sabato 11 settembre 2010

Tempesta d'autunno






Irrompe impetuoso l’autunno, violenti scrosci di pioggia flagellano strade e piazze, raffiche di forte vento spazzano via, con largo e inatteso anticipo, ciò che restava dell’estate. Le nuvole gonfie e nere si scontravano nel cielo fino a ridurre le ore di luminosità, luci accese anzitempo, cappa opprimente di malinconia e depressione potenziale.
Oggi, anche metaforicamente, è stata una giornata paurosamente in linea con le condizioni atmosferiche. Al lavoro, soprattutto.  È stato come se una frenetica agitazione si fosse impossessata delle persone più posate e placide, marchiandole con il sigillo dell’impazienza e dell’irragionevolezza.  Neppure il tempo di rifiatare, riordinare appunti e idee, preparare prospetti, inseguiti da scadenze che non concedevano tregua. 
E poi una situazione personale, che sembrava avviata verso la sofferta ma lieta soluzione e che, invece, riserva ancora una complicazione, una dannatissima complicazione. Il percorso che ho intrapreso, costellato di ostacoli, poco lineare, si stava concludendo in gloria.
Superi una montagna, poi scollini, pianura e ancora una nuova montagna, più elevata, quando quella superata sembrava già così tortuosa. E invece no. Sempre più arduo, quasi che più passa il tempo e maggiori sono gli intoppi, mentre mi chiedo ininterrottamente se il difficile sia ormai alle spalle oppure deve ancora arrivare. Generando così un logorio che riprende a intaccare le difese mentali.
Da troppi mesi sto vivendo così, divorato dall’ansia e dal panico che a tratti si manifesta. Anche se ne ignoro le origini, quando si manifesta. Arriva così, irruento come il vento che sta sferzando le chiome degli alberi e sibilando in maniera inquietante.
L’animo si tormenta, si pone domande, non trova risposte e allora le inventa, già sapendo che sono inverosimili e neppure far finta di crederci risulta convincente. E conveniente.
Sconsigliato un tuffo tra le foto dell’estate, la bella ma breve estate. Dovrei riordinarle, raggruppare i file nelle cartelle e mi accorgo che ogni foto ha la sua ragione di essere lì. Anche la più banale delle immagini è impregnata di quel senso di pienezza e di gioia che solo la presenza-assenza della persona amata riesce a conferire. Trovo strabiliante come riaffiorino immediati certi dettagli, legati a ciò che si faceva prima della foto, a ciò che si sarebbe fatto dopo lo scatto. Trovo bello che i ricordi siano stati fissati così. Addirittura esaltante a pensarci bene.
Quest’assenza-presenza è ormai intollerabile, anche l’autunno incipiente e prepotente si piegherebbe alla sua delicata sensibilità che è tale anche quando manifesta apatia e irritazione.  Quando capita. E se capita. Mi accorgo, guardando le foto, che sono in grado di accettare tutto, di tollerare ogni sbavatura e qualunque apparente incrinatura.
Ma non è opportuno che passeggi, questa sera, tra un ricordo e l’altro di un’estate ormai dissolta. Quell’autunno che una volta, neppure tanti anni fa, mi piaceva, oggi con la sua prepotenza mi ha infastidito, forse indebolendomi, quasi che spegnendosi il sole o, comunque, attenuando il proprio bagliore, siano venute meno anche le mie energie, quelle risorse mentali che saranno invece preziose per scalare l’ennesima montagna, naturalmente più alta di quella appena superata.
Ce la farò? Ce la devo fare, anche perché non ho scelta.
Brutta cosa trovarsi senza un’alternativa accettabile: per estremizzare sarebbe come chiedersi se sia meglio morire di fame oppure di sete. Per voluto paradosso, s’intende. Perché molte altre estati ci saranno da vivere e pure l’autunno mostrerà il suo volto meno arcigno, come quell’”aspro odor dei vini” che va  “l’anime a rallegrar”.



1 commento:


  1. Ce la farai. Ne sono sicura.
    Che malinconia l'autunno! Mi ricorda quella canzone di Guccini: "Settembre è il mese del ripensamento sugli anni e sull'età...."
    Ciao,
    Artemisia

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