martedì 30 settembre 2008

Insistenza scolastica - 4







Una notte all’elementare «Iqbal Masih»*


di Ascanio Celestini


 


All’orizzonte della scuola c’è un taglio di 87.000 cattedre in tre anni mascherato dal folclore del grembiule col fiocco e condito con l’insipido ritorno al maestro unico. La ministra del redivivo Berlusconi la butta sul piatto dell’informazione (che sua altezza mediatica gestisce direttamente) come se fosse qualcosa in più e non qualcosa di meno. Accanto alla vecchia valutazione in decimi e al voto in condotta si prospettano tagli alle scuole pubbliche proporzionali all’aumento per quelle private che dal 2001 hanno visto le proprie saccocce riempirsi del 65% a spese dei cittadini.


Dal 2001 grazie alla tripletta dei governi berlusconiani e alla doppietta dei prodiani la scuola italiana ha perso 32.888 docenti di ruolo. Nell’anno in corso gli insegnanti precari sono 141.735, cioè il 5,2% in più rispetto a sette anni fa. Oggi i precari rappresentano il 16,82% di tutti i docenti della scuola italiana. Tale valore è destinato ad aumentare il prossimo anno scolastico perché a fronte di 43.812 pensionamenti previsti dal 1° settembre 2008 entreranno in ruolo solo 25.000 docenti. Per scontentare tutti in maniera democratica è diminuito anche il personale non docente. A questi numeri si deve aggiungere che anche la metà degli insegnanti di sostegno sono precari, che oltre ai tagli citati caleranno gli investimenti per gli alunni stranieri e per le aree a rischio, che si discute sulla chiusura delle scuole con pochi allievi nei piccoli comuni come fossero fast food senza clienti e non presidi di cultura e di educazione alla cittadinanza e alla partecipazione. Se ne parla nelle aule della Iqbal Masih, nella periferia romana che affaccia sulla Casilina. Qualche anno fa hanno deciso di intitolare questa scuola a un ragazzo pachistano che lavorava incatenato in una fabbrica di tappeti. Denunciò la sua condizione e gli venne offerta una borsa di studio negli Stati Uniti. Rifiutò per restare nel proprio paese e battersi, ma fu ucciso. Aveva tredici anni. È una scuola attiva nel quartiere, presente con incontri pubblici e laboratori. «Se non lo fa la scuola, chi altro dovrebbe pensarci?» mi dice una donna portandomi il caffè. Non so se si tratta di un’insegnante o di un genitore o di qualcun altro venuto all’incontro di oggi pomeriggio. La scuola dedicata al bambino sindacalista la distingui dagli striscioni. Sul più grande c’è scritto il futuro dei bambini non fa rima con Gelmini. Ne ha parlato un po’ la stampa e in maniera distratta e confusa anche il telegiornale perché questo luogo pubblico è stato occupato dai genitori degli alunni per diversi giorni e diverse notti. Ci hanno fatto assemblee pubbliche e riunioni, hanno organizzato gruppi di studio, ci hanno mangiato e dormito. E dopo una settimana sono stanchi, ma più determinati di prima a portare avanti una discussione pubblica sul discutibile decreto della ministra Gelmini.


«Abbiamo finito la prima fase di mobilitazione» mi dice Luciano «Da stasera torniamo a dormire a casa, ma la cosa si è ampliata. Adesso vogliamo fare le notti bianche per la scuola facendo una specie di staffetta negli altri istituti. Vorremmo chiamare anche Fiorella Mannoia, lo sai che è di Centocelle?» Stiamo seduti su un divanetto. «Noi abbiamo passato l’estate a ricevere queste belle notizie da parte del ministro sul 5 in condotta, sul grembiule, e abbiamo fatto lo sforzo di sorriderci sopra. Aspettavamo che succedesse qualcosa di più serio, ma non la bordata che è arrivata ai primi di settembre con questo decreto legge. Un decreto legge serve quando c’è un’emergenza, ma se c’è un’emergenza non è certo il sovrannumero delle maestre. La scuola ha bisogno di sostegno, non di tagli. Se spendiamo il 97% dei soldi per pagarli non significa che sono troppi gli insegnanti, ma che sono troppo pochi i soldi. Lo sai che dalle classifiche internazionali la scuola elementare italiana risulta essere la sesta? Un governo che vuole investire nel paese fa in maniera che le altre scuole che stanno peggio, tipo le superiori, si adeguino. E invece guarda caso la ministra ha deciso di colpire chi lavora meglio scegliendo di fare cassa con la scuola pubblica per puntare sulla privata. Lo sai che succederà col tempo pieno? Dal prossimo anno i genitori che oggi lasciano i figli al pomeriggio scopriranno che devono tornare a riprenderselo alle 12.30, e chi lo va a prendere? Uno dei due deve chiedere un permesso a lavoro e sappiamo come funziona, a forza di chiedere permessi il lavoro si perde. Secondo te chi lo perderà? Ovviamente la mamma. E poi la maggior parte degli insegnanti alle elementari sono donne, quando ne salteranno 80.000 saranno di nuovo loro a essere colpite».


Si parla sempre di quote rosa in parlamento. Sono sessant’anni che in questo paese si discute di condizione femminile. Poi le donne vengono sempre gentilmente messe da parte. Il nostro governo è composto da ventuno ministri. Tra questi ci sono quattro donne. Solo quattro. Fa una brutta impressione che la Gelmini, una superstite della deriva maschilista del governo, se la prenda proprio con le donne invece di aiutarle. Sotto questo punto di vista ha adottato in pieno il consiglio del suo premier contro la precarietà del lavoro, cioè che le femmine italiche farebbero bene a sculettare davanti ai figli di un facoltoso genitore per sposarsi un ricco rampollo. E se sculettano direttamente davanti al babbo magari si conquistano pure un posto in parlamento. Oppure le donne si dovranno trovare il famoso lavoretto, un part time, magari al nero o addirittura a domicilio per continuare a lavorare con i figli a casa dopo la scomparsa del tempo pieno. «Che poi il tempo pieno non è un parcheggio» mi dice Luciano «È un progetto educativo. I bambini fanno scuola al pomeriggio». Qualcuno del Pdl ha avanzato dei dubbi, ma poi ha fatto marcia indietro. Luciano mi dice che «un maestro che ha 25 o 30 bambini, che deve coprire un lavoro che fino a oggi è stato fatto da un equipe è facile che diventi un demotivato. Non riuscirà a stare appresso agli alunni che oggi hanno competenze maggiori rispetto a quelli di trent’anni fa quando si doveva solo imparare a scrivere e a leggere. Il governo dice che in Italia spendiamo troppo, ma la verità è che all’estero si è investito molto nel passato e ancora oggi si spende. Così abbiamo proposto alle maestre di fare uno sciopero che simula il decreto Gelmini. Scioperate una alla volta e a orario lasciando i bambini con una sola maestra. Hai letto che vogliono eliminare le piccole scuole? Per gioco abbiamo fatto un calcolo che se chiuderanno le scuole che hanno meno di 100 alunni in Calabria scompare il 70% delle elementari e l’80% delle materne»


La Gelmini cavalca l’onda di un conservatorismo da bar dove si dice che «si stava meglio quando si stava peggio» o che «una volta potevi lasciare la chiave sulla porta» e roba del genere. Illustri politici del suo schieramento dicono «se la nostra generazione è cresciuta con un solo maestro questo modello funzionerà anche nel futuro». Ma ai tempi in cui si lasciavano le chiavi sulla porta mia nonna non aveva il gabinetto. Ci andrebbe la signora ministra a fare la cacca in cortile come ai bei tempi? Senza andare troppo indietro anche io mi ricordo con gioia la mia maestra unica, la signora Germano, ma devo aggiungere che a quel tempo c’era solo la Rai, senza Mediaset e col partito comunista oltre il 30%. Sarebbe d’accordo Berlusconi se tornassimo agli anni ‘70? E ai favolosi anni ‘60 con un solo canale televisivo in bianco e nero e niente veline con la chiappa che crea il consenso? Dopo il maestro unico si potrebbe tornare anche al trasporto col somaro, così risolviamo anche il problema Alitalia. Alla fine dei conti si avvantaggerà chi avrà i mezzi economici per andare avanti da solo. «Questa scuola si è mobilitata» continua «ha fatto un presidio. Ci abbiamo anche dormito dando la possibilità a tutti i genitori di dare un contributo, passandoci per un paio d’ore, venendo a un incontro. Abbiamo rispettato i tempi della didattica perché il presidio inizia alle 16.30 e si chiude la mattina successiva alle 7.30. La riconsegnamo pulita e pronta per le lezioni. La ministra ci ha detto «strumentalizzate i vostri bambini». Ma qui si tratta di condivisione delle proprie scelte e di difesa dei loro diritti. È la famiglia che agisce unita per una cosa in cui crede. La Gelmini direbbe che portare i figli in chiesa significa strumentalizzarli?» Certo che a questo esempio sulla chiesa la Gelmini non credo che arriverebbe a pensarci. Luciano mi ricorda che «in più noi abbiamo un caso eclatante per il pianeta, cioè i maestri di religione pagati dallo stato e scelti dalla chiesa. Noi li paghiamo e loro non fanno nemmeno i concorsi».


Ma anche questa realtà mi pare in linea coi tempi del vecchio concordato e dei treni che arrivavano in orario. Tremonti solo un paio di settimane fa aveva parlato direttamente di Dio patria e famiglia. Tra un po’ ci diranno di spezzare le reni alla Grecia. «I bambini sono coinvolti» mi dice «il primo giorno di scuola c’è stata una festa, sono entrati tutti gli alunni dalla seconda alla quinta. Il secondo giorno hanno accolto quelli della prima con messaggi e palloncini, abbracciandoli e accompagnandoli nelle classi. È una cosa emozionante. Adesso con l’occupazione abbiamo anche organizzato degli spazi per i più piccoli mentre gli adulti discutono. Il primo giorno di mobilitazione due bambini sono venuti a dirci che volevano dormire anche loro nella scuola. «Se fate qualcosa per la nostra scuola noi vogliamo esserci» hanno detto. Vedi quanto è importante che le scuole si muovano? Ci stanno arrivando molti messaggi di solidarietà. Dopo i primi giorni si è creata una rete di 70 scuole su Roma e molte altre in Italia. Stiamo iniziando a visitarle per confrontarci e per spiegare il decreto della Gelmini visto che in televisione non se ne parla e solo pochi giornali hanno cercato di affrontarlo seriamente.


Con noi ci sono quelli di sinistra a oltranza, quelli del Pd, quelli di destra, quelli che non si pongono la questione e nessuno si è messo a parlare di partiti. Noi vogliamo mantenere un rapporto di dialogo con tutti anche se ci capitano cose strane. Lo sai che un partito è venuto da noi a volantinare? Da noi! Ma noi ce l’abbiamo una coscienza, andate da qualche altra parte o mostrateci che state lavorando davvero. Se giriamo in questa scuola e vediamo una serranda rotta è perché né la scuola, né il municipio, né il comune c’ha i soldi per aggiustarla. Così a aprile abbiamo aderito a un progetto di Legambiente, ci siamo messi insieme a tutti i genitori e abbiamo ridipinto il cancello, potato gli alberi, ripulito le fogne, abbiamo fatto le tettoie per far giocare i bambini in giardino quando c’è il sole a picco. Questa è la vera cittadinanza attiva. C’era gente che passava e chiedeva «ma che state a fa’» e poi c’è venuta a dare una mano. La maggior parte dei genitori sono attenti, ma ancora silenziosi. Dopo questi giorni di occupazione c’è più stima tra di noi. Ieri sera una signora è venuta a trovarci “io sto con voi” ha detto e c’ha regalato una torta. Noi eravamo contenti perché l’obiettivo di comunicare una volontà era stato raggiunto. La disinformazione è la cosa che c’ha fatto più male». Finisco il caffè e anche l’intervista con Luciano. Adesso c’è un incontro pubblico. Si sono fatti le magliette, sono verdi quasi fosforescenti. C’hanno scritto la frase dello striscione, quella sulla Gelmini che non fa rima con bambini. Quanto è distante questa maniera cosciente e gioiosa di agire dalla nostra idea preconcetta di politica? Eppure questi genitori e questi insegnanti non hanno dormito alla Iqbal Masih per amore del campeggio, il loro è un «agire politico».


La realtà è che qui il problema è concreto. Non ci sono prospettive di rilancio di un partito, nostalgie per il fascio littorio o la falce e il martello, non si guarda a Putin o a Obama, non ci si prepara per le amministrative o le europee, non ci si associa a correntine e correntoni, red e club e bande armate di gazebi con gadget e depliant patinati. Qui l’oggetto è un soggetto concreto. Ci sono i figli e quello che riusciranno a imparare e a diventare se svenderanno la scuola pubblica. Ma la ministra è convinta che gli occupanti stiano strumentalizzando i bambini. Proprio lei che toglie ai nostri figli due maestri su tre, li consegna al regime autoritario del maestro unico, fa saltare il tempo pieno mettendo in difficoltà le famiglie in cui lavorano entrambi i genitori provocando disoccupazione femminile, precarizza e taglia posti di lavoro, sottrae fondi pubblici per regalarli ai privati e tutto ciò con un decreto, uno strumento rapido per non confrontarsi con nessuno. Chi sta realmente strumentalizzando i bambini?


l’Unità (25 settembre 2008)




* http://it.wikipedia.org/wiki/Iqbal_Masih

Insistenza scolastica - 3







Il mondo facile della politica format


di MICHELE SERRA





La campagna per il ritorno alla maestra unica, al di là dei propositi contingenti di "risparmio", aiuta a riflettere in maniera esemplare sulle ragioni profonde delle fortune politiche della destra di governo, e sulle sue altrettanto profonde intenzioni strategiche. Sono intenzioni di semplificazione. Se la parola-totem della sinistra, da molti anni a questa parte, è "complessità", a costo di far discendere da complesse analisi e complessi ragionamenti sbocchi politici oscuri e paralizzanti, comunque poco intelligibili dall' uomo della strada, quella della destra (vincente) è semplicità.


La pedagogia e la didattica, così come sono andate evolvendosi nell' ultimo mezzo secolo, sono avvertite come discipline "di sinistra" non tanto e non solo per il tentativo di sostituire alla semplificazione autoritaria orientamenti più aperti, e a rischio di permissivismo "sessantottesco". Sono considerate di sinistra perché complicano l' atteggiamento educativo, aggiungono scrupoli culturali ed esitazioni psicologiche, si avvitano attorno alla collosa (e odiatissima) materia della correttezza politica, esprimono un' idea di società iper-garantita e per ciò stesso di ardua gestione, e in buona sostanza attentano al desiderio di tranquillità e di certezze di un corpo sociale disorientato e ansioso, pronto ad applaudire con convinzione qualunque demiurgo, anche settoriale, armato di scure.


In questo senso la proposta Gelmini è quasi geniale. L' idea-forza, quella che arriva a una pubblica opinione sempre più tentata da modi bruschi, però semplificatori, è che gli arzigogoli "pedagogici", per giunta zavorrati da pretese sindacali, siano un lusso che la società non può più permettersi. Il vero "taglio", a ben vedere, non è quello di un personale docente comunque candidato - una volta liquidati i piloti, o i fannulloni, i sindacalisti o altri - al ruolo di ennesimo capro espiatorio. Il vero taglio è quello, gordiano, del nodo culturale. La nostalgia (molto diffusa) della maestra unica è la nostalgia di un' età dell' oro (irreale, ma seducente) nella quale la nefasta "complessità" non era ancora stata sdoganata da intellettuali, pedagogisti, psicologi, preti inquieti, agitatori politici e cercatori a vario titolo del pelo nell' uovo. Una società nella quale il principio autoritario era molto aiutato da una percezione dell' ordine di facile applicazione, nella quale il somaro era il somaro, l' operaio l' operaio e il dottore dottore. Una società che non prevedeva don Milani, non Mario Lodi, non Basaglia, ovviamente non il Sessantotto, e dunque, nella ricostruzione molto ideologica che se ne fa oggi a destra, è semplicemente caduta vittima di un agguato "comunista".


In questo schemino, semplice ed efficace, la cultura e la politica, a qualunque titolo, non sono visti come interpreti dei conflitti, ma come provocatori degli stessi. Se la pedagogia "permissiva" esiste, non è perché il disagio di parecchi bambini o la legnosità e l' inadeguatezza delle vecchia didattica richiedevano (già quarant' anni fa) di essere individuati e affrontati, ma perché quello stesso problema è stato "creato" da un ceto intellettuale e politico malevolmente orientato alla distruzione della buona vecchia scuola di una volta. Insomma, se la politica è diventata un format, come ha scritto Edmondo Berselli, la sua parola d' ordine è semplificazione.


Per questa destra popolare, e per il vasto e agguerrito blocco sociale che esprime, la complicazione è un vizio "borghese" (da professori, da intellettualoidi, beninteso da radical-chic, e poco conta che il personale scolastico sia tra i più proletarizzati d' Italia) che non possiamo più permetterci, e al quale abbiamo fatto malissimo a cedere. Non solo la pedagogia, anche la psicologia, la sociologia, la psichiatria, nella vulgata oggi egemone, non rappresentano più uno strumento di analisi della realtà, quanto la volontà di disturbo di manipolatori, di rematori contro, di attizzatori di fuochi sociali che una bella secchiata d' acqua, come quella della maestra unica, può finalmente spegnere. La lettura quotidiana della stampa di destra - specialmente Libero, da questo punto di vista paradigma assoluto dell' opinione pubblica filo-governativa - dimostra che il trionfo del pensiero sbrigativo, per meglio affermarsi, necessita di un disprezzo uguale e contrario per il pensiero complicato, per la massa indistinta di filosofemi e sociologismi dei quali i nuovi italiani "liberi" si considerano vittime non più disponibili, per il latinorum castale di politici e intellettuali libreschi, barbogi, causidici, che usano la cultura (e il ricatto della complessità) come un sonnifero per tenere a freno le fresche energie "popolari" di chi ne ha le scatole piene dei dubbi, delle esitazioni, della lagna sociale sugli immigrati e gli zingari, sui bambini in difficoltà, su chiunque attardi e appesantisca il quotidiano disbrigo delle dure faccende quotidiane. Già troppo dure, in sé, per potersi permettere le "menate" della sinistra sull' accoglienza o il tempo pieno o i diritti dei gay o altre fesserie.


La sinistra ha molto di che riflettere: la formazione culturale e perfino esistenziale del suo personale umano (elettorato compreso) è avvenuta nel culto quasi sacrale della complessità del mondo e della società, con la cultura eletta a strumento insostituibile di comprensione anche a rischio di complicare la complicazione... Ma non c' è dubbio che tra il rispetto della complessità e il narcisismo dello smarrimento, il passo è così breve che è stato ampiamente fatto: nessuna legge obbliga un intellettuale o un politico a innamorarsi dell' analisi al punto di non rischiare mai una sintesi, né la semplificazione - in sé - è una bestemmia (al contrario: proprio da chi ha molto studiato e molto riflettuto, ci si aspetterebbe a volte una conclusione che sia "facile" non perché rozza o superficiale, ma perché intelligente e comprensibile). Ma la posta in gioco è molto più importante del solo destino della sinistra. La posta in gioco - semplificando, appunto - è il destino della cultura, degli strumenti critici che rischiano di diventare insopportabili impicci. Se questa destra continuerà a vincere, a parte il marketing non si vede quale delle discipline sociali possa sperare di riacquistare prestigio, e una diffusione non solo castale o accademica. Perché è molto, molto più facile pensare che l' umanità e la Terra siano stati creati da Dio settemila anni fa (cosa della quale è convinta ad esempio la popolarissima Sarah Palin) piuttosto che perdere tempo e quattrini studiando i fossili e l' evoluzione. È molto più rassicurante, convincente, consolante pensare che le buone maestre di una volta, con l' ausilio del cinque in condotta e di una mitraglia di bocciature, possano mantenere l' ordine e "educare" meglio i bambini ipercinetici, e consumatori bulimici, che la televisione crea e che la propaganda di destra ora lascia intendere di poter distruggere, perché è meglio avere consumatori docili (clienti, come dice Pennac) piuttosto che cittadini irrequieti. È meglio avere certezze che problemi.


È molto più semplice pensare che il mondo sia semplice, non fosse che per una circostanza incresciosa per tutti: che non lo è. Il mondo è complicato, l' umanità pure, i bambini non parliamone neanche. Se le persone convinte di questo obbligatorio, salutare riconoscimento della complicazione non trovano la maniera di renderla "popolare", di spiegarla meglio, di proporne una credibile possibilità di governo, di discernimento dei principi, dei diritti, dei bisogni fondamentali, diciamo pure della democrazia, vedremo nei prossimi decenni il progressivo trionfo dei semplificatori insofferenti, dei Brunetta, delle Gelmini, delle Palin. Poi la realtà, come è ovvio, presenterà i suoi conti, sprofondando i semplificatori nella stessa melma in cui oggi si dibattono i poveri complicatori di minoranza. Nel frattempo, però, bisognerebbe darsi da fare, per sopravvivere con qualche dignità nell' Era della Semplificazione, limitandone il più possibile i danni, se non per noi per i nostri figli che rischiano di credere davvero, alla lunga, al mito reazionario dei bei tempi andati, quando la scuola sfornava Bravi Italiani, gli aerei volavano senza patemi, gli intellettuali non rompevano troppo le scatole e la cultura partiva dalla bella calligrafia e arrivava (in perfetto orario) alla più disciplinata delle rassegnazioni. Cioè al suo esatto contrario.


Insistenza scolastica - 2








IL RIFORMISTA


di Pancho Pardi

22.09.08 - L'Alitalia è "strategica", l'istruzione no?



Il volo è strategico, d’accordo. E quindi nella vicenda Alitalia più di un esperto di economia sarà pronto a spiegarci che di tutti i problemi che la questione presenta quello degli esuberi è il minore. Però non è del tutto da trascurare, per vari motivi. Gli aerei li fanno volare i piloti, e il pilota non può stare da solo sull’aereo, come l’autista dell’autobus. Abbiamo sentito voci liberiste strillare: chi se ne frega, li assumiamo all’estero! E a terra qualcuno deve saper fare manutenzione, eccetera (anche quelli li assumiamo all’estero, e gli troviamo casa a Fregene?).

Ci sono dunque fondati motivi per cui parecchi altri intenditori dell’argomento si preoccupano per gli esuberi. Difficile sapere il numero. Con Berlusconi prevarrà sempre il gioco delle tre carte. E poi per lui i numeri sono sempre una metafora mediatica: a San Giovanni aveva portato tre milioni di persone…


Dunque con Air France gli esuberi erano 2.000, con Cai da 5.000 a 7.000. Poi col gioco delle tre carte sono diventati 3.500, poi sempre meno. Arduo calcolare quale sarà la contrazione a Fiumicino con la riduzione dei voli. Ma al di là dei trucchi vale il principio di realtà: se i sindacati si preoccupano degli esuberi, vuol dire che esuberi ci saranno (magari era meno peggio se accettavano i 2.000 di Air France). Per il momento non sappiamo quanti. E non solo i sindacati se ne danno pensiero. Facciamo un’ipotesi di comodo: che con Fiumicino possano essere 8.700. Poi meglio se saranno meno, naturalmente.


Ebbene, col taglio di Tremonti e la supponenza di Gelmini, nella scuola gli esuberi dichiarati, senza gioco delle tre carte, saranno 87.000. Si troverà qualche commentatore equilibrato che si preoccupi, non dico dieci volte di più ma nella stessa misura che per Alitalia, degli insegnanti tagliati nella scuola? Il volo è strategico, la scuola no?


E l’università? Non tutti sanno che d’ora in poi per cinque professori che andranno in pensione ne sarà sostituito solo uno. Migliaia di giovani ricercatori, su cui si è investito per prepararli fino a dar loro l’opportunità di sostituire e magari far meglio di chi li aveva preceduti, non avranno più l’opportunità di mettersi alla prova e dimostrare ciò che valgono. E beati quelli che andranno all’estero perché lì avranno l’occasione di svolgere le ricerche per cui si erano preparati. Il volo è strategico, la ricerca no?


Il problema si intreccia, a modo suo, con la crisi finanziaria mondiale. In certo senso è divertente vedere folle di monetaristi fottuti, che ci hanno rotto le scatole per decenni con la bellezza del mercato, tornare al primo grave scossone col cappello in mano da Keynes. Altro che più mercato: più stato! Ora che il mercato gli ha fatto venire la strizza vogliono più stato! Ma siccome restano i teorici dell’egoismo (libertà, eguaglianza e Bentham! Diceva Marx, se ancora si può citarlo) vogliono dallo stato soldi per ripianare i debiti di banche e assicurazioni.

Provate a proporre loro di chiedere soldi allo stato per avere istruzione, ricerca, cura dell’ambiente… vi rivolgeranno il tipico sorriso di compatimento del monetarista…


Fonte:





http://temi.repubblica.it/micromega-online/220908-lalitalia-e-strategica-listruzione-no/


Insistenza scolastica - 1







Scusate il ritardo (negli aggiornamenti) e se insisto, ma ritengo che lo stupro ai danni della scuola (segnatamente quella primaria) sia da porre al centro dell’attenzione. E se lo facessero trasmissioni come “Ballarò” oppure “Annozero” la scossa alla maggioranza lobotomizzata e narcotizzata potrebbe pure sortire qualche effetto, anche se la massa a cui faccio riferimento opta ineffabilmente per veline e velini, isole di presunti famosi, megafoni di regime alla emiliovespa e brunofede, o telegiornali appaltati ai reggitori di microfono, peggio dei mezzobusti raccontati dal geniale Sergio Saviane.


Ma tant’è io continuo con la silloge di pezzi sull’argomento. Mi scuso, semmai, per la lunghezza, ma come ho avuto modo di scrivere sovente, si tratta di un (modesto) contributo alla diffusione di informazioni. Più copia e stampa, insomma, perché il monitor non incoraggia una lunga permanenza lì davanti.


Insomma, comunque la pensiate, ci sono a seguire: Pancho Pardi con una domanda che stranamente non ho mai sentito porre in tv; Michele Serra con un saggio, più che un articolo e Ascanio Celestini con un efficace reportage da una scuola romana che non a caso, essendo intitolata a Iqbal Masih, è una struttura molto attiva.


Si tratta di letture assai interessanti che però si frangono davanti a due singolari obiezioni: “avete perso le elezioni” e “servono soldi” che si tagliano dai settori improduttivi. Ci fosse mai qualcuno a ritenere improduttivi e anche immorali bilanci come, per esempio, quello della Guerra (ancora definito della Difesa).


Ma forse sono io così limitato da non riuscire vedere la modernità di tutto ciò, dellemagnifiche sorti e progressivedell’umanità. Caro Leopardi Giacomo…

lunedì 22 settembre 2008

La privata scuola - 4







Professore, meridionale, eroe


di FRANCESCO MERLO



«Sai, io non sono più sicuro che non si debbano picchiare i bambini» mi dice il mio ex compagno di banco Pippo Barbagallo, che ora fa il preside in un quartiere a rischio. E io, che ho in testa la Gelmini, penso: altro che dequalificati! Sono eroi questi insegnanti meridionali che devono farsi istruttori di chi non vuole essere istruito e al tempo stesso farsi infermieri, psicologi, poliziotti e persino pugili. «La settimana scorsa è venuto a cercarmi a casa il papà di un allievo, bigliettaio in un cinema. "Io non sono più sicuro che non si debbano picchiare i bambini", protestava con gli occhi lucidi». «Poi aggiungeva: "Lo so, è facile dirlo adesso che la polizia ha arrestato mio figlio a casa di sua nonna, con quel sacco nero in mano e quel coltello... Ma in queste prime notti che Roberto sta passando in galera penso che avremmo dovuto picchiarlo almeno un pochino. Perché non avete picchiato mio figlio"?». Pippo fa il preside in uno di quegli universi di umanità caotica che, nelle realtà marginali, mai somigliano alle scuole, ma sono agglomerati di umori giovanili ingovernabili, debordanti dalle regole della grammatica, della morfologia, della sintassi. Cosa può capire la Gelmini dell' eroismo senza incantesimi e senza proclami di questi insegnanti, cosa può saperne l' avvocato di Brescia di un magistero che non diventa mai documento o monumento? «Da buoni meridionali - dice il preside - crediamo solo nello starnuto cinematografico di Totò, la smorfia implosa, e dunque confidiamo che anche la ministra Gelmini è il botto che non sarà, solo un tentativo di botto finale della scuola».


E tuttavia, comunque vada a finire questa agitata stagione di riforme, della Gelmini resterà il veleno razzista, ormai entrato in circolo, contro il Sud e contro questi insegnanti meridionali sottosviluppati che, in matematica e in scienza - secondo i famosi dati Ocse - formano studenti meno preparati di quelli che altri insegnanti, anch'essi meridionali, formano al Nord. In base all' anagrafe, tutta la scuola italiana è meridionale. Com'è dunque possibile che i cattivi insegnanti del Sud diventino bravi al Nord? Evidentemente, secondo la ministra Gelmini, il mio amico Pippo Barbagallo raglia come un somaro ai piedi dell'Etna e "urla e biancheggia" come Einstein nelle baite del Resegone. In realtà i professori italiani sono troppo colti per pensarsi come meridionali, e infatti, malgrado quel che si dice di loro, non si sono mai sognati di rivendicare - contro la Gelmini - i natali di Pirandello e Croce: «Noi meridionali non sopportiamo più il meridionalismo».


Ma l'uso terroristico dei dati dell' Ocse non finisce qui. La Gelmini e soprattutto gli intellettuali che hanno avuto mandato di difenderla accusano la scuola del sud di allontanare l' Italia dal mercato, di farla precipitare in basso. È un'interpretazione allucinata, probabilmente una maniera per non volere fare i conti con se stessi, con il declino del sistema paese, di un' Università che neppure nei suoi luoghi di eccellenza riesce ad attrarre studenti stranieri, di una marginalità che riguarda l' intera area del Mediterraneo, dove siamo, con la Turchia e la Grecia, quel capitalismo a bassa intensità che aveva in testa Weber quando parlava di Europa cattolica e, aggiungiamo noi, mediterranea. I dati dell' Ocse dicono anche che la Corea e Taiwan hanno scuole migliori di quelle milanesi. E che il Piemonte supera la Lombardia, Venezia è meglio di Bologna, il Nord Est è più colto di Toscana Liguria e Lazio. Ecco dunque disegnato un mondo al contrario. Ma nessun piemontese si è messo a scrivere editoriali contro la Toscana e nessun veneto ha tuonato contro Bologna. Solo i dati del Sud sono stati trattati come antropologia, scienza, storia, e dunque ironia, sdegno, sarcasmo e, insomma, insulti sapientissimi che sarebbero gratuiti e incivili anche se prendessimo per buono il trito luogo comune che la matematica applicata all' economia sia la chiave della ricchezza e dello sviluppo delle nazioni (e non si spiegherebbe come mai i migliori matematici del mondo provengano dall' Asia).


Già la sociologia classica, ben prima di Berlusconi, trovava che il Nord fosse più avanzato perché aveva più scuole di formazione professionale e meno licei classici: «Ebbene, al contrario del luogo comune - mi dice il mio preside - io temo che questa discriminante possa presto arrivare al capolinea, al punto da marginalizzare le Lettere, da fare dell' insegnamento dell' Italiano un'attività da poveracci, da meridionali indigeni, il proletariato intellettuale di Salvemini ridotto a plebe intellettuale». È vero che nei licei del sud mancano i docenti di fisica, «ma è anche vero che a Milano capita spesso che non ci siano abbastanza docenti di Italiano». Cosa può diventare l' Italia senza Italiano? «Forse è un po' fanatica questa ossessione per la matematica», un codice che, anche a scuola, vale quanto tutti gli altri codici che l' uomo ha inventato per decifrare il mondo, per renderlo riconoscibile e per addomesticarlo. Ma, ecco il punto: «Si può insegnare un codice a chi non ha interesse ad apprenderlo»? Gli istituti professionali del Sud sono contenitori-parcheggio, pròtesi della dissipata vita di quartiere, alternative alla strada, al bar e al biliardino, non certo luoghi di avviamento al lavoro: «Non c' è il lavoro al quale lasciarsi avviare. E anche quando, alla fine, lo trovano, sarà comunque un lavoro che non avrà nulla a che fare con gli studi che hanno fatto».


E come fa l' Ocse a misurare le pressioni alla quali è sottoposta un' insegnante che deve sostituirsi al padre e alla madre, alla polizia, al medico, a Dio e deve tirar fuori il meglio di una ragazza che è intelligente anche se fa parte di una famiglia di delinquenti? Qui i professori devono esibire un ventaglio di virtù che nessuna Gelmini mai riconoscerà loro: «Una collega di storia si è trovata davanti un' allieva, praticamente una bambina, che non capiva perché era tutta sporca di sangue. Alcuni compagni sghignazzavano, altri la difendevano. Forse la Gelmini l'avrebbe mandata a casa e avrebbe distribuito un po' di sette in condotta. Lei ha chiesto al bidello di comprare una torta e ha parlato dell' ovulazione. Ebbene l'indomani ho affrontato una coppia di genitori che accusavano la collega di essere una sporcacciona: "prufissureddu, chista pedofila è"».


Certo, nelle città del Sud ci sono magnifici licei di tradizione, antiche scuole dove si coltivano la qualità della lingua, le buone letture, dove si impara la storia, la geografia, il latino, il greco e dove i Bossi (padre e figlio) sarebbero dirozzati e spulciati o inesorabilmente bocciati. Ma spesso l' insegnante meridionale non sa se impiegare più tempo a spiegare il participio passato o a litigare con i suoi allievi, a metter pace tra di loro, a intercettare minacce, a scoprire e a coprire reati: «Siamo sicuri che davanti ai bulli che sfottono un ragazzino effeminato bisogna denunziare tutto e finire sui giornali?». E chi può meravigliarsi se a questi studenti si danno voti più alti di quelli che prenderebbero a Como? I prefetti del Sud dicono che la scuola è l' ultimo presidio contro la criminalità organizzata: «Io un tempo pensavo che sono delinquenti i genitori di un figlio delinquente. Se fosse vero, a rigore bisognerebbe denunciare penalmente i padri e le madri di tutti i delinquenti plurirecidivi i quali potrebbero, a ragione, costituirsi parte civile nei processi contro i loro genitori; e senza neppure l' ironia di Cecco Angiolieri che voleva uccidere tutti i padri a cominciare dal suo. Ma cosa devi fare se scopri che tra i banchi dei tredicenni circola merce rubata? E cosa doveva fare, secondo la Gelmini, quella collega di inglese che aveva scritto alla lavagna i nomi dei vari mestieri: teacher, plumber, lawyer. Ebbene, quando ha scritto policeman, un bambino si è alzato e l' ha cancellata: "La parola sbirro qui dentro lei non la deve pensare neppure in inglese"».


Solo un ministro che vive sulla Luna non capisce che gli atti quotidiani di piccola prospettiva degli insegnati meridionali sono l' immensa forza della scuola italiana perché, come notava l' uomo senza qualità, che già allora ne sapeva molto più dell' Ocse, «la somma collettiva delle fatiche spicciole quotidiane, data la loro capacità di essere sommate, mette in circolo una quantità di energia molto superiore a quella che viene impiegata in atti di eroismo». Nel Sud che la Gelmini disprezza ci sono gli eroi del nostro tempo, senza le scorte dei magistrati, senza i soldi degli industriali, senza le luci dei giornali e senza il conforto della politica. Sono gli eroi muti d' Italia. E, come tutti gli eroi, ogni tanto pasticciano. E ogni tanto ringhiano: «Spesso di notte mi capita di mettere la mia vita sulle spalle di mio padre e mia madre e di prendere sulle mie spalle le vite non dei miei figli, ma di tutti i ragazzi che ho avuto a scuola, di quelli che sono morti ammazzati e di quelli che sono finiti in galera: colpe e meriti. E mi chiedo se sia giusto che le colpe dei figli ricadano sui loro insegnanti. A volte prevale in me l' idea che il porco è l' allievo di un porco. Altre volte che l' aceto è un prodotto del vino. Ecco cosa mi domando nelle notti senza sonno, quando mi volto e mi rivolto dentro la mia vita di insegnante meridionale».


la Repubblica (19 settembre 2008)  

La privata scuola - 3







Edmondo Berselli


Porte girevoli


Paradigma Mariastella


Il ministro Gelmini è l'emblema della nuova ideologia di destra, portatrice di una modernizzazione reazionaria


 


Più di Brunetta, e più di Tremonti, il ministro Mariastella Gelmini impersona lo spirito autentico del governo Berlusconi. La trentacinquenne Gelmini campeggia su copertine e fotografie agghindata in abiti colorati, in uno stile che ricorda gli anni Cinquanta, a cui gli occhiali da vicepreside aggiungono un tocco 'vintage'. Ma ciò che più interessa, e la rende un emblema della nuova ideologia di destra, è la sua azione e le idee che la ispirano. Il ministro Gelmini infatti è la portatrice dell'autentico pensiero che anima il governo, già identificato come portatore di una modernizzazione reazionaria (o se si preferisce di una restaurazione modernizzatrice: sempre di ircocervo si tratta).


Per questo la Gelmini va presa alla lettera. E alla lettera vanno presi i pilastri della sua opera. Per dire, il recupero del grembiule e del voto in condotta non sono semplici proclami demagogici: costituiscono gli indizi di un metodo, secondo il quale problemi complessi si risolvono con operazioni semplici, fra gli applausi di una società vecchia e stanca, che rimpiange la propria modesta gioventù.


Chi scrive ha avuto la ventura di frequentare la scuola materna e le elementari in una provincia bianca degli anni Cinquanta, dove i maestri comandavano 'mani in prima' e 'mani in seconda' ('in prima' dovevano essere appoggiate sul banco; 'in seconda' portate dietro la schiena). All'asilo, le suore punivano i bambini cattivi con castighi graduali che cominciavano con la pacca della riga da sessanta centimetri sul palmo della mano, potevano passare al cerotto sulla bocca e giungere a legare i troppo vivaci alla sedia con una fune grossa due centimetri.


Perché non recuperare queste usanze? Solo perché non lo consente il buonsenso? Ma il buonsenso non è una categoria politica, l'importante è reagire al "nullismo", come lo chiama Tremonti, del Sessantotto, ripristinare il principio di autorità, recuperare una società ordinata. E se questo non basta, sarà bene applicare integralmente tutte le soluzioni o le fissazioni del ministro Gelmini: a cominciare dall'eccellente idea di tornare al maestro unico (o per meglio dire alla maestra unica, vista la composizione del corpo insegnante alle elementari).


La polemica contro il 'modulo', cioè contro la riforma che portò alle équipe coordinate di insegnanti è un vecchio tema di destra, che si è sempre nutrito di considerazioni in parte economiche e in parte filosofiche. Certo, tre insegnanti al posto di uno costano di più, anche se non tre volte di più, e possono apparire una soluzione corporativa alla crisi demografica, secondo lo slogan 'meno bambini, più maestri'. Le critiche filosofiche invece hanno sempre preso di mira il fatto che il 'modulo' rappresenterebbe un attentato alla libertà d'insegnamento e un attacco gravissimo alla psicologia degli alunni, disorientati dalla varietà delle figure di riferimento.


Nessuno dei fautori del ritorno all'insegnante unico, in politica, ha mai chiesto che si procedesse a valutazioni empiriche sui risultati della scuola elementare, e a confronti con la scuola primaria almeno europea, sui metodi, sulle peculiarità delle pedagogie nazionali. Magari si scoprirebbe che il 'modulo' è una schifezza, ma finora ha funzionato. Magari l'Europa è più avanti, è più indietro, è più di lato, ma l'insegnante multiplo non l'abbiamo inventato noi.


Invece no. Ciò che importa è trasmettere l'idea di un proficuo ritorno al passato, all'ordine, al merito (si fa per dire, naturalmente: sappiamo che la meritocrazia, come la concorrenza, si applica agli altri). È la restaurazione selettiva, rivolta preferibilmente verso i nemici di classe, che per il momento potrà piacere a un paese vecchio mentalmente e provinciale culturalmente, che crede di poter riassaporare i metodi di una tradizione già da un pezzo in frantumi.


Illusioni. Illusionismi. Il tentativo di far credere che i problemi si risolvono a partire dalla coda, guardando a un tempo che non esiste più, quando si faceva la buona azione quotidiana e i dodicenni non compravano la cocaina all'angolo di strada. E allora avanti, c'è modo di fare di più e meglio: abolire la sciagura famigliare del divorzio, tornare all'adulterio punito con il carcere.


E quanto alla scuola, ridateci i meravigliosi professori di 'Amarcord' con i loro tic, quello là che vuol tenere intatta la cenere della sigaretta, quella lì che scandisce "la pro-spet-ti-va!". Tutto stupendo, anche secondo il sessanta per cento degli italiani che nei sondaggi mostrano di gradire: ma noi, noi anime prave, che cosa abbiamo fatto di male, per meritarci tutto questo?


L’espresso (19 settembre 2008)

La privata scuola - 2







Contromano


di Curzio Maltese  


Come rovinare la scuola elementare e vivere felici


La maestra di mio figlio, che di solito mi domanda il favore di fare qualche fotocopia, per evitare di pagarle lei, stavolta mi ha chiesto di prestare il computer per un paio di lezioni. Ho accettato, con una certa perplessità. Sono convinto che, dopo il ritorno del grembiule, della maestra unica, del voto e del cinque in condotta, i prossimi passi saranno il rispolvero dell’abbecedario dei tempi di Pinocchio e del calamaio su cui i «balilla» potranno intingere la penna d’oca. Che senso ha dunque turbare questo percorso formativo con le moderne diavolerie? I nostri bambini crescono in un’Italia che s’interroga sui possibili meriti del fascismo, dove si sogna la riapertura dei bordelli. Nel 2008. Quando saranno grandi, forse dovranno sopravvivere in un Paese che allestisce roghi per gli eretici. Non è meglio che si abituino fin da piccoli a ignorare le conquiste della civiltà?


Confesso un debole per maestre e maestri elementari. Sono stati i migliori insegnanti della mia vita. Professori di liceo e d’università, anche famosi, al confronto sono stati una progressiva delusione. Non si tratta soltanto di esperienza personale. L’Ocse ogni anno certifica che la scuola materna ed elementare italiana è fra le prime del mondo, mentre la nostra università è buona ultima fra i Paesi ricchi.


Ma la frenesia riformatrice si ferma sempre alle soglie degli atenei, perché la mafia dei baroni dispone di un’agguerritissima lobby parlamentare. Così il riformismo alla rovescia di questi anni (che razza di riforma è l’eterno ritorno al peggiore passato?) si è inevitabilmente rivolto contro la scuola che ancora funzionava. Riforme, riformismo è la parola più gradita agli elettori, secondo i sondaggi. A chi scrive fa ormai accapponare la pelle. Da quindici anni i settori più «riformati» sono quelli più devastati. La giustizia, per esempio. Si sperava che la scuola elementare, con i cari e bravi maestri, tanto importanti e ignorati dal discorso pubblico, dalla politica, dai media, dalle fiction, sfuggisse alle grinfie dei falsi riformatori. Niente da fare. Così imparano a fare bene il loro mestiere: il tratto più imperdonabile per la politica italiana. «Ci vorrà qualche anno perché si vedano i risultati della riforma» ha detto la ministra Gelmini. Meno male. A fine percorso, comunque, la scuola elementare sarà portata allo stesso livello dell’università, cioè sotto la media di alcune aree sudamericane. Una sola cristiana consolazione: non verranno tagliati gli insegnanti di religione. Quelli di sostegno, sì.


IL VENERDI’ DI REPUBBLICA 


19 settembre 2008

La privata scuola







Ecco un’eccellente antologia di articoli scritti in apertura di anno scolastico e contro una ministra che non si accorge (tragicamente) del senso del ridicolo in cui sta sprofondando con il suo staff.


Temo, tuttavia, che tutto ciò non servirà. Per loro noi abbiamo perso le elezioni. E, mancando controdeduzioni allo stesso modo in cui a mancare è la connessione tra neuroni con altri apparati del corpo, non rimane che assistere alla penosa sceneggiata di regime.


Per facilitare la lettura ho diviso il post in quattro parti.


 








La scuola che comincia con il lutto al braccio


di FRANCESCO MERLO


La ministra Gelmini li voleva in rosso-Stalin, ma i maestri italiani non sono caduti nella trappola e si sono listati il braccio di nero-Gelmini. Viva, dunque, questa elegante protesta dei maestri che ha messo in lutto il governo e ha spiazzato la ministra che, con la sua corona di neo addetti stampa (ricordate gli utili idioti?) cerca, sogna e brama una sgangherata violenza sessantottina.


Si era insomma allenata, la signora di Brescia, per affrontare gli insegnanti sbracati di cui sparla da quando è diventata ministro. Perciò ora non sa come prendere la contestazione ironica e sobria espressa con quel nero, che lei stessa ama molto indossare e che non strumentalizza proprio nulla, meno che mai i bambini. E ci pare mal consigliata la Gelmini quando sostiene che, con quel nero al braccio, i maestri usano i bambini contro di lei. Gli insegnanti non si sono listati di nero né contro i bambini né insieme ai bambini. Sono in nero perché orfani di chi, meglio di tutti, dovrebbe rappresentarli e proteggerli; sono a lutto del buon governatore comprensivo come un padre di famiglia; protestano perché il ministro, che dovrebbe schierarsi con la scuola tutta, si è invece schierato contro l'anima della scuola. Viene dunque il sospetto che, spiazzata dalla civiltà e dalla compostezza della protesta, la Gelmini abbia usato - lei - i bambini come nascondiglio retorico per il suo disagio, per la sua prima sconfitta. Capita, del resto, alla Gelmini di imputare agli altri i propri peccati. Gian Antonio Stella ci ha raccontato sul Corriere di come proprio lei, che ha sprezzantemente accusato il Sud di regalare titoli di studio agli incompetenti, avesse raccattato un'




abilitazione professionale - avvocato - in un dirupo di Reggio Calabria.


Sono spesso neri i tailleur della Gelmini. Le permettono, grazie alla tinta del rigore, di esporre con dignità tranquillizzante la propria maliziosa femminilità. Anche i maestri italiani, ben lontani dallo stile straccione che la Gelmini vede in loro, hanno scelto il rigore del nero per denunziare, con la stessa dignità tranquillizzante dei sornioni tailleur ministeriali, che la scuola italiana è orfana, anzi è 'adespota' , senza capo, parola di etimo greco che abbiamo imparato in quel liceo che la Gelmini vorrebbe - anche questo! - rimpicciolire, avvelenare e dunque far sparire introducendo - come ha fatto sapere - 'il liceo breve' , che diventerebbe un' altra morte lenta ma, intanto, è già un' altra provocazione. Alle orecchie di chi conosce l' importanza del liceo italiano, - «la sartoria della vita» diceva Lucio Colletti - l' espressione «liceo breve» suona infatti come 'gigante nano' . E vale a poco sostenere che altri ministri dell' Istruzione di destra di centro o di sinistra, avevano già avuto qualcuna delle pensate della Gelmini.


La signora di Brescia non è la prima che, da ministro, maltratta la scuola, che la sottopone alla violenza dell' incompetenza. E ovviamente si capisce che il liceo breve, il liceo ridotto di un anno, farebbe risparmiare altro danaro. Ma non c' è solo la bassa ragioneria all' origine di queste provocazioni. La Gelmini provoca per dimostrare che dietro la formazione italiana, dietro il liceo - soprattutto classico - c' è ancora il sessantotto, ci sono i fannulloni fradici di ideologia comunista, anzi classico-comunista. Ma il liceo italiano non è 'la scuola quadri' dei rivoluzionari frustrati. Stia attenta la Gelmini a toccare il meglio dell' Italia e della sua memoria, la nostra eccellenza, il modello nazionale per il quale ancora, ogni tanto, ci distinguiamo nel mondo. E stia attenta a ripetere che bisogna fare come la Francia o come l' Inghilterra, o ancora come gli Stati Uniti o come la Germania. In realtà una virtù che bisognerebbe a tutti i costi 'rubare' a questi Paesi è il non inseguire modelli stranieri, quasi sempre incomparabili, ma di sostenere e di rafforzare un proprio sistema nazionale. Gli inglesi non vogliono diventare come gli americani né i francesi come i tedeschi (con la stessa, insopportabile retorica si potrebbe consigliare alla Gelmini di farsi... protestante).


E poi, andiamo!, avvocato Gelmini: l' adulto italiano che ripensa al liceo non si ferma alle manifestazioni, alle occupazioni e al 6 politico, ma si abbandona al ricordo della scoperta dei libri, della capacità di resuscitare i morti, dell' universo pieno di miti e di simboli, di quei professori ai quali i maestri che lei umilia devono per esempio l' ironia e l' arguzia di vedere in lei non il nemico di classe, ma la linguaccia lunga di Santippe che, surrogando il linguaggio intelligente, importuna Socrate e infastidisce la decenza (anche se per la verità si sospetta che Socrate si sia convinto a bere la cicuta proprio per liberarsi dalle angherie di Santippe). È grazie al liceo che i maestri italiani stanno affrontando le provocazioni della ministra non con la violenza della demagogia che la Gelmini a tutti i costi vuole (re) suscitare, non con il ritorno di Potere operaio e di Lotta continua che la signora ha bisogno di avere come nemici, ma con il nero dell' educazione civica, con il nero del catechismo morale, con il nero della scienza greca - mélas cholé è lo spleen inglese, l' umor nero, la malinconia della scuola -, e con il nero della scienza latina - nigri sed formosi, neri ma belli direbbe Orazio dei maestri in cromatica rivolta. La verità è che la Gelmini sta cercando con tutte le sue forze la protesta di piazza per poter dire che nella scuola italiana sono tutti comunisti, tutti fuori dalla storia prima che dal mercato. Ne ha bisogno per affrontare la scuola con lo sproloquio di Bossi, con la in-cultura della Lega, con il bisturi economicistico e con la demolizione della presunta egemonia culturale. Insomma la Gelmini si vede già protagonista di una specie di neo maccartismo alle vongole, anzi alla polenta. Speriamo dunque che si diffonda questo tipo di protesta fantasiosa ed efficace.


I colori infatti esprimono benissimo gli umori e rispondono alla regola delle opposizioni. Nei colori c' è l' idea relativista - laica - che anche la protesta è governata da quel principio di indeterminazione che abbiamo imparato al liceo: tutto dipende dalla dose e dal contesto e si può stare con il nero che rimanda al caos dell' inizio o con il nero che rimanda alla dolente compostezza della fine. Come abbiamo imparato ad usare la gobba di Leopardi contro quella di Andreotti così sappiamo che il rosso è allarme ma è anche sangue versato, è aggressività violenta ma è anche amore. E dunque, per esempio, contro Brunetta che sogna l' ipercinesi mercuriale del colore aragosta o del blu elettrico, gli statali potrebbero presentarsi in ufficio con una bandana celeste da fannulloni in relax. E i dipendenti dell' Alitalia potrebbero viaggiare con un arcobaleno di protesta sulla giacca verde... Infine, se la Gelmini dovesse davvero insistere nella volontà di accorciare il liceo, ebbene tutti quelli che lo hanno amato e vorrebbero ancora mandarci i propri figli potrebbero fondare il movimento delle camicie blu cobalto, che è il colore della gonna di quella bellissima dark lady che piaceva da morire al Falcone Maltese, romanzo ovviamente noir.


la Repubblica (16 settembre 2008)