domenica 18 gennaio 2009

E' notte a Gaza




Mentre il fragile cerchio della tregua, forse, si sta chiudendo, credo sia utile restare in Medioriente per ripercorrere, attraverso una breve cronologia, la road map della guerra. Per capire meglio, invece, è sufficiente osservare attentamente le modifiche geografiche che ha subito l’insanguinata regione sulle cartine che la cara harmonia ha proposto nel suo blog. Mi sembra che non serva alcun interprete.


È un post, questo, che suddivido in quattro parti ,tutte con il medesimo titolo e relativo numero d’ordine. Si tratta dell’esigenza che avverto di condividere il materiale più interessante trovato negli ultimi giorni, unita all’indispensabile fruibilità dello stesso.


Dunque procederò con gli editoriali di Eduardo Galeano e Barbara Spinelli, un doveroso richiamo al fosforo bianco usato nell’offensiva israeliana, che certo brucia molto di più di pezzi di stoffa dati alle fiamme e una corrispondenza di Vittorio Arrigoni che racconta ciò che vede in terra palestinese. Una presenza ingombrante, la sua, che s’insinua nelle cattive coscienze di coloro che delirano sull’insicurezza dello stato d’Israele.


Chi scrive sta con i palestinesi e con Michele Santoro, pretestuosamente attaccato dopo una trasmissione in cui è stato proposto, attraverso immagini e testimonianze, ciò che accade nella Striscia di Gaza. Proprio quello che le cattive coscienze di cui sopra vorrebbero impedire, a beneficio di un giornalismo “embedded”, più rassicurante e meno problematico.


 







Con la vittoria elettorale di Hamas inizia, in pratica, la guerra a Gaza. Siamo nel gennaio 2006, quando, nonostante le previsioni che davano per certo il successo di Fatah (capeggiato dal presidente palestinese moderato Abu Mazen, sostenuto da Stati Uniti e Israele), “Cambiamento e Riforma”, il partito politico di Hamas, vince le elezioni nei Territori Palestinesi (le prime libere e regolari del mondo arabo) con il 44% dei voti sulla base di un programma di lotta alla corruzione e di miglioramento dei fatiscenti servizi pubblici nella Striscia di Gaza.


Invece di riconoscere il governo palestinese di Hamas democraticamente eletto, presieduto da Ismail Haniyeh, Stati Uniti e Israele cercano da subito di rovesciarlo, fomentando una guerra civile tra palestinesi e armando le milizie di Fatah per imporre un nuovo governo non eletto. Lo stallo politico e gli scontri tra Fatah e Hamas proseguono, da marzo 2006, per oltre un anno causando centinaia di morti tra le due parti.


Tra marzo e giugno 2007 Hamas accetta di formare un governo di unità nazionale con Fatah. Tuttavia gli scontri tra le due fazioni non si fermano. Nel mese di maggio si intensificano fino a sfociare a giugno nella battaglia di Gaza. Abu Mazen dissolve il governo di unità nazionale proclamando lo stato d'emergenza e Hamas conquista militarmente il controllo della Striscia di Gaza, instaurando un governo presieduto sempre da Ismail Haniyeh. Il presidente Abu Mazen, Israele e Stati Uniti non riconoscono il nuovo governo di Gaza, accusando Hamas di “colpo di Stato”. Hamas rivendica la propria legittimità a governare in virtù della vittoria elettorale del gennaio 2006.


Settembre 2007. In seguito alla ripresa dei lanci di razzi Qassam da parte di Hamas, Israele dichiara la Striscia di Gaza “territorio ostile” e la sottopone a un rigido embargo, tagliando i rifornimenti di carburante e derrate alimentari e impedendo ai gazawi di recarsi al lavoro in Israele. Questo blocco (criticato dalle associazioni internazionali per i diritti umani in quanto forma di “punizione collettiva”) nel giro di pochi mesi porta al collasso la già malmessa economia della Striscia, riducendo la popolazione alla disperazione, ma non ferma il lancio dei razzi Qassam.


Marzo 2008. Israele scatena a inizio mese un'offensiva aerea e terrestre nella Striscia di Gaza (operazione “Inverno Caldo'”), uccidendo in pochi giorni 112 palestinesi, di cui 58 civili.

Raid aerei israeliani e lanci di Qassam proseguono per tutta la primavera.


Giugno 2008. Hamas e Israele concordano una tregua di sei mesi: Israele si impegna a rimuovere il blocco economico alla Striscia di Gaza in cambio della fine del lancio dei Qassam da parte di Hamas.


La pioggia quotidiana di razzi di Hamas su Israele cessa (solo Jihad Islamica e Brigate dei Martiri di Al-Aqsa - braccio armato di Fatah - sparano di tanto in tanto), ma Israele non riapre i valichi e continua a compiere 'omicidi mirati' contro esponenti di Hamas nella Striscia di Gaza.


Novembre 2008. Approfittando della distrazione mediatica provocata dalle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, il 4 novembre Israele rompe definitivamente la tregua compiendo un'incursione militare nella Striscia di Gaza nel corso della quale vengono uccisi diversi miliziani di Hamas. Il giorno dopo riprende il lancio dei razzi Qassam sul sud di Israele.


Dicembre 2008. Due giorni dopo Natale, in risposta al lancio dei Qassam, Israele scatena l'operazione 'Piombo Fuso'.


 



Il pezzo che segue è di forte intensità, ricco di spunti per una riflessione che voglia essere onesta. Da leggere, rileggere e conservare. Lo sottoscrivo in pieno.


PIOMBO IMPUNITO 


di Eduardo Galeano


Per giustificarsi, il terrorismo di stato fabbrica terroristi: semina odio e raccoglie pretesti. Tutto indica che questa macelleria di Gaza, che secondo gli autori vuole sconfiggere i terroristi, riuscirà a moltiplicarli.


Dal 1948 i palestinesi vivono una condanna all'umiliazione perpetua. Senza permesso non possono nemmeno respirare. Hanno perso la loro patria, la loro terra, l'acqua, la libertà, tutto. Non hanno nemmeno il diritto di eleggere i propri governanti. Quando votano chi non devono, vengono castigati. Gaza viene castigata. Si è trasformata in una trappola per topi senza uscita da quando Hamas vinse limpidamente le elezioni nell'anno 2006. Qualcosa di simile era accaduto nel 1932, quando il Partito Comunista aveva trionfato nelle elezioni in Salvador. Inzuppati nel sangue, i salvadoregni espiarono la loro cattiva condotta e da allora vivono sottomessi a dittature militari. La democrazia è un lusso che non tutti meritano.

Sono figli dell'impotenza i razzi caserecci che i militanti di Hamas, rinchiusi a Gaza, sparano con mira pasticciona sopra le terre che erano state palestinesi e che l'occupazione israeliana ha usurpato. E la disperazione, al limite della pazzia suicida, è la madre delle spacconate che negano il diritto all'esistenza di Israele, urla senza alcuna efficacia, mentre una molto efficace guerra di sterminio sta negando, da anni, il diritto all'esistenza della Palestina.


Già non ne resta molta, di Palestina. Passo dopo passo Israele la sta cancellando dalla mappa. I coloni invadono, e dietro di loro i soldati modificano la frontiera. I proiettili sacralizzano il furto, in legittima difesa.


Non c'è guerra aggressiva che non dica d'essere guerra difensiva. Hitler invase la Polonia per evitare che la Polonia invadesse la Germania. Bush invase l'Iraq per evitare che l'Iraq invadesse il mondo. In ognuna delle sue guerre difensive Israele ha inghiottito un altro pezzo di Palestina, e il pasto continua. Il divorare si giustifica con i titoli di proprietà che la Bibbia ha assegnato, per i duemila anni di persecuzioni che il popolo ebreo ha sofferto, e per il panico causato dai palestinesi che hanno davanti.


Israele è il paese che non adempie mai alle raccomandazioni e nemmeno alle risoluzioni delle Nazioni unite, che non si adegua mai alle sentenze dei tribunali internazionali, che si fa beffe delle leggi internazionali, ed è anche il solo paese che ha legalizzato la tortura dei prigionieri.


Chi gli ha regalato il diritto di negare tutti i diritti? Da dove viene l'impunità con cui Israele sta eseguendo la mattanza di Gaza? Il governo spagnolo non avrebbe potuto bombardare impunemente il Paese Basco per sconfiggere l'Eta, né il governo britannico avrebbe potuto radere al suolo l'Irlanda per liquidare l'Ira. Forse la tragedia dell'Olocausto comprende una polizza di impunità eterna? O quella luce verde proviene dalla potenza più potente, che ha in Israele il più incondizionato dei suoi vassalli?


L'esercito israeliano, il più moderno e sofisticato del mondo, sa chi uccide. Non uccide per errore. Uccide per orrore. Le vittime civili si chiamano danni collaterali, secondo il dizionario di altre guerre imperiali. A Gaza, su ogni dieci danni collaterali tre sono bambini. E sono migliaia i mutilati, vittime della tecnologia dello squartamento umano che l'industria militare sta saggiando con successo in questa operazione di pulizia etnica.

E come sempre, è sempre lo stesso: a Gaza, cento a uno. Per ogni cento palestinesi morti, un israeliano.

Gente pericolosa, avverte l'altro bombardamento, quello a carico dei mezzi di manipolazione di massa, che ci invitano a credere che una vita israeliana vale quanto cento vite palestinesi. Questi media ci invitano a credere che sono umanitarie anche le duecento bombe atomiche di Israele, e che una potenza nucleare chiamata Iran è stata quella che ha annichilito Hiroshima e Nagasaki.


È la cosiddetta comunità internazionale, ma esiste?


È qualcosa di più di un club di mercanti, banchieri e guerrieri? È qualcosa di più di un nome d'arte che gli Stati uniti si mettono quando fanno teatro?


Davanti alla tragedia di Gaza l'ipocrisia mondiale brilla una volta di più. Come sempre l'indifferenza, i discorsi inutili, le dichiarazioni vuote, le declamazioni altisonanti, i comportamenti ambigui rendono omaggio alla sacra impunità.

Davanti alla tragedia di Gaza i paesi arabi si lavano le mani. Come sempre. E come sempre i paesi europei se le fregano.


La vecchia Europa, tanto capace di bellezza e di perversione, sparge una lacrima o due mentre segretamente celebra questo colpo maestro. Perché la caccia agli ebrei è sempre stata un'abitudine europea, ma da mezzo secolo questo debito storico viene fatto pagare ai palestinesi, che pure sono semiti e non sono mai stati, e non sono, antisemiti. Essi stanno pagando, in sangue contante e sonante, un conto altrui.


(Questo articolo è dedicato ai miei amici ebrei assassinati dalle dittature latinoamericane sostenute da Israele)


il manifesto (15 gennaio 2009)


 

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