martedì 17 luglio 2007

Un programma in pensione

È stranamente defilato (taglio basso) un commento (che condivido) pubblicato su il manifesto del 14 luglio scorso, relativo al dibattuto argomento delle pensioni, con particolare riferimento al ripetutamente evocato (e auspicato?) conflitto generazionale che potrebbe scatenarsi tra padri e figli. Per questo motivo mi pare opportuno attribuirgli un maggiore rilievo. Aggiungo, anche, quelle parti del programma dell’Unione relative alla vexata quaestio, un programma che evidentemente era destinato (dopo) a diventare carta straccia come accaduto, ad esempio, per i patti di convivenza sociale, meglio definiti come unioni civili (pag 72).


Giovani Caro zio Walter non ce la racconti


E' vero, ai giovani delle pensioni non frega niente. Sono troppo presi a tirare a campare tra un lavoretto precario e l'altro, semplicemente pensano che non la prenderanno mai. E allora è fin troppo facile agitare lo scontro generazionale tra poveretti. Le pensioni sono un privilegio dei vecchi? E allora basta difendere questa gerontocrazia conservatrice piena di soldi e di diritti consolidati. Il gioco è fin troppo semplice e sfacciato, prima togliamo il diritto al lavoro ai giovani, poi li usiamo per togliere il diritto alla pensione pubblica a tutti. Sono solo due facce della stessa medaglia, un profluvio di dati e saggi si divertono a spacciare per moderno un tremendo salto all'indietro: fare piazza pulita del diritto al lavoro e dello stato sociale. Ma parlare di giovani fa tanto moderno anche se la retorica paternalista del sacrifico dei padri per il bene dei figli è vecchia e bacucca. Dall'articolo della domenica di Scalfari, alla lettera ecumenica di Walter Veltroni, la Repubblica, organo di stampa del nascente Partito Democratico, si è scoperta giovanilista. I giovani drogati, bulli, no global, tanto amati dai cronisti, sono all'improvviso diventati i nostri bravi ragazzi. E se invece decidessero di non accettare pacche sulle spalle da giornalisti superprotetti con la barba bianca e politici giovanili ma già vecchi visto che la pensione la prendono dopo sole due legislature? Se al posto di sbavare davanti alla nuova Cinquecento come fosse la nazionale di calcio mandassero in panchina Montezemolo, che si permette di dire che i sindacati rappresentano i fannulloni? E se al posto di invidiare i loro vecchi mandassero a quel paese i «progressisti» che li hanno costretti ad una vita flessibile e ora vogliono usarli per fregare anche i nonni? Per carità, che non pensino alla pensione altrui e restino al loro posto precario, a prendersi le pacche sulle spalle di zio Walter. G.Sal.


il manifesto (14 luglio 2007)


Una previdenza sicura e sostenibile (pag 166)


Come nella quasi totalità dei paesi europei, anche per ciò che riguarda l'Italia le attuali tendenze demografiche avranno un'incidenza rilevante sugli equilibri futuri della previdenza. Tuttavia, riferendosi alle analisi più recenti, riportate anche nei documenti ufficiali del governo, si osserva che nel nostro paese, a partire dal 1993 fino al 2001, il ritmo di crescita del rapporto tra spesa pensionistica e PIL ha registrato un sostanziale rallentamento. Ciò è conseguenza di una più ridotta dinamica della spesa in termini reali dovuta all'effetto congiunto di diverse modifiche introdotte con le riforme degli anni '90. Dal 2002, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL ha ripreso a crescere, in parte per l'aumento di una quota delle maggiorazioni sociali, ma soprattutto a causa della dinamica molto rallentata del PIL. In prospettiva, per il prossimo quinquennio, prima dell’innalzamento rigido dell’età pensionabile introdotto con la riforma previdenziale del governo Berlusconi, le previsioni indicavano che la spesa totale per pensioni al netto dell'indicizzazione sarebbe dovuta crescere ad un tasso medio annuo di circa il 2%, un po’ più elevato rispetto alla seconda metà degli anni '90 ma molto inferiore al tasso di crescita sperimentato in periodi precedenti.(...)


Sulla base di ciò, noi crediamo necessario intervenire con misure migliorative e di razionalizzazione dell'esistente. In particolare puntiamo a:



- ribadire la necessità di attenersi alle linee fondamentali



previste dalla riforma "Dini" che senza altre continue



ipotesi di riforma del sistema pensionistico che minano



la sicurezza sul futuro dei lavoratori - rappresentano



già la principale garanzia di sostenibilità finanziaria



del sistema;



- eliminare l’inaccettabile “gradino” e la riduzione del numero delle finestre che innalzano bruscamente e in modo del tutto iniquo l’età pensionabile, come prevede per il 2008 la legge approvata dalla maggioranza di centrodestra;


- affrontare il fenomeno dell'evasione contributiva con



opportuni strumenti di controllo e accertamento, compreso


un aumento di organico degli ispettori del lavoro del


Ministero e degli enti, dai quali verrebbe anche un consistente


aiuto per la lotta al sommerso;


- per compensare la tendenza al ribasso dei trattamenti


pensionistici, intervenire sull’adeguamento delle pensioni


al costo della vita e approntare misure efficaci che


accompagnino verso un graduale e volontario innalzamento


dell'età media di pensionamento.


Con la tendenza all’aumento della vita media e all'interno


di una modifica complessiva del rapporto tra tempo di vita e


tempo di lavoro, l’allungamento graduale della carriera


lavorativa, tenendo conto del diverso grado di usura provocato


dal lavoro, dovrebbe diventare un fatto fisiologico.


Il processo va incentivato in modo efficace, con misure


incisive, che non mettano a rischio l’adeguatezza della


pensione. In particolare, occorre fare leva su meccanismi


di contribuzione figurativa, a cui abbinare incentivi per


le imprese che mantengano nel posto di lavoro le persone


sopra i cinquant’anni.


Noi crediamo che gli incentivi contributivi debbano essere


accompagnati da “politiche per l’invecchiamento attivo” del


tipo sperimentato in altri paesi europei, che mirino a creare


ambienti più adatti al lavoro delle persone in età matura,


avvalendosi di schemi misti basati su part time integrato


con una pensione parziale e di incentivi per riduzioni


d’orario finalizzate all'apprendimento e all'aggiornamento


permanente delle qualifiche professionali.


In funzione di un rafforzamento della pensioni più basse, crediamo che debba essere riconsiderato il sistema di indicizzazione delle pensioni. Tale revisione, per rispettare l’equilibrio finanziario del sistema, deve essere indirizzata verso le fasce inferiori dei trattamenti pensionistici a partire dai minimi e dalle soglie più elevate di età. In questo ambito va anche previsto l’aumento degli assegni sociali e dei trattamenti di invalidità civile più bassi.(…) (pagg. 168 e 169).


(…) In generale, nel valutare gli interventi in favore dell’adeguatezza delle pensioni, non va comunque trascurato il fatto che le misure di carattere ridistribuivo, nella misura in cui fanno leva su risorse “esterne” al sistema previdenziale, tendono a innalzare il debito pubblico. Sarà quindi necessario considerare attentamente le modalità di copertura finanziaria delle misure stesse per non aggravare l’evoluzione del debito pubblico in rapporto al Pil. In questo ambito si darà vita la confronto con le parti sociali al fine di fare la verifica sul funzionamento della riforma Dini, così come era previsto che avvenisse nel 2005, verifica disattesa dal governo Berlusconi.(pag 170).


Nessun commento:

Posta un commento