mercoledì 13 gennaio 2010

Quando eravamo noi i maledetti






Enzo Barnabà


Morte agli Italiani!

Il massacro di Aigues-Mortes
- 1893

Prefazione di Gian Antonio Stella

Introduzione di Alessandro Natta




© Copyright Infinito edizioni, 2008

Prima edizione: ottobre 2008

Infinito edizioni S.r.l.

Castel Gandolfo (Roma)

Posta elettronica: info@infinitoedizioni.it

Sito Internet: http://www.infinitoedizioni.it

ISBN 9788889602423




 




Prefazione

di Gian Antonio Stella¹



Acque-Morte ci addita l’orrenda

Ecatombe di vittime multe!

No, jamais, sì ferale tregenda

In Italia obliata sarà

tuona indignata la poesia Il grido d’Italia per le stragi di Aigues-Mortes, scritta di getto da Alessandro Pagliari, nel 1893, a ridosso del massacro.

Invece è successo. L’Italia ha dimenticato quella feroce caccia all’italiano nelle saline della Camargue, alle foci del Rodano, che vide la morte di un numero ancora imprecisato di emigrati piemontesi, lombardi, liguri, toscani. Basti dire che, stando all’archivio del Corriere della Sera, le (rapide) citazioni della carneficina dal 1988 a oggi sui nostri principali quotidiani e settimanali sono state Otto. Per non dire degli articoli dedicati espressamente al tema:

due. Due articoli in venti anni. Contro i 57 riferimenti ad Adua, i 139 a EI Alamein, i 172 a Cefalonia...

Eppure, Dio sa quanto ci sarebbe bisogno, in Italia, di recuperare la memoria. Che cosa fu, Maurice Terras, il primo cittadino del paese, se non un «sindaco-sceriffo» che cercò non di calmare gli animi ma di cavalcare le proteste xenofobe dei manovali francesi contro gli «intrusi» italiani? Rileggiamo il suo primo comunicato, affisso sui muri dopo avere ottenuto che i padroni delle saline, sotto il crescente rumoreggiare della folla, licenziassero gli immigrati: «Il sindaco della città di Aigues-Mortes ha l’onore di portare a conoscenza dei suoi amministrati che la Compagnia ha privato di lavoro le persone di nazionalità italiana e che da domani i vari cantieri saranno aperti agli operai che si presenteranno. Il sindaco invita la popolazione alla calma e al mantenimento dell’ordine. Ogni disordine deve infatti cessare, dopo la decisione della Compagnia».

Per non dire del secondo manifesto che, affisso dopo la strage, toglie il fiato: «Gli operai francesi hanno avuto piena soddisfazione. Il sindaco della città di Aigues-Mortes invita tutta la popolazione a ritrovare la calma e a riprendere il lavoro, tralasciati per un momento. Cessiamo ogni manifestazione di strada per mostrarci degni della nostra patria; è col nostro atteggiamento calmo che faremo vedere quanto rimpiangiamo le deplorevoli conseguenze degli incidenti. Raccogliamoci per curare le nostre ferite e, recandoci tranquillamente al lavoro, dimostriamo come il nostro scopo sia stato raggiunto e le nostre rivendicazioni accolte. Viva la Francia! Viva Aigues-Mortes!».

E vero, grazie al cielo da noi non sono mai divampati pogrom razzisti contro gli immigrati neppure lontanamente paragonabili a quelle scatenati contro i nostri nonni. Non solo ad Aigues-Mortes ma a Palestro, un paese fondato tra Algeri e Costantina da una cinquantina di famiglie trentine e spazzato via nel 1871 da una sanguinosa rivolta dei Cabili. A Kalgoorlie, nel deserto a 600 chilometri da Perth, dove gli australiani decisero di “festeggiare” l’Australian Day del 1934 scatenando tre giorni di incendi, devastazioni, assalti contro i nostri emigrati. A Tandil, in Argentina, dove nel 1872 i gauchos furono protagonisti di una sanguinosa mattinata di sangue agli ordini di un santone che si faceva chiamare Tata Dios e il nostro ambasciatore Francesco Saverio Fava suggeriva (inascoltato) a Roma di tenere un conto mensile degli italiani uccisi per razzismo. Ma soprattutto negli Stati Uniti dove, dal massacro di New Orleans a quello di Tallulah, siamo stati i più linciati dopo i negri. Al punto che un giornale democratico, ironizzando amaro sui ridicoli risarcimenti concessi ai parenti dei morti, arrivò a pubblicare una vignetta in cui il segretario di Stato americano porgeva una borsa all’ambasciatore d’ Italia e commentava: «Costano tanto poco questi italiani che vale la pena di linciarli tutti».

E vero, da noi non sono mai state registrate esplosioni di violenza xenofoba così. E fuori discussione, però, che i germi dell’aggressività verbale che infettarono le teste e i cuori di quei francesi impazziti di odio nelle ore dell’eccidio somigliano maledettamente ai germi di aggressività verbale emersi in questi anni nel nostro Paese. Anzi, sembrano perfino più sobri.

Maurice Barrès scriveva nell’articolo Contre les étrangers su Le Figaro, che «il decremento della natalità e il processo di esaurimento della nostra energia (...) hanno portato all’invasione del nostro territorio da parte di elementi stranieri che s’adoprano per sottometterci». Umberto Bossi è andato più in là, barrendo al congresso della Lega di qualche anno fa: «Nei prossimi dieci anni vogliono portare in Padania tredici o quindici milioni di immigrati, per tenere nella colonia romano-congolese questa maledetta razza padana, razza pura, razza eletta».

Le Zl’Iémorial d’Aix scriveva che gli italiani «presto ci tratteranno come un Paese conquistato» e «fanno concorrenza alla manodopera francese e si accaparrano i nostri soldi». Il sindaco di Treviso Giancarlo Gentilini ha tuonato che «gli immigrati annacquano la nostra civiltà e rovinano la razza Piave» e occorre «liberare l’Italia da queste orde selvagge che entrano da tutte le parti senza freni» per «rifare l’Italia, l’Italia sana, in modo che non ci sia più inquinamento».

Il quotidiano LeJour sosteneva che il governo di Parigi doveva proteggere i francesi «da questa merce nociva, e peraltro adulterata, che si chiama operaio italiano». Il berlusconiano Michele Bucci ha urlato che «i musulmani mettono a rischio la nostra purezza». E la Padania è arrivata al punto di pubblicare con grande risalto lo sfogo di un razzista (subito appoggiato dalla pasionaria leghista Rosy Mauro) che invocava: «Quando ci libererete dai negri, dalle puttane, dai criminali, dai ladri extracomunitari, dagli stupratori color nocciola e dagli zingari che infestano le nostre case, le nostre spiagge, le nostre vite, le nostre menti? Ne abbiamo le palle piene. A dir poco. Sbatteteli fuori questi maledetti».

Per non dire, appunto, del problema della criminalità. Quella dei nostri emigranti accecava i francesi che sul Memorial d’Aix denunciavano come «la presenza degli stranieri in Francia costituisce un pericolo permanente, spesso questi operai sono delle spie; generalmente sono di dubbia moralità, il tasso di criminalità è elevato: del 20%, mentre nei nostri non è che del 5». Quella degli immigrati in Italia, per quanto sia reale, fonte di legittime preoccupazioni e giusta motivazione al varo di leggi più severe, acceca certi italiani. Fino a spingere il futuro capogruppo al Senato del Popolo delle Libertà, Maurizio Gasparri, a sbraitare dopo il massacro di Erba parole allucinate contro il marito immigrato di una delle donne uccise: «Chi ha votato l’indulto ha contribuito a questo eccidio. Complimenti. Ha fruito di quel provvedimento anche il tunisino che ha massacrato il figlio di due anni, la moglie, la suocera e la vicina a Erba».

L’europarlamentare Mario Borghezio riuscì allora a essere perfino più volgare: «La spaventosa mattanza cui ha dato luogo a Erba un delinquente spacciatore marocchino ci prospetta quello che sarà, molte altre volte, uno scenario a cui dobbiamo abituarci. Al di là dell’”effetto indulto”, che qui come in altri casi dà la libertà a chi certo non la merita, vi è e resta in tutta la sua spaventosa pericolosità una situazione determinata da modi di agire e di reagire spazialmente lontani dalla nostra cultura e dalla nostra civiltà». Chi fossero gli assassini si è poi scoperto: Rosa Bassi e Olindo Romano, i vicini di casa xenofobi e razzisti. Del tutto inseriti, apparentemente, nella «nostra cultura e nella nostra civiltà».

Insistiamo: nessun paragone. Ma gelano il sangue certe parole usate in questi anni. Come un volantino nella bacheca di un’azienda di Pieve di Soligo: «Si comunica l’apertura della caccia per la seguente selvaggina migratoria: rumeni, albanesi, kosovari, zingari, talebani, afgani ed extracomunitari in genere. È consentito l’uso di fucili, carabine e pistole di grosso calibro. Si consiglia l’abbattimento di capi giovani per estinguere più rapidamente le razze». O la sfuriata del consigliere comunale trevisano Pierantonio Fanton: «Gli immigrati sono animali da tenere in un ghetto chiuso con la sbarra e lasciare che si ammazzino tra loro». O ancora la battuta del senatore leghista Piergiorgio Stiffoni a proposito della sistemazione degli extracomunitari a Treviso: «Gli immigrati? Peccato che il forno crematorio del cimitero di Santa Bona non sia ancora pronto».

Per irridere amaramente a certi toni tesi a cavalcare l’odio e la paura, l’attore Antonio Albanese ha creato insieme con Michele Serra un personaggio ironicamente spaventoso: «Io sono il ministro della paura e come ben sapete senza la paura non si vive. (...) Una società senza paura è come una casa senza fondamenta. Per questo io starò sempre qua, nel mio ufficio bianco, alla mia scrivania bianca, di fronte al mio poster bianco. Con tre pulsanti, i miei attrezzi da lavoro: pulsante giallo, pulsante arancione, pulsante rosso. Rispettivamente poca paura, abbastanza paura, paurissima. E seguendo correntemente questo stato d’animo io aiuto il mondo a mantenere ordine». C’è da ridere, e si ride. Ma anche da spaventarsi. E ci si spaventa.

Ecco, in un contesto come questo, in cui perfino un presidente del consiglio come Silvio Berlusconi arriva a sbuffare a Porta a Porta sulla xenofobia imputata alla sua coalizione dicendo di non capire «perché questa parola dovrebbe avere un significato così negativo», il libro di Enzo Barnabà sul massacro dei nostri emigranti ad Aigues-Mortes è una boccata di ossigeno. Perché solo ricordando che siamo stati un popolo di emigranti vittime di odio razzista, come ha fatto il vescovo di Padova Antonio Mattiazzo denunciando «segni di paura e di insicurezza che talvolta rasentano il razzismo e la xenofobia, spesso cavalcati da correnti ideologiche e falsati da un’informazione che deforma la realtà», si può evitare che oggi, domani o dopodomani si ripetano altre cacce all’uomo. Mai più Aigues-Mortes. Mai più.

Gian Antonio Stella


¹ Editorialista e inviato di politica, economia e costume del Corriere della Sera. Vincitore di molti premi giornalistici, tra i suoi libri più noti figurano Schei (Mondadori, 1996), Dio Po. Gli uomini che fecero la Padania (Baldini & Castoldi, 1996), Lo spreco (Mondadori, 1998), Chic (Mondadori, 2000), L’orda. Quando gli albanesi eravamo noi (Rizzoli, 2002), Tribù (Feltrinelli,2005), La casta (Rizzoli, 2007), La deriva (Rizzoli, 2008).




 





6 commenti:

  1. 19:47, 17 gennaio, 2010



    Gian Antonio Stella è un autore che ha trattato in più libri, articoli e spettacoli questo argomento.

    Gli italiani che furono costretti ad emigrare erano gli "ultimi", cioé coloro che, in patria, non avevano un lavoro ed erano letteralmente in miseria; sono andati in giro per tutto il mondo, la maggioranza si è fatta onore ed ha contribuito alla crescita dei paesi in cui si sono recati. Ma, fra tante persone oneste, ci furono anche i delinquenti.

    Molte, inoltre, furono le sciagure, le disgrazie impreviste -ma anche, purtroppo, previste- nelle quali i nostri connazionali furono vittime; ricordo le ultime di Marcinelle e quella di Mattmatk, in Svizzera, nel 1965.

    Gli emigranti italiani furono, come appunto scrive Stella, anche  martiri di sentimenti xenofobi da parte di altri popoli, anche a noi vicini.

    Come si evince, la storia si ripete -purtroppo- anche e soprattutto nelle vicende negative.



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  2. nowhereman56gennaio 24, 2010

    Purtroppo chi dimentica la propria storia è condannato a ripeterla. Noi siamo ripetenti in fatto di emigrazione, di integrazione, di lusinghe demagogiche e tiranniche. Siamo questo e anche molte cose buone, ma oggi la gramigna sta infestando il grano. A 'dda passa' 'a nuttata, come diceva Eduardo. Grazie dell'ospitalità. NM

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  3. nowhereman56, grande Eduardo, mai rimpianto abbastanza. Condivido ciò che hai scritto con efficace sintesi, soprattutto dove sottolinei che il buono che siamo è ormai soffocato dalla gramigna parassita.

    Grazie a te per la visita. Torna quando vuoi, naturalmente.

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  4. SergioYYY, e la storia ripetendosi non è riuscita ad insegnare nulla. Questo si somma alla dispersione della memoria storica. Non vedo un grande futuro davanti.


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  5. Sono l'autore del libro. Ringrazio e vorrei segnalare che esiste una pagina Facebook bilingue, da me curata, che parla del massacro: http://www.facebook.com/?ref=home#/pages/Morte-agli-italiani-Mort-aux-Italiens/181760466338?ref=ts

    Enzo Barnabà

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  6. Enzo Barnabà, onoratissimo per la tua visita, complimenti per il libro che racconta un passato molto vicino e ha il merito della memoria storica e grazie anche per l'informazione.

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