mercoledì 18 aprile 2007

Una sfacciata impunità

La discarica delle nequizie del mondo sono gli Stati Uniti d’America di George W. Bush e dei suoi accoliti, una vera e propria associazione a delinquere che può godere della totale impunità, compiacenza e servilismo. Vantarsi di avere come amica questa dirigenza statunitense non mi pare certo un fiore all’occhiello, perchè non c’è nulla di cui essere orgogliosi, se non provare quintalate di vergogna che i tanti lacchè nostrani del cow boy texano peraltro ignorano dove abbia dimora. Il pianeta starà meglio senza di loro.


Torture, in Iraq si può Rumsfeld «non punibile»


Abusi su 9 prigionieri di Abu Ghraib, l'ex ministro della difesa è colpevole ma «non perseguibile»: i diritti degli americani non si applicano agli stranieri


Franco Pantarelli


il manifesto (29 marzo 2007)


New York - Donald Rumsfeld è colpevole del reato di tortura, ma non è perseguibile. L'ex ministro della Difesa americano, nonché «genio» della guerra in Iraq, è dunque stato liberato dall'accusa che due organizzazioni per la difesa dei diritti umani - Aclu e Human Rights First - avevano presentato contro di lui in nome di nove ex prigionieri di Abu Ghraib che non avevano fatto nulla (nel senso che nessun crimine è mai stato loro contestato) ma che hanno subito ugualmente il trattamento vigente in quel luogo. Nella loro denuncia raccontavano che i loro aguzzini li hanno picchiati, li hanno appesi al soffitto a testa in giù, gli hanno urinato addosso, gli hanno applicato scosse elettriche, li hanno umiliati sessualmente, li hanno bruciacchiati in varie parti del corpo, li hanno praticamente sepolti in cellette in cui non potevano neanche muoversi e li hanno terrorizzati con false esecuzioni.


Liberato, Rumsfeld, ma non sollevato. La motivazione con cui il giudice federale Thomas Hogan ha dichiarato la sua non punibilità è infatti allo stesso tempo una durissima requisitoria contro di lui e gli altri accusati, e cioè il generale Ricardo Sanchez, il colonnello Thomas Pappas e la generalessa Janis Karpiski che era quella direttamente «in charge» di Abu Ghraib. Se Rumsfeld non fosse quello che tutti abbiamo imparato a conoscere in questi orribili anni, dovrebbe andare a nascondersi. «Questo è caso deplorevole», dice Hogan nella sua requisitoria di 58 pagine. E aggiunge che «sarebbe bello» avere la possibilità di «usare il tribunale per correggere gli abusi di potere». Ma «nonostante l'orrore che le accuse suscitano» non ci sono i mezzi legali per perseguire Rumsfeld e gli altri. Hogan dice anche che il caso sottopostogli è «senza precedenti», ma lui si è studiato i casi in qualche modo simili e in essi ha trovato la «fonte» per respingere la richiesta di processarli.

Le basi sono due. Una è che i diritti costituzionali riconosciuti ai cittadini americani non necessariamente si applicano ai cittadini stranieri, specialmente se i fatti che essi denunciano sono avvenuti fuori dal territorio nazionale come in questo caso. L'altra è che Rumsfeld e gli altri devono essere considerati «immuni» perché la loro azione si è svolta nell'ambito dell'«azione di governo». E per essere più specifico argomenta che consentire a questo caso di andare avanti porrebbe il governo alla mercè di «ogni sorta di denunce politiche». Paradossalmente, spiega ancora, «perfino Osama bin Laden potrebbe rivolgersi al tribunale, sostenendo che almeno due presidenti hanno cercato di ammazzarlo».


Decisamente forzata, la posizione di questo giudice, il cui interesse è sembrato molto più quello di salvare capra e cavoli (la condanna nelle parole, l'assoluzione nella sostanza) che quello di fare giustizia. E infatti il commento di Lucas Guttentag, l'avvocato dell'Aclu che ha sostenuto la necessità di processare Rumsfeld e gli altri, è stato decisamente duro. «Siamo profondamente delusi da questa decisione. Nonostante il riconoscimento che la tortura è categoricamente proibita e che il trattamento subito dai nostri rappresentati costituisce un’inequivocabile violazione dei diritti umani, il tribunale ha deciso che dei civili innocenti torturati dagli Stati Uniti non possono ricorrere ai tribunali americani affinché vengano puniti i responsabili di quel trattamento». E l'altro avvocato, Hina Shasmi di Human Rights First, ha aggiunto: «La libertà dalla tortura è fondamentale sia per la legge americana che per la legge internazionale. E' inammissibile che delle vittime come i nostri clienti non possano rivolgersi ai tribunali americani». In pratica, aggiunge, «questa decisione lascia un vuoto nella legge che di fatto il giudice ha riconosciuto. E ciò costituisce una pressione nei confronti del Congresso affinché questo vuoto venga colmato».


Ma è poi vero che non c'è una legge per processare Rumsfeld? Contro di lui c'è un altro procedimento in corso che potrebbe decidere esattamente il contrario. E' sotto esame in Germania, al tribunale di Karlsruhe, e in quel caso la pattuglia dei potenziali imputati è ancora più nutrita. Oltre a Rumsfeld e Sanchez, infatti, ci sono pure Alberto Gonzales, il ministro della Giustizia che in questi ha anche altro problemi, per i suoi famosi «memo» e l'ex capo della Cia George Tenet per le altrettanto famose prigioni non più segrete. Il governo tedesco, a quanto risulta, sta cercando di adoperarsi per non vedere distrutto - nel caso che questo processo vada avanti - tutto il lavoro fatto dalla povera Angela Merkel per riaggiustare i rapporti con Washington. Ma non pare che ci siano possibilità di bloccare il procedimento. La base su cui poggia, infatti, è che di fronte a un crimine contro l'umanità i confini non valgono. Lo dice il Codice dei crimini contro la legge internazionale diventato operativo in Germania nel 2002. Rumsfeld, insomma, non è ancora al sicuro.

lunedì 16 aprile 2007

I due terroristi


Scorrendo i quotidiani capita di incrociare notizie su cui ci si sofferma più del solito e che, talvolta (o sarebbe meglio dire spesso?), non vengono riprese con opportuno tempismo da altri media. È la scomparsa dei fatti (Travaglio docet) e se poi i fatti riguardano realtà scomode, impopolari, di scarsa presa perchè coinvolgono il tribuno del mondo allora il silenzio  e l’omissione sono stupidi e puzzano di servilismo.


Il pezzo apparso su “il manifesto” del 12 aprile rientra nella categoria e l’interrogativo finale, che ho evidenziato in grassetto, è fatalmente destinato a rimanere senza risposta. Non si disturba il manovratore.


Con il grazie di Bush il terrorista Posada è libero


Respinto l'ultimo ricorso, il tribunale federale conferma la liberazione dell'uomo che fece saltare il volo della Cubana nel '76 e firmò l'attentato all'Avana in cui fu ucciso l'italiano Di Celmo. E Fidel sul «Granma» accusa il presidente Usa: «La libertà a un mostro»


M.M.


Il presidente cubano Fidel Castro, che si sta riprendendo bene - a quanto sembra - dai postumi del delicato intervento all'intestino del luglio scorso, ha accusato ieri Bush e il governo degli Stati uniti di aver deciso a priori la liberazione del super- terrorista cubano-venezuelano Luis Posada Carriles.


Nelle sue «riflessioni» settimanali sul Granma Fidel ha scritto che «il più genuino rappresentante di un sistema di terrore imposto al mondo dalla superiorità tecnologica, economica e politica della potenza più poderosa mai conosciuta sul nostro pianeta, è senza dubbio George W. Bush. Perciò partecipiamo alla tragedia del popolo americano e dei suoi valori etici. Solo dalla Casa bianca potevano venire le istruzioni per la sentenza dettata da Katleen Cardone, giudice della Corte federale di El Paso, Texas, venerdì scorso, che ha concesso la libertà sotto cauzione a Luis Posada Carriles. E' stato lo stesso presidente Bush che ha eluso sempre il carattere criminale e terrorista dell'imputato. Lo ha protetto accusandolo solo di una violazione delle pratiche migratorie. La risposta è brutale. Il governo Usa e le sue istituzioni più rappresentative hanno deciso in anticipo la libertà del mostro».

A parte il termine «mostro», parole sante. Posada Carriles, che ha 79 anni, da una vita complotta contro Fidel e qualsiasi cosa sappia di Cuba. Lavorava con la Cia e partecipò all'attacco alla Baia dei Porci nel '61; organizzò l'attentato contro un volo della Cubana de Aviacion che provocò la morte di 76 persone alle Barbados nel '76; organizzò le bombe contro gli hotel dell'Avana in cui morì l'italiano Fabio di Celmo nel '97; nel 2000 cercò un'altra volta di assassinare Fidel in occasione di un vertice a Panama; cessata la sua collaborazione con la Cia passò in Venezuela dove ne fece di tutti i colori con la Disip, la polizia politica prima di scappare una volta arrestato.

Nel 2000 era stato arrestato appunto in occasione del vertice di Panama su denuncia precisa dello stesso Fidel ma nel 2004 la presidenta Mireya Moscoso per fare un piacere agli americani lo liberò. Entrò allora clandestinamente negli Usa, per ricongiungersi a Miami con la moglie e i suoi amici anti-castristi. Fu arrestato e da allora è detenuto. Ma mai per terrororismo, solo per l'entrata illegale negli Usa.

L'amministrazione Bush ha fatto di tutto per tenerlo a bagno maria e aspettare il momento opportuno per liberarlo e ringraziarlo per i servigi resi alla causa della libertà. Un giudice federale ha respinto nel 2005 la richiesta di estradizione del Venezuela (perché poteva essere «torturato»: le torture le possono praticare, a fin di bene, solo loro, gli americani, vedi alla voce Guantanamo). L'amministrazione ha cercato altri paesi «sicuri» a cui poterlo sbolognare in silenzio. Ma pare non li abbia trovati. Così venerdì è arrivata l'attesa sentenza della giudice di El Paso. Il dipartimento della giustizia per salvare la faccia ha presentato appello, in vista del giudizio fissato per l'11 maggio (sempre e solo per immigrazione illegale) ma ieri un'altra giudice federale del Texas ha respinto il ricorso e confermato la libertà sotto cauzione di 250 mila dollari (che pagherà l'esultante comunità cubana di Miami, non c'è problema).


Non male per il presidente e il paese della guerra globale al terrorismo. Che si ostina, con procedimenti giuridici cavernicoli, a tenere nelle galere Usa i 5 agenti cubani infiltrati fra i cubani anti-castristi proprio per prevenire e sventare eventuali attentati.

Infine una domanda: come mai il governo Prodi-D'Alema che mostra tanto attivismo con l'America latina, non ha mai chiesto l'estradizione di un assassino non pentito che ha provocato la morte di un cittadino italiano?


il manifesto (12 aprile 2007)

venerdì 13 aprile 2007

Non è Francesco


Il curioso di Assisi è che manca proprio lui: Francesco. Certo ci sono il ristorante-bar dedicato al santo, l’hotel dedicato al santo, la via dedicata al santo, una qualche pizzeria o gelateria dedicata al santo, la piazza dedicata al santo, ma non ci sono sue tracce, quelle del fondatore dell’Ordine mendicante, il predicatore della povertà e della meditazione, colui che rinunciò agli agi e alle ricchezze derivanti dallo status familiare di una borghesia tra le più in vista della cittadina umbra. Invece ci sono, sfolgoranti, tutti i segnali dello sfruttamento commerciale intensivo del suo nome. Segnali non solo sfolgoranti, ma pure molto fastidiosi.


Ma cosa possono avere in comune con lui quelle mandrie che si trascinano da un punto all’altro del piazzale di fronte alla basilica, un fiume di folla che si urta, si mescola, entra da un ingresso ed esce dalla parte opposta continuando la transumanza pochi metri più sopra. Coppie giovani, coppie scoppiate, famiglie con uno, due, tre bambini, le immancabili carrozzine con bebè urlanti, i solitari, i gruppetti e i grupponi tutti sospinti da un’assurda bulimia consumistica: prima con gli occhi, poi con la conquista delle postazioni migliori, arrancando lungo le salite e sparpagliandosi nei punti pianeggianti, invadendo vicoli e seguendo l’improbabile filo rosso della devozione.


L’assalto agli autobus navetta che inizia alla stazione ferroviaria e si ripete per il tragitto di ritorno, oppure per la vicina destinazione di S. Maria degli Angeli con l’autista che arriva, urla il luogo di approdo e il blob umano si avventa sulle portiere che stanno aprendosi, poi guadagna credito la voce che la direzione è quella opposta e allora la mandria perde pezzi e si ricostituisce più grossa di prima (è un mistero divino) sul marciapiede in attesa del mezzo successivo.


Basilica inferiore o superiore? Si propende per la prima e il blob umano è un muro più impenetrabile di quello di Gerusalemme. Curiosamente sono stati abilitati, all’interno della chiesa, due spazi: quello riservato a chi dovrebbe partecipare alla funzione religiosa e l’altro, comprensibilmente più ristretto, per gli osservatori, mentre i guardiani del tempio si affannano a chiedere il silenzio, quando un pargolo piange.  Ma come si fa a discernere un lamento in quel mugolare indistinto? Si attende la fine della messa per poter ammirare Giotto, Cimabue, Simone Martini, ma basta alzare gli occhi e la volta annichilisce per la sua magnificenza. Veramente tutto è straordinariamente impregnato di bello, ma potersi concentrare è impossibile.


Meglio uscire e tentare la fortuna nella basilica superiore, ma anche qui è peggio che andar in una notte buia e tempestosa. Il blob umano occupa ogni interstizio, ogni fessura e quando poi si prospetta la possibilità di avvicinarsi all’altare maggiore, perchè gli spazi sembrano aperti, ecco che si viene respinti con perdite, perchè un’altra messa seguirà quella appena conclusa. E allora via dalla pazza folla, all’aperto, sotto il caldo sole. Via dalla pazza folla? Se lo pensi sei un pazzo! All’esterno si accalcano coloro che vorrebbero entrare e quelli che sono appena usciti, ma restano incerti. Il blob umano è indecoroso nella sua prorompenza.


Nella chiesa di Santa Chiara c’è una guardiana occhiuta, puntigliosa e parca di parole: “silenzio”, “no foto”. Le ripete come un mantra e mentre la fila si snoda verso l’interno della navata s’ode una voce flautata, di monaco in contemplazione, anche lui dotato di vocabolario light: “no foto”, “silenzio”. Dapprima ci si guarda attorno, poi matura il convincimento che si tratti di voce virtuale, di un ripetitore automatico. L’importante però è la funzione deterrente: le fotografie non si scattano, ma si comperano.


L’arrampicata verso il culmine, che è poi la piazza principale, assomiglia ad un moderno calvario: tante le cadute, ma di stile. C’è chi sale, ma anche chi scende senza distinzione, oscenamente bar e pizzerie ostentano spudorati cartelli con il menu del giorno. Quasi si va a sbattere in negozietti di paccottiglia varia.  Penso che santo Francesco avrebbe molto da eccepire, magari sconfesserebbe la sua terra natale. Quale attinenza può avere con la bottega che espone t-shirt dalle scritte idiote, autentico attentato all’intelligenza: dall’avviso che “Dalla” non è il cognome del cantante, all’elenco delle innumerevoli cose che “lui” deve fare per compiacere “lei”, per terminare con le date da ricordare (comprese quelle delle mestruazioni), però sempre con il rischio che poi la donna così blandita se ne vada con il primo che capita. Invece l’uomo, quello vero, è di poche pretese: due al massimo.

venerdì 6 aprile 2007

Gli auguri

Avrei desiderato scrivere a ciascuno di voi i miei auguri pasquali, purtroppo alla vigilia di una partenza il tempo risulta ancora più scarso degli altri giorni. E così devo lasciarli qui ai lettori di passaggio e a quelli ormai di casa. Ma a tutti, naturalmente, vanno gli auspici di feste serene. Il blog va in vacanza per pochi giorni. Al rientro so già di avere un lungo e paziente lavoro di risposte e integrazioni ai commenti.


BUONA PASQUA!

giovedì 5 aprile 2007

Maternamente dannate


Questo post si può anche considerare l'interfaccia o l'ideale prosecuzione dell'argomento già avviato il 30 marzo scorso. Anche il pezzo che riporto, un commento di Umberto Galimberti, non è recente, ma risale a oltre due anni fa, eppure la tematica di madri assassine, di famiglie sconvolte da queste tragedie rimane sempre d'attualità. Non mancano i precedenti, sempre di quel periodo, per meglio contestualizzare il tutto. Nel gennaio 2002 a Cogne viene ucciso in casa Samuele Lorenzi, 3 anni. Del delitto viene accusata la madre. Maggio 2002, Sondrio: una donna uccide la figlia di 8 mesi mettendola nella lavatrice. Giugno 2002, Aosta: una madre affoga i suoi due figli (uno di 4 anni e l'altro di 21 giorni nel lago di Les Iles. Sempre nel 2002, a Parma una mamma si butta dalla finestra col figlio di 9 anni (in coma da 3). Muoiono entrambi. 2003, Desenzano: una madre si lancia dal balcone con la figlia di 8 giorni. La bimba muore, lei si salva. Nello stesso anno, ad Acireale, una donna tenta di uccidersi con la figlia di 8 anni lanciandosi nel vuoto. Ma l'auto su cui viaggiavano si ferma contro un albero e poi le due si salvano dal successivo salto di 40 metri. Novembre 2004, Firenze: una ragazza uccide il bimbo appena nato e lo nasconde 15 giorni in valigia. Dicembre 2004, Cremona: una mamma getta la figlia dal quarto piano e poi tenta a sua volta il suicidio. Morta la bimba di 3 anni.


E dopo questo doloroso elenco si può leggere Galimberti il quale, come molto spesso capita, riesce a catturare l’attenzione fornendo stimoli di riflessione e offrendo un punto di vista mai banale né omologante, semmai sottilmente inquietante.


Le madri da accudire


Umberto Galimberti


la Repubblica (7 dicembre 2004)


Ancora una madre che uccide la figlia. Ancora l’eterno dramma che si ripete. Perché il mistero della maternità, che noi siamo soliti edulcorare con i buoni sentimenti, è un abisso terribile, dove l’amore s’intreccia col dolore, la benedizione con la maledizione, la luce del giorno col buio della notte, dove tutte le cose sono incatenate, avvinghiate, intrecciate, innamorate, senza una visibile distinzione, perché, come l’amore e la crudeltà della natura, così l’abisso della maternità genera la vita e, nella disperazione, la toglie.


Approfondiamolo questo mistero della maternità, segreta custodia del potere assoluto: il potere di vita e di morte, che il re ha sempre invidiato alla donna che genera, e in mille modi ha cercato di far suo. Non sigilliamo l’evento nella sindrome depressiva, non releghiamolo subito nella psicopatologia. Non ci serve porlo ai limiti dell’umano, per procedere nella nostra acquietante persuasione che per natura le madri amano i figli.


L’amore, che è toglimento di morte (a-mors), confina con la morte, e sottilissimo è il margine che vieta di oltrepassare il limite che fa di uno sguardo sereno uno sguardo tragico. Per questo, quando un figlio nasce e cresce, bisogna accudire le madri. Troppa è la metamorfosi del loro corpo, la rapina del loro tempo, l’occupazione del loro spazio fisico ed esteriore, interiore e profondo. E quando l’anima è vuota e nessuna carezza rassicura il sentimento, lo consolida e lo fortifica, il terribile è alle porte, non come atto inconsulto, ma come svuotamento di quelle risorse che fanno argine all’amore separandolo dall’odio, allo sguardo sereno che tiene lontano il gesto truce.


Non basta che i padri assistano al parto, come è costume dei tempi, molto più utile assistere madre e figlio nel logorio della quotidianità, accarezzare l’una e l’altro per cercare quell’atmosfera di protezione che scalda il cuore e, col calore che genera, tiene separato l’amore dall’odio.


Lavoro arduo che tutti coloro che amano conoscono in quella sottile esperienza dove incerto è il confine tra un abbraccio che accoglie e un abbraccio che avvinghia e strozza.

La natura contamina questi estremi. E la madre, che genera e cresce nell’isolamento e nella solitudine conosce quanto è fragile il limite. Non sa più cosa accade dentro di lei, e le sue azioni si compiono senza di lei.


Per questo natura vuole che a generare si sia in due, non solo al momento del concepimento e del parto, ma soprattutto nel momento dell’accudimento e della cura. Dove a essere accudito, prima del figlio che segue la sua cadenza biologica, è la madre, che ha messo a disposizione prima il suo corpo, poi il suo tempo, poi il suo spazio esteriore e interiore, infine l’ambivalenza delle sue emozioni che camminano sempre sfiorando quel confine sottile che separa e a un tempo congiunge la vita da morte, perché così vuole la natura nel suo aspetto materno e crudele.


Un invito ai padri: tutelate la maternità nella sua inconscia e sempre rimossa e misconosciuta crudeltà. Questa tutela ha un solo nome: «Accudimento», per sottrarre le madri a quella luce nera e così poco rassicurante che fa la sua comparsa nell’abisso della solitudine.


 


 


 


 


 


 

lunedì 2 aprile 2007

Alati pensieri


In un Paese serio si potrebbe anche trattare di disinvolta “distrazione di fondi”, seppure non in senso letterale, oppure di “cambio di destinazione d’uso”. In ogni caso la vicenda non è per nulla edificante ed istruttiva e forse l’unica morale che se ne può trarre è che per questi “bestioni” (siano essi aerei o navi) i soldi si trovano sempre. Se l’uso fosse stato appropriato nulla da eccepire, ma in questo caso diventa sempre più imbarazzante sostenere un governo di centrosinistra che avalla sciagurate decisioni della banda B.1816.


Ai vip il primo aereo dell'Arma


E' appena arrivato nella flotta dei carabinieri ed è costato 8 milioni di euro. Doveva servire a pattugliare le coste e invece ora ospita un salottino per metter comodi gli alti ufficiali


Sara Menafra


il manifesto (29 marzo 2007)


«Più mezzi per i nostri uomini» si dice in questi giorni pensando alla guerra che prende fuoco ad Herat. E giù applausi anche a sinistra. Peccato però che poi, quando i mezzi si comprano, magari a caro prezzo, spesso vengano dirottati dal nobile uso di «difendere la patria» a quello più prosaico di portare in giro qualche vip o plurigraduato delle Forze armate.


L'ultimo caso è datato 14 dicembre 2006. Dopo anni passati a lamentarsi del fatto che nonostante la riforma che li ha resi la quarta forza armata i Carabinieri avevano solo elicotteri, finalmente gli uomini dell'Arma vedono arrivare all'aeroporto di Pratica di mare il primo vero e proprio aereo della novella flotta. Il velivolo è stato acquistato dal ministero degli Interni per otto milioni di euro, con l'obiettivo di fornire un mezzo idoneo a «pattugliare le coste». Eppure, poche ore dopo l'arrivo, dall'aereo fresco di hangar è stata smontata la telecamera installata per presidiare la penisola dall'arrivo dei clandestini. E un mese fa all'interno del velivolo è arrivato un comodo salottino in pelle bianca che ha il considerevole difetto di rendere impossibile l'uso per cui l'aereo era stato comprato.


Il contratto che mostriamo in questa pagina (a pagina 7 del manifesto sono pubblicati foto e contratto n.d.r.) spiega con solare semplicità che il ministero della Difesa all'epoca del governo Berlusconi ha comprato dalla Piaggio aereo industries Spa due velivoli, uno per i carabinieri e l'altro per la polizia, perché una parte dei finanziamenti stanziati «nell'ambito del "Progetto integrato di sicurezza per le regioni dell'obiettivo 1 (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia ndr) e per l'Abruzzo e il Molise"» erano destinati «al Dipartimento della pubblica sicurezza per la realizzazione del piano di interventi finalizzati alla riduzione del livello di permeabilità delle frontiere e al potenziamento del controllo del territorio». La scelta è chiara: «Acquisto di n. 2 velivoli ad ala fissa da destinare alla polizia di stato ed all'arma dei carabinieri per il successivo impiego nell'opera di contrasto del fenomeno migratorio». Nel prezzo del contratto, 16.128.000 di euro, sono comprese le telecamere «Flir tv» (Forward looking infrared) e i corsi di addestramento per piloti.


Per i carabinieri il passaggio ai velivoli «ad ala fissa» è un po' un giro di boa, ne parla persino l'Espresso in un piccolo articolo dell'8 giugno 2006, che accompagna un reportage per buona parte dedicato ai guai che i p180 hanno creato allo stato italiano negli scorsi anni: «I voli vip? - dice il testo evidenziando quanto e come i Carabinieri annuncino la propria distanza dal passato altrui - Non sono previsti. Ma si conta sul p180 per collegare i comandi dell'Arma sparsi nei Balcani, in Macedonia, Kosovo e Bosnia». Dopo il rapido intervento dei tecnici Piaggio all'aeroporto di Pratica di mare, il p180 dell'Arma ha avuto giusto il tempo di fare un paio di voli per trasporto passeggeri. Poi, il 20 febbraio, è stato restituito alla ditta Piaggio: una decina di giorni di lavoro (extra contratto, ovviamente, e dunque pagati a parte) e il 5 marzo ecco che l'aereo torna con la «configurazione a bassa densità» in cui appunto, come spiega il manuale tecnico allegato al velivolo, «l'impianto Flir/tv non è imbarcabile». Per pilotare il p180 sono stati selezionati e spediti negli Stati uniti sei carabinieri e anche qui c'è qualcosa che non torna, visto che pare che nei prossimi giorni sarà indetto un nuovo concorso per formare a questo incarico anche una settima persona che godrebbe della fiducia del comando generale.


In ogni caso l'aereo in questione ha volato regolarmente e più volte e del compito originario di quel velivolo tutta l'Arma sembra aver perso memoria, tanto che sono gli stessi militari a pubblicare su siti amatoriali foto come quella che mostriamo (sempre visibile a pagina 7 n.d.r.), in cui si nota con chiarezza che la telecamera esterna che dovrebbe essere ben visibile (sembra una grossa palla bianca) nella parte posteriore dell'aereo non c'è.


In realtà, spiegano i tecnici che conoscono il mezzo, il p180 non è mai stato considerato l'aereo giusto per il pattugliamento delle coste. Perché da sempre il p180 è considerato la «Ferrari dei cieli» e perché per utilizzare correttamente la Flir/tv l'aereo deve scendere ad una velocità di 210 chilometri all'ora, cioè quasi al punto in cui stalla. Eppure l'amministrazione italiana continua a comprare la prestigiosa limousine alata. Quelli di Carabinieri e Polizia sono solo gli ultimi due di trentuno acquisti fatti nel corso degli anni un po' da tutti. Dalla Protezione civile come dai Vigili del fuoco, dall'Aeronautica alla Marina fino alla Guardia di finanza. Anche quelli della Forestale e dei Vigili del fuoco avevano giustificato l'acquisto spiegando che il velivolo sarebbe stato usato per «vigilare sui boschi con apparati speciali», (come rispose il governo davanti ad alcune interrogazioni parlamentari). All'epoca, sui p180 le telecamere contro il fuoco non furono neppure montate.


Foto:Piaggio P180 Avanti (http://www.alfonsomartone.itb.it/pgvezc.html)



 

Petizione per la candidatura di Gino Strada al Nobel per la Pace

Il nostro blog (www.tafanus.it) ha lanciato una petizione per la candidatura di Gino Strada al Nobel per la Pace. A 9 giorni dall'inizio, la petizione è già stata firmata da 4.000 cittadini, anche grazie al supporto determinante della rete, che ha sposato massicciamente la nostra iniziativa.

E' stato raggiunto un grande traguardo in brevissimo tempo. E' necessario mettercela tutta. Abbiamo bisogno che tutti coloro che ci tengono e ci credono, diano un contributo operativo, scrivano ai blogs (magari sotto forma di commento Off Topic), inviando il link  

 

 www.tafanus.it

oppure il link

 

http://www.PetitionOnline.com/ginostra/petition.html

 

e chiedendo sia ai bloggers che ai privati di innescare una catena di Sant'Antonio. Se ognuno che riceve questo invito lo inviasse alla propria rubrica email, con preghiera di inoltro, potremmo ottenere dei risultati fantastici. Abbiamo bisogno del supporto di associazioni, di partiti, di giornali, di singoli parlamentari, si semplici cittadini. Quello che segue è il testo che stiamo inviando noi, ma ovviamente ciascuno è libero di adottarlo o di scriverne uno proprio: "Abbiamo lanciato una petizione per la candidatura di Gino Strada al Premio Nobel per la pace. per l'opera complessiva che Gino Strada ed  Emergency hanno compiuto e compiono in ogni angolo del mondo a favore dei diseredati di ogni razza e di ogni fede. Chi volesse firmare questa petizione, troverà il link relativo sul nostro blog, in alto sulla colonna di sinistra, sulla foto di Gino Strada. L'indirizzo del sito é: http://www.tafanus.it Firmate, invitate i vostri amici a farlo e a far circolare questo invito, ed invitate i blogs che frequentate a creare un link che porti alla firma della petizione. Vi invitiamo altresì a firmare la petizione lanciata dal Emergency, per la liberazione dei due collaboratori di Gino Strada ancora privati della libertà, e per la concessione di un modesto vitalizio alla famiglia dell'autista ucciso. La firma sulle petizioni di Emergency può essere apposta al seguente indirizzo:


http://www.emergency.it/appello/


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...cos'è Emergency...

 

Emergency è un'associazione umanitaria fondata a Milano nel 1994 per portare aiuto alle vittime civili delle guerre. Dal 1994 a oggi, Emergency è intervenuta in 13 paesi, costruendo 8 ospedali, 4 centri di riabilitazione, 1 centro di maternità, 55 tra posti di primo soccorso e centri sanitari. Su sollecitazione delle autorità locali e di altre organizzazioni, Emergency ha anche contribuito alla ristrutturazione e all'equipaggiamento di strutture sanitarie già esistenti.

Tra il 1994 e il 2006, i teams di Emergency hanno portato aiuto a oltre 2.300.000 di persone.


Proprio perché conosce gli effetti della guerra, sin dalla sua costituzione Emergency è impegnata nella promozione di valori di pace. Nel 1994 Emergency ha intrapreso la campagna che ha portato l'Italia a mettere al bando le mine antiuomo. Nel 2001, poco prima dell'inizio della guerra all'Afganistan, ha chiesto ai cittadini di esprimere il proprio ripudio della guerra con uno "straccio di pace".


Nel settembre 2002, insieme ad altre organizzazioni, ha lanciato la campagna "Fuori l'Italia dalla guerra" perché l'Italia non partecipasse alla guerra contro l'Iraq. Con la campagna "Fermiamo la guerra, firmiamo la pace" Emergency ha promosso una raccolta di firme per la legge di iniziativa popolare "Norme per l'attuazione del principio del ripudio della guerra sancito dall'articolo 11 della Costituzione e dallo statuto dell'Onu", depositata alla Camera dei deputati nel giugno 2003.


Emergency è stata giuridicamente riconosciuta Onlus nel 1998 e Ong nel 1999. Dal 2006 Emergency è riconosciuta come Ong partner delle Nazioni Unite