sabato 13 febbraio 2010

Che un qualunque dio li fulmini!











Bertoladri




MARCO TRAVAGLIO


 


Più intercettazioni escono, più si capisce perché le vogliono abolire. Non c’è niente di meglio che ascoltare la nostra classe dirigente, anzi digerente, e i nostri imprenditori, anzi prenditori, per capire da chi siamo governati. Eppure, grazie alle inchieste di Espresso, Repubblica, Annozero, Report e Il Fatto, chi fossero Bertolaso e la sua band si poteva intuirlo.


Solo un’informazione serva e salivare poteva scambiare questo bluff semovente, travestito da calciatore della Nazionale, per “un servitore dello Stato nel mirino dei giudici” (Vespa, Pompa a Pompa), “il virgilio delle catastrofi, la straordinaria normalità, jeans&polo, voce piana e forte appeal, l’uomo che piace a tutti tranne che ai magistrati che provano a inzaccherargli la divisa” (Mario Giordano, Libero anzi Occupato), “un efficace organizzatore” (Sergio Romano, Pompiere della Sera), “un tecnico capace ed efficiente” (Littorio Feltri, il Geniale), “l’homus berlusconianus (sic), quello del ‘basta con le chiacchiere’, della politica del fare, dei metodi spicci, lo zar di tutte le emergenze” (Peppino Caldarola, Il Riformatorio), “un uomo che fa del bene e quindi viene perseguitato” (il Banana).


Ora, grazie alle intercettazioni, anche i non vedenti e i non scriventi sanno chi è e di chi si circonda: un cenacolo di stilnovisti che, molto fisionomisti, si autodefinivano “cricca di banditi”, “immersi in un liquido gelatinoso ai limiti dello scandalo”, “combriccola”, “gente che ruba tutto il rubabile”, “bulldozer”, tipi “da carcerare”. Infatti sono stati accontentati.


Siccome anche la toponomastica ha un peso, l’appaltatore-elemosiniere di Bertolaso, Diego Anemone, risiede in via Regalìa: più che un indirizzo, una vocazione. Infatti, per rastrellare contanti per gli incontri con San Guido, si rivolgeva a un prete, don Evaldo, per gli amici “don Evà”. Ma le mazzette erano soprattutto in natura, ultima evoluzione di Tangentopoli: fuoriserie e aerei a sbafo, ristrutturazioni e divani gratis, escort e massaggi tutto compreso, assunzioni di figli e domestici. Ecco, la famiglia prima di tutto: Angelo Balducci, uno dei BertoBoys, tenta di piazzare il figlio: “Compie 30 anni e io mi chiedo come padre: che ho fatto per lui? Un cazzo”. Un genitore esemplare. La regola è non pagare mai il conto: quando Anemone in versione marina organizza soggiorni all’Argentario per Carlo Malinconico, segretario generale di Palazzo Chigi e poi presidente degli Editori di giornali, precisa: “Mi raccomando, non è che si distraggono e gli fanno il conto!”. Non sia mai. In altre telefonate sembra di riascoltare i furbetti del quartierino. Fazio: “Ho messo la firma”. Fiorani: “Tonino, sono commosso, io ti ringrazio... ho la pelle d’oca... ti darei un bacio sulla fronte ma non posso farlo... prenderei l’aereo e verrei da te, se potessi”. Ora un altro dei BertoBoys, Fabio De Santis, meravigliosamente definito dalla burocratjia della Protezione civile “soggetto attuatore”, dice ad Anemone: “Dammi un bacio sulla fronte”. Anemone va un po’ più in giù: “Dove vuoi, pure sul culo se mi dai una buona notizia”. Altri ingredienti ricordano i sistemi di Bancopoli, Calciopoli e Parmalat, col controllo sulle sole variabili impazzite rimaste: non il Pd, figuriamoci, ma i pochi giornalisti e magistrati che ancora fanno il proprio mestiere.


Il giornalista spione riferisce quel che sta per scrivere Fabrizio Gatti sull’Espresso, mentre – secondo l’accusa – il procuratore aggiunto di Roma Achille Toro spiffera notizie agl’indagati (l’avevano già pizzicato nel caso Unipol, infatti coordinava le indagini sui grandi eventi).


Completano il quadro le “ripassate” di Bertolaido a Francesca e a un’altra signorina (“una fisioterapista di mezza età”, garantisce il premier, sempre informatissimo), ma a scopo di “terapia” per “riprendermi un pochettino”. E aggiungono un tocco di berlusconianitudine al tutto (il listino del Beauty Salaria include il “trattamento fango”, 65 euro tutto compreso). Ce n’è abbastanza per l’immediata nomina di San Guido a ministro, con legittimo impedimento incorporato: un Bertolodo.


(12 febbraio 2010)


 


 


Fate schifo


di Antonio Padellaro


 


La peggiore storia italiana ci ha abituati a ruberie di ogni genere da parte di affaristi manigoldi in combutta con politici degni compari. Ma non si ricorda una scena come quella dei due costruttori amici di un amico della Protezione civile. Esultanti per il terremoto che ha appena spianato L’Aquila. Raggianti al pensiero della fetta a loro destinata nel bottino della ricostruzione. Quei due rappresentano lo spirito di un tempo triste dove, per dirla con un altro "imprenditore" a fauci spalancate: "Possiamo pigliare tutto quello che ci pare". Purtroppo è così: tutto è permesso alla "cricca dei banditi e degli appalti", altra autodefinizione ribalda di chi, vivendo nel paese delle immunità e delle impunità, si sente giustamente al sicuro: e a noi che ci tocca, e a noi chi ci tocca? Finché un giorno la magistratura scoperchia il pentolone dei grandi eventi trasformati in emergenze nazionali per meglio distribuire montagne di quattrini in deroga a leggi e controlli. E accusa un gruppo di pubblici ufficiali di avere asservito la loro delicata funzione, che comporta la gestione di enormi poteri e di rilevantissimi importi, in modo totale e incondizionato agli interessi di tal Anemone, costruttore romano. Ci interessa poco sapere che tipi di massaggiatrici frequenti Bertolaso. Fatti suoi. Altre sono le domande che lo riguardano visto che di quella Protezione civile intrisa di "corruzione gelatinosa" e assalita da torme di anemoni affamati, il capo onnipotente è lui. Nella consueta tirata contro i pm che "devono vergognarsi", questa volta il lord protettore Berlusconi non ha tenuto conto dello schifo di cui si è fatto interprete il sindaco de L’Aquila. Un sentimento largamente collettivo. Il limite della decenza è stato superato.


(12 febbraio 2010)















Il filo rosso di


Concita de gregorio


l’Unità


12/02/2010



 


Gelatina tossica




Non è esatto dire che Guido Bertolaso sia un clone minore di Silvio Berlusconi. Non è esatto dire che il premier si sia servito di lui. È piuttosto il contrario: è Bertolaso, moderna incarnazione di una stirpe resistentissima e longeva che da sessant'anni domina il Paese, ad essersi mimetizzato nel berlusconismo assumendone le forme per attraversarlo indenne e naturalmente - come è nelle caratteristiche della sua specie - sopravvivergli e continuare in silenzio a regnare. Guido Bertolaso è l'ultimo erede di quel potere democristiano sotterraneo, discreto e granitico, ecumenico e devoto, capace di fare affari con una mano e la carità con l'altra che ha occupato da sempre i posti chiave del Paese - governasse la destra o la sinistra - le segreterie generali, i gabinetti centrali, le amministrazioni periferiche. Le gerarchie vaticane, le potentissime massonerie ecclesiastiche, i costruttori e i banchieri, le nobildonne devote e i cardinali. Andreotti il sole, naturalmente, e giù giù i suoi discepoli ovunque disseminati negli schieramenti fino a Gianni Letta, che di Bertolaso è difatti il mentore. Una volta attorno al sole c'erano costruttori e faccendieri, Sbardella e Evangelisti: più rozzi, del resto ancora non esistevano le Spa del benessere e le escort non si chiamavano così. Poi il business è diventato la sanità, insieme le emergenze nazionali. Gli eventi. La provvisoria comparsa sulla scena di Silvio Berlusconi - vent'anni nell'eternità democristiana sono un attimo - ha solo avuto l'effetto per così dire di «modernizzare» l'aspetto dell'uomo della Provvidenza. La mimesi di cui per tradizione e per darwiniana necessità i dc sono capaci ha indotto Bertolaso ad assumere, di questo tempo, usi e costumi: una certa protervia, la presunzione di impunità di chi è al potere, la frequentazione di giovanotti che commerciano protesi o laterizi, che provano ad entrare nel giro facilitando gli affari con «donne e cocaina» secondo la scuola Tarantini ma anche con macchine, case, vacanze all inclusive. Lo stile del tempo, lo stile smeraldo. La consistenza gelatinosa di quello che una volta era il roccioso giro andreottiano ha ora i contorni di un budino e la moralità di una medusa. Gente che ride la notte del terremoto, mentre centinaia di persone agonizzano sotto le macerie, perché già sente il tintinnare dei soldi. Dirigenti messi lì da altri dirigenti più potenti che in cambio chiedono che si sistemi il figlio, e poi l'amica e la cognata. Una quantità impressionante di figli sistemati in ogni dove, a ogni latitudine politica. Club per il relax costruiti abusivamente, sempre secondo lo stile che si fa un po' come ci pare perché comandiamo noi, luoghi di incontro divisi per filiere di frequentatori: questo dei massaggi di Francesca in area destra cattolica, per esempio. Regole spazzate via come nastri di un pacco regalo, così si fa prima. Berlusconi passerà, prima o dopo. Più difficilmente passerà il disastroso degrado civile in cui ha precipitato il Paese e che gli epigoni di Andreotti, oggi difesi dai suoi stessi avvocati, hanno cavalcato. Scardinare questo, rompere il sistema di potere sotterraneo che dal dopoguerra a oggi resiste e si reincarna è compito molto più arduo. È ormai gelatina, del resto. C'è sempre chi ne ingrassa. A scioglierla si rischia di far venire giù tutto, ma tutto davvero. Sarebbe l'ora.


(12 febbraio 2010)


 







 Ripubblichiamo il profilo di Bertolaso pubblicato sul "manifesto" del 1 luglio 2009, quando di scandalo ancora non si parlava.


 


Bertolaso, l'emergenza fatta persona


Gabriele Polo


 


Un uomo per tutte le emergenze, in un paese che d'emergenza vive. Quella di Viareggio è solo l'ultima chiamata per Guido Bertolaso e il suo piccolo esercito della Protezione civile: 700 funzionari, 300.000 volontari pronti a occuparsi di tutto, dalle crisi idriche ai terremoti, dai vertici internazionali allo smaltimento dei rifiuti e ai netturbini in sciopero. Uno stato nello stato cui compete qualunque evento - naturale o umano - che abbia bisogno di un intervento immediato. Con il potere di muoversi al di fuori di ogni controllo istituzionale «normale», se non quello della presidenza del consiglio.


Uno dei casi più clamorosi è datato 28 marzo 2003, durante l'invasione americana dell'Iraq, quando il governo (Berlusconi) dichiarò lo stato d'emergenza su tutto il territorio nazionale, affidando al capo della Protezione civile (Bertolaso) «la tutela della pubblica incolumità» in quanto «delegato del Presidente del Consiglio». Il decreto non conteneva nemmeno la data di scadenza della «delega», ma c'era la guerra e quasi nessuno ci fece caso - fatte salve un paio di interrogazioni parlamentari dell'opposizione. Cosicché, almeno in teoria, l'Italia è ancor oggi in «gestione straordinaria».


Del resto quella era la conseguenza di una logica che ha cambiato la stessa natura dello stato: da quando è stata istituita (febbraio 1992) la Protezione civile ha aumentato a dismisura le sue funzioni, i suoi poteri e i suoi interventi, come ente preposto al coordinamento emergenziale di polizia, carabinieri, vigili del fuoco, guardia di finanza e quant'altro. E anche se il bilancio corrente su cui può contare il dipartimento diretto da Bertolaso è contenuto - 142 milioni di euro per il 2009 - la quantità di denaro che gestisce è incalcolabile, flessibile e dilatabile a dismisura: perché a ogni dichiarazione di crisi corrisponde uno stanziamento straordinario, da gestire in estrema libertà d'appalto. Difficile che qualcuno osi interferire con le gestioni delle emergenze - che in quanto tali tendono a rispondere solo alla legge divina -, anche se ogni tanto qualche giudice si imbatte in imbarazzanti relazioni d'affari che aprono altrettante inchieste, come quella barese che indaga sul rapporto tra i vertici della Protezione civile e Giampaolo Tarantini (l'uomo delle escort per Palazzo Grazioli) a proposito di protesi.


Negli ultimi dieci anni la Protezione civile ha avuto nelle sue mani la gestione di ben 592 dichiarazioni di stato d'emergenza, in alcuni casi piccole siccità, in altri devastanti terremoti. E, sempre, ha steso sul territorio interessato una presenza che, per «garantire l'integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l'ambiente» - come recita la legge 24 febbraio 1992 - si è trasformata in una struttura di controllo più invasiva di ogni altro settore dello stato e, soprattutto, con un grande grado di autonomia. Dando al suo capo una discrezionalità difficilmente discutibile. A carattere bipartisan.


Bertolaso è stato per la prima volta al vertice della Protezione civile tra il 1996 e il 1997, con il primo governo Prodi. Poi ha gestito il grande evento targato Rutelli come Commissario per il Giubileo del 2000. Per tornare a capo della Protezione civile nel 2001 con il governo di Giuliano Amato e rimanervi passando attraverso un Berlusconi-2 e un Prodi-2. Con l'attuale esecutivo Berlusconi, Guido Bertolaso è stato promosso sottosegretario alla Presidenza del Consiglio sull'onda dell'emergenza rifiuti in Campania. Un salto di status che l'ha portato a essere il vero governatore dell'Abruzzo terremotato, incaricato di tenere assieme l'emergenza delle tendopoli con il G8 dell'Aquila, gli appalti per la costruzione delle «abitazioni provvisorie» con il grande business della ricostruzione vera e propria, garantendo al governo il controllo paramilitare della provincia aquilana, esautorando tutte le autorità locali, nel mentre di una radicale trasformazione del tessuto urbanistico e sociale. Un'impegnativa escalation, che non gli ha impedito di continuare a occuparsi dell'emergenza vulcanica delle Eolie, di quella immigrati a Lampedusa, dei mondiali di ciclismo e persino della bonifica del relitto della Haven. Di qualunque cosa serva per la gestione del paese. Con quali risultati è tutto da vedere: l'importante è il metodo, per il merito si vedrà.


(1 luglio 2009)


 


 
















FRONTE DEL VIDEO



 


di Maria Novella Oppo


 


L’invasione dei Berluscloni


E così, ora, i lavoratori sardi che hanno perso o stanno per perdere il posto di lavoro, sanno come sono stati spesi gli oltre 300 milioni di euro della Maddalena. E i terremotati sanno con quanto entusiasmo gli amici di Bertolaso abbiano accolto le prospettive di guadagno delle new town berlusconiane. Mentre la ricostruzione dell’Aquila non è ancora iniziata. Valanghe di soldi pubblici sono entrati nelle tasche di pochi italiani e usciti dalle tasche di tutti noi. A questo punto, che Bertolaso abbia intascato o no, è secondario. Le responsabilità sono evidenti e il delirio di onnipotenza inferiore soltanto a quello di Berlusconi. Anche noi telespettatori, del resto, abbiamo assistito passivamente allo strapotere del boss della protezione civile, talk show dopo talk show. Fino alla recente visita ad Haiti in diretta tv e alla prova di supponenza ai danni niente meno che dell’America di Obama. Come berlusclone ora Bertolaso è perfetto.


(12 febbraio 2010)


 


 


 


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