sabato 4 settembre 2010

Raglio criminale




Un’amica molto cara, insegnante di scuola primaria, mi ha spedito giovedì scorso un messaggio al termine della prima giornata di servizio dell’anno scolastico 2010-2011, quello pomposamente proclamato della “riforma epocale”.
“Tre bidelli in meno. Due impiegati della segreteria in meno. La preside è fuori di testa”. Poiché ho tutti i possibili motivi per non credere ai ragli della somara unica (non degna di alcuna credibilità, a prescindere, l’associazione a delinquere, definita convenzionalmente “governo”) e credo, invece, alla mia amica molto cara e impotente di fronte alla distruzione sistematica dell’istruzione (pubblica), ho pensato che un post corposo sulla mattanza di passione e professionalità, di conoscenza e di futuro, ci voleva, anche per esorcizzare lo spettro dell’ignoranza che ormai dilaga come valore assoluto e trasforma elettori in servi, devoti all’autocrate, sotto il segno dei ragli monocordi dell’unica stella di questo firmamento sotto cui vegetano  tanti uomini mediocri e generose donne sculettanti.







Condanna di classe
di Caterina Perniconi

 “No, non li incontrerò”. Mariastella Gelmini non ha nemmeno pensato di scendere dal podio della sala stampa di Palazzo Chigi e attraversare la piazza per raggiungere la tenda dei precari della scuola che sono in sciopero della fame da 16 giorni davanti a Montecitorio. “Non voglio essere coinvolta in una contrapposizione politica che determinerebbe un impatto negativo sull’avvio dell’anno scolastico” ha detto la Gelmini “perché alcuni non sono precari ma gente dell’Idv pronta a strumentalizzare la disperazione”. Dimostrando di non sapere chi sono le persone in carne ed ossa che stanno animando la protesta: casi singoli di precari che da Pordenone a Benevento non hanno bandiere di partito né sigle sindacali sulla loro testa. “Il governo non si può accollare 229 mila precari della scuola, ha continuato il ministro, un numero spaventoso creato da un meccanismo perverso negli anni passati”, dimenticando anche in questo caso di dire che nell’ultimo decennio il centrodestra ha governato per 7 anni. 
IN UNA LUNGA conferenza stampa la Gelmini ha snocciolato numeri, fissato un tetto a 50 assenze annuali (pena la bocciatura), e si è vantata della sua riforma “epocale” della scuola, che razionalizza le risorse e spende meno e meglio. Ma se resta senza lavoro una docente che insegna regolarmente da 14 anni, forse la riorganizzazione non è così razionale. La scuola italiana avrebbe bisogno di una riforma di sistema che tagliasse solo gli sprechi e garantisse a docenti e studenti condizioni migliori. Invece il governo continua a non investire un euro sull’istruzione, anzi: taglia 8 miliardi in 3 anni solo per gli organici, a fonte di uno stanziamento totale di 43. Il ministro ha confessato che i precari rimasti senza una cattedra lo scorso anno sono 42 mila. Ai quali si aggiungeranno i 25.600 che la perderanno quest’anno, per lo più alle superiori. La ripercussione diretta è sulla vita scolastica perché quelli non sono docenti in più, ma cattedre necessarie a garantire il corretto funzionamento degli istituti. In questo modo invece si costringono le scuole all’accorpamento delle classi e alla riduzione dell’offerta formativa. A scapito degli studenti. 
“C’È GENTE precaria nella scuola che dopo 10-12 anni viene mandata a casa. Neanche i padroni delle ferriere fanno quello che stanno facendo Gelmini e Tremonti ”ha dichiarato il segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani. Ricordando che il centrosinistra aveva fatto un piano di assorbimento triennale dei 150 mila precari che ogni anno lavorano stabilmente. Perché i posti ci sono. Solo che costa meno affidarli a precari anziché a personale stabilizzato. Ripercuotendo sempre le conseguenze sui bambini che non hanno più punti di riferimento certi. “Quello del ministro è un ricatto, spiega Manuela Ghizzoni del Pd, perché dice che il 97% delle risorse per le scuole va in stipendi e il 3% per l’edilizia scolastica e nuove tecnologie. Quindi non investo un euro in più e anzi tolgo i soldi per il personale così posso investire in altro. Per questo motivo nel 2008 ha deciso di tagliare 87 mila docenti e 40 mila assistenti tecnici in 3 anni”. Tra chi resta a casa quest’anno c’è Manuela Pascarella, insegnante di sostegno di Roma, che ieri è andata a far visita ai precari in sciopero della fame: “Non è vero come ha detto la Gelmini che aumentano le ore di sostegno, spiega la docente precaria, lo scorso anno mi avevano già ridotto le ore con un bambino affetto da una grave patologia, da 12 a 9. E quest’anno per lui non ci sarà più un insegnante dedicato. Ma quel bambino non è mica guarito nel frattempo”.  

STESSO DISCORSO sul tempo pieno. Il ministro ha detto che nel 2010 ci saranno 877   classi in più. Dimenticando di specificare che si parla di classi a 40 ore mentre il “tempo-lungo” da 31 a 39 ore è pressoché sparito. “Ho fatto un’interrogazione parlamentare al ministro, racconta Manuela Ghizzoni, per chiederle come mai da quando è arrivata al dicastero di viale Trastevere i dati sulle classi di tempo lungo, che una volta erano pubblici, non vengono più pubblicati. Lei ha risposto dicendo che sono di competenza ministeriale e quindi sta a lei decidere come e cosa rendere pubblico. Ma se li nasconde il motivo è chiaro a tutti”. Soprattutto ai genitori e agli studenti che già dall’anno scorso hanno dovuto contribuire di tasca loro all’ampliamento dell’offerta formativa. E sempre più spesso all’acquisto di gessi e carta... 
(3 settembre 2010)




Sciopero della fame: diario del 16° giorno
di Giacomo Russo e Caterina Altamore

 Ieri era il grande giorno: per le 10:30 era prevista la conferenza stampa del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, proprio qui davanti a noi, a Palazzo Chigi. Molto indolenziti per l’ennesima notte in tenda ci siamo dati una sistemata sperando che la giornata ci regalasse un incontro-chiarimento col ministro. E invece niente. Dopo la conferenza sono venuti i giornalisti a dirci che no, la Gelmini non sarebbe scesa, perché strumentalizziamo la nostra situazione, siamo politicizzati. E invece no. Niente di tutto questo. Noi siamo persone autonome, libere, che lottano per una scuola pubblica di qualità e mettiamo la nostra salute a servizio del Paese. Perché crediamo che la società si fondi sull’educazione e siamo certi che il ministro non vorrebbe mandare sua figlia in una scuola poco sicura, imbottigliata in una classe con 30 ragazzi, senza nemmeno la carta igienica. Eppure la nostra scuola oggi è così, e noi non ci stiamo. Non ci stiamo a perdere un lavoro dopo 14 anni di precariato. Però siamo solidali con la Gelmini, perché solo lei poteva mettere la faccia su una “non riforma” come questa spacciandola per tale. Noi vorremmo davvero un ministro che fa una riorganizzazione vera della scuola, perché ce n’è bisogno. Ma non si possono spacciare 8 miliardi di tagli per una riforma “epocale”. Sono venuti a trovarci gli operai dell’Eutelia e molti comuni cittadini che ci hanno portato la loro solidarietà. Poi a un certo punto io (Giacomo) sono stato portato all’ospedale per un altro piccolo malore. Ma dopo una flebo sono di nuovo in piazza. Nonostante la decisione del ministro noi siamo contenti, perché si sta creando una buona mobilitazione. E stasera, finalmente, dormiremo per la prima volta comodi. È arrivato il camper...! 
(3 settembre 2010)



Forse c’è un’altra strada
di Michele Boldrin*

La nuova sceneggiata è servita. Da un lato i precari della scuola che fanno lo sciopero della fame e un sindacato che vuole solo mantenere lo status quo. Dall’altra un ministro che si vanta dei propri tagli senza capire (i suoi consiglieri non glie l’hanno evidentemente spiegato) che il problema è come è organizzata e gestita la scuola italiana. In mezzo i media che, anziché documentare le colpe d’una parte e dell’altra (e la necessità di una svolta), alimentano la polemica. Ulteriore fotografia, se ce ne fosse bisogno, di una classe dirigente uniformemente inetta. È chiaro a chiunque non abbia fette di salame ideologico sugli occhi che l’ennesima apertura caotica dell’anno scolastico è il frutto di scelte miopi e accomodanti di questo governo e di molti che l'hanno preceduto. Oltre che di politiche sindacali improntate al più bieco corporativismo e alla massimizzazione della spesa, invece che alla sua efficienza e produttività. Così come è chiaro (fuorché alla Gelmini e a Tremonti) che la soluzione non consiste in miopi tagli orizzontali, ed è chiaro (fuorché ai sindacati) anche che non è spendere di più e impedire i cambiamenti nell' organizzazione del lavoro.  Eppure, se l’obiettivo fosse far funzionare meglio la scuola italiana, il problema si potrebbe risolvere. Ecco gli ingredienti in ordine sparso...
Decentralizzare per davvero le decisioni di assunzione e impiego del personale lasciando completa autonomia contrattuale ai provveditorati. Trasformare ogni scuola in una cooperativa d’insegnanti a cui lo Stato dà in concessione a tempo indeterminato (a un prezzo che copra l’ammortamento) le strutture fisiche. Chi assumere (e a che condizioni), chi promuovere, premiare o licenziare, lo decide la cooperativa. O, al massimo, il provveditore. E che il migliore, se vuole, venda i propri servizi a un prezzo (regolato) maggiore. Gli insegnanti di qualità costano, come i luminari della medicina. E i soldi? Buoni scuola uguali per tutti gli studenti, finanziati con le imposte e spendibili nella scuola di propria scelta. Ciò che conta è il finanziamento pubblico dell’istruzione, fattore di progresso economico e uguaglianza sociale, non la sua gestione diretta. Che, come l’esperienza dimostra, porta spesso a inefficienze e assurdità. E i programmi? E la qualità dell’insegnamento?   Ci pensa il ministero. Programmi minimi e uniformi a livello nazionale, con aggiunte volontarie locali e qualità dell’insegnamento testata con esami nazionali (basta con regioni dove le lodi si regalano). A questo si dovrebbe dedicare il ministero che, con questa riforma federalista, si svuoterebbe di migliaia di inutili funzionari, liberando risorse per chi l’insegnamento lo produce davvero. Ossia gli insegnanti capaci e volenterosi, in collaborazione con alunni e famiglie.   
*Washington University in Saint Louis

(3 Settembre 2010)





L'analisi



I call center delle cattedre


 di CHIARA SARACENO
 


La scuola non può continuare a funzionare facendo conto largamente su insegnanti precari, il cui contratto è rinnovato annualmente (quando va bene), senza nessuna garanzia non solo per la continuità del rapporto di lavoro ma anche per la continuità didattica.
E per la possibilità di sviluppare progetti formativi di medio-lungo periodo. Se le cifre presentate ieri dal ministro Gelmini  -  200.000 precari a fronte di 700.000 con cattedra di ruolo  -  sono giuste, segnalano un sistema organizzativo che affida il proprio funzionamento per quasi un terzo a rapporti di lavoro, ma anche e soprattutto formativi, senza continuità.  È peggiore di quanto avviene nell'industria e si avvicina alla situazione dei call center. Salvo che ciò che produce la scuola non sono automobili o lavatrici, e neppure servizi di informazione. E gli studenti non sono pezzi da assemblare su una catena di montaggio, o clienti cui dare qualche informazione preconfezionata o da smistare ad un altro numero. 
Se gli studenti italiani rendono meno in media della maggioranza dei loro coetanei degli altri Paesi, forse è anche per questo: sono più  esposti ad un turnover sistematico di docenti, a loro volta poco incentivati ad investire nel conoscere meglio i propri studenti, nel trovare formule di insegnamento efficaci. Perché un anno sono in un posto, l'anno dopo, se va bene, in un altro. Ha ragione quindi la ministra a dire che la situazione non è più tollerabile. Ma ha torto sia nelle cause che individua per questo rapporto abnorme tra precari e regolari, sia nella soluzione che ha trovato, ovvero mandarli a casa con un'operazione di licenziamento (di fatto, anche se formalmente si chiama mancato rinnovo) di proporzioni enormi, che coinvolge, tra l'altro, soprattutto donne.
Se la massa degli insegnanti precari è cresciuta a dismisura, non è innanzitutto, come invece sostiene Gelmini, perché si è fatto un uso clientelare e assistenziale delle supplenze. Piuttosto, analogamente a quanto avviene nell'industria, i vari governi che si sono succeduti hanno trovato comodo, anche con la complicità dei sindacati, utilizzare le supplenze come tappabuchi organizzativi, anziché procedere ad una seria programmazione del reclutamento e della mobilità degli insegnanti. Per cominciare a sciogliere questi nodi occorre innanzitutto distinguere i due aspetti della questione: quello dell'organizzazione scolastica e in particolare dell’ offerta formativa, e quello dei lavoratori che dopo anni di precariato di colpo si trovano senza lavoro.
A sentire le parole della Ministra, sembra che la riduzione del numero degli insegnanti avrà l'effetto miracoloso di rafforzare la qualità dell'insegnamento. Se è vero che la situazione precedente era lontana dall'essere soddisfacente, non è chiaro tuttavia come la riduzione tout court degli insegnanti possa di per sé produrre effetti positivi. Insieme alla razionalizzazione delle risorse e alla riduzione degli sprechi, occorre procedere a una verifica sistematica dei problemi formativi e delle loro cause.
Ad esempio, i risultati del test INVALSI confermano la necessità di un fortissimo investimento nei servizi educativi il più precocemente possibile e per un tempo scuola di qualità ampio, per contrastare handicap sociali e ambientali. Invece le regioni meridionali sono quelle in cui ci sono meno nidi di infanzia, in cui le scuole materne sono spesso ancora a tempo parziale e il tempo pieno alle elementari è pochissimo diffuso. Analogamente, i più alti tassi di fallimento scolastico negli istituti tecnico-professionali (frequentati di norma dai figli delle classi sociali più modeste) rispetto ai licei dovrebbero indurre non solo a un rimaneggiamento delle materie, come è avvenuto con la riforma delle superiori, ma ad una politica di sostegno ai processi di apprendimento.
Tutto ciò non risolverebbe automaticamente la questione dei precari che rischiano di perdere il loro posto di lavoro, anche se in parte ne conterrebbe il numero, avviando un percorso di regolarizzazione che li faccia uscire, appunto, dalla precarietà. Tuttavia, se non tutti possono essere assorbiti, il ministero, lo Stato, non può lavarsene le mani come se non fosse un problema da esso stesso creato. L'accesso a un incarico annuale non è un diritto. È, dovrebbe essere, un diritto, un sostegno al reddito decente e l'accesso a opportunità di ricollocamento.
È vero che ci sono problemi di bilancio. Altri Paesi tuttavia, pur con performance scolastiche migliori, hanno tagliato su molte cose, ma hanno aumentato le risorse per la scuola, intendendole come investimento nel futuro. Da noi invece si taglieranno un po' di stipendi per pagare la carta igienica. 
(3 settembre 2010)




Il racconto

"Calpestati 14 anni di sacrifici per loro siamo solo dei numeri"
Caterina, in ospedale dopo otto giorni di sciopero della fame: "Pur di lavorare ho accettato di lasciare mio marito e tre bambini e di andare a Brescia. Ora tutto viene cancellato"
di MARIA NOVELLA DE LUCA

ROMA- "Sono figlia di un agricoltore e ho l'orgoglio di essere diventata maestra elementare. Ai miei tre figli ho insegnato il rispetto e la passione per la scuola, ho lavorato nei quartieri a rischio di Palermo, dove i bambini bisognava andarli a cercare nei vicoli e nei cortili per farli entrare in classe e "rubarli" alla criminalità che li assolda e li sfrutta. Pur di lavorare ho accettato di lasciare mio marito e i miei tre figli e di andare al Nord, in una scuola di Brescia, vivevo in una stanza d'albergo, cucinavo in un angolino, dei 1300 euro di stipendio non rimaneva nulla, ma non importa, ripartirei domani... E adesso questi 14 anni di precariato vengono cancellati, calpestati da un ministro che si rifiuta anche di incontrarci. Sì, lo so, corro un grave rischio a continuare lo sciopero della fame, soffro del morbo di Crohn e i medici sono stati chiari. Ma qui in gioco c'è il futuro di migliaia di famiglie, dei nostri figli e della scuola pubblica. Come può questo governo essere così cieco e sordo?"
Distesa su una barella del Pronto Soccorso dell'ospedale "San Giovanni" di Roma, Caterina Altamore, 37 anni, insegnante precaria di Roccamena provincia di Palermo, all'ottavo giorno di digiuno, racconta la sua battaglia, la durezza delle ultime settimane, il presidio davanti a Palazzo Chigi, "in tenda, con i topi che si infilavano dappertutto, le notti improvvisamente diventate fredde" fino alla delusione di ieri, dopo il rifiuto secco della Gelmini, "no, non incontrerò i precari". Un muro. Una barriera. "Per loro siamo numeri, roba da niente", mormora. E aggiunge: "Il ministro dice che siamo politicizzati? La sfido a dire qual è la mia tessera".
Poi nel pomeriggio il malore, la corsa in ospedale con il 118,  ma Caterina è una donna forte, decisa, occhi scuri fermi e diretti, mentre attende che la flebo di glucosio le restituisca le forze risponde al telefono, rassicura tutti. La sorella da Palermo, il marito Angelo Moscatelli, i colleghi: "Sto bene, sto bene, adesso torno al presidio, non vi preoccupate...". Anche lì in corsia si accende la solidarietà. Pazienti, infermieri: "Stanno distruggendo la scuola, resistete".
Caterina Altamore ringrazia, sorride, anche se il foglio di dimissioni non lascia dubbi: "Deve riprendere ad alimentarsi il prima possibile" scrivono i medici. Ma Caterina, ormai il simbolo di questa protesta durissima che sta saldando Nord e Sud contro i tagli che hanno espulso dal mercato del lavoro migliaia di insegnanti, va avanti. "Lo faccio per i miei figli, a cui ho comunicato l'orgoglio per lo studio e per il sapere, e infatti hanno la media del 10. Ma lo faccio per i ragazzi di tutta Italia, a cui questi tagli travestiti da riforma stanno togliendo il diritto costituzionale ad avere una scuola pubblica che funzioni, e non con classi di 40 alunni e le aule fatiscenti. Lo faccio per quei bimbi del "Capo" di Palermo, quelli che avevo in classe, e che senza tempo pieno resteranno per strada, in attesa di diventare soldati della mafia. E per noi, vite da precari, disposti a tutto pur di fare gli insegnanti, anche appunto a lasciare i miei tre bambini in Sicilia e andare in Lombardia".
Nuovi migranti tra i migranti, e in gran parte donne, aggiunge Caterina. "Perché non è vero che la gente del Sud non si muove, non si sposta. A Brescia l'esperienza è stata bella e importante, lì ci sono ricchezza, strutture, ma il taglio di fondi sta demolendo anche quel mondo. Un anno di viaggi e di valige, di nostalgia, e meno male che a casa c'erano mia madre e mia suocera...". La famiglia appunto. Un punto fermo per Caterina, cattolica praticante, che si è sposata a 21 anni, e poi con Angelo ha fatto tre figli. "Ma non ho mai saltato una supplenza, ogni volta che mi è stato dato un incarico l'ho portato fino in fondo, e ancora oggi ho lo stesso entusiasmo, credo davvero che le cose possano cambiare, la gente se ne sta accorgendo, certo la cosa assurda è che per parlare di scuola pubblica ci voglia il gesto estremo dello sciopero della fame".
Dimessa dall'ospedale Caterina torna al presidio davanti a Palazzo Chigi. Il referto sotto il braccio. L'avvertenza di smettere il digiuno e di bere il più possibile. Il morbo di Crohn è una malattia grave, provoca ulcere e lesioni interne. "Senza lavoro per me sarà anche più difficile curarmi, la Sanità in Sicilia è così distrutta che spesso devo utilizzare le strutture private e una colonoscopia costa anche mille euro". Un velo di tristezza, di preoccupazione. Ma è un attimo. Caterina torna allegra. "Meno male che da ieri sera è arrivato il camper della Cgil. Ora la notte sarà meno dura". Ad aspettarla lì, come ormai da giorni, gli altri colleghi con cui condivide lo sciopero della fame, Giacomo Russo e Salvo Altadonna. "Quanto andrò avanti? Fino a che non avremo delle risposte, fino a che le forze me lo permetteranno. I miei figli? Lo sanno e mi sostengono. Mio marito? È preoccupato, ma sa che io non mi fermo. Non posso. Corro un rischio, è vero, ma è una battaglia di civiltà".
(ha collaborato Salvo Intravaia)
(3 settembre 2010)


Genitori-cittadini, è l’ora della sveglia
di Marina Boscaino

Dico a voi, genitori, nonni, zii, ragazzi. Cittadini. Lo so, la lettera è “vetero”, come ci hanno fatto credere di idee, principi, valori su cui vorrei riflettere. Svenduti dall’aggressività neoliberista e dal macabro progetto culturale di chi ci governa: come la lettera, roba d’altri tempi. Comodo per plasmare menti e coscienze al pensiero unico: sbarazzare il campo da ogni ostacolo. E far pensare che alcune radici della Repubblica puzzino di stantio.
La Costituzione, ad esempio. Che va invece tutelata da retorico buonismo, inerzia e manipolazione, rivendicando, con orgoglio e passione, il mandato attribuito a noi insegnanti dalla Carta: formare cittadini consapevoli. È sempre più difficile, da questo non-luogo a cui hanno ridotto la scuola. Fuori dai cancelli, i ragazzi si trovano in un mondo che li sollecita esattamente nella direzione opposta: il re per una notte, il tronista, il famoso, lo spiato che ammicca alla telecamera. Maschere (tragiche) dell'ossessione collettiva, prese in prestito dalla videocrazia per sostanziare la realtà.
La scuola è di tutti, ci hanno insegnato. Scuola, sanità e giustizia: ce l’hanno ripetuto. Allora perché in prima pagina solo a colpi di precari in mutande sui tetti o in sciopero della fame?
Perché non bastano la disillusione, la sfiducia nelle istituzioni e nel futuro di tanti quarantenni ai quali un ministro si può permettere di dire: solidarietà, ma voi pagate per tutti? Pagate il conto al sistema che vi ha creato e sfruttato per anni. Io, intanto, appoggio Marchionne. E dismetto qualsiasi responsabilità rispetto all’illegittimità delle procedure che stiamo assumendo e alla crisi sociale innescata dal più grande licenziamento di massa della storia della scuola.
Parole in libertà, suggestive e mediaticamente efficaci, per solleticare il bisogno di certezze di chi si è smarrito. O non si è mai trovato. Alle quali non corrisponde in nessun modo alcuna realtà. Parla rivolgendosi a voi, audience, che fate share. A molti di noi non si rivolge più, se non per bacchettarci, darci dei fannulloni, degli incompetenti, degli assenteisti; minacciarci, se “facciamo politica”: TremonBrunetta-pilotata, come la giovane Ambra da Boncompagni. Non produce pensiero originale, questo ministro della Repubblica. I suoi slogan sono sintesi market oriented di ciò che hanno deciso altrove. Lei ha il compito di metterci la faccia.
E lo fa in maniera impudica, perché inconsapevole: millantando potenziamenti di materie in una scuola superiore in cui si taglia tutto, dagli orari alla carta igienica; di legalità, mentre viola norme democratiche per portare a casa la “riforma” (il taglio di 8 miliardi) che il ministro dell'Economia le ha commissionato; di diritti, costringendo bambini e ragazzi in scuole non bonificate da Eternit, in cui vengono stipate aule a dispetto di qualsiasi norma di sicurezza, in cui viene calpestata, elusa, umiliata la legge per il sostegno alla diversabilità, che tutta l’Europa   ci invidia. Ma di cui incultura politica e insensibilità sociale sviliscono la portata. Vi parla di uguaglianza, restaurando una scuola di classe, che divarichi destini e immobilizzi origini sociali. Creando ghetti sempre più segregati, per i figli di un dio minore: di colore, di religione, di nascita differenti dai futuri quadri, immaginati in un triste progetto di società; non troppo colti, purché provvisti di potere d’acquisto, consumatori acritici, prodotto della dismissione della grande idea di una scuola inclusiva ed emancipante che ha animato le intenzioni dei costituenti.
D’accordo, potrebbe non toccare ai nostri figli, ai nostri nipoti, ai nostri alunni: noi saremo abbastanza forti da tutelarli. Ma ai miei Lorenzo e Margherita, che iniziano rispettivamente la scuola secondaria di II e di I grado proprio nell’anno 0 della “riforma epocale” e a tutti i miei alunni, anche i meno sensibili, non mi stancherò di cercare di far capire che la democrazia si basa sulla difesa dei diritti collettivi e dell’interesse generale. E che il privilegio di una buona partenza non esenta dal dovere della partecipazione e dalla testimonianza dell’indignazione. Perché silenzio è uguale a morte.
(3 settembre 2010)

*La vignetta Tremonti burattinaio è di Marilena Nardi da "il Fatto Quotidiano" del 3 settembre 2010.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/09/02/una-conferenza-per-rispondere-ai-precariil-gioco-delle-tre-carte-del-ministro-gelmini/55988/
 
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/08/25/la-mannaia-della-riforma-gelmini/52723/
 
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/09/03/il-curriculum-della-gelmini/56192/
 
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-9ebe7085-2886-4823-9ba0-4f57a4a7cf85-tg3.html?p=0  (precario più anziano -   3 settembre)
 
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-5851d2ae-d0b9-4fe6-b3be-7e145b881039-tg3.html?p=0 
 





 



2 commenti:

  1. Grazie per gli articoli che ci proponi, Frank. Agghiacciante la storia della giovane precaria ricoverata. Brava, come sempre, la Boscaino.
    A scuola sono davvero incazzati. Al liceo dei miei figli cominciano con una giornata di assemblea sindacale il 15 settembre. Hanno ragione.
    Artemisia

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  2. prevedo un autunno moooolto caldo...

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