mercoledì 28 febbraio 2007

Dagli amici mi guardo io


Conferenza di Oslo, gli Stati Uniti non prendono parte alla riunione in cui si chiede di rimuovere dagli arsenali le micidiali "bombe a grappolo"


Gli Usa non rinunciano alle 'cluster bomb', respinta la proposta di messa al bando


OSLO - Gli Stati Uniti non intendono rinunciare alle bombe a grappolo, e respingono la proposta di metterle al bando dal 2008, così come chiesto oggi a Oslo da 46 Paesi di tutto il mondo. Lo ha ribadito il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Sean McCormack: Washington "conferma che queste munizioni continueranno a far parte dell'arsenale statunitense e saranno usate rispettando appropriate regole di ingaggio".


L'uomo, Paul Cortez, partecipò con alcuni commilitoni alla violenza sulla ragazzina massacrando anche tre membri della sua famiglia. Ora la condanna


In Iraq stuprò e uccise una ragazzina 100 anni di carcere a soldato Usa


FORT CAMPBELL - Un soldato americano, Paul Cortez, è stato condannato dalla corte marziale di Fort Campbell nel Kentucky, a cent'anni di prigione per aver preso parte alla violenze fisiche e all'omicidio di una giovane irachena di 14 anni e di tre membri della sua famiglia. Lo riferiscono oggi fonti militari. Il militare, un sergente di 24 anni, aveva scelto di dichiararsi colpevole di fronte ai pesanti capi d'accusa (fra cui assassinio, violenza, cospirazione criminale, ostruzione, incendio doloso) per evitare di essere condannato a morte. A novembre un altro soldato americano, James Barker dichiaratosi colpevole per gli stessi fatti, è stato condannato a novant'anni di prigione militare.


Tra pochi mesi gli Usa saranno in possesso dell'SSHCL un'arma mobile che sprigiona la potenza di 100Kw


Un laser da guerre spaziali contro missili e carri armati


LA GUERRA combattuta con armi silenziose ma micidiali è sempre più vicina. Un laser messo a punto solo per scopi militari sta per scendere in campo con l'energia necessaria per distruggere un qualunque mezzo. L'SSHCL (Solid State Heat Capacity Laser) ha raggiunto in questi giorni i 67 kW (kilowatt) di potenza, in laboratorio. Stando ai tecnici ci vorranno ancora 6-8 mesi per raggiungere i fatidici 100 kW necessari per dar modo al laser di diventare un'arma da campo di battaglia. Laser di tale potenza sono in grado di abbattere missili, carri armati e qualunque mezzo militare gli si trovi di fronte.


Fonte: www.repubblica.it 23 febbraio 2007


Simpatici no, ‘sti amerikani. Sprizzano arroganza da tutti i pori. Stupiscono per le vette di eccellenza in stupidità che raggiungono. Certo non rappresentano loro quella presunta civiltà in grado di impartire lezioni all’Oriente. Vediamo ancora quanto sono bravi.


Come un aviere Usa stupra in Italia una bambina ma guadagna l'impunità. http://www.dsonline.it/magazine/documenti/dettaglio.asp id_doc=22954


Il Gazzettino di Venezia 10 maggio 2004


Tre soldati Usa bloccati a Ca' Grimani


Venezia - Sono stati notati - poco dopo le 19 - da una pattuglia dei vigili urbani in servizio nella zona mentre cercavano, tranquillamente,di scavalcare il muro di cinta di palazzo Grimani sede della Corte d'Appello. Immediatamente è scattato l'altolà da parte degli agenti di polizia municipale, ma i quattro a quel punto erano già saltati nel cortile interno. E’ stato subito chiesto, quindi, l'ausilio anche di una Volante della polizia e dei carabinieri per entrare all'interno, dove i quattro sono stati dapprima inseguiti e poi fermati. Autori dell'inspiegabile bravata - che costerà loro cara - tre militari americani della caserma "Ederle" di Vicenza e una ragazza che era in loro compagnia, tutti in apparente stato di ubriachezza. Dopo essere stati tutti denunciati, i tre militari americani sono stati fatti rientrare in caserma a Vicenza.


Il Giornale di Vicenza. Furibonda rissa nella notte: 15 americani prendono di mira alcuni marocchini in discoteca e li seguono in città.


Militari della Ederle distruggono l’interno di un bar


Pesanti danni al "Naat house" di via Moro: statunitensi scatenati placcati solo dai Cc Setaf (d. n.) Militari americani scatenati. Dopo essere finiti nei guai nei giorni scorsi tanto a Roma (un parà della Ederle accoltellato durante una baruffa) quanto a Firenze (tre colleghi arrestati per rissa), la notte scorsa hanno provocato il pandemonio in un bar di Vicenza. I danni all’interno del "Naat house" di via Moro sono ingenti. Quindici militari della caserma di via della Pace sono stati denunciati dai carabinieri della Setaf prontamente intervenuti per calmarli. I marocchini contro i quali se l’erano presa se la sono cavata con qualche botta. L’episodio di violenza risale alle 5 della scorsa notte ma ha un importante antefatto. Gli americani infatti avevano deciso di passare una nottata di festa e divertimento all’interno della discoteca "Nordest" di Caldogno. Nelle sale da ballo erano entrati in contatto con alcuni marocchini e, complice l’alcol bevuto in quantità, era nata un’accesa discussione. Al momento i motivi del contendere non sono chiari, ma potrebbe trattarsi, più che di ragioni religiose, politiche o geografiche, semplicemente di uno sguardo di troppo ad una donna (...) Negli ultimi mesi spesso i carabinieri sono dovuti intervenire per calmare le intemperanze degli americani. Qualche settimana fa cinque parà erano stati arrestati per rissa a Vicenza est (...) Dalla caserma Ederle, quando in primavera fu arrestato da parte della Squadra mobile un paracadutista della 173esima per violenza sessuale, giunsero voci rassicuranti: era in corso un servizio di supporto psicologico per chi era tornato dalla guerra fra i militari a stelle e strisce e le bande irachene. (...)


Il Giornale di Vicenza luglio 2006


Militare americano picchia vigili e Cc


Venezia. Alla festa del Redentore ha decisamente esagerato. In preda ai fumi dell’alcol se l’è presa prima con i vigili urbani e poi con i carabinieri. Dopo aver smaltito la sbornia in cella, ieri il giudice ha convalidato il suo arresto e lo ha rimesso in libertà. Sono stati gli uomini della Militar police della Ederle ad andare a Venezia a recuperare il connazionale Richard Nowelod, 21 anni, e a riportarlo a Vicenza.


L’episodio risale ad un paio di notti fa. Il militare americano di stanza alla Ederle era andato a Venezia a festeggiare ed aveva alzato un po’ troppo il gomito. Vicino a palazzo Ducale ha iniziato ad infastidire i passanti, correndo e buttandosi contro a chi passava. Per questo erano stati chiamati i vigili urbani che gli avevano chiesto i documenti, ma non erano riusciti a calmarlo, anzi, visto che lo statunitense ha reagito. Per questo gli agenti avevano chiesto aiuto ai carabinieri, ma per tutta risposta il giovane li ha aggrediti prima con toni intimidatori, e poi sferrando calci a destra e a manca. Inevitabili le manette; per lui si sono aperte le porte della galera. Ieri mattina l’udienza di convalida e la scarcerazione.


Il Giornale di Vicenza GIOVANE BASSANESE DENUNCIA AI CC «MALMENATO DA 4 SOLDATI USA»


«Sono stato aggredito e malmenato da quattro soldati americani. Il motivo? Aver fatto loro i fari con la mia macchina, mentre procedevano a zig zag. Spero che quanto mi è accaduto non succeda più a nessuno, e ritengo che sia necessaria maggior tutela nei confronti degli statunitensi». A parlare è Alessandro B., 24 anni, studente che vive a Bassano. Assistito dall’avv. Bianchin di Bassano, ha formalizzato una querela nei confronti dei quattro militari su cui stanno svolgendo accertamenti i carabinieri della Setaf che non dovrebbero essere lontani dall’individuarli. (...)


Il Giornale di Vicenza NUMEROSE LE VIOLENZE ATTRIBUITE AGLI AMERICANI. LA DENUNCIA DI UNA BARISTA (d. n.) Ubriachi, rissosi e vandali. Non ha mezzi termini Luigina Stecco, titolare di un bar della zona Est della città nel definire i paracadutisti della caserma Ederle. Non siamo tornati negli anni Settanta, quando le devastazioni erano quotidiane - spiega senza indicare il nome del suo locale perchè teme ripercussioni - ma poco ci manca. Ieri, per lennesima volta, hanno rotto bicchieri e bottiglie nel mio bar. Sono sempre loro. Quelli che tornano dall' Iraq vivono in un altro pianeta, bisogna fermarli in qualche modo. La cronaca delle ultime settimane dà ragione allo sfogo dell'esercente. Sono sempre più numerosi, infatti, gli episodi di violenza che vedono coinvolti cittadini americani. Per citare gli ultimi e più clamorosi, un accoltellamento fuori dalla discoteca "Nordest" di Caldogno, l'arresto di un militare per maltrattamenti e sequestro di persone, le sei denunce per danneggiamenti sabato notte fra corso Padova e viale Margherita, il caos generato all'esterno del ristorante "Da Remo". (...)


Il Gazzettino. Vicenza MILITARE USA E TUNISINO ACCOLTELLATI AL NORDEST

(B. B.) Accoltellamento all'alba davanti al Nord Est, la frequentatissima discoteca di Caldogno, meta anche di moltissimi militari Usa. Qui, l'altra mattina alle quattro, è scoppiata una rissa furiosa. La lite, che sarebbe degenerata a causa dell'alcol, è stata talmente violenta che sono volati coltelli. Sono rimasti gravemente feriti Marcus Klenn, 22 anni, militare alla Caserma Ederle, e un extracomunitario tunisino. (...)


Il Gazzettino. Vicenza PARÀ TEPPISTI Undici auto danneggiate. È il risultato di un raid dei sei parà della caserma Ederle tutti un po' alticci. La notte tra sabato e domenica i militari americani hanno sfogato la loro rabbia causata dai fumi dell'alcool prendendosela con le auto parcheggiate soprattutto in via Padova. Sono stati denunciati e riportati dalla polizia militare nella caserma di viale della Pace.


VICENZA: STUPRATORE STATUNITENSE RICEVE ATTENUANTI PERCHE' HA FATTO IL SOLDATO IN IRAQ  La gravità di uno stupro va attenuata se a commetterlo è stato un militare appena tornato dalla guerra, per le tremende prove che è stato costretto a subire. «Appare verosimile che l’imputato, nel suo lungo periodo di permanenza in Iraq, abbia quantomeno assistito a scene di violenza che nulla avevano a che fare con la necessaria violenza bellica».

È un passaggio della motivazione della sentenza con cui il collegio ha condannato un soldato americano ritenuto responsabile di violenza sessuale e lesioni. Il parà è stato condannato in novembre a cinque anni e otto mesi e a versare 100 mila euro alla vittima, una nigeriana di 27 anni. Perchè la picchiò selvaggiamente, la ammanettò e poi la violentò con modalità orribili causandole lesioni che la costrinsero a restare in ospedale per 20 giorni. I fatti risalgono al 22 febbraio 2004. (...)


Il Giornale di Vicenza 10 Marzo 2006 STUPRÒ BALLERINA, 3 ANNI 4 MESI Lei contro lui. Due versioni diametralmente opposte. Il giudice ritiene che il racconto della ragazza sia veritiero. Si traduce che il sesso estorto con la violenza psicologica, prima ancora che fisica, costa 3 anni 4 mesi di reclusione e un risarcimento parziale, ma subito esecutivo, di 25 mila euro. Il parrucchiere della caserma Ederle Cristopher Johnson, una ragazzone di colore di 23 anni, che fu arrestato a ottobre dai carabinieri della Ederle, si proclama innocente. [...]


E questi sarebbero i nostri amici? A questi dovrebbe essere concesso di raddoppiare non solo base militare, ma anche presenze, prepotenze e stupri? Il masochismo governativo non conosce confini, sia esso di centrodestra che di centrosinistra. Succubi sempre, liberi mai è la logica conclusione. Piuttosto mi scuso se mancano alcune date dalla rassegna stampa, ma insomma ci siamo capiti e non servono ulteriori dettagli. Per consultazione: http://www.altravicenza.it/ (da cui è tratta la foto: Nuova Piazza dei Signori) e il blog http://presidiopermanente.noblogs.org/.


A conclusione di un altro post più da conservare come documentazione che da mordiefuggi...


«Evviva, a Vicenza avremo cento aerei da passeggio...»

Un testo inedito di Dario Fo e Franca Rame che sarà recitato nelle giornate contro la base di Vicenza


l’Unità 14 febbraio 2007


Evviva! Avremo anche noi una potente aviazione da guerra con la bellezza di 133 aerei da combattimento che abbiamo appena ordinato agli Stati Uniti.

Qualche giorno fa il senatore Lorenzo Forceri, su incarico del Governo, si è appositamente recato, quasi in segreto, a Washington per firmare l'accordo. L'acquisto ci costerà molto caro, ma alcuni tecnici della coalizione governativa ci assicurano che sarà un affare. Ogni macchina da guerra volante verrà assemblata in Italia, esattamente in un grande ateliér di alta meccanica presso Novara. Ci lavoreranno circa 200 operai. Evviva! Così abbiamo risolto il problema dell'occupazione e dei precari. È importante sapere il nome con cui vengono ufficialmente chiamati questi apparecchi d'assalto: Joint Strike Fighter che, tradotto un po' all'ingrosso, significa caccia bombardiere d'attacco e immediata distruzione. Ma scusate: Prodi e il suo apparato governativo non ci avevano assicurato che tutte le nostre missioni all'estero, a cominciare dall'Afghanistan, sarebbero state assolutamente missioni di pace e profondamente umanitarie? Io mi credevo che «immediata distruzione» significasse cancellazione totale di obiettivi militari e anche civili casualmente abitati dalle solite vittime collaterali con lancio di napalm, bombe a grappolo e fosforo bianco. «No!», sono stato subito corretto dalle dichiarazioni dei ministri della guerra Usa. Ci hanno spiegato che quelle bordate di luce accecante sono in verità luminarie per creare effetti festosi e rendere splendenti le immagini paesaggistiche della zona. Ma veniamo al dunque. Cosa costa in realtà ogni singolo «Fighter Distructor»? Ecco la cifra: esattamente 100 milioni di euro cadauno. Ma non si concedono prototipi singoli: il contratto vale solo se si acquista lo stormo al completo. Nel nostro caso si tratta di 133 aerei. Prendere o lasciare! Così il blocco volante ci verrà a costare 13 miliardi di euro più trasporto, assemblaggio, tecnologia di ricambio, macchine robotiche e uno staff di tecnici della casa costruttrice per la manutenzione e le varianti tecnologiche, giacché il vero collaudo dei volatili meccanici dovrà svolgersi sulle nostre basi che evidentemente abbisogneranno di strutture e hangar speciali. Gli apparecchi di questo stormo avranno eccezionalmente la facoltà di essere riforniti di carburante in volo, quindi la nostra squadra fighter dovrà essere dotata di apparecchi cisterna che seguiranno la flotta di combattimento per pompare a tempo debito il pieno necessario all'azione. Nelle spese dobbiamo ancora aggiungere l'assetto tecnico per i piloti in combattimento: armi leggere di bordo, mitragliatrici da 20 millimetri, razzi e missili, qualche cannone per non essere da meno e la possibilità di caricare ogive atomiche tattiche o pesanti. Il tutto non è compreso nel prezzo iniziale. (...)

I velivoli in questione sono prodotti da una nota impresa aeronautica, la Lockheed, la stessa che una trentina d'anni fa pagò nostri ministri e capi del governo della Dc, versando miliardi in tangenti, perché lo Stato italiano scegliesse di acquistare da loro speciali aerei da guerra. Ma allora è proprio un vizio! È inutile, quello è il motto dei nostri dirigenti moderati: «Se proprio non vuoi prostituirti, almeno chiudi un occhio e collabora!».

Ma qui c'è un'ulteriore notizia veramente gustosa: veniamo a sapere che la Lockheed in questione ha proposto l'acquisto degli stessi «Fighter-ammazza-e-fai-strage» all'Olanda. Il governo dell'Aia, come sua abitudine, di democrazia reale, ha reso nota al pubblico l'operazione e ha richiesto all'America i progetti e gli abbozzi di prototipi. Dopo averli esaminati per lungo tempo con la consulenza di ingegneri specialisti del settore, ha decretato: «Grazie, ma non se ne fa niente. Questi apparecchi non corrispondono ai requisiti che si promettevano nel progetto. Per di più ci verrebbero a costare una pazzia e noi non siamo in grado di sostenere un simile salasso. Quindi rigettiamo la proposta. Ci spiace, ma sarà per un'altra volta». (...)

Vicenza: una base militare? No… solo culturale! (...) Ed ora veniamo a noi, cioè parliamo di Vicenza, la città del Palladio e culla della commedia dell'arte, il più famoso teatro della tradizione antica italiana. Qui si sta progettando un ingigantimento dell'attuale caserma Ederle e della realizzazione della più potente base americana nell'Europa. Qui verrebbe ospitata la nuova 173ma brigata aerotrasportata, che triplica la forza e gli organici di quella ora divisa tra qui e le basi tedesche di Bamberga e Schweinfurt. (...) Però nella città del Palladio non vedremo giungere solo uomini. La 173ma brigata non è composta da soli paracadutisti e aviotrasportati. Reca con sé un bagaglio più che consistente: 55 tank M1 Abrams (cioè proprio pesanti! Con cannoni da 90 a 120 millimetri), 85 veicoli corazzati da combattimento, 14 mortai pesanti semoventi, 40 jeep humvee con sistemi elettronici da ricognizione, due nuclei di aerei spia telecomandati Predator, una sezione di intelligence provvista di diavolerie elettroniche, due batterie di artiglieria con obici semoventi e i micidiali lanciarazzi multipli a raggio lungo Mrls. Un forza d'urto sufficiente a cancellare una metropoli! E già che siamo sotto Carnevale si può ben dire una scatenata festa coi botti!

A detta del generale James L. Jones la 173ma brigata è da chiamarsi «maglio mobile con la potenza di fuoco di una divisione d'attacco immediato». Per chi ama il cinema il nome 173ma brigata fa subito venire in mente Apocalypse Now, dove proprio il contingente d'attacco in questione si esibiva al comando di un capitano-cowboy nella distruzione di villaggi e massacro di popolazione in Vietnam al suono delle Valchirie di Wagner.

Prego… benvenuti nella dolce Padania, accomodatevi! Mentre sorpassate coi vostri elicotteri bombardieri il Mekong, sì voglio dire… il nostro Po, per delicatezza, vi dispiace mettere in onda il Va pensiero di Verdi se in un momento di euforia vi scappa di gettare napalm? Ma il nostro governo, attraverso i suoi ministri, insiste ad assicurare che nella base non ci saranno armi di alcun genere, neanche temperini e tagliacarte!

A parte i lazzi da commedia dell'Arte, per ospitare degnamente tutta questa forza di fuoco, abbisogneranno strutture e sovrastrutture nuove ed efficienti. Il movimento di questi mezzi d'attacco, camion blindati, carri da sfondamento, tank…, avrà bisogno di strade adatte e solide… soprattutto sgombre. Non si accettano ingorghi e traffico caotico, niente biciclette, bambini e vecchietti curiosi. Stare alla larga, prego!

Il Ministro Parisi ha tranquillizzato la popolazione, letteralmente garantendo che: «Il governo ritiene suo dovere vigilare affinché le opere che verranno realizzate siano rispettose delle esigenze prospettate dalle comunità locali, con particolare riferimento all'impatto sul tessuto sociale, sulla viabilità e sulla rete dei sottoservizi» (la Repubblica, 31 gennaio p. 10). Inoltre ha assicurato che il Comune sarà esonerato dalle spese per le infrastrutture e che i servizi sportivi, scolastici e naturali (ora in funzione, da abbattere) verranno ricollocati e ricostruiti altrove a carico degli americani. Ricostruire? Ma dove? Quando? Dov'è il progetto da discutere? (...)

Chissà se ai nostri controllori della Repubblica italiana sarà permesso anche di verificare che nella base di Vicenza, oltre che a uno stivaggio di svariate tonnellate di proiettili di vario calibro, non si trovino per caso anche ogive atomiche. Stiamo esagerando? Facciamo del terrorismo gratuito? E allora, eccovi qua la testimonianza del Natural Resources Defence Council (Stati Uniti). Secondo questa autorevole fonte sarebbero 40 le testate nucleari stoccate nella base di Torre di Ghedi (provincia di Brescia) e 50 quelle custodite ad Aviano, della potenza variante da 0,3 a 170 chilotoni (quella della bomba sganciata su Hiroshima era di circa 15 chilotoni), tutte bombe, queste, stivate nelle nostre basi a disposizione di Tornado anche dell'aviazione militare italiana. Se gradisce… Quindi stiamo tranquilli, noi qui nel nord siamo al caldo!

Qualcuno, scrivendo su testate di prestigio, si è chiesto se non fosse stato più ragionevole e comodo scegliere come base e relativo nuovo aeroporto uno spazio più consono, situato in una piana meno abitata e sgombra di fabbriche come è la zona intorno a Vicenza, il cui centro dista meno di due chilometri dall'aeroporto in costruzione. A parte il frastuono al quale saranno sottoposti gli abitanti, sorvolati di continuo da jet urlanti in quantità da incubo, essi vicentini saranno vivacemente irrorati dagli scarichi del carburante a iosa… tutta salute!

«Ci voleva poco - commenta l'autore dell'articolo - a trovare nella nostra penisola qualche spazio più adatto alla bisogna». Ma ecco che in merito risponde Luttwak, il noto consulente strategico del governo Bush che spesso appare ospite sulle nostre reti televisive, che parla come Stanlio e Olio. Egli ammette che sarebbe stato facile trovare un altro spazio meno urbanizzato, ma la scelta di Vicenza è dovuta al particolare che una grande percentuale di militari delle truppe ospitate proviene da università e college prestigiosi, dove ha condotto studi umanistici e d'arte. Per cui essi specificamente hanno richiesto di potersi insediare nei pressi di una città d'arte famosa come la patria del Palladio, onde poter arricchire la propria cultura e godere del piacere insostituibile della bellezza.


Quindi, vicentini, siate orgogliosi per la scelta che hanno fatto le truppe di sfondamento aerotrasportate. Sì, dovrete sopportare qualche fastidio, a partire da un traffico d'inferno, pericolo di contaminazioni radioattive, controlli continui, divieti, rischiare di essere scambiati per terroristi…, ma non si può avere tutto dalla vita: la gloria e pure la tranquillità e il benessere! Quindi godetevi 'sta pacchia!!! Alleluia!!

martedì 27 febbraio 2007

15 anni dopo


la Repubblica - Giovedì, 20 febbraio 1992 - pagina 6


di VITTORIO TESTA


L' ITALIA DEGLI SCANDALI


PER IL PSI ORA CHIESA E' UN MARZIANO


'Un caso grave, ma personale' Craxi è infuriato, il partito teme danni elettorali ' Ma che cosa dovremmo fare, creare dei servizi segreti al nostro interno?'


MILANO - Come l'ha presa Craxi? "Maluccio...". "Era fuori dalla grazia di Dio". Da Torino, dov'è in corso l'assemblea nazionale socialista col segretario che presenta ai piemontesi il programma del Psi per la prossima legislatura, s'annunciano tuoni e fulmini su Milano. Il 5 aprile, quanto costeranno al Psi quelle settanta banconote da centomila incassate, anzi "estorte" dal presidente della Baggina, il rampantissimo socialista Mario Chiesa, finito dritto dritto a San Vittore, al titolare dell'impresetta di pulizie? Davanti alla paura di quel danno il Psi milanese ondeggia tra le facce scure e gli scarni monosillabi elargiti con il patto dell'anonimato ("Da un pezzo si sentivano chiacchiere, non si poteva far qualcosa?") e il tentativo di esibire la sicurezza di chi, davanti alla disarmante, brutale evidenza dell'accaduto, ritiene di poter sbandierare l'estraneità del partito. "Si tratta di una vicenda personale", ripetono i dirigenti socialisti milanesi. "Siamo di fronte non a un episodio prodotto da un sistema - dice Ugo Finetti, vicepresidente della Regione - ma a un caso patologico". "Chiesa era un amministratore pubblico dall'immagine di grande efficienza - aggiunge Bruno Falconieri, segretario provinciale socialista - La bontà delle realizzazioni compiute da lui alla Baggina è stata riconosciuta persino dal procuratore generale, il magistrato Borrelli. Ieri sono andato a parlare di persona con i magistrati che indagano, ho detto loro che il Psi milanese non è neppure sfiorato dal minimo dubbio circa la loro correttezza. Ma quali complotti a sfondo elettorale! Quel che ha commesso Chiesa è intollerabile, gravissimo. Ed è importante che la magistratura aiuti noi dirigenti di partito a scoprire le magagne, a individuare chi anche tra noi deve essere allontanato. Da soli non riusciremmo. Che cosa dovremmo fare? Creare dei servizi segreti dentro il partito?". Bobo Craxi, segretario cittadino, sospira e ha un fil di voce. Chiesa, come si dice in gergo politico, gli era molto vicino; insieme avevano fatto più d'una uscita pubblica al fianco dell'allora sindaco Pillitteri. Chiesa sorrideva di gusto accanto al cognato e al figlio del gran capo. Dice Bobo: "Sì, avevo buoni rapporti con lui, come molti altri compagni. Sono rimasto sbalordito, ma la situazione è imbarazzante per lui, non per me. Che ne potevo sapere io? L'abbiamo espulso dal partito, il Psi è estraneo a questa vicenda, che deve insegnarci comunque a tenere gli occhi aperti, a essere pronti a denunciare, noi per primi, eventuali casi di tangentomania". Prevedibili danni elettorali? "Non credo", dice Falconieri. "Nemmeno io", concorda Bobo. "Danni grossi, non penso - sostiene Carlo Tognoli, ministro ed ex sindaco - Certo non aiuta... Soprattutto, se se ne parlerà ancora per un mese". Tognoli si dice "dispiaciuto" e "amareggiato", ricorda d'avere più volte sottolineato l'esigenza di rafforzare i controlli su prezzi, gare, preventivi e consuntivi dei lavori pubblici. Chiesa era in passato etichettato "tognoliano", nella geografia socialista milanese? "Sì ho avuto buoni rapporti politici con lui, quand'ero sindaco. Poi ci siamo persi di vista". Chiesa era chiacchierato? "Questo non lo so, ripeto che avevamo rapporti politici. Mai stato a casa sua, per capirci". "Mi auguro che il mio partito affronti con decisione la questione morale", afferma Paolo Malena, ex assessore, pronto a correre nella lista del 5 aprile. Insomma, sussurri, toni pacati, quasi che con le buone maniere si potesse mettere una sorta di silenziatore a una vicenda di quelle fulminanti, da lasciare di stucco. Sette milioni, la metà del "pizzo" preteso da un piccolissimo imprenditore per un appalto da 140 milioni, quisquilie in un ente come la Baggina dal patrimonio di 60 miliardi e un grande giro di forniture. Quel che annichilisce lo stato maggiore socialista, ma soprattutto la città, è la mancanza assoluta d'una qualche grandezza, in questa vicenda da cifre e modalità in puro stile da racket. Non vi è il sospetto dell'enorme tangente destinata al partito (com'era invece nel caso di Antonio Natali, allora presidente della metropolitana), né sentore di truffa organizzata da un genio malvagio. "Accattonaggio, taglieggiamento di poveretti", dice sdegnato Piergianni Prosperini, assessore della Lega Nuova. "La meraviglia dei socialisti mi fa sorridere - commenta Basilio Rizzo, consigliere verde - Tutti sapevano e sanno che Chiesa è uno degli uomini del Psi in azione sul confine tra politica e affari". E Rizzo annuncia battaglia in Consiglio comunale, venerdì sera. Il Comune si costituirà parte civile contro Chiesa? Il sindaco Piero Borghini non ha dubbi: "Se la vicenda dovesse arrecare danni agli interessi della collettività, è chiaro che ci muoveremo senza alcuna esitazione".


la Repubblica - Domenica, 23 febbraio 1992 - pagina 5


g v


VERSO LE ELEZIONI


NON E' UN LADRO DI POLLI


PAREVA un ladro di polli, soprattutto per il modo sventato del ladrocinio. Ma quella di Mario Chiesa, manager socialista di orfani e vecchietti, non era mancanza di professionalità nella ruberia, con quel passaggio di soldi così poco accorto e clandestino. Era protervia, sicurezza d'impunità. Quanto al bottino, non si tratta proprio di polli, anche se il caso procede a sussulti fra rivelazioni miliardarie e smentite del magistrato. Attorno agli ottuagenari della Baggina e alle loro probabilissime scadenze mortuarie, l'uomo di tutte le correnti socialiste milanesi (la sua carriera ha avuto, nel tempo, diversi padrini) ha costruito una proficua catena di montaggio della 'stecca' : tangenti dalle imprese di pulizie e da chissà quali altri appalti per il funzionamento del nosocomio, dell'orfanotrofio e, pare, cointeressenza nelle pompe funebri a cui piamente affidava l'estremo viaggio, l'ultima dimora dei suoi assistiti: piamente e a getto continuo perché l'età dei ricoverati assicurava un oliatissimo flusso di cadaveri a questa 'combine' mortuaria. Nella lunga, fittissima storia degli arraffa-arraffa italiani, questo è agghiacciante per la speculazione attorno alla vecchiaia, al senso sociale della comunità milanese e alla morte. Chiesa è stato scaricato dal Psi e, adesso, l'avvocato difensore racconta di averlo trovato intento a una smania epistolare, quasi a fare intuire un suo "muoia Sansone con tutti i filistei". Ma ha davvero poca importanza capire se la poiana abbia rubato solo per le sue tasche o se abbia passato al partito poco o tanto del suo bottino. Più che indignazione quest'ultimo scandalo detta sentimenti di sconfortato raccapriccio.


la Repubblica - Martedì, 25 febbraio 1992 - pagina 11


LUCA FAZZO


L' ITALIA DEGLI SCANDALI


'MARIO I SOLDI LI DAVA AL PARTITO'


La madre di Chiesa accusa, adesso l'inchiesta si sdoppia. I difensori dell' esponente socialista potrebbero chiedere, per la tangente di sette milioni, il patteggiamento della pena. Ma si indaga anche su altre attività dell'ex presidente del Pio albergo. Il consiglio comunale, intanto, vota le dimissioni del neo commissario del Pat


MILANO - "E' stato un incidente, e lui ha confessato. Ma perchè lo mettete in croce? Perchè parlate tanto dei soldi che ha preso, e non parlate dei soldi che dava?". A chi, signora Chiesa, suo figlio dava i soldi? "Al partito, a tutti..". E i 4 miliardi che le hanno trovato nella cassetta di sicurezza, e che i giudici sospettano invece che appartengano a suo figlio? "Quei soldi sono miei e di mio marito, sono il lavoro di tre generazioni della nostra famiglia. Il resto, tutte le cose che hanno scritto, sono tutte diffamazioni". Una villetta dignitosa Ambra Chiesa è una anziana e bella signora lombarda, tormentata dall'amarezza di una madre che vede precipitare nella polvere un figlio di cui andava presumibimente orgogliosa. Accanto a lei, nella dignitosa villetta dietro alla montagnetta di San Siro, c'è il marito Luigi, classe 1908, milanese anche lui, geometra del Comune in pensione. Anche loro, i genitori dell'ex leone rampante del Psi milanese, arrestato una settimana fa nel suo ufficio al Pio Albergo Trivulzio, si sono ritrovati catapultati nell'inchiesta. Tutta colpa di quella cassetta di sicurezza della Banca del Monte di Lombardia - la stessa banca che ha i suoi sportelli all'interno del Pio albergo - dove i carabinieri del giudice Antonio Di Pietro hanno scovato il malloppo di titoli al portatore. Altri soldi sono spuntati da altri conti correnti, intestati anche questi a parenti dell'ingegner Chiesa. "Io credo che anche il partito socialista milanese sia esterrefatto dalle cifre che si leggono in questi giorni - dice un vecchio e autorevole esponente del partito - di chiacchiere su Chiesa se ne facevano tante, che fosse un buon finanziatore di campagne elettorali altrui era noto. Che per sè stesso avesse mire precise, anche: alle ultime elezioni amministrative, rifiutò il posto in lista perchè non gli era stato garantito ufficialmente un posto di assessore. La domanda che tutti adesso si fanno, naturalmente è: i soldi li chiedeva per sè stesso o per il partito? Se devo giudicare dalla rapidità con cui Chiesa è stato scaricato, direi che il partito non c'entra, non ha timore di poter essere chiamato in causa". A cosa si riferisce allora, se davvero così stanno le cose, la mamma dell'ingegnere arrestato quando parla dei soldi che il figlio dava al partito? È questa una delle molte domande cui i carabinieri del nucleo operativo e quelli della "squadretta" del giudice Di Pietro stanno cercando ora di dare una risposta. Una ricerca compiuta attraverso decine di interrogatori - ieri, per la terza volta, sono state torchiate a lungo le tre segretarie dell'ex presidente del Pio albergo - e attraverso il controllo della folta documentazione sequestrata negli uffici della "Baggina" e in via Soresina, dove Chiesa aveva la sua sede di rappresentanza personale: tra capitolati di appalto, fascicoli di pratiche edilizie e floppy disk coperti da una serie di parole chiave i militari dell'Arma milanese stanno cercando di dare un contorno preciso al patrimonio accumulato dall'ingegnere. L'impressione è che l'inchiesta si stia per sdoppiare: un primo troncone, relativo alla tangente di sette milioni versata dall'impresa di pulizie Ilpi (è l' episodio per il quale Chiesa è stato arrestato in flagrante, subito dopo avere ricevuto le banconote numerate e firmate) si dovrebbe chudere nell'arco di pochi giorni. Probabilmente la difesa punterà a patteggiare la pena senza neppure arrivare in aula. Ben più complesso il secondo filone, quello delle vaste attività su cui oltre un anno di indagini ha permesso di metter gli occhi. Circola con insistenza la voce che nella disponibilità di Chiesa ci siano altre somme, forse altrettanto consistenti di quelle sequestrate finora. Il tesoro sarebbe suddiviso in altre cassette di sicurezza di banche lombarde, in titoli e in libretti di risparmio al portatore. Per i carabinieri sarebbe come cercare un ago in un pagliaio, se non ci fossero a guidarli una serie di spunti: i conti correnti già venuti alla luce - che in queste ore vengono passati ai raggi X - e i legami di Chiesa con Roberto Sciannameo, socialista, uno dei re delle pompe funebri milanesi, titolare anche di aziende immobiliari, edili, di marmi, di cooperative per l'ediliza popolare. Un personaggio assai noto, da 20 anni in rapporti con Chiesa. Una delle sue aziende, la Crof (Consorzio rhodense onoranze funebri), nello statuto porta come scopo sociale: "Moralizzare il settore delle imprese di pompe funebri e svolgere l'insostituibile servizio a favore della comunità, non con mero spirito di speculazione ma anche con servizi gratuiti a favore di bisognosi". In cella singola a San Vittore. Una dichiarazione di principio che suona quasi grottesca, dopo le accuse piovute in questi giorni sui rapporti preferenziali instaurati tra le pompe funebri di Sciannameo e il Pio albergo Trivulzio durante la gestione Chiesa (e, ancor prima, con l'ospedale Sacco quando Chiesa ne era direttore tecnico). L'ex presidente del Trivulzio è ora detenuto in una cella singola del carcere di San Vittore, nel cosiddetto "lato B" destinato ai detenuti in isolamento: ma è un isolamento dettato solo da ragioni di opportunità, non di segreto istruttorio. Ieri sera, intanto, il consiglio comunale milanese ha votato un ordine del giorno con cui invita l'avvocato Guido Viola a lasciare la poltrona di commissario del Pio albergo Trivulzio. A questo incarico, Viola era stato nominato solo pochi giorni fa dopo l'arresto di Chiesa. Il consiglio ha chiesto il suo allontanamento avendo preso atto, su segnalazione del verde Basilio Rizzo, che l'avvocato in passato si era già occupato del Trivulzio come magistrato.

lunedì 26 febbraio 2007

Vicenza, oh cara


Vicenza vista dall'alto


La città palladiana è dell'umanità, non degli Usa. Una lotta globale. Dalla terrazza panoramica si capisce un altro perché del rifiuto democratico alla nuova base


Marta Ragazzino


il manifesto 21 febbraio 2007


Bastava salire di poche centinaia di metri sul Monte Berico che domina Vicenza, superare la Rotonda di Palladio e la villa Valmarana affrescata da Tiepolo, raggiungere il Santuario con la sua basilica barocca ed affacciarsi dalla terrazza panoramica di piazza della Vittoria a guardare la città dall'alto, per capire. Al santuario con terrazza di Monte Berico ci si può arrivare salendo per la strada carozzabile ma anche a piedi, seguendo il bel porticato settecentesco che, partendo dalle mura scaligere, si inerpica per settecento metri, raccordando la città «a forma di scorpione» al complesso in cima alla collina: si narra che anche Goethe l'abbia percorso per guardare nella sua interezza la città palladiana e abbia apprezzato il semplice e lunghissimo porticato più dell'imponente basilica barocca.


Basta vedere Vicenza dall'alto per capire, senza bisogno di altre spiegazioni, l'assoluto errore, «senza se e senza ma» come dicono i cittadini vicentini - e hanno ripetuto tutte le donne salite sul palco sabato scorso - del progetto della nuova base militare al Dal Molin.


Il colpo d'occhio è efficace, lascia stupefatti e non concede alcun margine di incertezza: la città è tutta lì sotto, con i suoi monumenti splendidi e famosi, che l'Unesco ha iscritto nella Lista dei beni che fanno parte del Patrimonio dell'Umanità. Monumenti tardo gotici e rinascimentali che, pur dall'alto, sembrano vicinissimi: la basilica palladiana, le belle chiese, il Teatro Olimpico, i palazzi dalle preziose facciate, il municipio, la Torre di Piazza, la Loggia; si intuisce persino il tracciato della città romana ora ridisegnato dai portici di quella medievale e moderna.

In effetti Vicenza è una città piuttosto piccola, conta 150.000 abitanti, meno di quelli che si sono dati appuntamento sabato per difenderla dallo scempio approvato anche da Prodi (forse perché l'80% dei vicentini ha votato a destra e Vicenza è considerata terreno elettorale perduto, come sospettano i cittadini di «sinistra»). Decine di migliaia di persone, forse 200.000, che hanno manifestato pacificamente, camminando tutto attorno al tracciato delle mura scaligere che circondano il centro storico. Già, il centro storico. Guardando dalla balconata si vede, sulla sinistra, giusto al margine dell'abitato, la base che c'è già, quella di Ederle. Dall'altra parte, molto prossima al centro storico, proprio dove sono i monumenti cari a tutto il mondo, si vede invece una grande area verde guarnita da un bosco e confinata da un piccolo fiume, il Bacchiglione, che traversa la città. A ben vedere dall'alto della collina, si tratta dell'unica area non costruita di Vicenza, potrebbe essere, con gran vantaggio per tutti gli abitanti (ad esempio per tutti quei bambini che hanno sfilato in corteo tra passeggini, palloncini e maschere di carnevale), un parco, un giardino.

Invece è il Dal Molin, l'aereoporto che si vorrebbe trasformare nella temuta nuova base militare americana. Proprio lì, dentro all'abitato, nel cuore della città fondata dai romani, a poche centinaia di metri da quel centro storico che per l'Unesco è «patrimonio di tutto il mondo», a un tiro di schioppo dai monumenti di Andrea Palladio, uno dei più importanti architetti del Cinquecento, che è, con i suoi capolavori, il simbolo di Vicenza, a cui è dedicato un importante Centro internazionale di studi e rappresenta uno degli aghi della bilancia della vita culturale cittadina.

Buttare lì una base militare rappresenta, basta guardare per capire, un vero e proprio insulto al patrimonio culturale (vicentino, nazionale e mondiale), un bene comune prezioso e «inalienabile», sul quale si fonda la nostra identità civile. In effetti, a guardar meglio, l'affaire del Dal Molin, oltre ad essere un problema politico, e dei più gravi, è anche un problema culturale, urbanistico e ambientale. Progettare edifici e strutture militari, tra l'altro con funzioni offensive e per un paese straniero, nell'unica area verde di una città storica ricca di monumenti di tale riconosciuto «valore» non dovrebbe essere consentito dalle leggi che proteggono il nostro patrimonio culturale e ambientale. In effetti, la nostra legislazione di tutela, che era la più avanzata, rigorosa e imitata del mondo (prima di essere pasticciata dal precedente governo, interessato a far cassa con i beni culturali), è dotata di norme, dirette e indirette, che impediscono di violentare quel paesaggio culturale che caratterizza tanto peculiarmente il nostro bel paese.


Stesso discorso vale, a maggior ragione, nelle città storiche: esistono, oltre alle norme dei piani regolatori e ai vincoli diretti (che riguardano edifici storici), addirittura vincoli di «rispetto» (ovvero indiretti) che limitano (nell'altezza, nel sedime, nel volume, nella tipologia) o addirittura vietano la costruzione di edifici in prossimità di monumenti o edifici storici.


Ma lo strumento più importante che la legislazione di tutela statale ancora prevede (condividendola con la legislazione regionale concorrente) è la Valutazione dell'impatto ambientale (Via) ai cui dovrebbero essere sottoposti i nuovi progetti, le nuove strutture di pertinenza dello stato, come sono le cosiddette «grandi opere». Il discorso dovrebbe valere anche per le strutture strategiche, militari, direzionali, soprattutto se queste sono progettate all'interno di un nucleo urbano dalle straordinarie caratteristiche storiche, culturali e architettoniche come Vicenza. Per questa ragione il Ministero che si occupa del patrimonio culturale e del paesaggio, attivato dal Ministero dell'ambiente, dovrebbe, ai sensi dell'art. 26 dell'attuale Codice, autorizzare per parte sua, previa istruttoria delle soprintedenze territoriali competenti, tali progetti in base alla Via. Quella della Via è dunque una buona strada da seguire, bene hanno fatto i Verdi a fare interpellanza. Ragionevole sarebbe scatenare un movimento internazionale d'opinione su questo delicato quanto trascurato aspetto.

Vien fatto di chiedersi se Rutelli, che in qualità di vice premier tanto frettolosamente si è espresso sull'ordine pubblico, ha trovato o troverà tempo per affacciarsi, come ministro dei beni culturali, dalla balconata del Monte Berico.




Si legge con molto piacere questo bel pezzo su Vicenza, quasi un inno d’amore alla suggestiva città veneta. Talmente volgari appaiono così i bagliori di guerra, le amerikanate, le pretese di dettare ordini, fare e disfare, insultando cittadini e ambiente, violando il buon senso e la volontà di pace che sono stati ribaditi. Calpestando soprattutto la sovranità nazionale, ridicolizzata per l’ennesima volta. Eppure temo che avranno ragione, purtroppo, i nuovi barbari.


Auguro al presidio Dal Molin solida tenuta e la realizzazione dei “desiderata” che poi sono anche della maggior parte degli italiani. Come conferma un sondaggio de “la Repubblica” del 20 febbraio (pubblicato il giorno dopo). Dopo il corteo, si dibatte sulla possibilità di cambiare il progetto della base Usa. Alla domanda: “Vicenza, cambiare la base?” aveva risposto affermativamente l’87,1% dei lettori. “Giusto. Bisogna tenere conto della volontà espressa dai manifestanti”. Invece è sbagliato per il 12,9%, perché “l’impegno è stato preso e cambiare significa cedere alle espressioni di una parte”.


Ma la sensibilità e l’attenzione verso i cittadini sono scarse anche da un governo di centro e(pseudo)sinistra e pure il presidente Napolitano ha una crisi di senescenza quando afferma che le manifestazioni di piazza "sono legittime, ma è fuorviante farne il sale della democrazia". Ha tristemente ragione Beppe Grillo. Scriveva il 23 febbraio: “Sia gentile, caro dipendente del Consiglio: le ho lasciato una cartellina con i caratteri in oro. Conteneva le primarie dei cittadini. Se può me la restituisca”. Forza Vicenza.

venerdì 23 febbraio 2007

Cadere per Kabul?


Ho ricevuto questa lettera da lontano, alcuni giorni fa.


“Sono nella valle del Panjshir in Afghanistan e ancora una volta con Emergency. Sono arrivato, sano e salvo e dopo tanto penare, al primo ospedale aperto da Emergency in Afghanistan. La valle del Panjshir, un posto incredibile e ricco di storia. Le montagne immobili da secoli, al momento coperte da una soffice neve caduta alcune settimane fa, parlano di storia, di combattimenti, di gente dura e fiera che solo ora, dopo tanti anni, inizia ad alzare la testa. La valle del comandante Massoud, il leone del Panjshir, che combattè per anni contro l’avanzata russa e contro il potere politico-religioso delle forze talebane. Il comandante che ancora è ritratto su tutte le macchine della zona, sui tappeti per la preghiera, sulle pareti delle moschee. La differenza tra qui ed il sud del paese è estrema sia a livello climatico, politico e lavorativo. Ma andiamo per ordine.


Tutto sembra come l’ho lasciato pochi mesi orsono, l’unica differenza una coltre bianca su tutta la città che la fa sembrare un posto più pacifico, più sereno. Kabul sembra diversa, ma la realtà è sempre la stessa. Passo una sola notte nella capitale, ma abbastanza da capire che le cose non sono cambiate. Feriti da mina, arma da fuoco ed incidenti stradali continuano ad arrivare al nostro pronto soccorso. Solo una notte, abbastanza. Kabul è gelida e nella mia stanza sono 10 gradi sotto zero. L’indomani partiamo dalla capitale alla volta della destinazione finale e di fronte a noi due ore per arrivare alle montagne della valle. Forse questo sarà il momento più “pericoloso” della nostra missione visto l’andamento spericolato del nostro driver, ma tutto è bene ciò che finisce bene e siamo in ospedale nel primo pomeriggio. Mi sembra come di essere tornato a “casa”. Ad aspettarci amici e colleghi pronti ad investirci di novità e ad aggiornarci sulla situazione dell’ospedale.


La valle del Panjshir è uno dei posti più sicuri dell’Afghanistan. Il passaggio stretto tra le montagne permette alla polizia locale di controllare chi entra e chi esce. Durante i cinque anni del governo talebano, la provincia del Panjshir fu l’unica a non esser controllata dai politici religiosi responsabili di ospitare Osama Bin Laden. Qui il pericolo non si vede. A volte le esplosioni delle varie miniere della valle mi riportano ai giorni di Lashkargah, ma tutti mi dicono di non preoccuparmi. Stanno solo detonando per raccogliere minerali, come il ferro, dalle montagne della valle. Sono già cinque settimane che sono qui.


Il mio lavoro è molto diverso da ciò che ho fatto finora. Sono salito di un gradino e adesso sono stato investito del titolo di Head Nurse. Il bello è che faccio tutto tranne che l’infermiere! Le mie mansioni sono tutt’altro che cliniche. Passo dall’incremento dell’uso della carta igienica ai rapporti con il ministro della salute provinciale, dalle assenze del personale alle gestione dei volontari internazionali. Un altro divertimento è quello di andarmene in giro per la valle a controllare i vari posti di pronto soccorso. È qui che ho la possibilità di vedere il vero Afghanistan. La gente mi racconta che, durante la guerra contro i russi, ci fu almeno un morto per ogni metro quadrato della valle. Le bandiere verdi a lutto ricoprono parte di montagne, di scarpate, di giardini. Attorno all’ospedale le rovine delle costruzioni dei rifugiati mantengono vive le memorie di una guerra che in questa valle sta finendo. Mi diverto e imparo un sacco di cose. L’unico aspetto negativo è che passo buona parte delle mie giornate rispondendo a e-mail, ordinando medicinali e organizzando meeting, ma poco tempo con i pazienti.


Kaylene, dopo aver lavorato un mese nel reparto pediatrico (esperienza completamente nuova) ora è parte del mio team nei reparti chirurgici. L’ospedale, a differenza di quello di Lashkargah, offre molti più servizi. Qui abbiamo la maternità e la ginecologia che sforna più di 130 bambini al mese, la pediatria, la chirurgia di emergenza e a volte quella elettiva e la medicina di emergenza. Sto bene, faccio un lavoro che mi piace e ho un panorama incredibile di fronte a me. Ogni mattina, quando mi alzo, le cime di 4000 metri sono innevate, il sole splende e la giornata finirà tra meeting, mal di testa, ma senza spargimenti di sangue. Penso spesso alla mia famiglia, a tutti voi”.


Trovo poi un pezzo di tutt’altro genere.


Dal raccolto record dell’oppio nuove risorse per il terrorismo


Nel 2006 le coltivazioni sono aumentate del 59 per cento


Antonio Maria Costa*


la Repubblica 11 settembre 2006


IL 2006 verrà ricordato per un record infame in Afghanistan: la coltivazione di oppio è aumentata del 59%. L’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine indica che l’area coltivata è di 165.000 ettari, pari a 6.100 tonnellate di prodotto, il 30% in più del consumo mondiale. E’ il picco raggiunto da un secolo, inferiore solo al record storico cinese di fine ‘800.


“L’Afghanistan è drogato dal proprio oppio”: non ho trovato altre parole nel presentare il rapporto al presidente Karzai. Ma la droga non è solo causa della crisi afgana, ma anche sintomo. Dalle province meridionali (Helmand, Kandahare Uruzgan) arrivano i segnali del collasso: all’oppio si intrecciano guerriglia e terrorismo, crimine e corruzione. In altre province, come a Badakhshan nel nord-est, le coltivazioni sono conseguenza di povertà, malgoverno e soprattutto arroganza dei signori della guerra.


Lo spaventoso aumento della produzione di oppio ci obbliga a lanciare l’allarme droga, ma anche un allarme politico, strategico e sanitario per un Afghanistan allo sfascio. Il dilagare dell’oppio accresce la sfiducia della popolazione nel governo, le istituzioni democratiche e la coalizione occidentale. Il reddito generato dall’illegalità -3 miliardi di dollari solo in Afghanistan - si traduce in enormi mezzi per gli estremisti.


Il traffico di eroina genererà altri 50 miliardi di dollari che andranno a vantaggio della mafia internazionale e alimenteranno violenza e terrorismo  in una dozzina di paesi tra l’Afghanistan e l’Europa. Il raccolto provocherà altri centomila morti all’anno per overdose in Occidente - e forse un numero maggiore, dato l’atteso incremento di eroina pura nelle dosi.


La mia valutazione, condivisa a malincuore con, e dal Presidente Karzai: siamo tutti responsabili. Certo, gli investimenti politici e militari della coalizione sono stati inferiori al dovuto. Il contingente internazionale è arrivato tardi per arginare il riorganizzarsi dei talebani ed ora è militarmente insufficiente (equivale ad 1/10 della presenza militare in Iraq). Questo favorisce la militanza islamica, che trova consenso tra le popolazioni rurali ed è in grado di sostituire le centinaia di morti causate tra le sue fila dalla Nato. Inoltre, grazie agli introiti dell’oppio, i ribelli offrono alle reclute 8-10 dollari al giorno, contro i 4-5 dollari per la raccolta dell’oppio, e 1-2 dollari guadagnati con lavori legali.


La responsabilità del collasso è soprattutto del governo afgano. A livello pro capite ha ricevuto un’assistenza inferiore ad altri paesi usciti dalla guerra, ma ha ricevuto comunque risorse. Abbiamo creato una polizia anti-narcotici, addestrato procuratori e giudici, aiutato nella redazioni dei codici, costruito tribunali e prigioni E’ sua responsabilità di far funzionare il sistema giudiziario e imporre lo stato di diritto, ma la macchina approntata con i soldi del contribuente occidentale non è utilizzata.


Questo è un conflitto che si combatte provincia per provincia: ho chiesto al governo afgano e alla Nato di riconquistare un palmo di terra alla volta. Già 6 province sono oggi libere dall’oppio. Le coltivazioni in altre 10 sono marginali e potrebbero cessare nell’arco di una stagione. Se in un anno raddoppiamo, o triplichiamo le zone senza droga, anche gli obiettivi militari sarebbero più facili da raggiungere. Nascerebbe un fronte interno contro la guerriglia, la corruzione e l’oppio che permetterebbe di segnare lo spartiacque tra chi lotta per la legalità e chi contro.


Anche la politica degli aiuti allo sviluppo deve cambiare. Chiedo ai donatori meno burocrazia, meno lungaggini e soprattutto meno consulenti. Poi chiedo agli enti eroganti di inserire una clausola: niente oppio e corruzione in cambio degli aiuti. Congratuliamoci con la Banca Mondiale per avere intrapreso questa via. Non c’è formula magica per salvare il Paese, neppure quella della trasformazione del suo oppio in morfina: l’Afghanistan ha prodotto solo quest’anno l’equivalente di 5 anni di consumo mondiale di morfina e l’oppio legale costa 20-30 dollari a chilo, contro i 100 dollari offerti dai trafficanti. Una differenza che vale un Eldorado per la mafia.


*L’autore è il Direttore Esecutivo dell’ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (Unodc).


Ecco, sarebbe auspicabile una guerra contro i trafficanti di droga i quali fanno affari d’oro da quelle parti e che, invece, al pari di bin Laden, regnano indisturbati. A questo punto, mi sfugge il significato della guerra, ammesso che la guerra possa averne uno, lanciata da Bush, con un poderoso uso di retorica, oltre che di uomini e mezzi, per vendicare l’11 settembre e consolidare le basi del vacillante impero americano.


DISCORSO A WASHINGTON SULLA GUERRA AL TERRORISMO


Bush: in primavera offensiva a Kabul


Il presidente Usa: "Anche gli alleati dovranno fare la loro parte"


MAURIZIO MOLINARI


CORRISPONDENTE A NEW YORK


La Stampa 16 febbraio 2007


La democrazia a Kabul resta in bilico, in primavera la Nato lancerà un’offensiva contro i talebani in una zona dell’Afghanistan «più selvaggia del Far West» ed i comandi militari hanno bisogno di più truppe e mezzi come anche di «poter disporre liberamente dei contingenti in campo». È questo il messaggio che il presidente americano, George W. Bush, recapita a chiare lettere agli alleati parlando per trenta minuti a Washington di fronte alla platea del centro studi neoconservatore «American Enterprise Institute». «Gli alleati della Nato devono dare ai comandanti militari in Afghanistan le truppe di cui hanno bisogno e devono togliere le restrizioni all’impiego dei propri soldati», dice l’inquilino della Casa Bianca, richiamandosi alle fondamenta dell’Alleanza perché «la Nato fu creata sulla base del principio che chi attacca un alleato li attacca tutti». E ciò vale, incalza Bush con un richiamo al Trattato atlantico, «se l’attacco avviene sul suolo di una nazione della Nato e anche se avviene contro forze impiegate in una missione all’estero».


L’accento sulle «restrizioni da togliere all’impiego delle truppe» è un riferimento esplicito ai “caveat” che alcuni Paesi Nato - inclusi Italia, Germania, Francia e Spagna - ancora impongono ai propri contingenti, impedendone l’impiego in operazioni nelle zone più calde, nel Sud e nell’Est, dove invece a combattere ed essere uccisi sono i soldati di Canada, Gran Bretagna, Olanda e Stati Uniti. (...) Adesso è il presidente a farsi sentire per far capire che le scelte sull’Afghanistan peseranno nei rapporti bilaterali. «Affinché la missione abbia successo quando i comandanti sul campo chiedono aiuto le nazioni Nato devono assicurarlo» sottolinea Bush, evitando di enumerare i Paesi dei "caveat" per citare invece uno ad uno quelli che già hanno accettato di fornire ulteriori aiuti: Norvegia, Lituania, Repubblica Ceca forniranno truppe speciali; Gran Bretagna, Polonia, Turchia e Bulgaria rafforzeranno i contingenti già schierati; l’Italia manderà degli aerei; la Romania contribuirà alla missione di polizia Ue; Danimarca, Grecia, Norvegia e Slovacchia forniranno fondi per le forze afghane; l’Islanda metterà a disposizione i cargo per il ponte-aereo.


L’elenco è minuzioso perché ha un valore politico: poiché la missione in Afghanistan è con 50 mila uomini la più importante operazione militare svolta, la Casa Bianca giudica il sostegno all’Alleanza sulla base del contributo che viene fornito. Un contributo che serve anche sul fronte della ricostruzione: dalla lotta alla coltivazione di oppio fino alle opere civili.


Mettere l’accento sull’Afghanistan serve a Bush anche nella partita con il Congresso. Ai leader democratici che valutano l’ipotesi di opporsi alla richieste del Pentagono di ulteriori 100 miliardi di dollari per la guerra al terrorismo, Bush ricorda che «si parla molto di Iraq, ma c’è anche l’Afghanistan». Come dire: se i democratici dovessero restringere i cordoni della borsa potrebbero indebolire la Nato contro i talebani ed Al Qaeda. In effetti se sull’Iraq Bush e democratici appaiono in rotta, sull’Afghanistan la situazione è differente.


Non a caso il californiano Tom Lantos, presidente della commissione esteri della Camera, striglia i "caveat" al pari della Casa Bianca: «E’ inaccettabile che i comandanti Nato debbano elemosinare truppe da Stati come Germania, Francia, Italia e Spagna, è una vergogna che solamente soldati americani, canadesi, olandesi, danesi e britannici vengano schierati nelle zone pericolose, non bisogna restare passivi quando questi cosiddetti alleati si approfittano di generosità e coraggio altrui».


Siamo proprio sicuri che lasciare il nostro contingente da quelle parti sia saggio ed opportuno? Siamo sicuri che dissentire dal finanziamento di questa missione militare sia da pazzi e irresponsabili? Siamo proprio così sicuri che la massima responsabilità sia dei due senatori dell’Unione che si sono astenuti e non, piuttosto, da addebitare alla longa manus del Vaticano per il tramite del senatore De Gregorio, eletto con l'Italia dei Valori e poi passato al centrodestra? Questo è un suo post del 30 gennaio scorso. “Ormai è evidente che sul tema dei Pacs, l’elettorato cattolico verrà tradito anche da una parte della rappresentanza politica moderata del Parlamento. Se ciò accadrà, allora Clemente Mastella, con la sua posizione ferma e determinata, assurgerà a ruolo di difensore delle ragioni dell’identità cattolica, rappresentando il disagio di milioni di persone, che guardano alla posizione del Vaticano come ad un punto di riferimento non negoziabile. Dal canto mio, sono in linea con il leader dell’Udeur ed invito ad una sana ed integralista mobilitazione a tutela della famiglia, dei valori e delle radici cristiane contro ogni imbarbarimento del dibattito politico, denunciando il tradimento subito dall’elettorato cattolico e moderato”.

lunedì 19 febbraio 2007

Incipit


la Repubblica - Mercoledì, 19 febbraio 1992 - pagina 7


di CINZIA SASSO


L' ITALIA DEGLI SCANDALI Così è stato arrestato Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio di Milano


IL NOTABILE PSI AVEVA LA TANGENTE NEL CASSETTO


Sette milioni 'segnati' dai carabinieri La 'bustarella' era stata versata da un'impresa di pulizie che aveva vinto un appalto da 140 milioni Subito dopo il pagamento, nell'ufficio, sono entrati i militari I socialisti: 'Ci riserviamo di allontanarlo definitivamente'


MILANO - Sette milioni, settanta biglietti da centomila tutti fotocopiati e molti anche firmati. Se l'ingegner Mario Chiesa avesse avuto il tempo di osservare quei soldi che il titolare di una piccola impresa di pulizie gli aveva appena 'girato' come anticipo per l'appalto ottenuto dal Pio Albergo Trivulzio (Pat), istituto pubblico assistenziale per anziani del quale l'ingegnere era presidente, forse si sarebbe insospettito. Ma ha dovuto riporre in tutta fretta la busta in un cassetto perché qualcuno bussava alla porta: erano i carabinieri, quelli agli ordini dell'ufficiale e del magistrato che avevano firmato i soldi, una banconota ogni dieci. Volevano sapere cosa il presidente avesse riposto nel terzo cassetto della scrivania. Un arresto in flagranza. "Abbiamo preso Chiesa - dicono con poca eleganza gli investigatori - con le mani nella marmellata". E così, sette anni dopo il caso della Metropolitana milanese e dell'allora presidente Antonio Natali, un altro arresto eccellente, anche questo targato Psi, scuote la vita politica milanese, butta all'aria i peggiori segreti di certa pubblica amministrazione. Il sindaco Giampiero Borghini, ex Pds, voluto su quella poltrona da Craxi, esprime "grande dolore" e commenta: "Sono cose che offuscano le istituzioni". Lo stesso partito socialista si affretta a sospendere in via cautelare Chiesa, membro del direttivo provinciale, da sette anni presidente del Pat, e aggiunge: "Date le circostanze emerse il Psi si riserva, sulla base delle certezze cui potrà pervenire l'autorità giudiziaria, di assumere un provvedimento di definitivo allontanamento di questo amministratore". Franco Bassanini, del Pds, chiede di sapere "se siamo di fronte a qualche mela marcia o alla punta di un iceberg". Giovanni Colombo, consigliere comunale della Rete, distribuisce un dossier di recenti inviti a incontri politici con Bobo Craxi, Paolo Pillitteri e con l'incarcerato, spiegando: "Chiesa è il tipico esponente della famiglia socialista milanese: sono migliaia gli amministratori che vivono il loro servizio al Paese pencolando tra concussione e corruzione, alla faccia dei cittadini". Lunedì sera, a botta calda, il segretario cittadino del Psi, Bobo Craxi, aveva buttato lì un collegamento con la campagna elettorale: ma ieri, dopo aver saputo come sono andate le cose, nessun socialista ha più avuto il coraggio di parlare di manovra. Del resto, Francesco Borrelli, procuratore capo, non aveva voluto commentare quella difesa dietrologica: "Siamo talmente al di sopra di queste bassezze che non intendo spendere neppure un filo di voce per contestarle". Mentre ha avuto parole di apprezzamento per quello che è stato, negli anni passati, il lavoro di Chiesa al Pat: "E' con estremo dolore che confermo queste notizie perché l'ultima presidenza del Pio Albergo aveva fatto cose molto belle per la città". Nell'area socialista, l'imbarazzo é altissimo. Ieri sera, nell'edizione delle 20, il TG5 di Enrico Mentana ha liquidato l'evento in poche battute e non ha specificato l'appartenenza partitica dell'amministratore arrestato. Il caso è nato da una denuncia di pochi giorni fa, presentata da una piccola impresa che aveva ottenuto un appalto per la fornitura di pulizie al Pio Albergo: 140 milioni il valore dell'appalto, 14 milioni quello della tangente. Il "rituale" dieci per cento, diviso in due tranche. Ma l'indagine sull'ingegner Mario Chiesa pare fosse di vecchia data: Antonio Di Pietro, il pubblico ministero che da anni con le sue inchieste tartassa i pubblici amministratori, ha già ottenuto dal giudice per le indagini preliminari la proroga dei termini. Secondo un'indiscrezione, questa volta a far accendere le spie delle intercettazioni telefoniche e a far scattare altri accertamenti sarebbe stato un fatto legato alla vita privata, e non professionale, dell'ingegnere. E' quindi possibile che, accanto a quest'episodio appena emerso e che lo ha portato nel carcere di San Vittore, ci sia altro materiale "interessante" dal punto di vista giudiziario. Altre persone sarebbero destinate ad essere oggetto di indagine. Stamattina, a San Vittore il giudice per le indagini preliminari Fabio Paparella dovrà decidere se confermare l'arresto. Lunedì sera, i carabinieri si sono presentati nell'ufficio del presidente del Pat intorno alle 18.30, subito dopo che da lì era uscito il titolare dell'impresa di pulizie. E' stato lo stesso magistrato Di Pietro a telefonare all'avvocato Nerio Diodà, di area comunista, ma da tempo legale del Pio Albergo. Reduce da un difficile processo, Diodà si è precipitato in via Trivulzio, giusto in tempo per assistere al trasferimento di Chiesa in una caserma dei carabinieri. Gli è stato risparmiato il viaggio nell'auto dei militari, lo hanno solo scortato sedendo accanto a lui nella 164 blu che usava come auto di rappresentanza. Poco dopo, nella stessa caserma sono stati scaricati pacchi di documenti, sequestrati negli uffici, e sono state convocate tre impiegate del Pio Albergo. Segno, questo, che l'indagine non si limita all'episodio specifico, al passaggio di denaro per il quale sarà ben difficile trovare una linea di difesa accettabile. "Ha parlato poco, bevuto molta acqua", racconta chi ha assistito al primo interrogatorio che si è svolto nella notte.


Sono trascorsi quindici anni da quell’arresto, il primo di una lunga serie, l’inizio di una rivoluzione per l’ingessata Italia di allora, l’affacciarsi di timide speranze per un vero sole dell’avvenire. Tre lustri dopo, invece, ci ritroviamo come paralizzati e involuti, dopo aver assistito al naufragio di quel transatlantico, novello Rex, che avrebbe dovuto (e potuto) traghettarci su sponde meno sgretolate. Quel “mariuolo” appare un collegiale laddove è subentrato il “mariuolo” per antonomasia, un grassatore professionista, con tanto di certificato P2, un vero e proprio marchio Doc e assieme a lui una congrega di riciclati, fuoriusciti (dal carcere) e impuniti, con il codazzo di veline di ogni genere, come i nani e le ballerine di quel tempo. Tutto è cambiato, perché nulla cambiasse.