lunedì 26 aprile 2010

Quattro passi tra le nuvole




Ma la nube è di destra o di sinistra? Nel dubbio io sto con la nube.
Avrei voluto già postare sull’argomento, gli articoli da condividere erano stati cercati (il  primo su suggerimento dell’amica kittymol77) e raccolti: solo per questo li propongo, sebbene fuori tempo, visto che l’emergenza di una settimana fa è, di fatto, risolta.
Frattanto una delicata situazione familiare e, dunque, anche personale si è interposta alla mia volontà, sovrapponendosi ad essa e, sostanzialmente, guidando le mie scelte e limitando la libertà di azione. Mentalmente sono da tutt’altra parte e la sporadicità degli ultimi tempi, qui nella blogosfera, rischia di diventare una costante. Di certo non potrò aggiornare con continuità, come in fondo sarebbe giusto e opportuno. Al massimo proporrò qualche articolo meritevole di attenzione e nulla più.
Questo al momento sono in grado di fare. E dare.
Tutto passa, come sempre accade nel bene e nel male, intanto però deve passare ed è la fase più delicata, quando cioè ci sei dentro, ne hai la piena consapevolezza e quello che deve passare si srotola poco per volta. Sono appena all’inizio.







Purificati da una nube
ANTONIO SCURATI


Una nube ci ha imprigionati, una nube ci renderà liberi. Siamo cresciuti sotto cieli malsani, percorsi da nubi venefiche. Alzando gli occhi al cielo, abbiamo imparato più a diffidare che a pregare, più a temere che a sperare. Dall’alto - come dal basso, del resto - non c’era da attendersi nulla di buono.
In principio, a incombere sul nostro futuro, fu la nube atomica, quella fungiforme che si levò sopra Hiroshima il 6 agosto del 1945. Dopo di allora, una lunga serie di nubi si sono addensate all’orizzonte delle nostre vite minacciando olocausti ambientali, estinzioni planetarie, sindromi respiratorie. Procedendo a memoria d’uomo, trovo la prime nube tossica della mia vita nei ricordi d’infanzia. Era l’estate del 1976 e alle porte di Milano, nella cittadina di Seveso, scoppiava il reattore di una fabbrica chimica. Un miasma si stendeva sul territorio circostante come una nebbia autunnale. Ma puzzava. Era diossina. Prima caddero gli insetti stecchiti, poi stramazzarono le rondini, poi i cani impazzirono, poi le mucche levarono muggiti strazianti, infine, toccò ai nocchieri dell’arca. «Ci avevano detto che non esisteva alcun pericolo», dichiareranno gli abitanti della zona evacuati con 15 giorni di ritardo.
Esattamente dieci anni più tardi, il 26 di aprile del 1986, un altro disastro vaporoso, un’altra evacuazione tardiva. Questa volta la nube era composta di materiali radioattivi fuoriusciti dal reattore di una centrale nucleare nella remota località di Cernobyl, ai confini tra Bielorussia ed Ucraina. Veniva di lontano ma giunse fino a noi. Avevo diciassette anni allora e, con la spavalderia della gioventù, assieme a un compagno di sbronze, la sfidammo addormentandoci ubriachi a Venezia sotto l’ala di bronzo del leone ai piedi del monumento a Manin proprio nella notte in cui i telegiornali ne annunciavano l’arrivo sulle nostre teste. La baldanza, l’incoscienza, non ci preservò, però, da una gran quantità di altre nubi, tutte più o meno maligne: gas di scarico, cortine fumogene, nubi di smog, nubi d’informazione e di disinformazione, vapori di benzina e vapori di nulla.
Siamo cresciuti così, nelle nostre città del benessere: sottoposti a un cielo gravato da miasmi, foriero di pestilenze vaporose, dove tutto è prodigio o funesto presagio. Proprio come nelle antiche città delle tragedie greche. Per la mia generazione, il privilegio di respirare liberi, a pieni polmoni, non è mai stato un diritto naturale, una gioia senza condizioni. Per noi, figli dell’estremo progresso, anche l’aria, soprattutto l’aria, è condizionata.
Eppure, guardando oggi le immagini di questa massa calda di gas formata da anidridi, idrogeni e vapori acquei, guardando i raggi del sole che, cosparsi di ceneri e aerosol, danno ai tramonti nordici colorazioni più intense, guardando dal satellite la scia marroncina stendersi sull’Europa, come sbavando da un vulcano islandese, guardando, soprattutto, la mappa del traffico aereo che si va cancellando da Nord a Sud, da Ovest a Est, immaginando questa nube boreale muoversi leggera a cinquemila metri d’altezza su cieli deserti, sorge in noi una chimera di quiete.
Certo, siamo consapevoli del grave danno economico, della crisi del traffico aereo, dei gravi rischi d’intossicazione, eppure si fa strada, irresistibile, una fantasia di azzeramento e rinascita. Fantastichiamo che, per un istante, lasciandoci tutti a terra, liberando i cieli sopra le nostre teste, la nube possa riportarci quel senso perduto della vita come qualcosa che può ricominciare da zero.
È la cosa di cui avremmo, forse, più bisogno. Una nube che faccia piazza pulita, dopo tante, troppe nubi che hanno ammorbato le nostre esistenze di asmatici immaginari.
(18 aprile 2010)








IL VULCANO D'ISLANDA
Un dio dispotico e la fragilità umana
di Francesco Cassano
 
 
Ieri il manifesto parlando della nuvola che si aggira minacciosa per l'Europa, come accadeva ad uno spettro di centocinquanta anni fa, titolava: «Apriti cielo». Diciamo subito che non c'è da preoccuparsi, il cielo si richiuderà, e tutti noi torneremo alle nostre abitudini. I giornali sussulteranno per altre notizie e l'annuncio dell'apocalisse prima passerà verso le pagine interne poi scomparirà. Riprenderanno i voli, ognuno di noi tornerà al suo stile di vita, ai suoi appuntamenti, ai suoi progetti. Eppure per alcuni giorni il vulcano islandese ci ha buttato in faccia la bruta verità, il fatto che viviamo su un piccolo pianeta periferico la cui formazione precede da millenni la formazione della vita e delle civiltà umane.
Ma questa verità sulla nostra reale condizione è, come si sa, insostenibile, come ci ha insegnato a suo tempo Giacomo Leopardi, che non a caso intitolò una delle sue Operette morali “Dialogo della Natura e di un Islandese”. In quel dialogo la Natura, rispondendo alle rimostranze dell'uomo, candidamente affermava: «Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra?»
In effetti l'uomo ha cercato a lungo di rimuovere o di proteggersi da questa «verità». La prima forma di protezione l'ha trovata nelle religioni, che a lungo gli hanno rinviato l'immagine che egli fosse prediletto da Dio e da lui posto al centro dell'Universo, oggetto filiale della sua cura e del suo controllo. Poi quando, con l'avvento della modernità, questi grandi racconti hanno incominciato a perdere la loro presa, una nuova forma del tutto moderna di protezione è stata offerta dall'incessante sviluppo della tecnica. Ciò che prima discendeva dalla benevolenza di un dio, adesso dipende dall'orgoglio umano, dalle scoperte e dalle applicazioni che nascono dal progresso. Attraverso la forza che deriva dalla sua intelligenza, l'uomo è riuscito a subordinare la natura ai suoi bisogni, a farne un momento del suo metabolismo (Marx) oppure un fondo di risorse a sua disposizione (Heidegger).

In altre parole è riuscito a diventare il padrone assoluto di un pianeta sul quale egli in realtà è solo un ospite di passaggio, ha mutato la propria condizione originaria, rovesciando la sua condizione di figlio di straordinarie combinazioni di processi naturali in padrone indiscutibile di essi. Intendiamoci: nessuno vuole sminuire il valore straordinario della tecnica, la lunga fila di vantaggi che essa è riuscita ad assicurare all'uomo, l'enorme miglioramento delle condizioni di vita che gli ha assicurato. E nessuno può mettere in correlazione diretta l'eruzione del vulcano con gli sviluppi della tecnologia. Del resto, si sa, i vulcani, con le loro eruzioni, hanno seminato morti e disastri anche quando l'uomo non aveva ancora dissestato il ciclo naturale.
La catastrofe che viene dai cieli islandesi è cosa diversa da quegli avvelenamenti del mare che sono stati prodotti dalla rottura di una piattaforma petrolifera o dal rovesciamento del carico di una nave. E la diversità del messaggio che arriva da questa eruzione non va trascurata. Con i loro improvvisi sommovimenti, i vulcani, come anche molti terremoti, sembrano solo ripetere a voce altissima agli uomini: «Voi non siete i padroni, ricordatevi che la natura è straordinariamente più forte di voi. Non illudetevi con sogni di potenza, voi umani rimanete sempre e soltanto una piccola forma di vita fragile e presuntuosa» in un universo che ignora la vostra esistenza e probabilmente, come dice sempre Leopardi, tornerà a chiudersi dopo il vostro passaggio, quando «un silenzio nuovo, e una quiete altissima, empieranno lo spazio immenso».
Ma si dirà: che cosa c'entra tutto questo con la politica? C'entra eccome, e ci si consenta di affidarci anche in conclusione all'autore che abbiamo più volte citato. Ogni vulcano è un dio dispotico e capriccioso, che ci rinvia, proprio come il Vesuvio di Leopardi, l'immagine di una natura matrigna e della nostra fragilità. Ma questa contrapposizione tra la nostra condizione e una natura che è indifferente ad essa, ci indica anche una prospettiva. L'unica risposta seria alla scoperta della nostra fragilità sarebbe quella di federarsi in «social catena», superando le divisioni e le contrapposizioni che hanno attraversato ed attraversano la storia. Il genere umano dovrebbe ritrovare, sotto la spinta di questa minaccia, la percezione del proprio bene comune, il comunismo necessario.
Ma non temano gli avversari del comunismo: tutto sta tornando alla normalità, ognuno di noi potrà abbandonare le riflessioni scomode e tornare al proprio progetto privato, prenotare voli, accorciare le distanze, riempire le agende, consumare in mille modi il pianeta, adagiarsi sulla confortante convinzione che la natura è sempre sotto il nostro controllo. Potremo tutti voltare la testa dall'altra parte, lasciare all'Islanda i suoi vulcani, rimuovendo disinvoltamente la circostanza che tutti stiamo edificando le nostre case proprio sulle falde di uno di essi.

(21 aprile 2010)







 


lunedì 19 aprile 2010

Nel paese l’Adro di bambini




Questo post si collega al precedente di cui è ideale prosecuzione. La deplorevole vicenda avvenuta ancora in un comune amministrato dai fascisti verdi (i legaioli), impregnata del razzismo più spregevole, perché rivolto contro i bambini, merita non solo l’approfondimento, ma la denuncia continua di ogni altro squallidissimo episodio analogo che si ripeterà, perché purtroppo in quello che era una volta il Bel Paese il livello di insofferenza, intolleranza e stupidità è sceso talmente in basso che rischia ormai di essere ritenuto la norma.
A seguire tre pezzi tratti da “il Fatto Quotidiano”, con una segnalazione particolare per l’articolo scritto da Dario Fo e Franca Rame. Poi un reportage de “il manifesto” sul luogo dell’infamia e la nota di Maria Novella Oppo su “l’Unità”. L’introduzione di Corrado Augias è parte integrante di queste considerazioni e il suo senso di estraneità verso questo Paese, per cosa è diventato, mi trova particolarmente d’accordo.


 
 

Il prezzo del pane


Elisabetta Reguitti
 

Rivolta contro l’imprenditore che ha pagato la mensa 'tagliata' dal sindaco leghista: "Nessuna buona azione rimarrà impunita"
Adro- "Nessuna buona azione rimarrà impunita". Saluta in questo modo Silvano Lancini dal citofono. "Non ho nulla da aggiungere al testo della lettera che avete pubblicato". Lui è l’imprenditore bresciano che ha deciso di saldare i conti delle famiglie morose della retta della mensa nella scuola elementare di Adro. Un bonifico annunciato da una lunga lettera in cui lui – che dichiara di aver votato Formigoni – ha deciso di fare un semplice gesto di generosità che rischia però di diventare un gesto di coraggio. Voleva rimanere innominato e sconosciuto ma così non è stato. Su Internet ieri girava la sua foto e il suo nome. Lancini è conosciuto in paese ma non conosce nessuna delle famiglie che beneficeranno della sua decisione. Decisione che ha scatenato un meccanismo di rivolta nella piccola località della Franciacorta in provincia di Brescia. Dove la gente pensa sia normale che "se non paghi non mangi".
Ville circondate da invalicabili muri di sasso, nuove costruzioni, piccole chiese e oratori, vigneti ordinati dove le zolle di terra sono perfette senza neppure un filo d’erba. Siamo in Franciacorta. Il paradiso del vino . L’ordine e il rigore prima di tutto. In un contesto sociale che però viaggia sempre più spesso su meccanismi di nepotismo che sfociano anche in favoritismo. Ma così da queste parti tutti sembrano contenti e soddisfatti. Detto questo, rimane il beneficio del dubbio perché un imprenditore, che compie il gesto di sborsare di tasca propria 10 mila euro per gente che non conosce e per giunta “forestiera”, decida di non parlare. Di non cercare visibilità sui giornali e nelle televisioni nazionali e magari pure un po’ di pubblicità per la sua azienda. Lui, un tempo insegnante di matematica nella stessa scuola dove prima di Pasqua agli alunni erano state consegnate delle buste chiuse nelle quali stava scritto che se le famiglie non avessero pagato il mercoledì successivo i bambini avrebbero saltato il pasto.
Un cinquantenne che dopo l’insegnamento si era buttato nell’informatica lavorando anche in Ibm e che ora è amministratore delegato di una società di software. Un signore sicuramente più che benestante. Che la solidarietà non vada firmata siamo tutti d’accordo. Ma forse c’è di più se un uomo vuole mantenere l’impegno a non parlare e tenere ferma la sua asticella del silenzio in zone del Paese “paladine dello spostare l’asticella dell’intolleranza di un passo all’anno” come scrive nel suo “manifesto” e che il Fatto Quotidiano ieri ha pubblicato integralmente. Il perché forse è da ricercare in quello che c’è. O, forse, quello che non c’è più. Per arrivare da Lancini si percorrono strade antiche trasformate nelle nuove, percorse da Suv guidati da signore che portano i propri piccoli alla partita del metà pomeriggio all’oratorio. Dove però i sacerdoti scuotono la testa schiudendo l’uscio della sacrestia bisbigliando di non avere niente da dire sulla vicenda del “salto del pasto”.
I politici qui hanno spiegato che bisogna avere paura degli stranieri. Ci sono ancora i manifesti della campagna elettorale in cui la Lega dichiara: “Tetto del 30% nelle scuole. Un’altra promessa mantenuta”. Ma Lancini nella sua lettera ragiona in modo diverso. Scrive che il sonno della ragione genera mostri. “Io sono per la legalità. Per tutti e per sempre. Per me quelli che non pagano sono tutti uguali, quando non pagano un pasto a scuola ma anche quando chiudono le aziende senza pagare i fornitori, i dipendenti o le banche. Anche quando girano con i macchinoni e non pagano tutte le tasse perché anche in quel caso qualcuno le paga per lui”. Perché un uomo di affari come Silvano Lancini non vuole pubblicità per la sua decisione? “Molto più dei soldi mi costerà il lavorio di diffamazione che come per altri casi verrà attivato da chi sa di avere la coda di paglia – continua la lettera di Lancini –. Mi consola il fatto che catturerà soltanto quelle persone che mi onorano del loro disprezzo”. E poi quella frase mandata per e-mail da un amico a Lancini: “Nessuna buona azione rimarrà impunita”.
(15 aprile 2010)


 

Adro, rivolta contro il benefattore dei bimbi
Elisabetta Reguitti
 


Nel paese del Bresciano le mamme contro il "pasto per tutti". In 200 scrivono al Comune per sostenere il sindaco leghista
Mamme in piazza per sostenere il sindaco che ha deciso di sospendere il pranzo ai bambini delle famiglie che non pagano la retta. Duecento genitori che scrivono annunciando che la mensa o la pagano tutti o tutti non la pagheranno. Il gesto di "saldare" le pendenze delle famiglie morose (ora sono 24 sulle 40 iniziali) fatto dall’imprenditore bresciano ha innescato proteste e una ancora più forte solidarietà al sindaco leghista di Adro Silvano Lancini, che guardacaso si chiama nello stesso identico modo del "rivoluzionario" benefattore. Segno forse che la politica dell’uno contro l’altro funziona.
Adro, 7 mila abitanti. Una sede leghista con una grande vetrata nella quale è appeso un enorme rosario. Adro, il paese in cui l’unica sala pubblica costa mille euro; così si evita di incentivare le eventuali riunioni pubbliche delle associazioni. Adro, dove il sindaco ha rinunciato al contributo regionale di oltre 50 mila euro per il bonus della casa (per tutti stranieri compresi) ma ha istituito un fondo comunale riservato soltanto per gli italiani.

Ma torniamo alla vicenda della mensa: molti bambini erano "colpevoli" di essere figli di genitori che non avevano pagato ciò che dovevano. Cifre che oscillavano dai 30 fino ad un massimo di 400 euro per un totale di ammanco di 16mila euro.
Come pensiero pasquale ai bambini vengono consegnate delle buste chiuse in cui i genitori vengono invitati a pagare. Diversamente, al rientro, ci sarebbe stato il "salto del pasto". Alcuni pagano altri no. Ma chi sono quelli che non pagano e soprattutto perché? Una domanda che l’amministrazione sembra non essersi posta. Di solito in questi casi ci sono assistenti sociali che cercano di capire le situazioni. Ad Adro no. E dunque: leghisti (magari in cassa integrazione) contro stranieri (magari pure loro in cassa integrazione). A queste latitudini sembra il mondo alla rovescia. Dove anche la Chiesa tace. Parlano magari le associazioni ma non i preti. Chi parla e cerca una soluzione è la Cgildi Brescia. Il neo-segretario Damiano Galletticrede che un sindacato debba unire anziché dividere e quindi propone, parla con il sindaco, scende in piazza cercando di fare qualcosa che serva. Qui il concetto che i bambini vengano prima di tutto sembra secondario. "Questi sono i frutti della politica di divisione della Lega. Genitori che fanno fatica a pagare la retta che anziché pretendere che il comune si occupi di loro attaccano gli altri".
I temi di cui parla la Cgilsono due e sono davvero semplici: il primo è attuare una seria valutazione di chi è in difficoltà da chi magari, invece, fa il "furbetto". Il secondo è più ampio e riguarda la sfera educativa. Considerare l’ora di pranzo (per i piccoli dell’asilo e delle elementari) inserita a pieno titolo nell’attività educativa e dunque meritevole di essere sostenuta anche dal piano economico delle istituzioni.
(15 aprile 2010)
 
 

Digiuno e castigo: scene dalla nuova Italia

Quei bambini puniti e umiliati: altro che Paese cristiano
di Dario Fo e Franca Rame
 

Qualche giorno fa, stando davanti al video e seguendo un telegiornale, Franca ed io siamo rimasti sconvolti. La cosa si è ripetuta anche nei giorni successivi. Siamo venuti a sapere che proprio qui, in Lombardia, in un complesso di scuole per l’infanzia, elementari e medie, ci sono dei bambini che al momento della distribuzione del cibo nella mensa si sono trovati con davanti un piatto, dentro al quale c’era un pezzo di pane, e un bicchiere d’acqua; mentre nel piatto degli altri bimbi c’era pastasciutta, e appresso formaggio e anche la frutta. Perché? Perché i genitori dei puniti non avevano pagato la retta, o anche solo erano in ritardo, e quindi i figlioli non avevano il diritto di mangiare! Digiuni per castigo dovevano restare! Pensiamo allo choc che devono aver provato questi ragazzini: fermi, davanti al panino, il bicchiere d’acqua; e gli altri che mangiavano. Sappiamo che alcuni fra i bambini, di quelli che avevano gli spaghetti, senza una parola ne hanno messo nel piatto vuoto dei compagni una o due forchettate.
Diciamo: una società che produce un dolore, una mortificazione, un’umiliazione di questo livello a dei ragazzini innocenti – ma che razza di società è? Che razza di valori ha nel corpo, nel cuore e nel cervello? Che cultura produce? Quale dimensione sociale? Ci siamo sentiti proprio male. E’ da ricordare che questi che inscenano spettacoli del genere sono gente nostra, della nostra razza. Sono loro che hanno ordinato di togliere il cibo ai bambini poveri, in quanto indegni dei vantaggi comuni. S’è saputo poi, che questi genitori non hanno mancato per strafottenza o per un atto di inciviltà, ma solo perché non avevano i denari per pagare la retta! E’ gente travolta dalla crisi, quasi tutti causa la perdita di un lavoro, e quindi senza paga, disoccupati. Ai gestori della cucina, ai gestori di questa economia e di questa scuola e del comune non importava niente. Importava: “Non paghi, non mangi”: anche se sei un bimbo devi soccombere, essere punito. Di colpo ci è venuto in mente Sant’Ambrogio.
Su di lui, il maggiore vescovo che la nostra città abbia avuto, abbiamo realizzato e messo in scena anche uno spettacolo al Piccolo Teatro di Milano, loStrehler. Siamo atei, ma abbiamo studiato profondamente la storia del cristianesimo. E abbiamo scoperto che Ambrogio possedeva un grande senso della collettività, che aveva preso parola, intervenendo con durezza al Senato di Milano, quando questa era stata eletta a Capitale dell’Impero d’Oriente e d’Occidente, portando avanti il diritto della dignità degli uomini: anche quando sono schiavi, anche quando sono privi di diritti.
Lui diceva: “Ricco signore, non t’accorgi che davanti alla tua porta c’è un uomo nudo, e tu sei tutto assorto a scegliere i marmi che dovranno ricoprire i muri. Quell’uomo chiede del pane e intanto il tuo cavallo mastica un morso d’oro. Tu vai in visibilio contemplando i tuoi arredi preziosi, e quell’uomo nudo trema di freddo di fronte a te e tu non lo degni di uno sguardo, non l’hai nemmeno riconosciuto. Sappi che ogni uomo affamato e senz’abito che viene alla tua porta è Gesù; ogni disperato è Gesù. E lo incontrerai il giorno in cui si chiuderà il tempo del mondo e lui, quello stesso uomo, verrà ad aprirti e ti chiederà: ‘Mi riconosci?’. “Voi, ricchi, dite: ‘C’è sempre tempo per pentirsi e pagare i debiti’. Ma non c’è peggior menzogna. Ricchi, non vi è nulla nella vostra attività di uomini che possa piacere a Dio. Anche se tenete appesa una croce sopra il letto e disponete di una cappella dove pregare soli e assistere alla messa. Voi vi stringete ai vostri beni, gridando ‘È mio!’. No, nulla è vostro su questa terra”. “Schiacciate le vostre regole di infamia e di ingiustizia. Ridate il diritto a chi non ne ha… il pane a chi non ne può masticare, impedito dalla vostra grettezza! Distribuitene, finché siete in tempo, ai disperati, ai derubati dalla vostra insolente avidità. Nessun lascito sostanzioso alla chiesa e al suo clero vi salverà”. “Vi dirò”, concludeva Ambrogio, “che non si può credere a un potere magnanimo, poiché chi lo possiede vuole tutto, anche le briciole. Perciò io sono per la comunità dei beni; io sono per l’uguaglianza fra uomini diversi. Perché solo il furto ha creato la proprietà privata”.
(15 aprile 2010)
 
 


Se il razzismo si siede a tavola
di Giorgio Salvetti - INVIATO A ADRO (BS)
 
Una giornata a Adro, il comune nel bresciano dove i cittadini insorgono contro il gesto di un benefattore che ha pagato la mensa ai bambini poveri e stranieri. Il sindaco leghista Oscar Lancini aveva ordinato alla scuola di non dare loro da mangiare a pranzo
Mor non vuole più andare a scuola. Ha sette anni, fa la prima elementare. È nato in Italia ma è nero come i suoi genitori senegalesi. Si nasconde per la vergogna. Guarda con gli occhi sbarrati i suoi compagni bianchi, le loro mamme che litigano con le mamme straniere davanti a giornalisti e telecamere. «Che succede?», chiede a suo padre. Omar, 42 anni, da 22 anni in Italia, operaio in cassa integrazione, alla fine gli ha dovuto rispondere: «Non abbiamo i soldi per la mensa della scuola e il sindaco non vuole che ti diano il pranzo». Mor ha la risposta pronta: «Allora io sto a casa». Adesso Mor potrà mangiare in mensa solo grazie al benefattore di destra, un imprenditore che non vuole essere nominato ma che ormai tutti hanno riconosciuto, che ha donato 10 mila euro al comune di Adro per saldare le rette che 40 famiglie, per lo più straniere, non riuscivano a pagare. Ma l'umiliazione che questi bambini hanno dovuto subire, non può essere ripagata. Sulla loro pelle il sindaco leghista Oscar Lancini da mesi gioca una battaglia ideologica e razzista. Settimana scorsa è arrivato al punto di ordinare che a scuola venisse negato il cibo ai bambini «morosi».
Gli abitanti di Adro, al posto di indignarsi e vergognarsi, lo votano in massa e lo appoggiano. Trenta mamme hanno deciso di fare uno «sciopero della mensa», e non pagare la retta per protesta. Per loro chi non ha pagato è solo un furbo, non un povero. E per di più straniero. L'offerta del generoso imprenditore è assistenzialismo che non risolve il problema: l'anno prossimo sarà tutto come prima. Le regole sono chiare: chi paga mangia, chi non paga mandi il figlio a scuola con un panino o se lo tenga a casa a pranzo. Caccia ai «morosi»

Mor vive in una casa di tre stanze al primo piano di una corte. Dorme in un lettone con sua sorella di tre anni e suo fratello di due anni. Il quarto fratello ha 8 mesi e dorme ai piedi del letto dei genitori. Il padre Omar lavora in una fonderia ma è in cassa integrazione da un anno. L'Inps gli paga 700 euro al mese, ma in ritardo. Non riesce a pagare nemmeno l'affitto di 400 euro, figuriamoci il pulmino e la mensa per il bambino: circa 3 euro al giorno per 5 giorni alla settimana. Tutti i suoi figli sono nati in Italia. La figlia di tre anni dovrebbe andare alla scuola materna ma lui non la manda perché non può permetterselo. Sul figlio grande però non ha dubbi: «Deve andare a scuola. Io ho lavorato una vita, ho versato i contributi e ho diritto ai servizi, specialmente ora che non sto lavorando - spiega - e invece il sindaco di Adro ha detto che a noi stranieri non vuole dare niente. Tante volte sono andato in comune. Non dico che mi deve dare tutto, che mi dia quello che può, ma niente no. Non lo accetto». Ha visto in tv i suoi compaesani dargli del furbo. «Io rispetto le regole, ho i documenti in regola, pago le tasse, quello che io ho dato allo Stato è dello Stato, non sono soldi del sindaco». Quando gli è arrivata a casa la lettera del comune che gli comunicava la sospensione della mensa ha deciso di tenere a casa suo figlio per due giorni, poi lo ha portato superando la vergogna. Suo figlio gli racconta che alcuni bambini italiani non lo salutano. «Anche a me succede la stessa cosa - spiega - alcuni italiani mi salutano, altri no. Questa è la nostra realtà e mio figlio deve imparare a farci i conti».
Un sindaco da Oscar
Mor però deve fare i conti anche con il sindaco leghista Oscar Lancini. Il «Sindaco da Oscar» - questo il suo slogan - è al secondo mandato, la prima volta è stato eletto con il 47%, la seconda con oltre il 60%. E la sua Lega alle regionali a Adro ha ottenuto il 70%. All'opposizione c'è Linfa, una lista civica che comprende anche i delusi di Forza Italia. Sono proprio loro ad essere stati contattati dal generoso imprenditore di destra.
Lancini si è fatto conoscere qualche anno fa quando si era inventato una taglia sui clandestini: 500 euro per ogni vigile che ne catturasse uno. In Franciacorta è un personaggio noto. Era proprietario con altri suoi famigliari della Elg (Eredi Lancini Giancarlo), una ditta di smaltimento di rifiuti. Il sindaco che lo ha preceduto fino al 2003, Paolo Barzani, raro esempio di repubblicano, racconta: «Ci sono stati tre processi, i primi due si sono risolti con l'assoluzione o con la prescrizione, il terzo è ancora in corso ma verrà prescritto. Lancini è arrivato al punto di nominare la parte civile per conto del comune in un processo contro la ditta di famiglia». Insomma, Lancini è uno che di legalità se ne intende. «La scuola materna pubblica e la mensa lui non la voleva, non voleva che fosse costruita - continua Barzani - Era arrivato a dire che non bisognava pagare le rette. E adesso sta ricostruendo le scuole in un'altra area per creare una zona residenziale in centro».
Arrivano i «nostri»

Davanti ai cancelli della scuola materna tre donne con il velo sono venute a prendere i loro figli. Jamila in Marocco era avvocato, qui fa la casalinga. Sua figlia vorrebbe tornare in Marocco perché li può giocare con gli altri bambini. Jamila non si ferma alla questione della mensa. «Ad Adro - sostiene - c'è una politica discriminatoria per gli stranieri su ogni questione». Ci mostra un volantino del comune - «Fondo integrativo comunale affitto: prima i nostri!» - dove si accusa «l'ingiusta erogazione del fondo affitti della Regione» che premierebbe gli stranieri, e annuncia un fondo solo per cittadini comunitari così come il bonus bebè.
Arriva un uomo bianco. Parli italiano? «Mia tant», risponde in bresciano. Ma Fatmir è kosovaro, anche lui in cassa integrazione. «Ho fatto il Pirellone a Milano - dice orgoglioso - ponteggi e ascensori». Suo figlio lo tiene a casa a mangiare perché non può permettersi la mensa. Suo moglie

aspetta da tempo l'assegno di maternità che non le arriva.
Duecento metri più in là, Romana Gandossi, 69 anni, della Spi Cgil, sta discutendo con due signore italiane. Romana è l'altra benefattrice di questa storia, insegna italiano ai bambini e agli adulti stranieri, è stata la prima a segnalare il problema alla Cgil di Brescia che segue da vicino la vicenda. Si è mossa sin da quando a novembre il sindaco aveva dato un bollino verde ai bambini che avevano pagato il pulmino e ordinava di far scendere gli altri. In questi giorni deve mediare, ascoltare, scarrozzare tutti, con a casa i tre nipotini. E in più, proprio come il generoso benefattore, deve prendersi le accuse delle mamme italiane. «State facendo politica strumentale - dice la meno esagitata - non bisognava fare questo casino. Nella lettere il benefattore ha detto che i nostri figli saranno tutti drogati in discoteca o davanti al Grande Fratello, non lo doveva dire. Se voleva dare i soldi poteva farlo in silenzio senza tanta pubblicità». Arriva un'altra signora con la figlia. «Non parlo, ho fretta», scappa. L'altra mamma, una ragazza giovane e alla moda, non si trattiene. «Quello lì non doveva pagare per quella gente, se no doveva pagare anche per me. L'anno prossimo chi paga? Lui non credo, e noi neanche. Tanto ai loro bambini davano da mangiare lo stesso. Questa è solo propaganda. E poi io non ci credo che questi non hanno i soldi, e comunque non è un problema mio».
(15 aprile 2010)
 
 
 









   FRONTE DEL VIDEO


Maria Novella Oppo



Sfortunati i poveri di Adro



La bellissima lettera del benefattore che ha pagato al Comune di Adro la mensa per i bambini lasciati senza mangiare, non è riuscita a toccare il cuore dei compaesani, ma ha toccato il loro portafoglio. Impressionanti le interviste alle mamme mandate in onda dal Tg3; soprattutto quella signora bionda truccata da velina che ha accennato con disprezzo a «quella gente lì», chiarendo poi che parlava degli extracomunitari. Ora, tutti i genitori che pagavano pretendono di essere sovvenzionati, perché, è chiaro, non sono mica fessi. E a dare loro ragione è intervenuto ieri mattina ad Omnibus anche il leghista Galli, che ha spiegato come, secondo lui, quello del paesino bresciano non sia affatto un episodio di razzismo, in quanto tra le famiglie non paganti ce n’erano anche di italiane. Una giustificazione che non giustifica niente, ma non lascia dubbi sul fatto che, secondo la Lega, non bisogna avere indulgenza verso la razza inferiore dei poveri.
(16 aprile 2010)
 

 


 


giovedì 15 aprile 2010

C'è chi dice no






In questo Paese, che sembra non avere più la speranza di risalire e rinsavire, c’è anche chi si oppone. Non si tratta di chi dovrebbe farlo a livello istituzionale e che ha calato ormai le fatidiche braghe: da quella parte lì meglio non guardare. Accade invece nel territorio dei fascisti verdi, quello popolato da cazzoni da bar come il cosiddetto ministro Calderoli, dove un anonimo cittadino dissente, si dissocia dall’ennesima porcata di un amministratore legaiolo e lo manda a dire, completando poi l’opera.
Accade nella bassa bresciana, ad Adro, dove alcuni giorni fa l’ordinanza del sindaco leghista ha vietato la mensa ai 40 bambini i cui genitori non avevano pagato per intero la retta scolastica. Siamo ai tempi dell’amore (malsano) verso i bambini…
Così ci ha pensato un comune cittadino a sanare una ferita, che comunque resterà, pagando l’arretrato e spiegando il motivo del suo gesto, clamoroso in un Paese all’incontrario, con una lettera che ho tratto da “il manifesto”. A seguire un’ampia citazione colta, l’intervista a George Steiner, autorevole intellettuale francese, rilasciata alcuni mesi fa a “la Repubblica”. Occorre riabituarsi a dire no, recuperando indignazione civile, senza mai affogare nel fatalismo o nel silenzio acquiescente. Il baratro è a un passo.



Io non ci sto


Sono figlio di un mezzadro che non aveva soldi ma un infinito patrimonio di dignità. Ho vissuto i miei primi anni di vita in una cascina come quella del film “L'albero degli zoccoli”. Ho studiato molto e oggi ho ancora intatto tutto il patrimonio di dignità e inoltre ho guadagnato i soldi per vivere bene.
È per questi motivi che ho deciso di rilevare il debito dei genitori di Adro che non pagano la mensa scolastica. A scanso di equivoci, premetto che: non sono "comunista". Alle ultime elezioni ho votato per Formigoni. Ciò non mi impedisce di avere amici di tutte le idee politiche. Gli chiedo sempre e solo la condivisione dei valori fondamentali e al primo posto il rispetto della persona. So perfettamente che fra le 40 famiglie alcune sono di furbetti che ne approfittano, ma di furbi ne conosco molti. Alcuni sono milionari e vogliono anche fare la morale agli altri. In questo caso, nel dubbio sto con i primi. Agli extracomunitari chiedo il rispetto dei nostri costumi e delle nostre leggi, chiedo con fermezza ed educazione cercando di essere il primo a rispettarle. E tirare in ballo i bambini non è compreso nell'educazione.
Ho sempre la preoccupazione di essere come quei signori che seduti in un bel ristorante se la prendono con gli extracomunitari. Peccato che la loro Mercedes sia appena stata lavata da un albanese e il cibo cucinato da un egiziano. Dimenticavo, la mamma è a casa assistita da una signora dell'Ucraina. Vedo attorno a me una preoccupante e crescente intolleranza verso chi ha di meno. Purtroppo ho l'insana abitudine di leggere e so bene che i campi di concentramento nazisti non sono nati dal nulla, prima ci sono stati anni di piccoli passi verso il baratro. In fondo in fondo chiedere di mettere una stella gialla sul braccio agli ebrei non era poi una cosa che faceva male. I miei compaesani si sono dimenticati in poco tempo da dove vengono. Mi vergogno che proprio il mio paese sia paladino di questo spostare l'asticella dell'intolleranza di un passo all'anno, prima con la taglia, poi con il rifiuto del sostegno regionale, poi con la mensa dei bambini, rna potrei portare molti altri casi.
Quando facevo le elementari alcuni miei compagni avevano il sostegno del patronato. Noi eravamo poveri, ma non ci siamo mai indignati. Ma dove sono i miei compaesani, ma come è possibile che non capiscano quello che sta avvenendo? Che non mi vengano a portare considerazioni "miserevoli". Anche il padrone del film di cui sopra aveva ragione. La pianta che il contadino aveva tagliato era la sua. Mica poteva metterla sempre lui la pianta per gli zoccoli. (E se non conoscono il film che se lo guardino...). Ma dove sono i miei sacerdoti? Sono forse disponibili a barattare la difesa del crocifisso con qualche etto di razzismo. Se esponiamo un bel rosario grande nella nostra casa, poi possiamo fare quello che vogliamo? Vorrei sentire i miei preti "urlare", scuotere l'animo della gente, dirci bene quali sono i valori, perché altrimenti penso che sono anche loro dentro il "commercio".
Ma dov'è il segretario del partito per cui ho votato e che si vuole chiamare "partito dell'amore". Ma dove sono i leader di quella Lega che vuole candidarsi a guidare l'Italia. So per certo che non sono tutti ottusi ma che non si nascondano dietro un dito, non facciano come coloro che negli anni 70 chiamavano i brigatisti "compagni che sbagliano". Ma dove sono i consiglieri e gli assessori di Adro? Se credono davvero nel federalismo, che ci diano le dichiarazioni dei redditi loro e delle famiglie negli ultimi 10 anni. Tanto per farci capire come pagano le belle cose e case. Non vorrei mai essere io a pagare anche per loro. Non vorrei che il loro reddito (o tenore di vita) venga dalle tasse del papà di uno di questi bambini che lavora in fonderia per 1.200 euro mese (regolari).
Ma dove sono i miei compaesani che non si domandano dove, come e quanti soldi spende l'amministrazione per non trovare i soldi per la mensa. Ma da dove vengono tutti i soldi che si muovono, e dove vanno? Ma quanto rendono (O quanto dovrebbero o potrebbero rendere) gli oneri dei 30000 metri cubi del laghetto Sala. E i 50000 metri della nuova area verde sopra il Santuario chi li paga? E se poi domani ci costruissero? E se il Santuario fosse tutto circondato da edifici? Va sempre bene tutto? Ma non hanno il dubbio che qualcuno voglia distrarre la loro attenzione per fini diversi. Non hanno il dubbio di essere usati? È già successo nella storia e anche in quella del nostro paese.
IL SONNO DELLA RAGIONE GENERA MOSTRI. Io sono per la legalità. Per tutti e per sempre. Per me quelli che non pagano sono tutti uguali, quando non pagano un pasto, ma anche quando chiudono le aziende senza pagare i fornitori o i dipendenti o le banche. Anche quando girano con i macchinoni e non pagano tutte le tasse, perché anche in quel caso qualcuno paga per loro. Sono come i genitori di quei bambini. Ma che almeno non pretendano di farci la morale e di insegnare la legalità perché tutti questi begli insegnamenti li stanno dando anche ai loro figli.
E CHI SEMINA VENTO, RACCOGLIE TEMPESTA! I 40 bambini che hanno ricevuto la lettera di sospensione servizio mensa, fra 20/30 anni vivranno nel nostro paese. L'età gioca a loro favore. Saranno quelli che ci verranno a cambiare il pannolone alla casa di riposo. Ma quel giorno siamo sicuri che si saranno dimenticati di oggi? E se non ce li volessero più cambiare? Non ditemi che verranno i nostri figli perché il senso di solidarietà glielo stiamo insegnando noi adesso. È anche per questo che non ci sto. Voglio urlare che io non ci sto. Ma per non urlare e basta ho deciso di fare un gesto che vorrà dire poco, ma vuole tentare di svegliare la coscienza dei miei compaesani. Ho versato quanto necessario a garantire il diritto all'uso della mensa per tutti i bambini, in modo da non creare rischi di dissesto finanziario per l'amministrazione.
In tal modo mi impegno a garantire tutta la copertura necessaria per l'anno scolastico 2009/2010. Quando i genitori potranno pagare, i soldi verranno versati in modo normale, se non potranno a vorranno pagare il costa della mensa residua resterà a mio totale carico. Ogni valutazione dei vari casi che dovessero crearsi è nella piena discrezione della responsabile del servizio mensa. Sono certo che almeno uno di quei bambini diventerà docente universitario o medico o imprenditore o infermiere e il suo solo rispetto varrà la spesa. Ne sono certo perché questi studieranno mentre i nostri figli faranno le notti in discoteca o a bearsi con i valori del "grande fratello".
Il mio gesto è simbolico perché non posso pagare per tutti o per sempre e comunque so benissimo che non risolvo certo i problemi di quelle famiglie. Mi basta sapere che per i miei amministratori, per i miei compaesani e molto di più per quei bambini sia chiaro che io non ci sto e non sono solo. Molto più dei soldi mi costerà il lavorìo di diffamazione che come per altri casi verrà attivato da chi sa di avere la coda di paglia. Mi consola il fatto che catturerà soltanto quelle persone che mi onoreranno del loro disprezzo. Posso sopportarlo. L'idea che fra 30 anni non mi cambino il pannolone invece mi atterrisce. Ci sono cose che non si possono comprare. La famosa carta di credito c'è ma solo per tutto il resto.
Un cittadino di Adro



(13 aprile 2010)
 
 


GEORGE STEINER. ABBIAMO DIMENTICATO L' IMPORTANZA DI DIRE NO



CAMBRIDGE. Nato a Parigi da genitori ebrei - di origine cèca il padre, viennese la madre - George Steiner è stato educato in tedesco, in francese, in inglese: lingue e mondi in cui si muove con agio. L'ambito dei suoi interessi (che spaziano dalla saggistica letteraria alla filosofia alla narrativa) è di impressionante vastità, e ancora più ammirevole è la capacità di filtrare la propria erudizione in una scrittura brillante e godibilissima. Con lui continuiamo la nostra ricognizione attorno alle parole-chiave indispensabili per affrontare le acque agitate del nostro tempo.
«Partirei da una delle parole più semplici e più corte del vocabolario: la parola "no". Abbiamo perso l' arte di dire "no". No alla brutalità della politica, no alla follia delle ingiustizie economiche che ci circondano, no all' invasione della burocrazia nella nostra vita quotidiana. No all' idea che si possano accettare come normali le guerre, la fame, la schiavitù infantile. C' è un bisogno enorme di tornare a pronunciare quella parola. E invece ne siamo incapaci. Mi creda, sono sgomento di fronte all' acquiescenza di tante persone per bene, trasformate in campioni di fatalismo. Che dichiarano apertamente il loro scetticismo in ordine all' inutilità della protesta, quasi che protestare fosse diventato imbarazzante. Ma le personalità più grandi del nostro tempo, i Nelson Mandela, i Vaclav Havel, non hanno mai provato questo tipo di imbarazzo. Purtroppo la famiglia e la scuola, per non parlare dell' intero sistema mediatico, inoculano sistematicamente tale virus. Ci predispongono al più totale conformismo. Per questo è fondamentale riabituarsi alla resistenza contro i falsi idoli del nostro tempo. A partire da quello principale: il denaro. Anzi, il fascismo del denaro».
Una definizione forte. A cosa allude?«Guardi, non trovo un termine più efficace per descrivere lo straripante dilagare di un potere altrettanto censorio e dispotico. Oggi tutto odora di denaro. E lo stesso potere politico è nelle sue mani. Voi in Italia ne sapete qualcosa. Il caso italiano è quello che in Europa desta maggiori preoccupazioni. Ma anche altre nazioni non sono indenni dal rischio di questa deriva. Le faccio un esempio concreto. Di recente abbiamo visto chiudere banche e fabbriche; abbiamo visto centinaia di migliaia di persone perdere il posto di lavoro e contemporaneamente abbiamo assistito al vergognoso spettacolo di manager che se andavano via con milioni di bonus. Non è un' assoluta oscenità? Mi sarei augurato che di fronte a tutto questo il "no" sarebbe salito forte dalle piazze e invece la solita, tristissima passività ha avuto il sopravvento».
A cosa attribuisce questo deficit di reattività? Al dilagare di "passioni tristi", per dirla con Spinoza?«Evidentemente l' individuo ha la sensazione di trovarsi di fronte a uno schieramento di forze anonime talmente potente, da bloccare qualunque reazione. Ma c'è anche un altro fattore, che non va dimenticato: la catastrofe delle ideologie novecentesche, a cominciare dal marxismo nelle sue varie applicazioni politiche, ha fatto terra bruciata dietro di sé. E il disastro non è soltanto politico, ma anche culturale. Tanto per capirci: l'Italia senza Gramsci è un paese amputato, irriconoscibile. Vede, quando io ero giovane si potevano ancora compiere quelli che io chiamo errori "creativi". Perché nella vita di un giovane è fondamentale poter sbagliare, per costruirsi una vita intensa e appassionata. Oggi non è più possibile. Ed è terribile pensare a un ragazzo di diciotto anni che si vede negato qualunque entusiasmo ideale, utopico».
Difficile poi meravigliarsi se le convinzioni stentano a farsi largo.«C' è un piccolo episodio che per me ha rappresentato un punto di non ritorno. Eravamo ai tempi della guerriglia in centro America. Con un gruppo di studenti il discorso si allargò alla guerra di Spagna. Chiesi loro se avrebbero mai compiuto scelte analoghe a quelle dei loro genitori, che avevano combattuto e magari erano morti per la libertà di quel paese. Il giorno dopo ricevetti una lettera così concepita: "Gentilissimo professor Steiner, nella nostra attuale situazione qualunque coinvolgimento in battaglie internazionali per la libertà ci vedrebbe inevitabilmente complici. Vuoi degli orrori comunisti, vuoi di quelli della Cia. Spiacenti, noi non ci faremo truffare ancora una volta". Se l' unico cruccio è di non essere truffato, dove trovi la forza per compiere un salto immaginativo? Per pensare a qualcosa più grande di te?».
Veniamo alla seconda parola. «"Privacy". Ormai non esiste aspetto della vita privata, anzi della più sacra intimità, che non venga esibito e reso pubblico. In tutti i campi è all'opera una pervasiva "industria della penetrazione"(che include la psicanalisi come la burocrazia, il sistema mediatico come le terapie mediche), volta a spogliare l'essere umano di questo inalienabile segreto personale. Mentre la vera forza di ciascuno è raccolta in ciò che può e deve tenere dentro di sé. Come ricordava Heidegger, nessuno può morire "al posto tuo". E la grandezza di ciascun uomo risiede nella capacità di affrontare in solitudine ogni passaggio delicato della propria esistenza: compresi i fallimenti, le malattie, le disgrazie. In un poema del 1912 Ezra Pound scriveva: "la discrezione sta scomparendo". Beh, quella intuizione si è definitivamente confermata, con danni enormi. E francamente non credo si possa tornare indietro».
Le prime due parole, "no" e "privacy", sono saldamente legate tra loro. Sono curioso di sapere qual è la terza. «Nell'uomo esiste un sentimento forse ancora più potente dell'amore e dell'odio: penso a quelle "passioni profonde", e spesso inspiegabili per un qualcosa che ai nostri occhi assume un valore supremo. Banalmente si parla di hobby, mentre invece è sul terreno della vera e propria passione che si gioca il nostro destino. In quello spazio libero e gratuito in cui ciascuno coltiva un intimo amore, senza negoziarlo né doverlo giustificare. Io ad esempio adoro il jazz, stare con il mio cane e andare per librerie antiquarie in cerca di antiche traduzioni dell'Iliade. Se qualcuno mi dice che sono modi sciocchi di passare il mio tempo, neppure rispondo. Perché sono convinto, al contrario, che essere presi per il collo da una passione, esserne posseduti, sia il dono più grande per un uomo. L'ho sempre detto ai miei studenti: coltivate le vostre eccentricità, ampliate gli spazi liberi del vostro spirito. Anche questo è un modo di dire "no" e preservare la "privacy"».
E forse è un modo di sfuggire al paradosso di una società che si dice individualista, mentre sopisce l'irriducibile singolarità di ciascuno?«Per uscire da questa trappola bisognerebbe tornare al concetto di persona. Esaltare la capacità di essere se stessi, di affermare un proprio, irrinunciabile stile di vita. Viviamo in un mondo in cui il valore dell'esistenza individuale pare dipendere unicamente dai riconoscimenti esterni. Io invece continuo a credere che una persona sia tale perché da sola, ogni mattina, si mette alla prova. Sapendo di andare incontro allo scacco, ma non arrendendosi ad esso. Nessuno l'ha detto meglio di Beckett: "fallire di nuovo, fallire meglio"».



FRANCO MARCOALDI


(5 novembre 2009)  
 

sabato 10 aprile 2010

L’essenza dell’assenza




Esistono piccoli gesti, che si scambiano le persone, che racchiudono un universo di sentimenti, più convincenti di mille discorsi, più avvincenti del miglior thriller mai pubblicato e che imprimono sulla quotidiana esistenza il vero senso, quello da cogliere subito per non disamorarsi della vita. E piccolo gesto era il suo, ripetuto più volte. Non faceva parte dei preliminari, che certo non racconterei qui, né era anticipo di lusinghiere promesse. Nulla di tutto questo, ma un gesto semplice, naturale, persino banale nel suo automatismo, però efficace, diretto al cuore. Esaltante. Capace di spazzare via oscuri presagi, in grado di alleviare inquietudini larvate, sotterranee che scavano senza sosta nell’anima e la debilitano. Un gesto rafforzativo che conservo nel luogo più profondo e che rievoco per convincermi che l’unione si rafforza, nonostante la distanza, la sporadicità degli incontri, la sofferenza anche – certo – per non averla accanto quando sarebbe giusto che ci fosse.
Quel gesto, fuggevole come un battito di ciglia, procura sensazioni appaganti e inebrianti. So che non lo ritroverei altrove: è unico e l’unicità è data dalla persona che ne è protagonista. Lei e non altre. Una sorta di marchio di fabbrica, il timbro posto sui giorni, pochi, in cui siamo stati insieme. Il ricordo è dolce e ancora carico di sensazioni. “Che bello vederti sereno e sorridente” mi ha scritto su Facebook un’amica di blog. E un’altra ha aggiunto: “Anche a me piace moltissimo questo tuo sorriso sereno! Sono davvero contenta di saperti felice”.
Le ringrazio ancora, ma il mio grazie va soprattutto alla donna che ha avuto il merito di rendermi “sereno e sorridente”. Non è cosa da poco.

Spiegata in questo modo l’assenza pasquale, resta da colmare il vuoto del precedente fine settimana, quello in cui sono stato confinato in una sezione elettorale come scrutatore. Mancavo da almeno cinque anni. Di certo la prima volta da blogger. Perciò avevo affidato a carta e penna, tra una scheda elettorale e l’altra, alcune annotazioni da un luogo privilegiato per osservare le persone, cercando di immaginare come vivano e cosa facciano. Questo è stato il risultato finale.

Trascino con me una bisaccia colma di interrogativi come la cornucopia della fortuna, dopo la domenica appena trascorsa a consegnare scheda e matita agli elettori.
Come si saranno formati un’opinione? Da dove hanno attinto le informazioni? Dove va quella giovane donna nel primo pomeriggio di festa? E se non fosse venuta qui al seggio dove sarebbe andata? E quella ragazzina, tale in apparenza, maggiorenne in realtà da almeno tre anni, cosa ci fa nella sezione elettorale a metà giornata? Quali sono i suoi svaghi, i suoi interessi?
Quale motivo spinge le persone a fare ordinatamente la fila per esercitare la democrazia? Come si sentono con quella scheda tra le mani? Riecheggiano le chiacchiere propagandistiche di poche ore prima? Cosa vedono in quei simboli? Cosa rappresentano per il disincanto o lo scetticismo dei più anziani? E per chi è al primo voto cosa significano? E, tornati a casa, ne parleranno ancora? Qual è stato il significato di questa giornata? Davvero si celebra la democrazia attraverso il diritto-dovere di voto? È ancora così alto e nobile questo concetto?
S’intrecciano piccole storie di grandi malattie. La dimensione ridotta dalla permanenza, non dalla gravità. Il tempo fugace di un racconto, di un aggiornamento, assieme alla tristezza. Tanta. Persone che non vedo da tempo e che stento talvolta a riconoscere. Se anziani avanzano traballando, certuni appoggiandosi ad un bastone quando manca una spalla amica. Cerco in volti scavati, tracce del ricordo di un tempo, sovente neppure molto lontano. La malattia della vecchiaia procede inesorabile. Ci sono poi giovani uomini, conosciuti da bambini e che non chiamo, nè saluto con calore per timore d’incorrere in un abbaglio.
Ecco due donne anziane, entrambe vedove – come denuncia la tessera elettorale – che arrivano insieme, scherzano, ridono, si fanno compagnia a vicenda.
Di prima mattina aveva fatto irruzione una coppia (lui e lei) di motociclisti, attrezzati di tutto punto, pronti ad una gita fuori porta, parecchio fuori porta visto che comunicano la meta. E tutti ad invidiarli, perché c’è il sole e insomma la giornata promette bene. Ma a colpirmi maggiormente tra i volti e i nomi, un ragazzo con acconciatura rasta che non passa inosservato. Alle lunghe treccine non faccio caso, però ad un curioso particolare sì, perché il documento di riconoscimento che esibisce è un tesserino del ministero della Difesa. E così, anche il giorno dopo, mi ritrovo a chiedermi che mestiere possa fare al ministero un tipo così, a meno che non sia un hacker istituzionalizzato. E allora tutto torna.

Durante lo scrutinio tornano anche l’annuncio su una scheda che :“Paolo ama Francesca”, in un’altra la sobrietà di mandare un “vaff. porci”, poi l’equanimità di chi, per non far torto a nessuno, regala una croce ad ogni simbolo. Così sono tutti contenti. Poi la ribalta è per i vinti e per i vincitori.