giovedì 28 luglio 2005

Vi presento i miei

“Tutti dovrebbero scrivere almeno un post sulla lettura”. Bella questa frase de ilvecchiodellamontagna, un blogger che apprezzo e stimo, pur non conoscendolo bene, perché nelle sue parole si condensa un messaggio universale e, perché no? di pace. O, almeno, a me piace interpretarla così, visto che la pace sembra ormai essere come l’araba fenice. Io la mia parte, in realtà, l’avrei fatta, scrivendo qua e là sull’argomento ora in qualche post oppure nei commenti. Qualche mese fa avevo anche raccontato dell’attesa, allora vana, per una libreria, uno scaffale in realtà ampio, ma ahimé ormai pieno. Nonostante ciò raccolgo con piacere il testimone che la cara harmonia mi ha passato e accetto di “correre”.

1.  I libri della mia biblioteca.

Collocati in una libreria principale, appoggiata in lunghezza ad una parete dello studio, affiancata a sua volta da un solido scaffale (il nuovo arrivato), mentre alle mie spalle, ad angolo, altri due reparti raccolgono, sui tanti ripiani, libri e ancora libri. Potrei “urlare” anch’io, come ilvecchiodellamontagna: “toglietemi tutto, ma non i miei libri” che tratto, in effetti, come tanti figli, annusandoli (il profumo di certi testi scolastici è insuperabile, quello dell’interno di una libreria piacevolmente stordente), intavolando un dialogo muto con loro, ma rassicurante (sono sempre lì) composto da sguardi di conferma, di valutazione, da richiami di titoli e di dorsi multicolore. Che poi alcuni sono affiancati verticalmente, nel modo classico e altri impilati uno sopra l’altro, in orizzontale, nel vano tentativo di guadagnare spazio con questo espediente.

Un conteggio non mi è stato ancora possibile farlo. E’ in divenire, ma sulla scorta della prima classificazione a cui mi sto dedicando, posso ragionevolmente ritenere di essere attorno ai 600-700 volumi. Poi qui subentra lo sconforto, quello che anche Leira ha intercettato, vale a dire l’interrogativo pressante e, a tratti, indisponente, sul tempo che sarà necessario per leggerli, ma soprattutto se sarà possibile leggerli tutti e che inevitabilmente molti (qualcuno?) resteranno privi di attenzioni.

Magari sarà anche una visione limitante, come asserisce il saggio “vecchio”, ma l’inquietudine che genera l’interrogativo è sottile e si insinua sottopelle nei momenti in cui tiranneggia il pessimismo, quello che ti blocca, inibendo ulteriori attività intellettuali. Poi ci si riprende, per fortuna.

Negli ultimi anni ho messo da parte, anche come acquisti, la saggistica che, invece in precedenza, dominava al punto che i libri di narrativa pativano una sproporzione (10 a 3) immeritata. Così la prima, schematica suddivisione è tra saggistica e narrativa.

Nel primo filone rientrano i testi di filosofia, di attualità politica, di storia (anche della letteratura), di giornalismo, di linguistica. Nel secondo comparto i classici italiani e stranieri, gialli nelle varie sfumature, narrativa contemporanea, Poi c’e l’angolo riservato alla biblioteca dello sport con gli indispensabili almanacchi del calcio Panini che sono la bibbia del calciofilo (che soprattutto una volta ero) e poi altri volumi di racconti e saggistica sportiva.

2. L'ultimo libro che ho comprato... sono tre. Già, in genere non acquisto mai un libro solitario. Forse il timore di farlo sentire a disagio durante il tragitto dal negozio a casa, mi porta ad affiancargli compagni di viaggio. Anche, se non recentissimi, si tratta di “Colomba” di Dacia Maraini, “Peggiori intenzioni” di Alessandro Piperno e “L’elenco telefonico di Atlantide” di Tullio Avoledo. Che si mettono in coda.

3. Il libro che sto leggendo ora. Anche qui si tratta di due libri. Uno durante il tragitto in autobus, se mi riesce di leggere, che è: “Una lezione di stile” di Marta Morazzoni (in prestito dalla biblioteca, perché i miei libri hanno questo di particolare: che non varcano la soglia di casa. In uscita. Accadde solo una volta, tanti e tanti anni fa e mi è bastato. Anche se il libro mi fu restituito). L’altro, quasi giunto al termine, è: “La casa dipinta” di John Grisham. Mi ha conquistato.

4. Tre libri che consiglio:

- La casa dipinta di John Grisham

- Le braci di Sandor Marai

- Ti prendo e ti porto via di Niccolò Ammaniti

5. Cinque blogger a cui passare il testimone. Non saprei davvero, anche perché credo che ormai la catena, questa catena almeno, stia girando da parecchio tempo e reputo che, più o meno, tutti siano stati coinvolti.

6. Chi vorrei essere se dovessi rinascere. Si può optare per dove vorrei essere, inteso come periodo storico? Certo, non in questo. Mi affascina il Medioevo, mi attira il Risorgimento, mi elettrizza la Resistenza, ma occupano le mie fantasie gli anni ’50, quando si ricostruiva.

 

domenica 24 luglio 2005

La buona informazione

Non mi sono dimenticato del cortese invito che una gentilissima blogger mi ha fatto, vale a dire parlare di libri (sebbene già ne abbia scritto qualcosa) passandomi il testimone di una blogstaffetta. Proseguirò la corsa per due motivi: il primo è perché mi piacciono i libri e parlare di essi, una passione che mi pare accomuni tutti coloro che frequentano questo blog. La seconda ragione risiede nella grande stima nutrita nei confronti di chi mi ha gradevolmente chiamato in causa.

Tuttavia, non potevo fare a meno di lasciare un doveroso contributo all’informazione, quella non omologata e di regime che ormai spopola, proponendo un pezzo di Marco Travaglio al quale, detto en passant, ho dedicato esplicitamente un nuovo blog, nato nel tardo pomeriggio odierno.

D’ora in poi le sue “bananas” le troverete all’indirizzo: www.vivamarcotravaglio.splinder.com. Esisteva già un blog, su questa piattaforma, dedicato a lui, ma ho notato che da alcuni mesi non viene più aggiornato. Così, mi sono detto, che sarebbe stata cosa buona e giusta che qualcuno provvedesse a rilanciare quanto scrive questo documentatissimo giornalista. Il materiale, anche d’archivio, non mancherà di certo.

 

Con Bin Laden bisogna convivere

di Marco Travaglio

da “l’Unità” del 14 luglio 2005

 

Immaginiamo che, dalle mirabolanti operazioni anti-terrorismo avviate dal governo Bellachioma, si scoprisse che:

1) Nel 1974 Romano Prodi assunse come stalliere in casa sua un capo del terrorismo e subito dopo cominciò a ricevere centinaia di miliardi, parte addirittura in contanti; nel ‘93 s’inventò un partito, subito votato con entusiasmo dai terroristi, anche perché prometteva di smantellare la legislazione antiterrorismo; nel ‘94 andò al governo, attaccando i magistrati antiterrorismo e nel 2001 ci tornò seguitando a insultare i pm antiterrorismo e ad approvare norme pro-terrorismo, mentre un suo ministro proclamava che “con il terrorismo bisogna convivere’.

2) Il braccio destro di Prodi frequentava abitualmente terroristi, partecipando a compleanni e matrimoni, riceveva in ufficio l’ex “stalliere” condannato a 13 anni, insomma che era l’anello di congiunzione fra il vertice del terrorismo e Prodi.

Che cosa accadrebbe è facilmente prevedibile, visto che già oggi Prodi è additato dalla Caserma delle Libertà come complice “oggettivo” di Bin Laden. In compenso è noto da anni che Berlusconi ha fatto quanto riassunto al punto 1) e Marcello Dell’ Utri quanto al punto 2):

basta sostituire il vocabolo “terrorismo”con “mafia”e la parola Prodi con Berlusconi. Ma nessuno trova nulla da ridire, anzi costoro passano per impavidi nemici del terrorismo. Non sono soli, Silvio & Marcello: a Palermo si sono accertati rapporti con la mafia di un’ampia schiera di politici, funzionari, poliziotti, carabinieri, imprenditori. Sia nelle sentenze di condanna e di prescrizione, sia in quelle di assoluzione (insufficienza di prove), mai si è stabilito che quei rapporti non esistevano, che erano invenzioni dei pentiti o dei pm, che si era sbagliata persona.

Calogero Mannino, assolto per insufficienza di prove in primo grado, condannato in appello, dovrà affrontare un altro appello dopo che la Cassazione a sezioni unite ha annullato con rinvio la sua condanna. Ma in tutti i gradi di giudizio s’è accertato che aveva incontrato svariati mafiosi: a casa sua, a casa loro, in taverna, ai matrimoni. Le stesse Sezioni unite, quando fu arrestato, confermarono la fondatezza delle accuse. I fatti ci sono, e gravissimi. L’ha detto l’altro ieri lo stesso pg Siniscaichi, chiedendo l’annullamento senza rinvio: “Numerosi incontri e contatti con esponenti mafiosi. L’ha detto lo stesso giudice relatore Canzio, annullando la condanna: “Mannino non era esente da contatti con mafiosi anche di spicco, per motivi elettorali o tangentizi, per agevolare appalti, licenze, finanziamenti”e “manifestava una generica disponibilità verso appartenenti a Cosa Nostra” Il dubbio è se l’appello abbia dimostrato o no che aveva dato qualcosa alla mafia in cambio dei voti che Cosa Nostra gli garantiva. Ma chi le legge, le sentenze? Totò Cuffaro esulta: “Ho sempre creduto nell’integrità morale di Mannino” (l’integrità morale di uno che incontra mafiosi e ne ottiene il voto). E il Foglio deplora che la Corte si sia “fermata a metà strada” senza “stabilire se Mannino ha trescato con la mafia o se è pure lui vittima di una persecuzione giudiziaria”. In attesa di sapere quando mai la Cassazione ha stabilito che uno è stato perseguitato, quel gran genio di Ferrara potrebbe leggersi le sentenze prima di commentarle: scoprirebbe, con sua grande sorpresa, che tutti i giudici che l’hanno giudicato hanno stabilito che Mannino trescava con la mafia.

Questi falsari sono gli stessi che continuano a menarla con l’inesistente assoluzione di Andreotti (mafioso fino al 1980, reato commesso e prescritto). Quando Caselli osò ricordaglielo in un articolo sulla Stampa, lo trascinarono dinanzi al Csm per trasferirlo (da Torino!) per “incompatibilità ambientale”. Ieri il Csm - salvo i soliti guastatori governativi - ha stabilito che Caselli ha scritto la pura verità, dunque non è incompatibile con nulla, fuorché con la mafia e con la menzogna. Eppure, sul Giornale, il berluscofago Filippo Facci fa ancora lo spiritoso (“Londra, sospetti su Andreotti’ ) e sostiene che è giusto limitare a sei mesi le dichiarazioni dei pentiti, “come in America si usa “. Se sapesse di che parla, conoscerebbe la testimonianza al processo Andreotti dell’ex prosecutor Dick Martin, che lavorò con Falcone: “In America i pentiti possono parlare quando e finché vogliono” Già, ma in America c’è un sistema infallibile per non finire sotto processo per mafia: non frequentare mafiosi.

martedì 19 luglio 2005

57 giorni dopo

In quella domenica, nel pomeriggio, stavo leggendo con le finestre aperte. Giungevano lontani i rumori d’ambiente, quelli radi che possono caratterizzare una domenica estiva. Poi l’insolita sigla del Tg,  decisamente fuori orario e io che, per riflesso condizionato, afferrai il telecomando e accesi il televisore. Ricordo, oh sì ricordo, che esclamai affranto: “No, non così presto, non è possibile”. La strage di Via D’Amelio si era già compiuta.

Il mio smarrimento, il mio sbigottimento, la mia incredulità, perché meno di due mesi prima avevano fatto saltare in aria un pezzo di autostrada. “Perché danno questa notizia, cosa ci sarà mai di importante in un tratto di strada che esplode” mi chiesi, prima di rendermi conto che era l’unica, sanguinosa ragione per eliminare il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonino Montinaro. E poi i funerali di Paolo Borsellino, con la tensione altissima e il popolo siciliano che pareva davvero ribellarsi, la non-stop di Retequattro già, quando Emilio Fede era ancora un giornalista, con il sonoro integrale che, invece, la Rai aveva prudentemente escluso.

Tredici anni dopo...

Mafia: imbrattata lapide per vittime strage via D'Amelio

Rita Borsellino, 'lontani da vittoria su cosa nostra')

(ANSA) - PALERMO, 4 LUG - E' stata imbrattata con un pennarello la lapide con i nomi delle vittime della strage di via D'Amelio, in cui morì Paolo Borsellino. Sul cippo sono scritti i nomi del giudice e dei 5 agenti della sua scorta, uccisi il 19 luglio 1992: Paolo, Agostino, Claudio, Emanuela, Vincenzo e Walter. Duro il commento della sorella del magistrato, Rita Borsellino: “Il gesto è più grave della profanazione di una tomba. Siamo ancora lontani dall'aver sconfitto la mafia e la mentalità che la supporta”.

Ho trovato due interviste che mi sembrano particolarmente significative, rilasciate da Paolo Borsellino. La prima è quella che concesse a Lamberto Sposini, per il Tg5, venti giorni prima di morire. Queste le due risposte finali, più esaustive di qualunque dibattito.

Dopo la morte di Falcone come è cambiata la vita di Borsellino?

(lungo sospiro) "La mia vita è cambiata innanzitutto perché....dalla morte....di questo mio vecchio amico e compagno di lavoro è chiaro che io sono rimasto particolarmente scosso e sono ancora impegnato, ad un mese di distanza, a recuperare e...., vorrei dire, tutte le mie possibilità operative sulle quali il dolore ha inciso in modo enorme.

E' cambiata anche perché sia per la morte di Falcone, sia per taluni altri fatti, mi riferisco alle dichiarazioni ormai pubbliche di quel collaboratore che ha parlato e ha detto di essere stato incaricato di uccidermi e la notizia è arrivata alla stampa in concomitanza con la notizia della strage di Capaci.

Le mie condizioni...., sono state estremamente appesantite le misure di protezione nei miei confronti e nei confronti dei miei familiari. E' chiaro che in questo momento io ho visto comple...., quasi del tutto, anzi, vorrei dire del tutto, pressoché abolita la mia vita privata.

Ho temuto nell'immediatezza della morte di Falcone una drastica perdita di entusiasmo nel lavoro che faccio. Fortunatamente, se non dico di averlo ritrovato, ho almeno ritrovato la rabbia per continuarlo a fare".

Posso chiederle se lei si sente un sopravvissuto?

"Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninnì Cassarà allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio del 1985, credo.

Mi disse: "Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano".

La.... l'espressione di Ninnì Cassarà io potrei anche ripeterla ora, ma vorrei poterla ripetere in un modo più ottimistico.

Io accetto la....ho sempre accettato il....più che il rischio, la....condizione, quali sono le conseguenze del lavoro che faccio, del luogo dove lo faccio e, vorrei dire, anche di come lo faccio. Lo accetto perché ho scelto, ad un certo punto della mia vita, di farlo e potrei dire che sapevo fin dall'inizio che dovevo correre questi pericoli.

Il....la sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in, come viene ritenuto, in....in estremo pericolo, è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me.

E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare e....dalla sensazione che o financo, vorrei dire, dalla certezza che tutto questo può costarci caro".

Nella seconda, si parla anche dell’ometto, quello con la tessera P2 n°1816 e di mafia. http://it.geocities.com/comedonchisciotte/borsellino.html

Mentre scorre luglio, che è un mese inzuppato di sangue, quello degli omicidi di cosa nostra. Mi limito a ricordare le ricorrenze.

Filippo Basile, funzionario Regione Sicilia

Palermo - 5 lug. 1999

STRAGE DI VIA D’AMELIO

Palermo - 19 luglio 1992

Paolo Borsellino e gli agenti della scorta:

Claudio Traina,

Emanuela Loi, Agostino Catalano,

Vincenzo Li Muli, Walter Cusina

Boris Giuliano, capo squadra mobile

Palermo - 21 lug. 1979

Beppe Montana, commissario di Polizia

Porticello (Pa) - 28 lug. 1985

Rocco Chinnici, Consigliere Istruttore

Salvatore Bartolotta, Carabiniere

Mario Trapassi, Carabiniere

Filippo Li Sacchi, Portiere stabile

Palermo - 29 lug. 1983

E, infine, questo link che è utile includere tra i preferiti: http://www.edscuola.it/archivio/interlinea/giovanni_e_paolo.htm

Per non dimenticare mai, perché sarebbe come ucciderli per la seconda volta

lunedì 18 luglio 2005

Un sabato qualunque

Sabato mattina. Consueto giro a tappe. Prima fermata: ufficio postale. All’interno la solita, rassegnata fila silenziosa e quattro sportelli. Il primo, con il cartello “chiuso”, è invece operativo, addirittura con la direttrice a contatto con la clientela. Il secondo è attivo nominalmente (lo certifica l’etichetta) e sostanzialmente con regolare impiegata, magari ancora un po’ insonnolita, ma c’è, senza dubbio. Il terzo sportello appare come il più cervellotico da inquadrare, forse un ibrido dei primi due. Infatti, il cartoncino lo annovera tra quelli aperti, ma dietro c’è un fantasma. Giuro di non averci mai visto nessuno, anche perché al posto dell’addetto ci sono apparecchiature informatiche e mucchi di brochures pubblicitarie.


Ormai in Posta si trova di tutto e mancano quel rumore dei timbri e il profumo dell’inchiostro che facevano tanta atmosfera. L’ultimo e quarto della serie, prevede la presenza di un’impiegata in possesso del dono dell'ubiquità, perché si divide tra la consegna di materiali voluminosi, lettere raccomandate e assicurate (ma esistono ancora le assicurate?) e la presenza nell’ufficio “consulenza”, come viene pomposamente definita una stanza separata dal pubblico da una vetrata.


I percorsi obbligati che il restyling ha voluto, neppure il venticello di un pettegolezzo, più un teatro o una chiesa, che un luogo aperto al pubblico. Forse il caldo e il fatalismo che regolano l’attesa, producono questa strana atmosfera.


Esco e mi dirigo, obbligatoriamente, verso la ricevitoria del lotto. Sosta canonica dopo aver vinto, un paio di estrazioni fa, 78 euro puntando 22 e 64 su Venezia. Peccato che sia rimasto nell’urna il 2, che componeva quel terno e che mi avrebbe regalato una cifra per nulla disprezzabile. Altri 10 euro si sono poi aggiunti con il Superenalotto (un ”tre”). Finanziamento per un nuovo scanner. Adesso, seguendo la consuetudine, tornerò a vincere tra alcuni mesi, anche se continuerò a giocare con molto raziocinio e costanza, come sempre. Pare che la fortuna non vada in ferie e così attendo la sua visita. Secondo me, però, ha bisogno di uno stradario, Per la cronaca, è stata come da copione, negativa, l’estrazione della serata.


Terza tappa: macelleria. Uhm, mi va bene, non è neppure molto affollata. Incrocio una ragazza, ferma sulla porta, che viene apostrofata da un’amica in vena di complimenti. “Mi dispiace (l’espressione è più colorita n.d.b) che non abbia preso anche la lode con il 110, Complimenti”. E giù baci e abbracci. La neolaureata torna in negozio. Il titolare mi si avvicina e, con fare complice, esclama: “E’ dottoressa!”. Non afferro subito bene la ragione della sua rivelazione confidenziale, ma replico che sì, sono belle soddisfazioni queste e che adesso potrà riposarsi con le vacanze. Mi stupisco della facondia solleticata dalla notizia e continuo a tormentarmi per cercare di capire il particolare che non riesco a decifrare. Così mi accosto all’uomo e, con candore, chiedo: “Scusa, ma mi sfugge chi sia quella ragazza. Senza dubbio l’ho già vista...”


“Ma è mia nipote, no?”


“Vuoi dire la figlia di L.?”


 “E certo”.


“Ma hai già una figlia così grande?”, chiedo, rivolto alla madre che sta servendo un cliente.


“Eh già, ma noi invecchiamo. Io ho 50 anni e tu?”


Con lei, che mi conosce da sempre, non posso barare sull’età, che la naturale civetteria mi porta a limare di alcuni anni in altre circostanze innocue (quel numerino accanto al nick l’ho perciò aggiunto proprio per essere trasparente). Però, preciso, che; “Per noi adulti non è elegante parlare di invecchiamento, meglio adoperare il termine ‘crescita’, ti pare?”. Ride e aggiunge che ha un’altra figlia più grande, laureata anch’essa.


Uscito dal negozio mi soffermo a considerare, mentre il sole già scalda l’ambiente dopo alcune giornate di nuvole e pioggia, cosa possa rappresentare per una famiglia, che non ha mai avuto eccessive ambizioni culturali, ma si è dedicata al lavoro trasmettendo il mestiere da padre in figlia (e fratelli) avere una figlia laureata. E forse la risposta è compressa tutta in quell’ammiccare del nonno: “E’ dottoressa”, come se questo sia il punto massimo della vita e conferisca un tono alla stessa. Emancipazione piccolo-borghese?


Lungo la via del ritorno, incrocio una “vecchia” compagna di scuola (elementari e medie inferiori), la quale si rammarica ancora del fatto che non sia più stato possibile organizzare una rimpatriata, meno triste, comunque, di quella raccontata da Verdone in “Compagni di scuola”. Si stupisce che siano già passati sei anni (purtroppo ho una personale linea di demarcazione per le date) da quel raduno, il primo dopo trentacinque anni, con
la Terza
“A”. Fu la serata in cui mi si chiuse lo stomaco e mangiai pochissimo, perché rivedevo N., la timida e deliziosa ragazzina che mi aveva conquistato e, alla quale all’epoca, non  ero stato in grado di far capire nulla, se non l’imbarazzo che, d’altronde era anche il suo. Se rinascerò, mi dichiarerò subito all’ultima ora del primo giorno di scuola.


Evidentemente, certe impronte non si cancellano col passare degli anni, se hanno scavato in un cuore virgineo. Così la timida e deliziosa ragazzina, come la ricordavo, era diventata una bella signora, disinvolta e chiacchierona, che non riuscì, tuttavia, a celare un fugace imporporamento delle guance, quando ci salutammo baciandoci. Sposatissima e con tre figlie che mi piace pensare a sua immagine e somiglianza.


Il sole avvolge nel rassicurante calore. Meglio prendere per il mare, sarà una tranquilla giornata d’estate.



 


mercoledì 13 luglio 2005

Chattalandia

La mia età da internauta è molto “verde”. I miei primi vagiti risalgono, infatti, agli ultimi mesi del 1999 e tra le prime cose che andai a scoprire ci fu la chat di cui si dissertava, perfino eccessivamente, in Rete e sui media. Gli approcci iniziali furono dominati dalla confusione. Parole che s’intrecciavano, righe che incalzavano, smile e disegnini vari che impazzavano, nickname improbabili, alcuni ripetitivi, qualcuno simpatico, identità logicamente sfuggenti. Il caos primigenio, insomma, che si riproduceva davanti ai miei occhi.

Dubitavo che ci sarei potuto entrare con disinvoltura per capire e interagire. Esclusi, almeno in partenza, che potesse diventare uno strumento di conoscenza, non solo di persone, ma anche di idee, abitudini, modi di vita, perciò seguendo pedissequamente questa convinzione, mi ci dedicai con divertita curiosità e disincanto. In seguito, appresi i segreti, gli accorgimenti, più che altro, per distinguere in mezzo all’apparente confusione il reale dal falso, o per meglio dire il più verosimile. E, prima di cogliere le opportunità che quel mezzo offriva, percorsi fasi di avvicinamento progressivo, durante le quali assunsi l’identità di un diciottenne, quindi quella di una giovane ragazza, per riacquistare infine le mie reali peculiarità.

Lungo queste direttrici di marcia si svilupparono varie esperienze. La più imbarazzante con una sedicenne del Nord alla quale mi presentai come un quasi coetaneo e un nick maschile, Federico, che le piacque subito, perché era il nome del suo ex. Allo stesso modo mi apprezzò immediatamente per il garbo mostrato e l’assenza di proposte che sembravano essere il classico, come avrei imparato, in certe circostanze. Accadde così che, non solo la ritrovai per un paio di sere di seguito, ma iniziò anche  a scrivermi. Ora, il ruolo del diciottenne a distanza riuscivo a sostenerlo piuttosto bene (per civetteria, potrei aggiungere che anche quello del quarantenne, a causa del timer bloccatosi, mi calza a pennello J) e nelle lettere potevo districarmi agevolmente nelle risposte. Quando però, assieme alle domande più dirette e specifiche, mi chiese pure una foto, lasciai decantare ogni cosa con un pretesto. Ma non era finita qui, perché inaspettatamente dopo alcuni mesi, trovai una sua e-mail.

A quel punto s’imponeva la verità che l’abituale frequentazione in chat mi stava facendo considerare un optional. Tuttavia, per non rovinare il suo genuino entusiasmo per Federico, le risposi con il mio vero nome ed età, aggiungendo però di essere il fratello e inventandomi la storia di Federico che era stato sedotto da una donna più grande di lui, aveva abbandonato casa e solo saltuariamente faceva arrivare sue notizie. Le consigliai, peraltro, di dedicarsi ai coetanei della zona e di dimenticare quella avventura. Accettò di buon grado la spiegazione e con sollievo smise di cercare definitivamente.

L’esperienza più stravagante, invece, la vissi sotto le mentite spoglie femminili. Devo ammettere che Valentina, questo il nickname, riusciva a cavarsela piuttosto bene, rendendo plausibile la sua identità, convincenti le argomentazioni, oserei aggiungere così seducente, al punto che una ragazza ne fu talmente colpita da invocare di andarla a trovare, lasciandomi non un numero di telefono, ma il recapito postale, con tanto di via e località (una città del Centro). Un rapido riscontro sull’elenco telefonico lasciò poco spazio ad altre supposizioni, perché quella ragazza esisteva. Che poi fosse effettivamente lei era tutto un altro discorso, ma il problema non me lo posì, perché evidentemente avevo già escluso qualunque prolungamento.

La vicenda più drammatica, forse, considerata tale anche perché stavo muovendo i primi passi, fu con una donna meridionale, alla quale mi presentai finalmente per quello che ero. Singolarmente, rispetto ad altri contatti avuti, erano assenti le classiche domande che ormai stavo conoscendo, una sorta di kit per la chat: da dove dgt (digiti), anni, come sei, cosa indossi, taglia. Anzi, si trattava di una donna molto riservata che però lasciava trapelare la necessità di confidarsi, o forse sfogarsi, ma intendeva farlo secondo i suoi ritmi, le sue esigenze. Denotava timidezza anche nelle risposte, laconiche e quasi rassegnate. Intuii che celava un segreto, forse verità inconfessabili (anche la fantasia viaggiava, non dovendo inventare risposte adatte al ruolo). Così provai a farle emergere, a tratti convincente, in altri più spazientito, sempre con la larvata minaccia che lei volesse interrompere, passare ad altro, se non terminare la conversazione. Più volte recuperai le fila del discorso, più volte rimediai ad una situazione che sfiorava la rottura. L’unica proposta che le feci, ad un certo punto, fu quella di poterle lasciare l’indirizzo e-mail, per agevolarla in qualche modo visto che, nonostante tutto, stava acquistando fiducia e veniva incoraggiata.

Confesso che, essendo un’esperienza nuova, non sapevo bene come gestirla, a prescindere dal fatto se nel suo racconto potesse essere prevalente più la fantasia sulla realtà. In quel momento percepivo che stavo parlando con una persona in chiara difficoltà, che nello stesso tempo cercava di proteggere la sua privacy. Avrebbe voluto parlare, ma non poteva, ostaggio di forze sconosciute o forse fin troppo note. Faceva un passo avanti, si esponeva, per farne subito dopo due indietro e ricusare, rivelando un conflitto, immagino con se stessa.

Una situazione come quella avrebbe richiesto anche una perizia nei contatti virtuali, mentre io ero ancora in fasce, così pensando di fare una cosa giusta e nonostante i suoi ripetuti dinieghi, le comunicai la mia e-mail e lei, come una tartarughina, si ritirò nel suo guscio e da lì non uscì più fuori.

Continuai frequentare la chat per vari mesi, fino a quando, a metà marzo 2001, incrociai “lei” che alla domanda iniziale su come fosse il tipo di dolce che era il suo nick, mi rispose: “Buono, l’hai mai assaggiato?”. E tutto cambiò.   

domenica 10 luglio 2005

Le lacrime di Londra

“Venezia: nuovo allarme Una bomber.

Unabomber è tornato in azione. Ma stavolta il suo colpo è andato a vuoto. Gli esperti della task force anti-Unabomber sono intervenuti oggi pomeriggio a Portogruaro, in provincia di Venezia, per la scoperta di un involucro sospetto, nei pressi della stazione ferroviaria. L'oggetto, notato da un passante che ha subito informato la polizia ferroviaria, era collegato a dei fili elettrici” (corriere.it)

C’è, dunque, questo farabutto che circola indisturbato da dieci anni, piazzando i suoi aggeggi che creano feriti e panico, allarmando la popolazione del Triveneto, mentre la sua identificazione e cattura appaiono lontane. Però non si escludono leggi straordinarie contro il terrorismo. Ma Unabomber che ruolo occupa nello scacchiere? Se non si riesce a catturare un tale mentecatto, come è possibile garantire la sicurezza nazionale addirittura presidiando 13mila obiettivi sensibili?

Tra i quali ci sono Roma, Milano, Napoli e Genova, più a rischio di altre località, poiché si tratta delle quattro città italiane fornite di metropolitana. I partenopei, però, sono più preoccupati dal terrorismo, oppure... Raccolgo questa freschissima testimonianza, dopo Underground Zero (azzeccato titolo de “il manifesto”). “A me Napoli fa paura, non mi sento tranquilla quando cammino per strada, quando sto in auto, non mi piace per il suo caos, la sua sporcizia (da giorni la spazzatura non viene prelevata e le strade di tutti i quartieri sono invase da tonnellate di rifiuti, noi dobbiamo tapparci il naso, chiudere le finestre e sperare che non scoppi il colera!), per la gente che non rispetta un bel niente e per tutti i problemi che sa il mondo intero!”  

La cosa più schifosa, invece, l’ho trovata in due messaggi ricevuti nell’immancabile pacchetto di spam, nonostante i filtri, A colpirmi l’oggetto, più delle idioti proposte.


sabato 9 luglio 2005 0.00

Ho girato dei video a Londra, guarda tu stesso e valuta

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9 Jul 2005 18.23.

A Londra è tutto ok ora.. ma senti che mi è capitato

Vieni a conoscere le nostre ragazze... sono qui per te!!

Questi sciacalli, oltre al nome femminile che sempre compare come mittente, hanno ben pensato di citare Londra e scrivere di video girati in quella città, come si fa intendere. Si rassicura, perfino. E’ terrore pornografico.

Ma c’è un pensiero che come un tarlo mi rode il cervello. Provo a ragionare, ché di questo c’è bisogno ora. Certamente aumenteranno i controlli per difendere la nostra sicurezza, si è perfino citato il Patriot Act di Bush, però di quale sicurezza si parla e a chi sarà rivolta? Ai potenti? Ma costoro non hanno bisogno di nuove norme, perché si trovano già in condizione di difendersi e anche bene (B. tessera P2 n°1816, ha addirittura blindato la sua villa in Sardegna), dunque le maggiori sicurezze saranno riservate a noi comuni mortali, presumo. Ma a che prezzo? Verrà, cioè, ristretta la nostra libertà (di questo si tratta), perché davvero stiamo tutti nel cuore delle istituzioni, oppure perché ciò permetterà di ampliare ancora di più la sicurezza dei potenti, senza precludere la loro di libertà?

sabato 9 luglio 2005

Terrorismo economico

Alcuni anni fa conobbi una donna in chat e il dialogo notturno si trasferì presto nella posta elettronica, come sovente accadeva. In questo caso, però, c‘era qualcosa in più, perché questa donna, ed era la prima volta che mi capitava, non stava chattando da un angolo d’Italia, ma dagli Stati Uniti e la cosa appariva portentosa per chi, come me, da poche settimane si era affacciato sul Web.


Trasferitasi nel Connecticut in giovane età, aveva conosciuto e spostato un americano, reso tre volte padre. Ci eravamo pure scambiati le foto e lei, ai piedi di una scalinata, accanto al marito, rappresentava l’ennesimo sogno americano che si era realizzato, visto che si intuiva un livello di vita agiato.


In Italia rientrava periodicamente, forse ci saremmo anche potuti conoscere. Poi arrivò l’11 settembre. Le scrissi immediatamente poche righe per conoscere il suo stato d’animo. Mi rispose qualche giorno dopo.


“Noi qui stiamo tutti  bene grazie, siamo però sconvolti da

questa tragedia, la paura ormai resta con la decisione della guerra, non

solo per noi qui in America, ma anche per il resto del mondo. Qui

siamo in molti a piangere per la scomparsa e disgrazia delle famiglie, un

attacco all’America: ci pensi? E aggiungendo usando i nostri metici, cioé i

nostri aerei , siamo però sconvolti daiatav a ciroca fghe o anche pootuoi conoscere. va non stava chtando da un angolo d', i nostri ostaggi dioooooooooooo ,,, che mondo.... e pensare

che ero andata a New York la settimana prima, con una amica , mi vengono le

vertigini, l'ansia non ha fine ... ritornare a New York e vederla spogliata

da questi enormi grattacieli, e pensare le vite perse , ci si stringe il

cuore,

A dirti il vero vorrei andarci presto, purtroppo questa è parte di una storia

indimenticabile e sarà accompagnata con molta rabbia. Io non

sono razzista affatto ma questa esperienza mi ci ha fatto diventare, l'altro

giorno andando dal dottore ho visto un arabo in ascensore , lo guardavo con

rabbia e pensavo: che  faccia a farsi  vedere in giro, ho capito da dove

viene l’odio, che ti giuro sino a ora non avevo mai avuto questo sentimento.

Che dio  ci  aiuti a tutti  noi nel mondo ... Grazie per averci pensato”
.


Risposi subito a questa lettera, scritta in un italiano a tratti approssimativo, immagino anche per l’emozione.

“Intanto sono felice di sapere che stai bene, anche se sconvolta da quanto avvenuto. Questa sera non posso dilungarmi troppo, ma ti lascio brevi considerazioni.
L'odio scatenato da pazzi che diventano suicidi, per uccidere il maggior numero di persone, fa venire i brividi, ma pensavo anche a quanto odio hanno distribuito per il mondo gli Usa, tale da scatenare una simile atrocità. Ci sono popolazioni allevate nella cultura dell'odio, all'insegna dell'antiamericanismo più spinto e l'odio conduce solo verso un baratro che si sta sempre più aprendo. C'è poi l'amore e mi riferisco a quello bellissimo che sto vivendo, capace nella sua bellezza di soffocare le urla, i lamenti, la distruzione. Se noi due potessimo regalare almeno poche briciole, di quello che proviamo reciprocamente, a questo nemico invisibile e spietato, il suo odio si scioglierebbe. Vorremmo che tutti potessero amarsi come noi ci amiamo. Io sono felice in questo periodo, perciò i cupi rintocchi di morte che diventano più forti e vicini mi fanno maggiormente paura”.


Riflessioni sentite, che non rinnego, perché esprimono ciò che sentivo allora e avverto pure adesso (tranne il dettaglio sentimentale), ma che evidentemente segnarono negativamente l’interessante rapporto epistolare che si stava costruendo, perché da allora i contatti s’interruppero e, nonostante, le mie garbate sollecitazioni, non si ripristinarono più.


Questa microstoria del mio 11 settembre l’ho recuperata dal cesto dei ricordi amari, come simbolo di un legame spezzato da quella tragedia, emblema di una lacerazione nel comune sentire dove l’odio e la rabbia, rigurgito del doppio crollo, investirono indirettamente anche me, apparso forse agli occhi di questa donna come propugnatore di teorie estremiste e, pertanto, da ignorare accuratamente.


Potrei anche terminare qui, se non fosse che proprio stamattina mi è capitato di leggere su “
la Repubblica
” un’interessante intervista a Loretta Napoleoni, consulente dell’ Homeland Security statunitense e autrice del libro “La nuova economia del terrorismo”. Al giornalista che le chiede se, dopo il 2001 sia stato fatto qualcosa per bloccare i meccanismi di finanziamento del terrore, risponde testualmente: “No. Dopo l’11 settembre sono stati congelati i fondi di alcune organizzazioni, per 121 milioni di dollari. Poi, più nulla. Non un solo processo”. E, ancora, alla domanda: “C’è stato qualche segnale che preannunciava l’attacco?” (a Londra s’intende), la replica è stata: “Nei giorni scorsi il valore dell’oro è schizzato alle stelle. Ma chi poteva immaginare che cosa stava arrivando?”.


Ecco, già dopo l’11 settembre, ci fu un articolo di Giulietto Chiesa che raccontava storie interessanti, sulle manovre in Borsa, nelle giornate precedenti e anche l’osservazione della Napoleoni mi conferma che, alla base di tutto, non c’è tanto una guerra di religione, un’insurrezione dell’Islam contro l’Occidente cristiano (la gaffe del papa è significativa), ma l’economia che regola, presiede e governa tutto. Insomma, c’è chi ha speculato sui mercati nel settembre 2001, c’è chi ha agito in modo analogo all’inizio del mese di luglio per passare, quindi, alla cassa e raccogliere il frutto di ardite manovre finanziarie.


Se si vogliono cercare i registi di questo rosario di stragi è nel cuore dell’economia che occorre andare a rovistare, invece di adoperare strumentalmente i morti, come Bush insegna, per limitare la libertà  dei cittadini e poter violare impunemente i diritti civili, senza che si alzino voci autorevoli di condanna. Il papa, intanto, dopo aver appreso le notizie da Londra si è ritirato in preghiera. Amen. 



 




 




 




 




 


mercoledì 6 luglio 2005

Un fiore che sboccia

Mi sono imbattuto in un post di rara delicatezza e tenerezza. Lo trascrivo integralmente.


“Oggi è un giorno particolare per me… vi chiederete perché… ebbene sì… oggi la mia “bambina” è diventata signorina…Non so spiegarmi come mi sento… è stato tutto così naturale… ma anche se l’avevo preparata ha pianto molto… le sono stata accanto ho detto che è una cosa bella… che è diventata una bella signorina e che questo è il corso della natura… Mi ha abbracciata… mi ha detto mamma ti voglio bene… e poi è scoppiata di nuovo in un pianto liberatorio… l’ho lasciata piangere… e poi abbracciandola le ho detto oggi festeggeremo… è un giorno importante… ha sorriso…

Che strana la vita… sapevo che presto sarebbe accaduto… ma ha fatto uno strano effetto anche a me… la mia adorata bambina sta crescendo".


Non esiste un equivalente maschile dell’ingresso fisiologico nell’età adulta e, pertanto, non aggiungo altro, se non la considerazione di come nella blogosfera si arrivi anche a comunicare queste emozioni del tutto particolari, lasciando trasparire gioia e sconcerto nello stesso tempo.

Condividere questa fase così importante per una figlia prima e una madre poi, non penso trovi analoghi riscontri nella realtà. E’ un frammento di vita vissuta, molto intima, che viene riversata all’esterno, lasciando anche una lieve emozione. Di sicuro, questa giovanissima donna può ritenersi fortunata di avere accanto una madre così premurosa e attenta. Il suo percorso nella vita ha buone probabilità di essere lineare e armonioso. Questo, almeno, è l’augurio che mi sento di rivolgere a entrambe.

domenica 3 luglio 2005

5+4=9

VERONA - Cinque morti, tutte giovani, in uno scontro frontale avvenuto nella tarda serata di ieri a Caselle di Sommacampagna (Verona), poco distante dall'aeroporto. Le vittime, tre ragazzi e due ragazze di età compresa tra i 16 e i 19 anni, viaggiavano a bordo di una Fiat Tipo che, per cause ancora al vaglio della polizia stradale di Verona, si è scontrata frontalmente con un camion. Si tratta di giovani veronesi che probabilmente, stando ad una prima ipotesi, stavano facendo ritorno a casa dopo una serata trascorsa assieme. I cinque viaggiavano a bordo di una Fiat Tipo. A Caselle di Sommacampagna, nei pressi dell'aeroporto veronese "Catullo", affrontando una curva, la macchina ha invaso la corsia opposta per cause che non sono state ancora accertate e si è schiantata in pieno contro un camion che veniva dalla direzione opposta. Un impatto tremendo che non ha lasciato scampo ai cinque occupanti dell'auto stritolati nella carcassa dell'auto trascinata per alcuni metri dall'avantreno del camion. Quando è avvenuto l'incidente ancora non pioveva, subito dopo si è scatenato un furioso temporale. La scena che si è presentata ai soccorritori è stata spaventosa con la macchina ridotta a un rottame e i corpi dei ragazzi incastrati all'interno. Vigili del fuoco, personale medico, polizia stradale hanno lavorato per ore sotto la pioggia che stava cadendo nel frattempo per liberare la strada dalle carcasse dei mezzi coinvolti nell'incidente.

(30 giugno 2005)

MONDOVI' (CUNEO) - Dopo quello dell'altra notte a Verona, un altro terribile incidente stradale. Quattro giovani di Mondovì - due ragazze e due ragazzi fra i 21 e i 24 anni di età - sono morti intorno all' una, lungo la provinciale 661, nei pressi di Murazzano. I ragazzi erano a bordo di un Subaru, guidato da un quinto giovane: forse per l'alta velocità, il fuoristrada ha sbandato all' uscita di una curva, ha sbattuto contro un muretto e si è cappottato. Le vittime, tutte abitanti a Mondovì, si chiamavano Valentina Zampino, di 21 anni; Tiziana Vernarino, di 24; Gabriele Fronte, anche lui di 24 anni; Livio Dadone di 23. Il conducente si chiama Simone Blengino, 24 anni: è ricoverato in ospedale, le sue condizioni non sono gravi.

(1 luglio 2005)

Secondo polizia stradale e carabinieri, dopo due anni dall’entrata in vigore della patente a punti, sulle nostre strade, ci sono stati circa 1.800 morti e 50 mila feriti in meno. Le infrazioni più frequenti risultano nell'ordine: il superamento del limite di velocità (da 10 a 40 km / h oltre i limiti consentiti), il mancato uso delle cinture di sicurezza, il passaggio con il semaforo rosso, il mancato rispetto della segnaletica stradale e l'uso del telefonino alla guida. (1 luglio 2005)

Stridente il contrasto fra queste notizie, una collisione frontale del buon senso oppure del paradosso che regola la vita. Già, ma quale vita? La macabra contabilità, neppure riconducibile alla classica febbre del sabato sera, denuncia nell’orrore dei numeri l’immolazione, sull’ara della modernità e del rischio, di nove ragazzi che spingono sull’acceleratore per provare a loro e con il gruppo, l’emozione della vita, il brivido adrenalinico e spingono al massimo, toccano l’eccesso. Per provare di essere vivi scelgono la morte.

Chissà perché di fronte all’accidia, che è la cifra più rilevante di una parte della gioventù di questa epoca, si sceglie una reazione così stupida e irreversibile per affermare la propria visibilità. E, ancora, quell’istigazione all’omicidio-suicidio affidando ad un autista, chiaramente inesperto, uno di quegli automobiloni, i Suv. che hanno invaso le strade delle città che abitiamo, come se ci trovassimo nel deserto del Gobi. Quella ricerca forsennata della velocità, il culto per un mondo “Fast and furious” al cui confronto i ribelli di “Gioventù bruciata” appaiono imberbi e tristemente retrò.