali, per forza di cose ancora incompleti.


Saranno le generazioni successive, quelle dei figli dei nostri figli (forse) a trovare un mondo assai diverso (e temo non necessariamente migliore) di quello che gli lasceremo in eredità. Il completamento di ciò che è adesso in fieri.


Poi l’autobus è arrivato...  


 

lunedì 17 luglio 2006

Prive di sen(n)o


 


 


Frosinone: il certificato falso costava duemila euro, l’intervento a totale carico dello Stato


Fingono di avere il cancro per rifarsi il seno


di Elena Loewenthal


E’ una storia di spaccio, questa. E non certo meno spietata di quelle tante agli angoli di strada, con la siringa in mano. Anzi, forse persino di più perché lo smercio su cui sta indagando la procura della Repubblica di Frosinone è anche un affronto al dolore più vero e tremendo che ci sia. Tre medici e sette donne si fa per dire pazienti, intercettati tutti all’ospedale San Benedetto di Alatri spacciavano infatti per meste asportazioni di carcinoma - una parola un po’ più lunga per diluire il dramma «cancro» - al seno quelle che in realtà erano allegre operazioni di chirurgia estetica alla suddetta parte. Le signore pagavano così «soltanto» duemila euro in cambio di un referto falso che attestava la presenza del tumore, e poi venivano operate in ospedale con i benefici della sanità pubblica: in parole povere, senza più sborsare una lira. E duemila euro, per un seno nuovo, sono una bazzecola. Ora tutti e dieci sono indagati per falso: le sette pazienti con un davanzale nuovo di zecca (soltanto una, accusando qualche problema post-operatorio, ha destato i sospetti grazie ai quali l’indagine è partita) e i tre medici - due ciociari e uno brasiliano che opera anche in una nota clinica di Roma. Come si dice in questi casi, che la giustizia faccia il suo corso. Che la Asl di Frosinone, per la quale è stato richiesto un risarcimento di 50.000 euro, abbia indietro quel che le spetta di diritto. Certo, una giusta compensazione dovrebbe prevedere anche un ritorno a misure e consistenze preesistenti per quelle sette donne che, pur di avere un paio di tette nuove, hanno finto di avere il cancro. In barba alla scaramanzia ma soprattutto facendo un affronto tremendo - e insanabile - a chi il cancro ce l’ha davvero e di un paio di tette nuove non se ne fa un bel nulla perché non è di questo che ha bisogno ma della salute. Della vita. Di un’aspettativa di futuro che vada un po’ più in là di dietro l’angolo. Perché questo e altro di peggio è la malattia. Comunque non è il caso di augurare agli uni e alle altre, incappati per fatalità tra le maglie della magistratura, non è il caso, per carità, di augurare loro di trovarsi un giorno in ospedale con un referto vero, a raccontare la malattia. Ma certo l’ardire di spacciare la malattia in cambio di qualche libbra di carne un po’ più soda e voluminosa è uno scandalo davvero esagerato - quasi surreale - anche per una società come la nostra fondata sulla bellezza, vera o finta che sia.


elena.loewenthal@mailbox.lastampa.it

La Stampa del 15 luglio 2006


 


Ci sono notizie che lasciano dapprima stupefatti e poi incapaci di articolare qualsiasi commento. Sembrano uscite dalla penna di sceneggiatori particolarmente ispirati e invece spuntano dalla cronaca (La Stampa l’ha opportunamente collocata in prima pagina) surclassando la più fervida fantasia. Neppure la serie di culto “Nip/Tuck” era arrivata a tanto. A quelle sventurate, “non è il caso” - come scrive l’autrice del pezzo – “di augurare loro di trovarsi un giorno in ospedale con un referto vero”, perché è già una sciagura ritrovarsi così stupide accanto, presumibilmente, a compagni con lo stesso minimo livello consentito di intelligenza. Semmai suggerirei loro di entrare in contatto con quelle associazioni di volontariato che si occupano, dopo il decorso operatorio, di aiutare psicologicamente le donne che al proprio seno hanno dovuto rinunciare, senza la certezza di una concreta aspettativa di vita.


mercoledì 12 luglio 2006

Le forme dell'amore



Storie di cronaca che s’intrecciano e rivelano realtà amare. Composte da arroganza, stupidità, violenza e umana pietà. E poi gioia, serenità, quelle alimentate dalla quotidianità e arricchite dall’ascolto attento e affettuoso.


Di amore, in verità, ne scorgo poco nel primo episodio. C’è un mascheramento, un travisamento (dell'amore) e la domanda finale si impone: che ne sarà di lei e, in fondo, anche di loro?


 


Belluno, una bidella con tre figli è rimasta incinta e, ora ha una bimba

La famiglia dello studente avrebbe cercato di istigarla all'aborto


Lei trent'anni, lui solo quindici. Finisce in tribunale l'amore proibito


E ci sarebbero state anche minacce da parte della donna al ragazzo




BELLUNO - E' una vera e propria guerra giudiziaria a Belluno quella scatenata dall'amore proibito fra una bidella 30enne, Anna Michelin, e uno studente di 15 anni. La donna, già madre di tre figli, è rimasta incinta del ragazzo, dal quale ha avuto una bambina che ha oggi due anni. Dopo aver appreso della futura paternità, lo studente ha troncato il rapporto e da quel momento si scatena una vera e propria guerra fra Anna e i genitori del giovane: la bidella ha denunciato la famiglia del ragazzo per istigazione all'aborto e a sua volta è stata accusata per minacce telefoniche.

Il 30 novembre i genitori del padre-bambino, oggi appena maggiorenne, e Anna Michelin, che adesso di anni ne ha 33, si troveranno in Tribunale, tutti sul banco degli imputati. Gli uni per rispondere di violenza privata per aver cercato di indurla ad abortire e lei di minacce continuate nei confronti del ragazzino, che di quel figlio in arrivo non ne aveva mai voluto sapere. Minacce via sms anche per la fidanzatina del ragazzo, con messaggi del tipo "'se ti vedo in giro con lei ti spacco le ossa''.

Questa storia ricorda quella avvenuta negli Usa fra Mary Kay, insegnante 34enne e il suo allievo di 12 anni. Dopo la condanna di lei a sette anni e mezzo per violenza su minore e due figli, i due si sono sposati.


repubblica.it (11 luglio 2006)


 


Ancona, tragedia per una coppia di anziani. La donna era malata di Alzheimer

Il marito, 85 anni, l'ha soffocata, poi si è tolto la vita a coltellate


Uccide la moglie e si suicida, ma prima telefona al 118




ANCONA - Uccide la moglie soffocandola e poi si suicida con una coltellata al cuore. Aldino Manarini, 85 anni, di Ancona, ha messo così fine a un dramma famigliare che affondava le radici nell'Alzheimer. Ha ammazzato la compagna della sua vita, Luciana, 77 anni, poi si è tolto la vita. Prima, però, ha chiamato il 118 per spiegare quello che aveva fatto e che stava per fare. Intorno alle 19.00 Manarini ha chiamato il servizio di Pronto intervento: ha comunicato al centralinista di avere ucciso la consorte e di essere sul punto di suicidarsi.


La corsa dei soccorritori verso l'abitazione della coppia - un appartamento condominiale con giardino in via Manzoni - è stata vana. Una volta sul posto, il personale del 118 ha potuto soltanto constatare la morte della donna, vedendo poi andare a vuoto il tentativo di rianimare l'uomo, immediatamente parso gravissimo.


Stando a quanto è stato possibile ricostruire, Manarini - ormai pensionato, distintosi in passato per l'attività svolta a favore dell'Avis - avrebbe ucciso la moglie, da tempo malata di Alzheimer soffocandola, forse con un cuscino. Ha poi telefonato al 118, dicendo di averla strangolata, e ha quindi attuato il suicidio con un coltello, vibrandosi dapprima dei colpi all' addome e poi piantandoselo nel cuore.


Nonostante la crudezza della scena, alcuni particolari rilevati dagli investigatori sarebbero però significativi di un gesto compiuto da una persona animata da grande affetto per la compagna di una vita: il corpo di Luciana Manarini è stato infatti trovato seduto su una sedia in cucina, senza alcun segno esterno (solo lievi lesioni all'interno della bocca hanno rivelato la dinamica pressoria del soffocamento), con il capo appoggiato a un cuscino, come se il marito, sopprimendola, non avesse voluto farle del male. Dopo avere ucciso la moglie, l'uomo si è sdraiato su un plaid in un locale adiacente e si è dato la morte.


repubblica.it  (12 luglio 2006)


 


Ma la vita è anche cronaca familiare, tenera e lieta.


Dal blog di Beppone.


“Ricordo benissimo tutti quelli che c’erano .. e che ci hanno festeggiato.. e le fatiche prima del matrimonio che credevo fossero immani.. ma quelle dopo.. quelle dopo le ho fatte tutte con un cuore diverso.


La nostra prima casa in affitto... le nostre risate... i nostri screzi... ricordo tutto di questi 9 anni.. la nostra Sara e i suoi occhioni aperti quando l’ho presa in braccio la prima volta…


Ti amo Franci ... se non ti avessi sposata la mia vita sarebbe stata soltanto un banale sopravvivere... e invece con te è vita...


Grazie di esserci... grazie di essere la mia metà mela da 9 anni.. grazie di essere una stupenda mamma... grazie di essere una moglie fantastica che mi sopporta e che mi sta vicino.. un po’ rompipalle a volte... ma spesso me lo merito anche...”


 

lunedì 10 luglio 2006

Dove volano le aquile


 



 



 


E' azzurro il cielo sopra Berlino...


(foto 1 e 2 da repubblica.it; foto 3 da corriere.it)

domenica 9 luglio 2006

Allez Italie


 


Domenica 11 luglio 1982, mi recai come al solito in edicola per acquistare i quotidiani, ma a differenza degli altri giorni mi sedetti davanti al classico ”Bar dello sport” per leggere i giornali (per prima ovviamente “La Gazzetta”), commentare pubblicamente le ultime notizie provenienti da Madrid e così iniziare idealmente pure la preparazione della serata.


Si trattava, peraltro, di definire gli ultimi dettagli, con gli amici del gruppo, per la visione collettiva della finale di Coppa del Mondo, poiché in precedenza, dodici anni prima, non c’era stata questa possibilità. Occorreva decidere, in particolare, se mangiare prima o dopo la partita, secondo le correnti di pensiero più illuminate. Ma assistere ad una gara così importante, con gli spaghetti da digerire, rischiava di compromettere la visione e condizionare le reazioni agli eventi in campo. Cucinare dopo (anzi far cucinare da una volenterosa madre) poteva essere altrettanto inutile: in caso negativo sarebbe mancato l’appetito, in caso positivo ciascuno immaginava il modo migliore per festeggiare all’aperto, meglio ancora in massa.


Ma chissà poi come sarebbe stato, perché nessuno di noi ne aveva diretta conoscenza, visto che l’ultima vittoria italiana in un Mondiale risaliva al 1938 e il titolo europeo del ’68 non poteva essere equiparabile.


Ritiro pre-gara e poi il raduno, una decina di persone, a casa di un amico comune. Subito emozioni. Uno dei più esuberanti si feriva, non gravemente, ad una mano a causa di un violento pugno, inferto ad una vetrata, dopo il rigore fallito da Cabrini e poi...


La partita rivista in piazza su uno dei primi schermi giganti, tra cortei di folla, coriandoli, suoni, urla e sventolio di tricolori. Il mio, esposto nei giorni precedenti dal balcone, ricopriva il tetto dell’auto con cui scorazzammo in lungo e in largo. Ritornai a casa a notte fonda per restare ancora davanti alla tv ( sebbene il giorno dopo sarei dovuto partire per un lavoro estivo) ipnotizzato dalla telecronaca di Italia-Germania che forse andò in onda a ciclo continuo.


L’idea di ricomporre il gruppo, nel ricordo di quella notte, mi era venuta dopo l’emozionante Germania-Italia di martedì scorso e il conseguente ingresso in finale. Ma è stata un’idea che ho conservato per me, evitando di svilupparla e diffonderla. Radunarci non sarebbe stato difficoltoso, anche se le vicende della vita “adulta” hanno separato, differenziandoli, i nostri percorsi. E, per fortuna, siamo tutti vivi. L’amarcord magari sarebbe pure risultato gradito, eppure...


Tre o quattro anni fa, un amico di vecchia data aveva voluto dar corpo ad una festosa rimpatriata tra tutti coloro che avevano condiviso l’adolescenza sul campetto dell’oratorio. Preparazione meticolosa e lunga per cercare almeno una trentina di persone (per alternarsi durante la sfida), individuare una data giusta per tutti e poter così riproporre una di quelle “antiche” sfide calcistiche.


Gara in notturna, contrariamente alle nostre abitudini (interi pomeriggi a prendere a calci un pallone in ogni condizione climatica), ma anche un segnale del tempo passato. Quello più evidente, di segnale, era però l’aspetto fisico un po’ allargato – a voler essere indulgenti – di parecchi ex ragazzi.


Divertimento, soddisfazione, fatica ovvia per mantenere certi ritmi, meccanismi che si rimettevano faticosamente in moto, ma un senso generale che percepivo di malinconia, di forzata allegria per vecchie battute riesumate. Anche l’utilizzo dei “nomi di battaglia” (Cirillo, Stecco, Gnu, Tano, Ventura, Pizza, Indio) appariva anacronistico. Mi sentivo a disagio, immaginando che anche altri lo fossero.


Nelle logiche pause di gioco guardavo quei volti, cercavo aderenze improbabili con quelli memorizzati del bel tempo che fu e poi non riuscivo proprio a chiamare disinvoltamente “Biondo”, quell’incanutito funzionario di banca che aveva fatto coppia d’attacco con me. Oppure “Grillo”, il tondeggiante vigile urbano, autore di tanti salvataggi sulla linea di porta quando mi schieravo tra i pali.


Mi pareva, invece, di essere stato proiettato sul set di un “irreality show” dove la pretesa di spostare indietro le lancette dell’orologio era naufragata, aggiunta al timore (mai indagato) che anche gli altri pensassero la stessa cosa e che quella parodia sarebbe andata avanti fino a quando qualcuno non avesse gridato che il re era nudo.


Per questo motivo l’idea (geniale in teoria) di un raduno per la finale mondiale di Berlino, l’ho strozzata di lì a pochi minuti, il tempo necessario per rievocare quella serata di memoria calcistica. Sarebbe stato affogare nella malinconia e, di questi tempi, ne faccio volentieri a meno.


Ma, se festa sarà, che sia piena, perché semel in anno licet insanire (una volta all’anno è lecito impazzire).


 

giovedì 6 luglio 2006

Una giornata particolare


I tuoni e i fulmini si sono abbattuti all’ora di pranzo. Saettanti da Roma le durissime richieste del pm Stefano Palazzi, al processo su Calciopoli, per le società coinvolte: Juventus in serie C con sei punti di penalizzazione e gli ultimi due scudetti revocati, Milan (con tre punti di penalizzazione), Fiorentina e Lazio (con 15 punti di penalizzazione entrambe) in serie B. Cinque anni di squalifica, con proposta di radiazione, per quasi tutti gli imputati coinvolti.


Un macigno pesantissimo calava sulla semifinale mondiale di Dortmund tra Germania e Italia, che si sarebbe disputate in serata. Ansie e patemi d’animo, ancora maggiori del solito, accompagnavano le ultime ore della vigilia. Impermeabilizzati nella loro camera anecoica di concentrazione, gli azzurri (quelli veri) non venivano demoliti e la gara contro i tedeschi assumeva, progressivamente, le sfaccettature del mito.


Batticuore, il terrore della soluzione finale ai rigori, mentre si vivevano in apnea i 30’ dei supplementari e le suggestioni della storia calcistica amplificavano l’evento. Palpiti terminali e poi venne Pirlo, la luce dell’invenzione dopo quasi due ore di gioco, il pallone depositato sui piedi fatati di un ragazzo che stava già vivendo la sua favola: colpo Grosso e l’Italia entrava in finale, spalancando le porte con Del Piero un attimo più tardi. Irruzione a Berlino, domenica sera, trasportati sulle ali dell’entusiasmo verso un sogno. Forse scenderà in campo anche Gilardino, un predestinato, con quella data di nascita: 5 luglio 1982. Sei giorni dopo sarebbe stata l’apoteosi.


Mentre oggi c’è la rabbia per essere stati espropriati di un incitamento che apparteneva a tutti noi.


Ma le strade della storia non sportiva avevano previsto anche un altro incrocio tra Germania e Italia, pochi giorni prima.


STRAGE SS MARZABOTTO: RIPRESO A LA SPEZIA IL PROCESSO


(AGI) - La Spezia, 3 lug. - E' ripreso oggi, al tribunale militare della Spezia, il processo sulla strage nazifascista di Marzabotto (Bo) perpetrata dalla 16ma divisione corazzata granatieri Reichsfuhrer delle SS tra il 29 settembre e il 5 ottobre del '44: più di 800 vittime. Le udienze si svolgono in un cinema trasformato in aula giudiziaria per consentire al folto pubblico di partecipare. Presenti molti parenti delle vittime giunti dal bolognese. Oggi ancora questioni preliminari mentre da domani cominceranno a sfilare i primi testimoni, tra questi alcuni parenti delle vittime e il maresciallo della Guardia Di Finanza, Giuseppe Giannoni, che ricostruirà  i momenti della strage avvenuta nei comuni di Marzabotto, Grinzano e Monzuno. Prossime udienze il 17, 18, 20 e 21 luglio e poi il dibattimento riprenderà  in ottobre (5,6, 25, 26 e 27).


Gli imputati da venti sono scesi a 19 perchè Werner Ebert, classe 1925, è morto il 6 maggio scorso nella cittadina di Oschatz. Alla Sbarra l'ex sottotenente Paul Albers 87 anni; gli ex sergenti Joseph Baumann 81 anni; Hermann Becker 86; Otto Martin Jaehnert 85; Wihlelm Ernst Kusterer 84; Heinz Firtz Traeger 81; Helmut Trausner 82; Georg Wache 85 e Max Schneider 81; Max Roithmeier 84; l'ex maresciallo Hubert Bichler 86; l'ex caporale Walter Ernst Gude 80; l'ex maresciallo Adolf Schneider; l'ex soldato semplice Kurt Spieler 80; l'ex caporalmaggiore Otto Tiegel 83; i sottufficiali Albert Piepenschneider 81, Franz Stockinger 79; Helmuth Wulfe 82, e Gunther Finster 82. Si tratta a vario titolo di comandanti di squadra o di plotone presenti a Marzabotto nei giorni dell'eccidio”.


Qui non ci saranno vincitori, perché per mezzo secolo “gli armadi della vergogna” sono rimasti sigillati e questa strage è ancora impunita.


martedì 4 luglio 2006

Caffè letterario


 


Un giovane collega, dopo sei anni di lavoro, si dimette (ha trovato di meglio e di più adeguato alle proprie ambizioni). Nell’ultimo giorno di attività (venerdì) scrive un’e-mail che, attraverso la posta interna, arriva a tutti. La leggo, a causa dell’orario ridotto per i noti motivi, soltanto stamattina. E ne resto stupito.


Poche righe (sempre stato laconico), formali, eppure lasciano trasparire qualche emozione. Mi accorgo di averlo conosciuto assai poco. Stesso reparto, logisticamente posizionato male, tale cioè da non facilitare la socializzazione che così è stata sempre affidata alla pausa caffé.


Imbarazzo nel non sapere, quando ci incrociavamo, di cosa parlare, fatte salve le solite immancabili sciocchezze sul tempo e le stagioni. Si provava a scherzare, allora, sulla sua esuberanza fisica. Praticando, infatti, a livello agonistico body building, ci teneva ad ogni osservazione sul tema, indugiando magari nel comprensibile narcisismo. All’oscuro, presumo, delle battute infelici che provocava: da quella sommamente idiota sulle dimensioni dell’organo sessuale che, non si capiva perchè dovevano essere inversamente proporzionali alle masse muscolari, al cervello, un altro organo interessato, non molto sviluppato da chi presta la massima attenzione al proprio corpo. Tutta questa spazzatura si può sintetizzare come "invidia" che sprizzava dai tanti “vorrei ma non posso”.


Dunque cos’altro avrebbe potuto riservare la lettera di congedo di chi era stato sempre molto attento alla forma, all’esteriorità e alla riservatezza? Una citazione letteraria che mi sorprende, disvelando orizzonti inediti sulla persona. Così conclude: “A thing of beauty is a joy forever” (John Keats). “Una cosa bella è una gioia per sempre”. E poi, proseguiva lo sfortunato poeta inglese nel suo poema “Endymion”: “La sua grazia aumenta, non finirà mai nel nulla”.


Certo era improbabile che la pausa caffé potesse rivelare simili tendenze, a conferma di quanto sconosciuti restino certi aspetti delle persone che si frequentano abitualmente, tali da sorprendere poi quando inopinatamente emergono. Lasciando dietro di sè un indeterminato sentore di occasione mancata.

domenica 2 luglio 2006

Informazione e guerra (ai tempi de "il manifesto")


L’amico franceschito, nel suo ottimo blog, ha postato recentemente un pezzo, esemplare per chiarezza (come sua cifra stilistica), in cui riferisce della benemerita istituzione che è ormai diventata RaiNews 24 a motivo delle sue inchieste coraggiose, l’ultima delle quali va a scavare sulla mancata attribuzione delle medaglie d’oro al valor militare ai soldati italiani morti a Nassiriya.


Casualmente trovo un articolo de “il manifesto” (18 maggio 2006) che riferisce ancora di un’inchiesta di Sigfrido Ranucci e Maurizio Torrealta. Ottimi esempi di informazione: sia della testata giornalistica televisiva che di quella cartacea. Per quest’ultima, poi, considerata la delicatissima situazione economico-finanziaria che attraversa il giornale, credo valga la pena riportare il pezzo, a conferma che se “il manifesto” fosse costretto a cessare le pubblicazioni verrebbero a mancare le già scarse possibilità di essere informati seriamente, di valutare, di scegliere. In altri termini: di essere liberi.


 


Iraq, poligono di armi al laser


di Stefano Chiarini  


il manifesto -  18 maggio 2006


Agghiaccianti testimonianze sulla possibile sperimentazione di nuove armi ad «energia diretta», laser o a microonde, in Iraq e in Afghanistan. La nuova inchiesta di Ranucci e Torrealta in onda oggi su RaiNews 24. Prime ammissioni dei comandi Usa: le abbiamo usate per lo sminamento. Pronto il «raggio del dolore»


«Nei corpi di alcune vittime della battaglia all’aeroporto di Baghdad nel 2003 ho riscontrato alcune stranezze inspiegabili come il fatto che tre passeggeri di una macchina avevano il volto bruciato e senza gli occhi, ma i loro corpi non mostravano ferite di sorta, né segno alcuno di proiettili». Con queste parole Majid al Ghazali, primo violinista dell’orchestra di Baghdad riferiva, all’indomani della seconda guerra del Golfo, i suoi sospetti al filmaker Usa Patrick Dillon, sulla possibile sperimentazione in Iraq da parte del Pentagono di nuove armi ad energia «non cinetica» ma ad energia diretta (laser) e a microonde. Armi «invisibili» che lanciano elettroni ad alta velocità e a grande distanza. Versione moderna e tragicamente funzionante del famoso «raggio della morte» proposto inutilmente nel 1942 agli Usa dal fisico Nicola Tesla.


Il musicista iracheno, Majid al Ghazali, assai noto, è uno dei testimoni oculari dalle cui parole si dipana l’inchiesta di Sigfrido Ranucci e Maurizio Torrealta sulle nuove armi sperimentate in Iraq e in Afghanistan, ma che potremo presto vedere all’opera anche nel cuore dell’Occidente. Il programma, presentato ieri alla Federazione Nazionale della Stampa a Roma dagli autori e da Roberto Morrione direttore di RaiNews 24, andrà in onda oggi, giovedì, alle 7,36, anche su RaiTre, e di nuovo alle 13,06, oltre ad essere consultabile in italiano, inglese e arabo sul sito www.rainews24. Un’inchiesta «indiziaria», ha sostenuto Roberto Morrione, ma che poggia su indizi, testimonianze ed elementi di fatto assai solidi e concreti. Il violinista iracheno, rintracciato recentemente ad Amman dalla troupe di RaiNews24 ha infatti riferito anche altri tre importanti indizi: un autobus colpito vicino all’aeroporto si sarebbe «accartocciato come un vestito bagnato riducendosi alle dimensioni di un pulmino»; i soldati Usa in alcune aree dell’aeroporto - come poi sarebbe avvenuto di nuovo a Falluja due anni dopo - avrebbero «raschiato» il terreno portandolo via a bordo di grandi camion; i corpi delle vittime erano come rimpiccioliti e disidratati. Ranucci e Torrealta hanno poi trovato un’altra interessante testimonianza, quella di alcuni medici dell’ospedale di Hilla, 100 chilometri a sud di Baghdad, registrata in video da Geert Van Morteer, medico volontario in Iraq. Saad al Falluji, uno dei medici intervistati, racconta come un giorno durante la guerra del 2003 fosse arrivato al pronto soccorso un piccolo bus, appena colpito, nel quale una ventina di passeggeri erano stati come fatti a pezzi ma non si sa da cosa. Nessuno dei superstiti aveva sentito alcuna esplosione, non vi erano pallottole, schegge o frammenti di sorta nei loro corpi. Gli autori dell’inchiesta di fronte a queste testimonianze hanno chiesto di intervistare le società produttrici dei sistemi d’arma al laser e a microonde, ma il Pentagono ha opposto un netto rifiuto. Eppure alla vigilia della guerra sia il segretario alla difesa Rumsfeld, sia, soprattutto, il generale Meyers avevano fatto delle mezze ammissioni sulla loro disponibilità a sperimentare armi di questo tipo. In realtà l’esistenza di sistemi d’arma laser non è cosa nuova ed è provata dalle immagini di numerosi test relativi al «Thel» acronimo di «Tactical High Energy Laser» - un progetto americano-israeliano - che mostrano alcuni missili e ogive di mortaio colpiti e distrutti da un raggio invisibile.


Il passaggio dalla sperimentazione in laboratorio di armi ad energia diretta a quella sui campi di battaglia sembra confermata dagli stessi ambienti militari Usa secondo i quali un dispositivo laser chiamato «Zeus» montato su alcuni Humvee, una specie di Jeep, sarebbe stato impiegato in Afghanistan per bonificare a distanza dei campi minati. Inoltre secondo due accreditati siti di informazioni militari il «Defence Tech» e il «Defence Daily» almeno tre veicoli simili sono stati usati in Iraq. L’inchiesta infine si occupa di un altra arma particolare, questa volta a microonde, chiamata «Active Denial System», meglio conosciuta come «Raggio del dolore», il sistema d’arma, montato anch’esso su un automezzo, ha la capacità di attivare, attraverso un raggio a microonde, i ricettori del dolore nelle persone colpite facendole impazzire dal dolore per alcuni secondi. L’arma viene presentata come «non letale», tanto che ne è stato teorizzato l’uso per il controllo dell’ordine pubblico interno nelle città occidentali, ma in realtà potrebbe provocare gravi ferite e danni permanenti e, per le sue caratteristiche, potrebbe essere usata per torturare e anche per uccidere. Secondo la rivista militare «Defence Industry Daily» tre modelli di quest’arma montati su veicoli sarebbero stati ordinati, per 31 milioni di dollari, dal generale di brigata James Huggings, capo dello staff della Forza Multinazionale in Iraq che avrebbe anche chiesto l’approvazione per altri quattordici esemplari. Sempre per il bene degli iracheni e della democrazia.