sabato 8 dicembre 2007

Il massacro degli operai


7/12/2007 (18:10) - INCIDENTE ALLA THYSSEN KRUPP


Incendio in acciaieria, è strage: sale a quattro il numero dei morti


Roberto Scola, Angelo Laurino e Bruno Santino non ce l'hanno fatta.

Rabbia dei sindacati: fermare la strage


TORINO - Ormai è strage. Nell'inferno alle acciaierie della ThyssenKrupp di Torino sono morti altri tre operai: Roberto Scola, Angelo Laurino e Bruno Santino. Restano gravissimi ancora altri tre lavoratori colpiti dalle fiamme.(…) www.lastampa.it (7 dicembre 2007)


 


982: i morti dall’inizio dell’anno, 24.552: gli invalidi, 982.102: gli infortuni. Sono i raccapriccianti numeri relativi agli incidenti sul lavoro in Italia, cifre che pongono il mondo imprenditoriale e politico sotto la stessa soma di responsabilità, gravissime, che vanno dall’elusione delle norme di protezione e sicurezza, alle spese irrisorie per mettere a norma apparecchi e impianti. Per l’ottica padronale non generano reddito e, conseguentemente, diventano improduttive, dunque da minimizzare. Loro gli stragisti con i colletti bianchi lordi di sangue.


 


Dodici ore nel pericolo


Luciano Galllino


la Repubblica (7 dicembre 2007)


Lavorare a produrre acciaio è sempre stato un mestiere molto pericoloso, non foss’altro perché i materiali e i macchinari che si utilizzano per trasformare il metallo sovrastano ogni dimensione umana.


Se ci sono di mezzo processi di fusione o di forgiatura a caldo, l’operaio si trova a poca distanza da decine di tonnellate di metallo incandescente.


Rispetto a venti o trent’anni fa, la tecnologia ha inserito qualche protezione e qualche metro in più tra lui e la massa rovente, ma il pericolo che questa rappresenta è sempre in agguato. Sui treni di laminazione a freddo le lamiere scorrono a una velocità di parecchi metri al secondo, ciò che le rende capaci di distruggere qualsiasi oggetto o arto umano, che capiti sul loro cammino.


Nell’interazione con tali smisurati mostri meccanici, ogni minimo guasto può costare una mutilazione o la vita.


In quello stesso ambiente, anche un minimo cedimento di attenzione può portare al disastro. Perché oltre ad essere molto pericoloso, lavorare l’acciaio comporta una immensa fatica. Vi contribuiscono tutti insieme l’impegno fisico, il rumore, le masse in movimento di materiali e le macchine che le muovono, il senso di rischio che incombe in ogni minuto della giornata


Non sembra che i tecnici e i dirigenti della Thyssen Krupp di Torino avessero particolarmente presenti tali elementari considerazioni. Infatti, se soltanto la metà di quello che si è visto in tivù e che hanno raccontato gli operai e altri accorsi sul luogo dell’incidente risultasse vero, combinato con la tipologia stessa dell’incidente, la sottovalutazione dei rischi da parte di coloro che dovevano semmai sopravvalutarli configura una grande responsabilità morale, che va molto al di là della eventuale responsabilità giuridica che la magistratura dovrà accertare. Non si dovevano lasciar invecchiare gli impianti oltre un certo limite, anche se i dati tecnici e le statistiche dei guasti dicevano che, dopotutto la probabilità di un incidente grave era bassa. Non si dovevano lasciare deperire le misure di sicurezza e di intervento rivelatesi terribilmente lente e inefficaci, anche se qualche perizia dimostrerà che quel cartellino di questo o di quell’estintore sta a comprovare che quest’ultimo era stato debitamente controllato. E meno che mai si doveva chiedere, o permettere, che operai già sottoposti alla fatica massacrante delle normali otto ore ne facessero fino ad altre quattro di straordinario.


Quello che si intravede nello sfondo di questo incidente è una cultura di impresa che nella sua lista di priorità colloca la produzione, il fatturato, i bilanci la competitività molto in alto, mentre ripone molto in basso il destino delle persone le quali alla produzione, al fatturato e al bilancio aziendale materialmente provvedono


Lo sappiamo. Ce lo hanno spiegato cento volte. Se non si fa il fatturato, si perdono i posti di lavoro. Bisogna far fronte alla concorrenza nazionale, europea, mondiale, altrimenti si è costretti a chiudere. Sicuramente c’è del vero in tali luoghi comuni. Ma a questo punto sarà pur lecito chiedersi che cosa ci stanno a fare i manager pagati milioni di euro l’anno, le legioni di laureati in economia aziendale che sanno tutto su come si genera un corposo flusso di cassa, le falangi di tecnici che inventano prodotti e apparati produttivi aggiornati quasi di giorno in giorno, gli autori di infiniti saggi scientifici che spiegano come ottimizzare la redditività del capitale, i soliti inviti ad affrontare la sfida della competitività


Che cosa ci stanno a fare tutti costoro, voglio dire, se alla fin dei conti non riescono a elaborare e a mettere in pratica una cultura di impresa che sappia combinare buoni fatturati e solidi bilanci con una organizzazione del lavoro e della produzione che non rechi con sé ogni giorno, quale fosse un fenomeno di natura, una scia smisurata di lutti e sofferenze.


 


Il sacrario virtuale dei caduti sul lavoro


I caduti sul lavoro sono quasi mille. A darne notizia è il sito web www.cadutisullavoro.it, creato da Raffaele Russo e Nicola Savoia, sul quale campeggia la scritta: «Il sacrario virtuale dei caduti sul lavoro».


Dal 1 gennaio a oggi i morti sul lavoro sono 980, 24mila 512 lavoratori rimasti invalidi e 980mila 504 infortuni. Le cause - ovviamente - sono la mancata applicazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro e d'investimenti mirati a ridurre infortuni e incidenti.


Si può leggere nel sito web, creato da Raffaele Russo e Nicola Savoia: «1328 morti ogni anno è la media dei caduti sul lavoro tra il 2003 e il 2005: poco meno di 4,5 morti al giorno. Nel 2006, 1280 "morti bianche". Il 2007 non mostra segni d'inversione di tendenza. Questo succede in Italia, uno dei Paesi più ricchi al mondo. A considerare solo la faccia emersa della tragedia, i dati ufficiali».


Sono cifre da guerra. «Quattro anni di occupazione militare dell'Iraq sono costati molte meno vittime dell'esercito Usa». E - infatti - la grafica del sito ricalca l'immagine creata dal New York Times sulle morti dei soldati Usa in Iraq. Questa volta è un teschio sul quale si possono vedere nomi, cognomi e fotografie delle ultime vittime sul lavoro. «Questa non è una guerra per il petrolio», osserva il curatore del sito, «è una guerra combattuta ogni giorno da gente costretta a lavorare per pochi soldi, senza difese, senza tutele». http://www.unita.it   (7 dicembre 2007)



Post dedicato alla memoria di ANTONIO SCHIAVONE, ROBERTO SCOLA, ANGELO LAURINO e BRUNO SANTINO

3 commenti:

  1. Sacrosante parole alle quali seguiranno le parole dei politici, sindacalisti senza che nulla cambi

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  2. charliebrown01dicembre 08, 2007

    Grazie Frank per la news, l'ho letto, altra testimonianza e spiegazione di come viaggia questo paese....



    Ciao,charlie.

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  3. esperidio, si teme che sia così, si spera di sbagliare.

    charlie, prego :-)

    A me fa un certo effetto sapere che mentre sto scrivendo queste righe ci sono persone che sono sottoposte ad un lavoro massacrante ed usurante, sempre a rischio della loro vita. Apprendendo anche che, secondo le statistiche, si è maggiormente esposti a rischio infortuni il lunedì, arrivavo ad una conclusione assai differente da quella a cui era giunto il giornalista, vale a dire che non dipende dai riflessi appannati dopo il fine settimana, ma da un fine settimana ormai troppo corto per chi lavora in determinati settori che consumano risorse enormi. Due giorni di sosta non bastano per recuperare, si dovrebbe lavorare di meno per riposarsi veramente ed avere riflessi pronti fin dal lunedì. Il lavoro in un'acciaieria appare perfino inumano, nega la vita in certi frangenti, dopo aver ridimensionato la vita sociale. I turni di notte, gli straordinari, obbligati da stipendi miseri, è tutto da rivedere per restituire speranza di vita e dignità a questi lavoratori.

    Ciao, Frank57

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