Quando questa mattina, alle 8:30, sono uscito di casa, doveva aver smesso di nevicare da poco. Fitti ricami di arabeschi bianchi erano stati disegnati sui cancelli, mentre i rami degli alberi sfioravano il suolo sotto il peso della neve caduta in grande quantità. Il cielo era uniforme nel suo grigiore, offuscato da quella sorta di foschia che prefigurava nuovi rovesci. L’aria era frizzante, lo sguardo abbagliato dal chiarore della bianca coltre: un buon risveglio assicurato. Ed è stato allora che l’ho vista.
Capelli biondissimi, incarnato molto chiaro tipico di una donna dell’est Europa, ma il volto arrossato, in questo caso, dallo sforzo. Stava, infatti, spalando la neve davanti al cancello con molta naturalezza. Accorro in suo aiuto. Prima che si formi il ghiaccio è opportuno creare un corridoio per poter entrare ed uscire. Ride con le guance rubizze.
Conosco molto poco di lei. So che assiste una signora, da tempo costretta sulla sedia a rotelle, che abita al terzo piano (due sopra il mio) del condominio. Incrociata saltuariamente e, altrettanto bonariamente rimproverata, per l’immancabile sigaretta tra le labbra.
Si chiama L., viene da una località a 800 chilometri da Kiev, ucraìna dunque. Non dimostra certo i 22 anni che dichiara di avere. Gliene davo almeno un paio in meno. E’ sorpresa della mia (autentica) sorpresa. Si trova da otto mesi in Italia, ma da come si disimpegna con la lingua sembrano anni. I suoi genitori sono emigrati prima di lei, che invece voleva terminare gli studi in patria. “Una scommessa vinta” proclama orgogliosa. Le piace scommettere, ma solo se è sicura al 60% di vincere. Intanto raccoglie con le mani nude (e in testa non indossa neppure una cuffia, forse ci tiene a mostrare il biondo dei suoi capelli non molto lunghi) la neve, appallottolandola e tirando a casaccio verso il muro. E’ abituata alla neve che, per quattro mesi all’anno, domina incontrastata nella sua città. Si stupisce che qui, per una ventina di centimetri, le scuole siano state chiuse. Il termometro dovrebbe scendere a -30, da lei, affinché accada la stessa cosa.
Le chiedo di un anellino che porta al pollice della mano destra, anche se so di rischiare. “Qui in Italia” – osservo “per i ragazzi significa essere impegnati in una relazione”. Per lei non ha lo stesso significato. Aveva un ragazzo in Ucraina che l’avrebbe aspettata per sei mesi, sostenendo che sarebbe tornata. E invece è rimasta qui. Un’altra scommessa vinta, “Si vede che non era molto importante” oso. “Più che altro” – ribatte – “dovevo fargli tutto io, era come un bambino”. Un tipino tosto e non solo per le scommesse. Un maschiaccio travestito da donna, perché per un po’ ha lavorato in una carrozzeria in patria e anche qui le sarebbe piaciuto fare la stessa cosa. Penso ai calendari che, istituzionalmente, ogni meccanico detiene in officina, sorrido mentalmente, quindi osservo che mi sembra improbabile che possa svolgere la medesima attività in Italia.
Intanto ha terminato con il lancio delle palle di neve, adesso ha staccato un ghiacciolo dal ramo di un albero e lo sta succhiando. Mi scruta. La domanda, che era nell’aria e dovevo aspettarmi, arriva inesorabile.
“E tu?”
“Io cosa?”
“Non sei sposato?”
“No”
“Come mai? Non hai trovato?
“Non è facile. Le storie avute non sono state così importanti per un matrimonio. Adesso, poi...”
La sua curiosità cresce.
“Poi cosa?”
“Quando hai una donna in mente è difficile pensare alle altre”
“Ti ha lasciato? Da quanto?”
“Eh” – sospiro – “ da più di un anno”.
La osservo con maggiore attenzione, mi viene da pensare che pure Lei è bionda, anzi con i capelli color miele (erano così...), ma alta quasi quanto me che sono 1,80. La ragazza che ho di fronte è più bionda, piccoletta, ma essendo imbacuccata in un piumino non dispongo di altri elementi per fare una comparazione. Che non servirebbe, comunque. Lei resta sempre inarrivabile, con quegli occhi che equivalgono alla bellezza assoluta.
Ricordo, una mattina d'inverno, mentre aspettavo il suo arrivo, nella hall dell’albergo, per consumare assieme, la prima colazione. Scende dall’auto e poi incede, con passo sicuro, verso l’ingresso, avvolta nella pelliccia. E’ sfolgorante. Sembrano i movimenti di una dea e mi chiedo se è davvero per me che sta arrivando. Un sogno reale, allora. Un flash, adesso e non sarà l’unico della mattinata.
Chiedo a L. se deve andare anche lei a fare la spesa. “Già fatto” mi risponde. Così la saluto, ma prima mi ringrazia per l’aiuto che le ho dato a spalare la neve.
C’è un insolito afflusso per le strade, ma è un sabato mattina nevoso e, per strane convergenze, sembra che tutti quanti abbiano deciso di uscire contemporaneamente. I negozi sono affollati e devo aspettare in macelleria più di altre volte. Insolite gentilezze si contrabbandano per strada. “Stia attenta signora!”. “Ecco, dia a me la borsa”. Un uomo bussa alla finestra del suo vicino di casa anziano e gli porge la busta della spesa, Si schermisce per i ringraziamenti che riceve.
Passo dalla ricevitoria del Lotto, il rito pagano del sabato mattina. Mio padre insiste a puntare sul “53”, spera che sia custodito sotto la neve. Una volta si diceva che c’era il pane: segno dei tempi? E’ una solenne sciocchezza quella di sostenere che un numero, perché ritardatario, abbia più possibilità di uscire, sortire dicono i lottologi, rispetto ad un altro. Io gioco le solite bollette ormai da varie settimane. Sì, c’è pure quel numero, ma in combinazioni multiple. Non manca la sua data di nascita.
Torno all’aperto e rischio quasi di schiacciare un batuffolo umano che mi ritrovo tra i piedi. Il padre lo rincorre. Ci riconosciamo. E’ P., un ragazzo che seguivo quando giocava a pallamano, ormai saranno molti anni fa e ne riferivo gli incontri ad un quotidiano locale. Un sodalizio di vecchia data. Lui poteva già definirsi, allora, uno spirito libero, uno scapigliato. Noto che indossa a tracolla la stessa borsa di cuoio, un must per lui, frutto della sua abilità artigianale.
Adesso, mi racconta, dispone di un laboratorio più grande, ma si occupa anche della campagna. E poi mixa musica funky, il sabato sera, in discoteca. Rigorosamente in vinile (almeno 2500 posseduti). Anche quella del dj è una passione immutata, nonostante gli anni passati, il matrimonio (credo) e un figlio. Così come inalterato è rimasto il piacere di viaggiare e il gusto di prendere una cartina, appoggiarvi sopra alcuni pizzichi di tabacco, arrotolare, chiudere con la saliva e poi assaporare il prodotto della propria manualità.
Capigliatura fluente come un tempo, accompagnata ora da baffoni che lo rendono più grande di quanto effettivamente sia (credo 35 anni). Ma poi, a ben guardare, l’aspetto è sempre quello del ragazzino che mostrava fin troppo entusiasmo per lo sport e l’impazienza per ciò che avrei potuto scrivere. C’era stato, infatti, un periodo in cui investito da delirio di onnipotenza, una sorta di Giannibrera dei poveri, assegnavo voti dopo ogni gara. Gli lascio il mio indirizzo di posta elettronica e ci salutiamo abbracciandoci. So già che non mi scriverà, ma non importa. Noto che, anche a distanza di tempo, chi poteva avere una buona opinione sul tuo conto l’ha mantenuta e in epoca di povertà sentimentale è già molto.
Mi avvio e lungo il tragitto sfioro un veicolo parcheggiato al lato della strada, semicoperto dalla neve, riesco però ad accorgermi che è lo stesso modello della sua auto. Il colore è diverso (la sua era silver) e anche la targa, naturalmente. Scopro così di non rammentare la targa della sua auto: singolare, perché ricordo tutto di Lei.
Quanto torno a casa, alle 11:00, riprende la silenziosa danza dei fiocchi bianchi.