domenica 11 gennaio 2009

(Il Popolo della) Libertà di violenza




Questo malgoverno, che le persone oneste devono subire, è uno spacciatore di annunci che si rivelano di lì a poco taroccati. Un governo tarocco, dunque, che persiste nelle sue infamità.


Per esempio, hanno venduto (bene, come l’imbonitore B., tessera P2 n°1816 insegna) il mito della sicurezza, dell’inossidabile e ormai stucchevole “tolleranza zero”, tutto miseramente dissolto di fronte alla crudezza dei fatti.


Una giovane bulgara di 20 anni è stata picchiata e violentata a Ladispoli il primo giorno dell’anno. Ha un trauma cranico al volto, ematomi ed escoriazioni in tutto il corpo. Il suo aggressore, un senegalese di 21 anni, è rinchiuso nel carcere di Civitavecchia. La giovane è stata trascinata violentemente in uno spogliatoio del campo sportivo di Ladispoli e costretta ad un rapporto orale.


Una giovane romena è stata violentata nella notte di Capodanno da un connazionale a Marino, centro dei Castelli Romani. La donna, di 29 anni, dopo una festa ha accettato l’invito a casa di un coetaneo che ha abusato di lei. La donna poi è scappata , l’uomo è stato denunciato per  violenza sessuale e sequestro di persona.


Una giovane di 23 anni con un figlio (e un mutuo) ha denunciato il suo capufficio, dopo mesi di sopportazione delle minacce di licenziamento se l’avesse denunciato. L’uomo, un 5oenne di Firenze, ogni mattina si fermava oltre l’orario per aspettare la ragazza e molestarla pesantemente. Lei l’ha registrato ed è stato colto in flagrante. 


Sequestro di persona per due romeni e violenza sessuale per uno di loro: sono le accuse su due uomini di 30 e 39 anni fermati dai carabinieri il primo dell’anno nel senese. Erano stati bloccati per un semplice controllo ma, all’improvviso, dall’auto è uscita una ragazza cinese che ha raccontato ai militari di essere stata violentata la notte di Capodanno.


Un ragazzo egiziano di 23 anni è stato bloccato dai carabinieri del Nucleo radiomobile di Roma e denunciato per violenza sessuale, dopo che aveva tentato di stuprare una donna italiana di 30 anni. A segnalare l’aggressione era stata la stessa vittima che, per due sere di seguito, era stata molestata dal giovane. Il primo episodio era avvenuto alle prime ore di Capodanno: la donna, dopo aver parcheggiato la propria auto per rientrare a casa, è stata avvicinata dall’uomo che l’ha aggredita palpeggiandola. Un intervento di alcuni automobilisti di passaggio ha messo in fuga l’egiziano che, tuttavia, la sera seguente l’ha di nuovo presa di mira. Questa volta però la giovane era in compagnia di un amico che è riuscito ad allontanare l’aggressore. La vittima ha quindi allertato i carabinieri che dopo alcune ore di ricerche sono riusciti ad individuare e a bloccare il nordafricano.


E sempre durante la notte di san Silvestro, dove sembra che si scatenino gli istinti belluini dell’animale-maschio, è stata brutalmente violentata una ragazza, a Roma, durante una festa patrocinata dal Comune, laddove l’attuale sindaco Alemanno aveva impiantato la sua campagna elettorale, cavalcando cinicamente lo stupro e l’omicidio di Giovanna Reggiani e la violenza sessuale subita da una studentessa del Lesotho.


Passata la festa, conquistato il Campidoglio e gabbato lo santo, adesso di quella squallida, ipocrita e fasulla indignazione, dunque taroccata anch’essa, nulla più resta.






Quando (pochi mesi fa) Alemanno “legge e ordine” sparava su Veltroni



«Veltroni dovrebbe essere citato in giudizio», diceva Alemanno ad aprile 2008 dopo lo stupro alla stazione La Storta. La campagna “tolleranza zero” iniziata dopo il delitto Reggiani:

«Roma non è sicura». «Veltroni dovrebbe essere citato in giudizio per il fatto accaduto alla stazione de La Storta. Ci sono gli estremi per una denuncia per danni contro il Comune di Roma e le Ferrovie, perché proprio il Comune, rispetto agli impegni presi, non ha fatto nulla». Così parlava Gianni Alemanno nell’aprile scorso, dopo lo stupro di una studentessa africana alla stazione romana de La Storta, che infiammò la campagna elettorale per il Campidoglio. Alemanno si precipitò alla stazione: «Dopo alcuni mesi dal terribile omicidio della signora Reggiani nulla è cambiato e ancora le persone, soprattutto le donne, sono vittime di aggressioni. L’amministrazione di centrosinistra ignora il tema della sicurezza». Toni gravi, a pochi giorni dal voto il clima era surriscaldato, il centrosinistra in affanno a causa della campagna legge e ordine dell’uomo di An. Che prometteva scenari alla Rudy Giuliani: «Bisogna essere ferrei, se non si impone il principio della tolleranza zero questa città non si salva. Bisogna cancellare la sensazione che ognuno possa fare quello gli pare, chi viola la legge deve pagare il prezzo». E ancora: «Serve un programma di emergenza».


Dopo 9 mesi, forse è presto per un esame rigoroso delle tante promesse di Alemanno in tema di sicurezza, dallo sgombero dei campi nomadi alle 2Omila espulsioni annunciate, ma un dato è certo: di fronte agli stupri che continuano imperterriti la destra al governo non sa cosa dire. Tranne bollare come «imprudenti» i due olandesi aggrediti nell’agosto scorso a Ponte Galeria. «Se uno si accampa in un posto abbandonato da Dio è difficile garantire la sicurezza», disse un imbarazzato Alemanno. Eppure la rimonta della destra è cominciata proprio cavalcando questo tema. All’indomani dell’omicidio Reggiani, nel 2007, Alemanno puntò subito il dito contro Veltroni: «Non dimentico tutte le volte che ha detto che la città era sicura e ha trattato con disprezzo chi lo metteva in dubbio», disse uscendo dai funerali della signora Reggiani. Fini si precipitò a Tor di Quinto, Alemanno con lui, botte da orbi contro l’allora governo Prodi, contro Rutelli e Veltroni. «È il momento di affondare il coltello sul modello Roma», dicevano gli uomini di An. Ora governano loro, gli stupri continuano, della propaganda di pochi mesi fa non rimangono che ritagli di giornale.


l’Unità (4 gennaio 2008)


 


Parla la ragazza vittima della violenza a Capodanno. Al concerto non c’erano le guardie

Un uomo «mi ha presa per il collo vicino al bagno, ho temuto di morire soffocata»

«La mia notte di terrore a Roma non c’ era sicurezza»


«Non erano in 7, non ero drogata, ho cercato di difendermi». Parla la ragazza vittima dello stupro di Capodanno a Roma, durante un festival techno. «Non c’era sicurezza. Girava droga a destra e a sinistra».


PAOLA NATALICCHIO


 


Il pigiama rosa, gli occhi grandi e scuri, leggermente truccati. L’ago della flebo in un braccio. La voce bassa, però ferma. Arrabbiata, però gentile. Una ragazza qualunque. Circondata e protetta da un gruppo di amici che da giovedì mattina non la lascia sola un istante. Amiche, soprattutto. Giovani donne come lei. Ieri mattina erano in due. Spaventate, arrabbiate, eppure composte. Avanti e dietro, per il corridoio del secondo piano del reparto di Ostetricia e Ginecologia, come nel pieno di un personale travaglio. Ventenni con il berretto, la felpa col cappuccio, le scarpe da ginnastica, gli sms che arrivano sul cellulare. Accendino e sigaretta in mano, escono solo per fumare. A turno. Dribblano le mamme con il pancione, i papà impazienti con le buste in mano. Guardano per terra. Lo leggi sui loro volti che vorrebbero prendersi un po’ del suo dolore. Dividere con lei un pezzo di quella vergogna senza colpa

che la giovane donna stuprata la notte di Capodanno durante il Festival di musica tecno Amore ‘09 - patrocinato dal comune di Roma - sembra portarsi addosso. Sono loro ad accompagnarti dentro la stanza, l’ultima del corridoio, la più nascosta. Una si stende con lei sul letto, si mette sotto la coperta. L’altra, più timida, scivola su una poltrona e con disciplina, quando serve, risponde al suo cellulare. Che squilla spesso. E dall’altra parte sempre la stessa domanda.


Sta bene, dicono i medici. Lei però ti racconta che la notte non dorme. Non ricorda e non dimentica, insieme. E poi si tormenta. E per gli altri, soprattutto, che si preoccupa. «Per favore, lasciate in pace i miei nonni. Non andate a trovarli a casa», ripete. Oppure: «anche la mia migliore amica. Per favore, non fatele più domande, non scrivete più di lei. Sta già soffrendo parecchio». Per favore, dice spesso così. E ancora: «mia sorella, sono preoccupata per mia sorella. Lei non era con me. Scrivetelo, lei non c’era». Poi, però, la rabbia inizia a scorrere e i ricordi, ancora confusi, arrivano uno alla volta. Fotogrammi sfuocati. «Ho lavorato, quella sera. Fino alle 11. Se avessi avuto le ferie sarei partita con alcuni amici per la montagna oppure avrei organizzato una festa a casa mia. Abbiamo una sala-hobby, si poteva fare lì». Si poteva fare lì, ecco.


Poteva andare diversamente. Invece è partita in macchina con quattro amici per la Nuova Fiera. Sono arrivati alla festa che era già l’una. «A me la musica elettronica piace, certo. Ma non abbiamo trovato quello che ti aspetti da una festa patrocinata dal Comune. Era un rave party legalizzato». Quattro padiglioni, ognuno con un genere musicale diverso, tutti dedicati alla musica elettronica. Un dispiegamento di sicurezza quasi senza precedenti, secondo gli organizzatori. «La sicurezza non c’era. C’era all’ingresso, è vero. Ai cancelli. Ma non nei padiglioni. Dove girava droga a destra e a sinistra. Ti passavano davanti e ti chiedevano: “ketamina, md, speed?” Ma io non mi sono drogata. Non ho preso cocaina, non ho preso ketamina. Non so nemmeno cos’è la ketamina. Negli esami che mi hanno fatto non ci sono tracce di droga. Solo alcol». Aveva bevuto un po’, dice. Un paio di gin tonic. E a un certo punto, verso le 4 di notte, ha lasciato gli amici ed è uscita fuori. «Sono uscita da sola per andare in bagno». È lì, nei pressi dei bagni chimici, non troppo distanti dai padiglioni che l’hanno avvicinata. «Non erano in sette», ripete con pudore, ma anche con rabbia, determinazione. Come a difendersi da un’offesa. La tesi del branco la ferisce, aggiunge vergogna al dolore, racconta un abuso se possibile più efferato dell’incubo reale che ha vissuto. «Mi hanno presa per il collo», dice inclinando la testa a sinistra, passandosi una mano sul livido che ha tra il mento e il torace, che segna marcatamente la traccia di una presa. Lo sfregio più visibile di quello che è stato, insieme a uno squarcio sul labbro. «Ho rischiato di morire soffocata», aggiunge. Non ricorda però i dettagli. E anche sugli aggressori non ha le idee chiare. Sul numero, soprattutto. Qualche volta parla al plurale, altre al singolare. Quando le chiedi se c’erano testimoni, ad esempio. «C’erano, c’erano. Non stava da solo. Però non erano in sette». Lascia intendere che il violentatore sia stato uno, coperto da alcuni complici, forse un paio. Poi aggiunge con orgoglio che si è difesa. Mostra i graffi, i lividi sulla gamba. «Guarda. Certo che mi sono difesa. E pensi che se fossi stata drogata come si è detto ci sarei riuscita? Sbattevo, inciampavo». Questo, però, non ha impedito che la violenza si consumasse. Nel modo più brutale. Tanto che quando l’hanno trovata era rimasta solo con le calze addosso. La gonna strappata via, insieme agli indumenti intimi. Sangue dappertutto. «C’erano le telecamere? Qualcosa avranno ripreso», sbotta, alla fine. «Se ci fosse stata la sicurezza, ai bagni, mi avrebbero soccorsa prima», insiste. Poi prende in mano un paio di cuffie. «Scusa, adesso voglio sentire un po’ di musica». Le amiche scattano in piedi. Stringono la mano. Con un gesto discreto, indicano la porta.


l’Unità (4 gennaio 2009).


 


Ma anche dove impera la Lega il bluff della sicurezza è ormai palese.


 


Verona, racconto choc. Francesca, una delle vittime: «Eravamo al bar, si sono scatenati»

«Mi hanno rotto il naso con un posacenere» Botte e calci a tutti: altro che ultras

«Erano skin, cantavano “faccetta nera” Poi ci hanno pestato a sangue»


Il gruppo di ragazzi si era ritrovato in un locale per festeggiare un compleanno. L’aggressione da parte di una banda di sedicenti tifosi dell’Hellas Verona a pochi metri da dove fu ucciso Nicola Tommasoli.


SILVIA CASAGRANDE


 


«Cantavano “Faccetta nera” e ci hanno massacrati». Ma per fortuna a Francesca A., 30 anni, è andata meglio che a Nicola, ucciso da cinque neofascisti lo scorso maggio nel centro di Verona. Lei l’altro giorno se l’è cavata con un occhio nero e il setto nasale rotto, ma può ancora raccontare l’aggressione che con i suoi amici ha subito nella notte tra sabato e domenica a due passi da piazza Erbe, a poche centinaia di metri dove si consumò l’assassinio di Nicola. Stava festeggiando il compleanno di un’amica in un locale all’angolo tra via Alighieri e piazza Viviani in compagnia di amici di vecchia data: ragazzi tra i 25 e 30 anni, in maggioranza donne, universitari e lavoratori, «ragazzi normali», precisa Francesca, ancora alla ricerca del motivo per il quale sono stati assaliti. Era quasi finita la serata e si stavano salutando fuori dal locale, fumando una sigaretta, quando una ventina di teste rasate, purtroppo ben conosciute in città, si sono avvicinati a Francesca e ai suoi amici cantando cori come “Faccetta nera”, scanditi da saluti romani e slogan razzisti come “Sieg heil apartheid” («Rendiamo onore all’apartheid»).

A un certo punto, sono passati anche a cori “macisti”, rivolti alle ragazze presenti, finché uno degli amici di Francesca non ha provato a dire: «Adesso basta». Non è riuscito nemmeno a finire la frase, che un pugno l’ha colpito in pieno viso, è caduto a terra ed è iniziata la furia: «Sono partiti tutti insieme - racconta Francesca - il mio amico era a terra e loro in cerchio su di lui lo colpivano con violenti calci nei reni». Francesca reagisce urlando: «Siete in dieci contro uno» e la furia non risparmia nemmeno lei: «Uno di loro ha impugnato un posacenere e mi ha colpito in faccia. Mi hanno rotto il naso e ho rischiato di perdere la retina».


Uno dei ragazzi aggrediti riesce a chiamare la polizia e, quando sentono avvicinarsi le volanti, gli aggressori scappano per vie laterali. «Quando sono arrivati, i poliziotti si sono messi a chiedere i nostri documenti, invece che seguire chi stava scappando - racconta un’altra ragazza presente quella sera - questi soggetti sono ancora a piede libero: io ho paura a tornare da sola dal lavoro».


Oltre a Francesca, dimessa con una prognosi di trenta giorni per il setto nasale rotto, sono finiti al Pronto Soccorso altri due ragazzi, che hanno riportato ferite e contusioni su tutto il corpo, risultate guaribili in venti giorni.


L’ipotesi di accusa parla di lesioni gravi e la Digos sta indagando negli ambienti vicini alla curva Sud dell’Hellas Verona e fra i gruppi dell’estrema destra, realtà che nel veronese spesso coincidono. Ma, così come era successo nel caso dell’omicidio Tommasoli, gli inquirenti sostengono che l’aggressione di piazza Viviani non abbia matrice politica, che si tratterebbe di una semplice «lite finita male». Diversa è l’opinione della vittima:

«La comunità veronese è costretta a tollerare, seppur con fastidio e disgusto, la presenza di personaggi del genere e soprattutto sopporta gli atti di cui essi si rendono protagonisti».


l’Unità (9 gennaio 2009)





Fino a quando dovremo sopportare tutto questo?

2 commenti:

  1. Il mio commento è impopolare perché non segue i solchi tracciati dalla politica.

    Occorre cambiare le leggi, visto che in Italia non esiste la certezza della pena.

    Inoltre serve anche l'ergastolo per determinati crimini (si veda Izzo, il mostro del Circeo). Qualcuno vuole abolire l'ergastolo, e allora mi chiedo dove manderemo gente come Izzo. Forse lo manderemo a redimersi casa di chi considera l'ergastolo un'aberrazione, così si renderà conto di come funziona il mondo.



    A proposito di giustizia, fra buonismo grullo e tolleranza zero, entrambi ideologici e strumentali, nonché ridicoli, a rimetterci sono solo i cittadini, di qualsiasi nazionalità.



    Per gli stupratori, poi, occorrono pene più severe.

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  2. RominaM. il tuo commento mi trova d'accordo. Penso che ormai i solchi tracciati dalla politica divergano in maniera abissale dal buon senso. E quando si blatera di riforma - strumentale - della giustizia, si aggiunge come corollario "la certezza della pena". E i demagoghi sanno bene che è solo teorica questa certezza. Se poi si aggiunge qualcuno "più uguale" degli altri di fronte alla legge ecco una chiave di spiegazione dell'autentico caos.

    Il "buonismo grullo" e la stucchevole "tolleranza zero" continuano a causare danni rilevanti, è vero. Ma è vomitevole anche l'uso strumentale che si fa dello stupro, in questo caso, perchè quando non si è in campagna elettorale ogni cosa viene accantonata. Che tristezza!

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