giovedì 5 aprile 2007

Maternamente dannate


Questo post si può anche considerare l'interfaccia o l'ideale prosecuzione dell'argomento già avviato il 30 marzo scorso. Anche il pezzo che riporto, un commento di Umberto Galimberti, non è recente, ma risale a oltre due anni fa, eppure la tematica di madri assassine, di famiglie sconvolte da queste tragedie rimane sempre d'attualità. Non mancano i precedenti, sempre di quel periodo, per meglio contestualizzare il tutto. Nel gennaio 2002 a Cogne viene ucciso in casa Samuele Lorenzi, 3 anni. Del delitto viene accusata la madre. Maggio 2002, Sondrio: una donna uccide la figlia di 8 mesi mettendola nella lavatrice. Giugno 2002, Aosta: una madre affoga i suoi due figli (uno di 4 anni e l'altro di 21 giorni nel lago di Les Iles. Sempre nel 2002, a Parma una mamma si butta dalla finestra col figlio di 9 anni (in coma da 3). Muoiono entrambi. 2003, Desenzano: una madre si lancia dal balcone con la figlia di 8 giorni. La bimba muore, lei si salva. Nello stesso anno, ad Acireale, una donna tenta di uccidersi con la figlia di 8 anni lanciandosi nel vuoto. Ma l'auto su cui viaggiavano si ferma contro un albero e poi le due si salvano dal successivo salto di 40 metri. Novembre 2004, Firenze: una ragazza uccide il bimbo appena nato e lo nasconde 15 giorni in valigia. Dicembre 2004, Cremona: una mamma getta la figlia dal quarto piano e poi tenta a sua volta il suicidio. Morta la bimba di 3 anni.


E dopo questo doloroso elenco si può leggere Galimberti il quale, come molto spesso capita, riesce a catturare l’attenzione fornendo stimoli di riflessione e offrendo un punto di vista mai banale né omologante, semmai sottilmente inquietante.


Le madri da accudire


Umberto Galimberti


la Repubblica (7 dicembre 2004)


Ancora una madre che uccide la figlia. Ancora l’eterno dramma che si ripete. Perché il mistero della maternità, che noi siamo soliti edulcorare con i buoni sentimenti, è un abisso terribile, dove l’amore s’intreccia col dolore, la benedizione con la maledizione, la luce del giorno col buio della notte, dove tutte le cose sono incatenate, avvinghiate, intrecciate, innamorate, senza una visibile distinzione, perché, come l’amore e la crudeltà della natura, così l’abisso della maternità genera la vita e, nella disperazione, la toglie.


Approfondiamolo questo mistero della maternità, segreta custodia del potere assoluto: il potere di vita e di morte, che il re ha sempre invidiato alla donna che genera, e in mille modi ha cercato di far suo. Non sigilliamo l’evento nella sindrome depressiva, non releghiamolo subito nella psicopatologia. Non ci serve porlo ai limiti dell’umano, per procedere nella nostra acquietante persuasione che per natura le madri amano i figli.


L’amore, che è toglimento di morte (a-mors), confina con la morte, e sottilissimo è il margine che vieta di oltrepassare il limite che fa di uno sguardo sereno uno sguardo tragico. Per questo, quando un figlio nasce e cresce, bisogna accudire le madri. Troppa è la metamorfosi del loro corpo, la rapina del loro tempo, l’occupazione del loro spazio fisico ed esteriore, interiore e profondo. E quando l’anima è vuota e nessuna carezza rassicura il sentimento, lo consolida e lo fortifica, il terribile è alle porte, non come atto inconsulto, ma come svuotamento di quelle risorse che fanno argine all’amore separandolo dall’odio, allo sguardo sereno che tiene lontano il gesto truce.


Non basta che i padri assistano al parto, come è costume dei tempi, molto più utile assistere madre e figlio nel logorio della quotidianità, accarezzare l’una e l’altro per cercare quell’atmosfera di protezione che scalda il cuore e, col calore che genera, tiene separato l’amore dall’odio.


Lavoro arduo che tutti coloro che amano conoscono in quella sottile esperienza dove incerto è il confine tra un abbraccio che accoglie e un abbraccio che avvinghia e strozza.

La natura contamina questi estremi. E la madre, che genera e cresce nell’isolamento e nella solitudine conosce quanto è fragile il limite. Non sa più cosa accade dentro di lei, e le sue azioni si compiono senza di lei.


Per questo natura vuole che a generare si sia in due, non solo al momento del concepimento e del parto, ma soprattutto nel momento dell’accudimento e della cura. Dove a essere accudito, prima del figlio che segue la sua cadenza biologica, è la madre, che ha messo a disposizione prima il suo corpo, poi il suo tempo, poi il suo spazio esteriore e interiore, infine l’ambivalenza delle sue emozioni che camminano sempre sfiorando quel confine sottile che separa e a un tempo congiunge la vita da morte, perché così vuole la natura nel suo aspetto materno e crudele.


Un invito ai padri: tutelate la maternità nella sua inconscia e sempre rimossa e misconosciuta crudeltà. Questa tutela ha un solo nome: «Accudimento», per sottrarre le madri a quella luce nera e così poco rassicurante che fa la sua comparsa nell’abisso della solitudine.


 


 


 


 


 


 

3 commenti:

  1. molto interessante.



    Sermau

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  2. pinocchinoaprile 05, 2007

    Pienamente daccordo con Umberto Galimberti.

    Si è tentato di fare entrare anche lui nel circo mediatico a sostegno della Franzoni, ma lui è rimasto sempre nella sua serena riflessione concreta ed obiettiva!

    Nel mio Blog ho scritto come la penso su questo caso. Un caro saluto

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  3. Ti auguro una buona pasqua di gioia e di serenità in compagnia di chi ami.

    Un abbraccio da Fioredicampo

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