martedì 22 agosto 2006

Le emozioni dell'estate


Seduto nell’angolo di un caffé sto pensando a lei, mentre sorseggio un frappé alla banana e osservo due ragazzi appena entrati che si sono accomodati al tavolino, si stringono la mano e poi fanno cin cin con il bicchiere di succo di frutta. Ecco cosa mi sono dimenticato: di ripetere questo gesto benaugurante con E. alla fine, perché la prima sera, a cena, era stato spontaneo.


La prima e l’ultima volta si incrociano in dissolvenza.


Da poco più di un’ora ci siamo salutati, nel solito schifoso modo che le partenze propongono. E pensare che, appena pochi giorni prima, ritenevo che questo momento sarebbe equivalso ad una liberazione, molto freddo e privo di partecipazione. Ci sono state ventiquattr’ore in cui la fragile navicella ha rischiato di affondare. Stava imbarcando acqua da tutte le parti. Ogni brandello di conversazione era solo occasione di interminabili discussioni: il mio orgoglio contro le sue testarde convinzioni. “Cerchiamo di non farci del male fino a venerdì”- avevo concluso  “e poi staremo meglio”. Davvero?


Non ci siamo più fatti del male (anzi), però siamo stati peggio quando l’ora fatale è sopraggiunta. Quella delle ultime cose. E, si è così consapevoli dell’ineluttabilità del momento, che una stanchezza mentale cala come un pesante colpo di maglio su entrambi. Il risveglio, la reazione meglio ancora, quando la realtà che si chiama treno è tangibile. L’Eurostar fermo da tempo sul binario e allora tanto vale salirci, quasi a stabilire il primo iato. Uno status che muta.


E. parte ed io resto. E. mi raccomanda di non piangere, mentre il suo fazzoletto è a portata di mano, io fragilmente d’acciaio annuisco, mentre la voce già s’incrina. Lei lo percepisce, così affondo il viso tra i suoi capelli ramati. Una lacrima sfugge al mio controllo. I suoi freni inibitori hanno già ceduto da qualche minuto. È curioso ripetere che non si sta piangendo, mentre si torce il fazzoletto tra le mani. Ancora più curioso, poi, il fatto che questa constatazione non si può rivolgere all’altra persona. Il tempo delle parole è finito, ormai. Siamo già ai ricordi, alla memoria. Condivisa, eppure remota, nei sapori e negli odori.


Cosa recuperare da una bella vacanza? Cosa resta di giornate liete, seppur con il tempo mutevole, a tratti come il carattere di E., ma pronte (e pronta) poi a mostrare un raggio di sole? Cosa conferisce valore alla vacanza? I luoghi o la persona che si ha avuto accanto? E può esser lei la lente di ingrandimento per raccogliere ed esaminare i frammenti della memoria? Se, infine, mi limitassi ad affermare che una vacanza viene esaltata dall’ambiente e sublimata dalla donna che era con me? Allora nessun luogo sarà mai lontano dal cuore.



L’alto Metauro è terra di origini antiche, posta nel cuore dell’Appennino umbro-tosco-marchigiano, bagnata dallo storico fiume cantato dal Tasso, che conobbe una splendida stagione durante l’Umanesimo e il Rnascimento, quando entrò a far parte del ducato dei Montefeltro. E non poteva essere diversamente in una zona che aveva strette relazioni con Borgo Sansepolcro (Piero della Francesca) e Urbino (città natale di Raffaello). A Borgo Pace (nome omen, nella foto) la nostra isola felix.


La tradizione racconta che a Borgo Pace si svolsero le prime trattative di pacificazione del secondo triumvirato romano tra Marco Antonio e Ottaviano. Da qui il nome così rassicurante di una località incantevole, dove i torrenti Auro e Meta si congiungono per formare il Metauro. Prorompente la bellezza dei luoghi che sprofondano nel verde, in cui l’uomo e la natura sono in perfetta simbiosi.


Le case di pietra ne sono l’emblema. Assieme alle carbonaie, una sorta di capanne di legna accatastata con foro in alto a far da canna fumaria, che rammentano per certi tratti le tende degli indiani nativi, dove però i cumuli fumanti di tronchi bruceranno per produrre carbone.


Mi accorgo che comprimere le immagini, i ricordi giorno dopo giorno è impresa ardua. E allora solo un breve cenno ad Urbino ("Alle pendici dell'Appennino, quasi al mezzo della Italia verso il mare Adriatico, è posta, come ognun sa, la piccola città di Urbino." Baldassarre Castiglione 1478-1529),patrimonio mondiale dell’umanità, imponente nella maestosità delle costruzioni, Palazzo Ducale in primo luogo, reggia del duca Federico da Montefeltro,gioiello architettonico di rara bellezza. “Città ideale” del Rinascimento (rimando opportunamente alla dotta dissertazione di Ziby sull’argomento).Mercatello sul Metauro, dove un intatto ponte romanico sul fiume lascia incantati.Sant’Angelo in Vado, capitale del tartufo bianco pregiato, con le affascinanti viuzze medioevali e il ticket per entrare nelle chiese.Urbania, città della ceramica. L’antica Casteldurante, il nome a cui gli abitanti sono rimasti affezionati tanto da essere nomati durantini.Gubbio, oscenamente violentata dai turisti.Sansepolcro, straordinaria città d’arte e di tradizioni.



E poi un tragitto fiabesco, in terre forse abitate anche da elfi e fate, che si sviluppa dal santuario de La Verna fino all’eremo di Camaldoli. Da San Francesco a San Benedetto La giornata più ricca di sensazioni,dapprima naturali legate al progressivo avvitarsi sui tornanti fino a salire ai 1129 metri de La Verna, tra boschi sempre più fitti,dove il tempo restava sospeso,impenetrabili per lunghi periodi i raggi solari,la temperatura fresca e la miracolosa visione in un lampo: un cerbiatto che attraversa la strada per raggiungere sul lato opposto il suo compagno. Fotografia impressa nei nostri occhi. Un mondo a parte.



Intensamente suggestiva la monumentale foresta su per il Monte Penna, largamente dispensatrice di brividi, confermati poi da un curioso frate (?) giornalista, custode del Museo interno, il quale ammoniva sui pericoli di simili percorsi che ogni anno reclamano almeno una vittima (per la cronaca ancora nessuno in questo 2006), mentre si stupiva e, forse inalberava, quando gli facevamo notare che sul cartellino posto da lui sul registro dei visitatori (“Non è necessaria la data”) la “e” era senza accento.



Ma accanto alle visite, diciamo così istituzionali, l’eco che riecheggia è quella della serenità.





Sereno è scorgere una pieve lungo il percorso, fermarsi, scendere e incrociare una ragazza. La costruzione è privata, informa, mentre il laghetto artificiale per la pesca sportiva è chiuso. “Poi c’è il fiume” – aggiunge – “e nient’altro”. Ma il “nient’altro” della nostra interlocutrice è, invece, straordinariamente meraviglioso. Imbocchiamo il viottolo di campagna, ci sediamo sul greto del torrente, gettiamo in acqua pezzetti di legno per vedere se riescono a superare, con l’aiuto della corrente, una piccola ansa. Nessuno parla. Attorno, come rassicurante coperta, ci avvolge il rumore della natura: lo scorrere dell’acqua e lo stormire rapsodico delle foglie. Per Lucio Battisti sarebbero “Emozioni”. Lo sono anche per noi. Il “nient’altro” è tutto.


Sereno è intravedere un’abbazia o quel che ne resta, entrare in una chiesa di campagna, eretta in puro stile romanico, avventurarsi nella cripta sottostante. Assediati ancora dal silenzio e poi l’incanto di un viso dolcissimo nella statua di una madonna.


Sereno è il profumo del carbone e poi una nuova carbonaia ormai pronta con l’omino, piccolo, il volto annerito dal fumo, il quale spiega pazientemente come siano necessari due giorni per ammucchiare la legna, dopo averla tagliata in precedenza nei boschi e il doppio del tempo per trasformare i tronchi in carbone. Che i giovani non hanno più intenzione di proseguire il lavoro che ha dato rassicurante benessere ai loro nonni e genitori, perché si tratta di un’attività dura, faticosa e che richiede pazienza. Tutto mi ricorda un romanzo breve di Carlo Cassola, “Il taglio del bosco”.


Sereno è bagnarsi i piedi nelle cascatelle di acqua sulfurea e neppure avvertire che la temperatura è fredda. Forse è il cuore che scalda, forse l’idea che vivere in un altro modo è davvero possibile.


Sereno è alzare la testa al cielo e seguire con gli occhi, contorcendo il collo, i ghirigori delle rondini al tramonto, eseguiti con armoniosa bellezza ed eleganza. Si chiamano, s’inseguono, volano a stormi e poi, isolate, salgono (fin dove può salire una rondine?) per scendere quindi all’improvviso. Una danza ubriacante.


Sereno è ascoltare il vecchietto egubino che, con simpatica cadenza umbra, si rammarica per le chiese chiuse a causa di mani troppo leste, che racconta con l’entusiasmo di un bambino la storia di Francesco e del lupo e poi indica quale strada seguire per ammirare la cittadina dall’alto.



Sereno è valicare un passo appenninico al mattino, mentre la nebbia sale, provare inquietudine (ma l’autista è provetta, da nove), vivere un senso di isolamento e poi scendere verso il basso, mentre le montagne si allargano e la pianura si mostra in tutta la sua estensione.



Sereno è decidere di fermarsi, per mangiare un gelato, tra un grumo di case e scoprire che la gelateria è anche bar e poi bottega e chissà cos’altro ancora, che la mansueta signora, dai tratti gentili, lamenta il lento e progressivo decadere del comune, che si riduce ad una quarantina di anziani abitanti d’inverno, perché i giovani sono emigrati in città vicine. Eppure, nelle poche abitazioni circostanti, i giardini vivono l’animazione festante dei bambini. C’è pure un edificio che racchiude scuola materna ed elementare. E forse sono anche queste speranze di vita.



Sereno è addentrarsi nelle strette e ripide stradine di un borgo, stravolto fuori le mura da un cantiere edile eccessivo (la giunta è di sinistra, ma il partito del mattone non fa distinzioni), incrociare una vispa vecchina (95 anni) che ci indica la strada per salire alla torre dentata. Gli anni non sembrano pesarle, è rimasta vedova da poco, dopo 70 anni di matrimonio. Anzi, si scusa per averci fermato e disturbato. Tanti auguri, nonnina.


Si va verso la torre, purtroppo chiusa. Un altro vecchietto (85 anni) ci racconta dei tedeschi che volevano farla saltare per aria, ma in tal modo avrebbero pure fatto esplodere l’intero paesino e di come lui li avesse, invece, convinti ad accettare che fossero gli stessi abitanti ad abbattere la struttura per evitare danni ingenti. Poi la ricostruzione e la sorpresa di scoprire che la torre, originariamente, era merlata e non con le tegole sul tetto e subito il ripristino. La vecchia campana, invece, era ormai fuori uso. Al proposito la leggenda vuole che suonò il giorno della scoperta dell’America.



Sereno è addentrarsi tra i rovi, strappare le more e mangiarle per ritrovarsi poi con le gambe irritate da punture e graffi, ma il dolore è così lieve che si sperimenta ancora ogni volta che capita.



Sereno è annusare il finocchietto selvatico, la lavanda, scoprire in un parco le piante officinali, aromi dell’infanzia lontana, le belle favole del passato che più non torna.



Sereno è scoprire un vecchio lavatoio, con acqua corrente freschissima che fuoriesce da due canali e che, chissà perché, nessuno pensa di sfruttare al meglio. Il manufatto è in stato di evidente abbandono, la data (1860?) incisa all’ingresso non è completamente leggibile. Però la gramigna non ha ancora invaso completamente l’interno dove una vasca centrale racconta le mille storie di donne che là si radunavano per strofinare i panni sulla pietra levigata. Nelle tre pareti attorno emergono gli alloggiamenti per le ceste o i canestri.



Sereno è pernottare in una camera che sembra quella di una bambola, con il calore e il colore delle pareti, dove è totalmente assente il freddo anonimato della stanze d’albergo. Stona (e disturba) solo la presenza immancabile del televisore, ma basta non accenderlo. Alla sveglia, anche se in ritardo, è deputato il gallo (chiaramente non ci sono più i galli di una volta e ora fanno il minimo sindacale di ore). Il sonno è invece accompagnato dalla colonna sonora del torrente che scorre proprio dietro l’edificio.



Ci tornerò (forse). Insieme (speriamo).


 


 


 

14 commenti:

  1. Uno spiacevole inconveniente (impossibile editare l'anteprima del post) penalizza la lettura di questo post. Aggiungo qui il link relativo a Cassola : http://spazioinwind.libero.it/letteraturait/opere/cassola01.htm.

    Un po' di ruggine, insomma, non solo mia, ma soprattutto del signor Splinder. In ogni caso, lieto di essere di nuovo fra voi.

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  2. A La Verna e su fino ai Camaldoli ci sono stata anche io, tanti, troppi, anni fa, e ricordo di avere provato emozioni e sensazioni molto simili alle tue...davvero stupendo :)

    Bentornato

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  3. Robynia, grazie. Bentrovata anche a te. Considerati poi i "tanti troppi anni fa" non credi che sarebbe l'ora di tornarci?

    Un abbraccio :-))))))))))))

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  4. Sereno è... leggere la tua descrizione di luoghi che conosco benissimo perché mi sono vicini, sia geograficamente che emotivamente.

    Sereno è... leggere la tua malinconia addolcita dalla speranza.

    Sereno è...

    Bentornato Frank.

    Un abbraccio da Fioredicampo

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  5. Fioredicampo, con una simile accoglienza sono anche commosso e soddisfatto, perchè chi ha detto che le relazioni virtuali non producono emozioni?

    Con la tua indubbia sensibilità sei persino andata oltre quanto ho raccontato, certo con passione, ma anche con quella malinconia appena temperata dalla speranza.

    Restano immagini e sensazioni che mi seguiranno, nel percorso di rientro con una ben diversa realtà. Ma che bello aver potuto raccontare ciò che ho vissuto. E trovare, poi, chi si sente coinvolto.

    Bentrovata, davvero, Fioredicampo. Ho visto che hai aggiunto nuovi post che divorerò con piacere.

    Un caro abbraccio

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  6. vera.stazioncinaagosto 26, 2006

    sereno è rammentare con dolce nostalgia...

    un sorriso a te

    veradafne

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  7. veradafne, sempre cara e gentile, i tuoi toni sono delicati.

    Un sorriso anche a te.

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  8. Sono arrivato sul tuo blog...gli amici di fioredicampo sono sicuramente ottime persone.

    Grazie per l'e-mail.

    Un abbraccio,

    luigi

    PS il tuo post mi fa venir voglia di vacanza ;)

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  9. Luigi, posso certamente affermare la stessa cosa, perchè Fioredicampo possiede un carisma particolare e di questo le sono grato.

    Allora, ancora non sei andato in vacanza? Oppure le buone vacanze non bastano mai?

    Un abbraccio

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  10. LeAliDiUnAngeloagosto 28, 2006

    Il tuo descrivere racconti e pensieri è davvero meraviglioso..anche nostalgico.. sei un uomo speciale..un abbraccio

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  11. LeAliDiUnAngelo, grazie dei tuoi apprezzamenti.

    Provo ad ascoltare il mio cuore, lascio scivolare i pensieri e quella sensibilità che a volte mi tradisce, risulta in questo caso essere efficacissimo vettore dei racconti della mia anima. Molta nostalgia, certo. E' quel senso di incompiutezza che rimanda continuamente al passato, al rimpianto per gioie transitorie. Ma sto discretamente bene.

    Un abbraccio forte

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  12. Due anni fa ho trascorso una settimana a Borgo Pace (visitando tutto quello che c'è intorno). Mi resta un ricordo soprattutto... il fatto che fosse un luogo ancora non contaminato dal turismo di massa. Questo lo rendeva molto particolare per me.

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  13. vitarosa, e c'è tanto da visitare. Confermo che è ancora un luogo incontaminato: per questo mi sono trovato così bene. Sono contento di apprendere che anche tu sei stata lì: doppiamente felice della scelta fatta.

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  14. non sò la tua situazione adesso!ma se lo desideri tanto, spero che torniate insieme!

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