sabato 28 marzo 2009

Il guano unico








La vignetta di Altan, tratta da “L’espresso” del 25 settembre 2008, definisce in maniera eccellente lo stato in cui versa l’Italia che, senza dubbio, con il Capo e i suoi scherani ha già accresciuto in maniera stratosferica la produzione di cui si parla. Non potrebbero produrre altro. L’apogeo si toccherà in questo fine settimana quando l’ometto (tessera P2 n° 1816) diventerà partito unico, con pensiero unico (il suo) e la libertà (sua) di fare ciò che vorrà. Viva, sempre viva, la libertà.


A modo mio celebrerò questo ulteriore passo verso il baratro postando alcuni articoli assai istruttivi. Comincio con Giorgio Bocca e, occhio alle date.


 


II deserto del Cavaliere


GIORGIO BOCCA


 


Ci siamo sbagliati: non è il piccolo Cesare ma il pic­colo Attila. Cesare era un letterato, un grande statista, un riformatore. Il cavaliere di Arcore passa invece come una tem­pesta nei campi dell'informa­zione e della cultura alla testa dei suoi barbari armati di telefo­nino e di computer. La sua mae­stra è stata la lady di ferro, la si­gnora Thatcher che gli ha confidato l'arte del potere: non legge­re mai i giornali. E nemmeno i li­bri. Bastano i cellulari. In Cina mentre era in ascensore ha potuto telefonare alla madre con un aggeggio elettronico del pe­so di dieci grammi lungo cinque centimetri. Che si vuole di più dalla vita? I veri ometti autoritari li riconosci dal fatto che tratta­no come servi, come pezze da piedi i loro sudditi. A Roma il Ca­valiere presentava un libro di Bruno Vespa, e aveva al fianco due direttori di giornali. E gli di­ceva, alla brutta, che la parola scritta è come una carrozza a ca­valli rispetto a un'automobile. Ai piccoli Attila di questo tempo non mostrate mai ciò che di no­bile, di civile sopravvive nella società umana: lo azzannano, lo fanno a pezzi, lo deridono. E se ne vantano. Si sa che l'informa­zione pubblicitaria televisiva è una cassa di risonanza del pen­siero unico, persuade la gente che non c'è alternativa, che il denaro non è la farina del diavolo ma il motore dello sviluppo. Ma a lui questa informazione va benissimo, dice a una platea di giornalisti che sono dei patetici sorpassati, che nessuno li legge, che sono retrogradi e impoten­ti. E sa che sarà pure applaudito dagli embedded, da quanti fan­no parte del regime, del sistema.


La sicurezza dei padroni di oggi si esprime, si manifesta, si legalizza con l'arroganza. Il pre­sidente Bush non si affida ai di­plomatici per mettere in riga i paesi dissidenti, gli fa sapere che li ha esclusi dai buoni affari della ricostruzione in Iraq, e co­sì Berlusconi fa sapere alla stampa italiana riottosa e im­pertinente che le taglierà i fondi. Come si permette di protestare contro il suo monopolio? Ma non basta. I nemici della libera informazione non si acconten­tano di soffocarla, vogliono an­che essere riconosciuti come i suoi protettori: «Quale giornali­sta italiano - dice il Cavaliere - non può scrivere ciò che vuo­le?». Nel suo diario forse, non nei media che dipendono da lui. Chi dirige la televisione pubbli­ca ha capito l'antifona: non li­cenzia gli oppositori, gli indisci­plinati, gli eretici. Gli fa cortese­mente sapere che non sono in li­nea con i "programmi di produ­zione", con le regole della pro­duzione, cioè con il padrone. Siano ragionevoli, accettino una censura preventiva, i rinvii che vanificano il lavoro, rispet­tino chi ti può chiedere milioni di danni. E più il potere si sente in pericolo, più deve spiegare i suoi fallimenti, più alza la voce e fa schioccare la frusta. Bush co­me Berlusconi si ricandidano, vogliono altri mandati e se non glieli daranno se li prenderanno perché alle loro spalle ci sono i soldi e quelli che partecipano al bottino. Ha ragione il nostro a cantare le meraviglie della tele­visione: ci fa un sacco di miliar­di e grazie a lei ha cancellato l'opposizione sociale, ha arric­chito i ricchi e impoverito i po­veri che non si lamentano nep­pure e se lo fanno, come i tran­vieri di Milano, passano pure per sovversivi.


«Non è un attacco - dice il Ca­valiere - è una constatazione». Come no! «Ormai c'è Internet - dice - il futuro è digitale», lo sappiamo Cavaliere, la conosciamo questa informazione avanzata, la vediamo ogni giorno la fuga in avanti della tecnologia che met­te a tacere l'esame del presente e ci fa vivere in un futuro che non c'è ma è come se ci fosse. Lo sap­piamo che prolificità e velocità hanno moltiplicato gli inganni e i condizionamenti e che siamo quotidianamente impegnati in una battaglia per resistere, per salvare la libertà e la dignità. Ma lei ci va a nozze con lo scempio, lei con i suoi cavalieri mongoli della pubblicità spazza ogni re­sistenza, ogni dissidenza, il peg­gio la inebria, la compagnia dei servi la rincuora, premia i lac­chè, licenzia i capaci. Di che si lamenta Enzo Biagi? I colleghi gli hanno pure dato un premio, hanno riconosciuto che in tele­visione era il migliore. Di che si lamentano i satirici che la diffa­mano e non fanno ridere? Gli uomini di comando non si ar­rendono mai. Se cadono si rial­zano, se perdono una battaglia continuano la guerra. La politi­ca aggressiva di Bush è fallita, l'America si è cacciata in un pantano da cui non sa come uscire, ogni giorno soldati ame­ricani vengono uccisi. E allora si progetti il soldato invincibile, con il computer incorporato nell'elmetto, che vede nel buio e colpisce infallibilmente il nemi­co. È dal Vietnam che si coltiva­no queste leggende marziali in cui tutto è previsto, salvo che le bombe continuino ad ammaz­zare civili e bambini. Ma il Cava­liere indomito dopo aver distrutto la stampa riottosa e im­pertinente vuol essere più falco dei falchi, dice che il nostro fu­turo sarà una guerra continua per imporre la democrazia al mondo intero. Il marxismo "scientifico" come lo chiama­vano i comunisti dogmatici, ha commesso molti errori di previ­sione e di analisi. Ma il più grave forse è di non aver tenuto in de­bito conto il ruolo nella storia delle forti personalità. Ma ci pensate alla quantità di guasti, di prepotenze, di errori di cui siamo debitori al piccolo Attila?


 


la Repubblica (12 dicembre 2003)

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