domenica 7 giugno 2009

Antipapismo








Post di natura elettorale, anche se le votazioni sono già iniziate. Post che non manifesta l’intenzione di voto, essendo questa già nota (o intuita) da coloro che frequentano il blog. D’altra parte non costituiscono un mistero la mia integrale avversione e repulsione nei confronti del papi del consiglio e dei suoi scherani.


Tuttavia, mi sembra utile condividere alcuni articoli che ho trovato assai istruttivi. S’è lavorato un po’ d’archivio, chiaro, sebbene i pezzi mi siano capitati tra le mani proprio oggi (tranne l’ultimo, ovviamente) trasformandosi subito come cacio sui maccheroni.


Attenzione alle date, come sempre.


Piero Ottone provò alcuni anni fa a formulare una domanda che ha continuato ad arrovellare le menti razionali e che, nonostante il tempo trascorso, rimane senza una risposta plausibile o, almeno, confortante.


Il pezzo di Luigi Cancrini, per la rubrica “Diritti negati”, ha un titolo profetico (siamo nel 2006) che sta trovando una piena quanto avvilente e stupefacente attuazione. La risposta, alla lettera del direttivo di un’associazione, conferma come problemi in fieri siano ormai diventati insostenibili, aggravando situazioni di forte disagio. Casualmente era in corso anche in quel periodo una campagna elettorale.


Ho aggiunto anche l’editoriale di Eugenio Scalfari, anticipato di un giorno. Una dissertazione storica interessante, ma come appare chiaro anche dagli articoli che lo precedono, le esperienze sbagliate non si sono per nulla rivelate ammonitrici, in una sospensione spazio-temporale che non preannuncia nulla di buono.


Che si vada al voto, comunque. Ogni assente sarà colpevole, questa volta, di aver fiancheggiato il papi del consiglio, a proposito del quale ho allestito qui una photogallery per scuotere gli ignavi.


 


La politica e gli italiani creduloni


PIERO OTTONE


 


Questo non è un articolo su Berlusconi, ma sugli italiani, su noi italiani, dei quali si dice, purtroppo a ragione, che ci dividiamo nettamente in due campi, quelli pro e quelli contro, senza possibilità di comunicazione fra gli uni e gli altri.


Vorrei estrapolare, fra le tante pubbliche esibizioni del personaggio, tre momenti. Il primo riguarda la questione giudiziaria. Alla domanda se provi disagio per i suoi numerosi problemi con la giustizia, con lo strascico delle leggi fatte su misura per toglierlo dai guai, ha fornito per tutta risposta, quasi in letizia, il numero imponente di procedimenti giudiziari, di udienze processuali, di ispezioni e sequestri (centinaia, migliaia) a suo carico. Ogni altro essere umano, al suo posto, avrebbe provato imbarazzo per l' imponenza delle cifre: lui se ne è gloriato. (Mi chiedo che impressione avrà fatto all'estero quella risposta alla conferenza stampa, se qualche giornale straniero l'ha riferita tale e quale.)


Secondo momento: quello sull'editore liberale. Trovandosi di fronte un giornalista di Mediaset, quindi suo dipendente, ha colto l' occasione per proclamarsi editore, sì, ma editore liberale, anzi il più liberale che sia mai esistito, aggiungendo che nessun giornalista al mondo ha denunciato una sua intrusione o un suo intervento men che corretto; sebbene spesso i suoi giornali siano verso di lui "birichini". Prendiamo nota. E poi vorrei segnalare un terzo momento, quello riguardante la sua popolarità. In contraddizione con certi sondaggi, si è detto sicuro di essere molto popolare in Italia, e ha raccontato, fra i tanti esempi di simpatia, quel che gli capita quando entra in un negozio: subito la folla si assiepa sulla strada, e gli occorre tempo e fatica (ha precisato: una decina di minuti) per svincolarsi. Vorrei infine annotare, a futura memoria, una battuta su Piero Fassino, uno dei principali oppositori, del quale ha detto, per canzonarlo, che è magro da fare paura: gli avrebbe mandato un paio di panettoni, presumibilmente per farlo ingrassare.


Le dichiarazioni rese nei tre momenti sopra citati sfidano, evidentemente, ogni razionalità; diciamo pure ogni credibilità. Editore liberale: conosciamo tutti l'appoggio massiccio che gli hanno fornito i mezzi di informazione da lui controllati, le sue televisioni, i suoi giornali; quanto alla mancanza di lagnanze da parte di giornalisti del suo gruppo, mi chiedo che cosa ne avrà pensato Indro Montanelli, nell' aldilà, se lo ascoltava. Non convocò forse, l' editore Berlusconi, la redazione del Giornale, per chiedere il suo appoggio, scavalcando il direttore, appunto Montanelli? E poi i Biagi, i Santoro…


Quanto alla questione giudiziaria, fra i tanti capi d' accusa a suo carico può anche essercene qualcuno meno fondato degli altri: ma è possibile immaginare che siano tutti dovuti a persecuzione giudiziaria? E i capannelli davanti ai negozi, sulla pubblica via, certamente non dimostrano nulla: ogni personaggio pubblico, se va per strada, suscita curiosità. Infine, la battuta su Fassino: l' ho citata solo come esempio di stile, o di mancanza di stile, da parte di un presidente del Consiglio.


E allora, ecco la domanda che è al centro di questo articolo: come è possibile che tanti italiani, certamente onesti, certamente tutt' altro che stupidi, magari colti (magari colleghi in giornalismo), credano a quel che dice Berlusconi, lo prendano sul serio, anche quando le sue dichiarazioni sfidano ogni razionalità; come è possibile che si divertano, quando ascoltano le sue battute? Da tanto la domanda mi perseguita, e trovo difficile rispondere. Ho pensato in un primo tempo che il sostegno a Berlusconi fosse dovuto, semplicemente, ad avversione per la sinistra. Ma riconosco che il prendere per buone frasi come quelle che ho citato, con l' avversione verso la sinistra non ha niente che fare, a parte il fatto che la nostra sinistra, ormai, mi pare proprio che non possa più fare paura a nessuno.


E allora? Forse l' atteggiamento di chi crede a quelle affermazioni, di chi le prende per buone, può essere spiegato solo come un caso di fideismo: che è fiducia incondizionata in qualcuno o qualche cosa; una fiducia che corrisponde a una fede. Se questo è vero, si spiegano molte cose. Si spiega per esempio l' impossibilità di dialogo fra i due campi di cui dicevo all' inizio dell' articolo: non c' è dialogo fra fede e ragione. Il fedele non dà alcuna importanza all' evidenza dei fatti. Col fedele non si ragiona. A chi non crede, sembra strano che si possa credere; e così a chi non crede in Berlusconi sembra strano che il personaggio, con quei suoi modi, con quei suoi discorsi, con quelle sue battute, possa suscitare qualche cosa simile a una fede. Ma la fede, quando nasce, nasce in modo inatteso e misterioso. E' anche vero, d' altra parte, che in modo altrettanto misterioso si spegne, da un momento all' altro, in modo altrettanto inaspettato. Anche da questo dipendono, mi pare di capire, le nostre future sorti.


la Repubblica (5 gennaio 2003)  


 


 


DIRITTI NEGATI


LUIGI CANCRINI


 


La Repubblica delle Veline


Caro Cancrini, siamo in piena campagna elettorale, ed in questi giorni si ascoltano numerose proposte di legge e di riforma, che propongono soluzioni al problema del disagio psichico e delle forme più svariate con cui esso si manifesta: tossicodipendenza, psicopatie, sfruttamento minorile, tratta degli esseri umani e comportamenti adolescenziali a rischio. In considerazione del fatto che la recente “repubblica delle veline “, ha prodotto nella gente comune una pericolosa attitudine a vedere le tematiche sociali come problemi esclusivamente connessi alla sicurezza propria e dei propri congiunti, è indispensabile soffermarsi sul fatto che accanto a proposte di tipo riformista e a carattere scientifico quali la prevenzione, la formazione, il diritto alla psicoterapia ed il diritto di accesso alle risorse economiche da parte di chi si occupa in maniera rigorosa della relazione di aiuto ve ne siano altre di stampo prettamente populista. O no?


Direttivo «Libera.mente»- Fano


 


Trovo senz’albo convincente l’analisi alla base di questa lettera. L’idea per cui i cinque anni di governo Berlusconi hanno puntato tutto sulla tendenza a trasformare i problemi sociali in problemi di sicurezza per il cittadino “normale” che se ne vuole tenere lontano è un’idea confermata dai fatti. Vanno evidentemente in questa direzione le misure di sicurezza e carcere per i consumatori di droga e per i tossicodipendenti, l’aggravamento delle pene per i recidivi (quelli che, uscendo dal carcere, nessuno trovano che li aiuti a organizzare meglio la loro vita), violenze verbali (gettiamolo a mare!), giuridiche (la Bossi- Fini) e fisiche (l’insostenibile disumanità di tanti centri di accoglienza) nei confronti degli immigrati, rifiuto di un qualsiasi dialogo con gli omosessuali le cui richieste “metterebbero in crisi” l’istituto sacro della famiglia, aggressione sempre più idiota e più scoperta (la maglietta e il sorriso di Calderoli) all’Islam e il tentativo, per fortuna abortito, di chiudere di nuovo i pazienti psichiatrici in piccoli manicomi privati. Va in questa direzione, ugualmente, la legge che permette di sparare a chi attenta alla proprietà privata e la scelta politica di chi appoggia senza riserve, sulla stessa linea di “pensiero” la guerra preventiva di Bush e l’idea per cui il terrorismo non è l’espressione di un problema economico e politico con cui il mondo deve fare i conti ma solo la manifestazione più evidente di quello che si sta profilando come un attacco all’Occidente e alla Cristianità (come ci segnala quasi quotidianamente dall’alto della suo delirio di onnipotenza Marcello Pera).


Vale la pena di riflettere seriamente su quelle che sono le conseguenze più probabili di questo modo di affrontare i problemi della società in cui viviamo. Nei confronti delle persone percepite come pericolose per motivi che attengono a delle difficoltà più personali (i pazienti psichiatrici, la gran parte delle persone coinvolte nella piccola delinquenza e, in generale, i tossicodipendenti), l’effetto concreto è quello, perseguito con cura omissiva da Berlusconi e dai suoi, di un indebolimento progressivo dei servizi di cura attivi sul territorio (cui ogni giorno di più sono state negate risorse e personale) e di un poderoso impulso alla reclusione di tutti i devianti. Di cui non si dice (ancora?) che sono dei parassiti da eliminare come al tempo del nazismo (e del fascismo) ma di cui si cerca in ogni modo l’allontanamento e l’esclusione.


Più duri ancora e ancora più incivili, se possibile, gli effetti cercati nei confronti di chi viene percepito (o dipinto) come pericoloso per motivi più direttamente etnici, religiosi e sociali. La parola d’ordine di un’organizzazione dichiaratamente razzista come la Lega Nord sono diventate legge con la Bossi-Fini e pesano oggi drammaticamente sui programmi futuri della “Casa delle Libertà”. Producendo un aumento drammatico delle persone che vivono illegalmente in Italia, al di fuori di ogni controllo sulla disperazione loro e sullo sfruttamento che di essa viene fatto da chi applica in piccolo, pro domo sua i principi ispiratori di quel capitalismo selvaggio che tanto piace a chi ci governa. Ma dando un incremento terribile, soprattutto, a quella insicurezza reciproca e crescente del cittadino italiano e dell’immigrato da cui nascono la diffidenza prima e l’odio poi fra persone che il caso ha fatto nascere in paesi diversi e in contesti religiosi diversi. Dando un contributo non irrilevante, a mio avviso, a quella atmosfera di guerra in cui il mondo sta scivolando sempre di più in questo che doveva essere il nuovo millennio e che sempre più assomiglia, invece, ad un nuovo Medio Evo: caratterizzato, come quello, da uno scontro fra esponenti sordi e violenti di due civiltà contrapposte.


Di poche cose c’è necessità, in tempi cosi, come di un’azione del tipo di quello che associazioni come «Libera.mente» stanno portando avanti. Quella di cui abbiamo bisogno è una tutela piena della salute mentale. Di quelli che fanno fatica a vivere come dice efficacemente Lucio Babolin e che più facilmente degli altri stanno chiaramente ed esplicitamente male attraverso lo sviluppo pieno di servizi che sono spesso servizi di grande qualità per la passione e il coraggio di chi ci lavora ma che sono ancora terribilmente insufficienti se si rapporta la loro possibilità di azione alle esigenze reali di tutti quelli che del loro intervento avrebbero bisogno. Ma di quelli, anche, la cui salute mentale è insidiata dal veleno sottile dell’insofferenza e da quello, più pesante, dell’odio e dell’intolleranza. Persone che non chiedono aiuto ai servizi, purtroppo, perché non hanno nessuna consapevolezza (vero, ministro Calderoli?) della gravità delle loro psicopatologie.


Tanti anni fa, in Germania, un gruppo di pazzi criminali riuscì, suscitando intolleranza, odio e paura, a guadagnarsi un sostegno popolare quasi plebiscitario. Collaudata a quei livelli, la possibilità di utilizzare i problemi e le ingiustizie sociali ed economiche per criminalizzare tutti quelli che ne manifestano l’esistenza mantiene ancora oggi una spaventosa capacità eversiva. È toccato in questi anni ai leghisti e ai fascisti di soffiare su questo tipo di fuoco con la complicità sporca di chi, all’interno della Casa delle Libertà, voleva attirare voti facili e nascondere il deterioramento progressivo di uno stato sociale incompatibile con le ambizioni degli economisti neo-con alla Berlusconi. Tocca ora ai cittadini italiani dire di no con il voto a chi tenta di corrodere, seguendo questo tipo di propaganda e di strumentalizzazione politica, quelli che sono i valori di base di una società davvero democratica: il rispetto e l’ascolto dell’altro, la valorizzazione delle differenze e la solidarietà con quelli che fanno fatica a vivere. Quali che siano le manifestazioni della sua sofferenza, il colore della sua pelle, la religione a cui si ispira.


l’Unità (27 febbraio 2006)


 


L'EDITORIALE


Le anime belle di fronte alle urne


di EUGENIO SCALFARI


SCRIVO oggi e non domenica come è mia abitudine perché fin da oggi pomeriggio si comincerà a votare in Europa ed io voglio appunto parlare di questo voto.


L'argomento è già stato trattato molte volte e da tempo in tutti i giornali e in tutte le televisioni ed anche noi di Repubblica l'abbiamo esaminato ripetutamente, come e più degli altri. Sento dunque un rischio di sazietà verso un tema usurato da motivazioni contrapposte e ripetitive. Del resto a poche ore di distanza dall'apertura delle urne anche gli indecisi avranno fatto la loro scelta e difficilmente la cambieranno.


Infatti non è del colore del voto che voglio parlare. I miei lettori sanno come la penso e come voterò perché l'ho scritto in varie e recenti occasioni.


Non desidero dunque convincere nessuno ad imitare la mia scelta. Il mio tema di oggi è un altro. Voglio esaminare in che modo nella nostra storia gli italiani hanno usato la loro sovranità di elettori da quando il suffragio è stato esteso a tutti i cittadini di sesso maschile e poi, nell'Italia repubblicana, finalmente anche alle donne ed infine ai diciottenni abbassando la soglia della cosiddetta maggiore età.


Storicizziamo dunque la sovranità del popolo e vediamo nelle sue grandi linee quali ne sono state le idee e le forze dominanti.


 


Il suffragio universale maschile coincise nel 1919 con un sistema elettorale di tipo proporzionale; una proporzionale corretta in favore dei partiti quantitativamente più forti, che lasciava però a tutti i competitori ampi margini di rappresentanza.


Nelle elezioni del "Diciannove" (le prime dopo la fine della guerra mondiale del 1914-18) si affacciò sulla scena della politica italiana una forza nuova, quella dei cattolici riuniti attorno ad un sacerdote di grande carattere e di convinta fede religiosa: il Partito popolare di don Luigi Sturzo. Fu l'ingresso d'un nuovo protagonista la cui presenza ruppe gli schemi fino allora vigenti che avevano privilegiato le clientele liberali raccolte dalla destra nazionalista e salandrina e quelle democratiche che avevano in Giovanni Giolitti il loro leader parlamentare.


Il Partito socialista, massimalista con appena una spolverata di riformisti, stava all'opposizione in rappresentanza della parte politicizzata del proletariato.


Che tipo di Italia era quella?


Un paese traumatizzato da quattro anni di trincea, con un altissimo costo di morti, di mutilati, di sradicati; un paese che aveva però acquistato una certa coscienza dei propri diritti. In prevalenza contadino, in prevalenza analfabeta, in prevalenza fuori dalle istituzioni e dallo stato di diritto. Un paese in cui il popolo sovrano si limitava alla piccola borghesia degli impieghi e delle libere professioni, alla classe operaia del Nord, ai proprietari fondiari e ai mezzadri.


Il grosso della popolazione era fuori mercato, bracciantato con paghe di fame e prestiti ad usura, tracoma e colera nel Sud, pellagra e malaria nelle pianure del Nordest.


Ma gli ex combattenti della piccola borghesia erano agitati da sogni di rivincita e di dominio. Odiavano il Parlamento. Detestavano la politica. Vagheggiavano il superuomo e il D'Annunzio della trasgressione e dell'insurrezione fiumana.


Poi trovarono Mussolini.


 


Ricordo queste vicende perché contengono alcuni insegnamenti. I più anziani le rammentano per averne fatto esperienza, i più giovani ne hanno forse sentito parlare ma alla lontana e comunque non sembrano darvi alcuna importanza.


Sbagliano: i fatti di allora rivelano l'esistenza di alcune costanti storiche nella vita pubblica italiana. Si tratta di costanti antiche, cominciarono a manifestarsi con la Rivoluzione francese dell'Ottantanove, con il tricolore che diventò ben presto la bandiera-simbolo dell'Europa democratica e con i tre valori iscritti su quella bandiera: libertà eguaglianza fraternità.


Quei valori hanno avuto un'influenza positiva tutte le volte che sono stati portati avanti insieme ed invece un'influenza negativa quando soltanto uno di loro ha esercitato egemonia culturale e politica. La libertà, da sola, ha generato privilegi in favore dei più forti; l'eguaglianza, da sola, ha dovuto essere imposta con la forza (ma ciò in Italia non è mai avvenuto); la solidarietà, da sola, ha dato vita ad un'infausta politica assistenziale che ha dilapidato le risorse e indebolito la competitività e la libera concorrenza.


L'Italia non ha mai avuto una borghesia degna di questo nome perché i tre grandi valori della modernità non hanno mai avanzato insieme. Per la stessa ragione la laicità non ha mai raggiunto la sua pienezza e per la stessa ragione un vero Stato moderno, una compiuta democrazia, un'effettiva sovranità del popolo e un'autentica classe dirigente portatrice di interessi generali, non sono mai stati una realtà ma soltanto un sogno, un'ipotesi di lavoro sempre rinviata, una ricerca vana e frustrante, uno stato d'animo diffuso che ha alimentato la disistima delle istituzioni e l'analfabetismo politico.


Col passar degli anni questo analfabetismo è diventato drammatico. Il rifiuto della politica ne è la conseguenza più negativa. Gli italiani si sono convinti che la politica sia il male che corrode il paese. Perciò una larga parte dei nostri concittadini ha delegato la sua rappresentanza ad un giocoliere che ostenta il suo odio contro la politica e il suo qualunquismo congenito e festevole, all'ombra del quale sta nascendo un potere intrusivo, autoritario, concentrato nelle mani di un solo individuo.


 


L'analfabetismo politico degli italiani è molto diffuso tra quelli che parteggiano per la destra ma non risparmia la sinistra. Per certi aspetti anzi a sinistra questa assenza di educazione politica è uno dei suoi connotati, in particolare tra i sedicenti intellettuali che sono forse i più analfabeti di tutti.

Uno degli effetti più vistosi di questo fenomeno consiste nella ricerca di un partito da votare che corrisponda il più esattamente possibile alle proprie idee, convinzioni, gusti, simpatie. Ricerca vana poiché ciascuno di noi è un individuo, una mente, un deposito di pulsioni emotive non ripetibili. Le persone politicamente mature sanno che in un sistema democratico occorre raccogliere i consensi attorno alla forza politica che rappresenti il meno peggio nel panorama dei partiti in campo. La ricerca del meglio porta inevitabilmente al frazionamento, alla polverizzazione del voto, al moltiplicarsi dei simboli e di fatto alla rinuncia della sovranità popolare.


Aldo Schiavone ha scritto ieri che la polverizzazione del voto è frutto di un narcisismo patologico: per dimostrare la nobiltà e la purezza della propria scelta si getta nel secchio dei rifiuti la sovranità popolare. Non si tratta d'invocare il voto utile ma più semplicemente di predisporre un'alternativa efficace per sostituire il dominio dei propri avversari politici.


La destra sa qual è il suo avversario e fa massa contro di lui. La sinistra coltiva il culto della testimonianza, ma quando si trasferisce quel culto nell'azione politica il risultato è appunto la rinuncia ad una sovranità efficace per far posto al narcisismo dell'anima bella, pura e dura.



Pensare che questo scambio sia un'azione politica è un errore gravido purtroppo di conseguenze.

Fu compiuto lo stesso errore dai popolari di Sturzo nel 1921: rifiutarono sia l'alleanza con i socialisti sia quella con i liberaldemocratici pur di restare puri nel loro integrismo cattolico. Rifiuto analogo fecero i socialisti. Le conseguenze sono note, ma non mi sembra che si siano trasformate in una solida esperienza. Vedo, a destra e a sinistra, una sorta di sonno della ragione dal quale bisognerebbe sapersi risvegliare.


Post Scriptum. Anche in America la ragione si era addormentata dando spazio ai furori emotivi di George Bush. Dopo molti anni di letargo che hanno fatto degli Usa la potenza più odiata nel mondo, Barack Hussein Obama ha risvegliato la ragione facendo leva su una travolgente emotività carismatica.

Quanto sta accadendo nel mondo e nella straordinaria trasformazione dell'immagine dell'America ci insegna questo: per svegliare la ragione ci vuole un forte soprassalto emotivo, senza il quale l'emotività si volge a beneficio della demagogia.


Emozione razionale accresce la pienezza della democrazia, emozione demagogica le scava la fossa. Questo insegna Obama. L'insegnamento del giovane presidente afroamericano ci sia utile per la scelta che tra poche ore dovremo fare.


la Repubblica (6 giugno 2009)








2 commenti:

  1. kittymol77giugno 07, 2009

    1)L'articolo di Ottone mi ha fatta pensare che, se la domanda è corretta e sintetizzata con, più o meno, "Ma come mai quelli che lo votano non vedono l'incongruenza tra i fatti e le motivazioni date di questo saltimbanco e i suoi giocolieri?", alle risposte di Ottone (e di altri), vado coltivandone di mie, che prima o poi mi deciderò a mettere in ordine e a dire.

    2) Cancrini e le riflessioni sul razzismo ideologico contro i deboli (non importa perché, i deboli sembrano essere da sempre, e ora più di sempre, la facile preda da rinchiudere per sottrarli agli sguardi pubblici. Che sia per via dell'evidente prova della vergogna dello Stato?) mi mette sempre a disagio. Mi astengo quindi da ogni commento che mi verrebbe tarato male per un peso emotivo non facile da sottomettere

    3) Invece: leggere Scalfari è ogni volta sentirsi a lezione. A una bella lezione, di quelle che ti fanno capire cosa sia un "maestro". Inutile dire che condivido ogni riga. Su Obama m'inchino e taccio...

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  2. "Ogni assente sarà colpevole"

    concordo in pieno eppure perchè tanti amici di sinistra continuano a dirmi che questo è il ricatto con il quale l'attuale colpevole classe dirigente di sinistra continua a trascinare al voto tanti elettori?



    Forte lo striscione!

    Ciao,

    Artemisia

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