venerdì 30 dicembre 2005

L'anniversario


Questo blog compie oggi un anno. Da poco (ore 17:48) era stato edito il primo post. Al momento in cui scrivo sono stati 12.555 i visitatori. Non so se sia possibile ricavare altri dati statistici quali il numero dei post scritti e quello degli interventi che si sono succeduti, ma in fondo ha relativa importanza.


Di certo esiste questo primo traguardo raggiunto, merito di tutti i visitatori, anzi dovrei precisare visitatrici: da federica_aurora (la prima a fare irruzione) a mcmlxiv, l’ultima in ordine di apparizione. Percentuale largamente rosa in questo blog, come è simmetricamente maschile quella dell’altro diario dedicato a Marco Travaglio (e non solo) trasformatosi in piccola agorà politica.


In tutto questo periodo e in mezzo a tante visite, si sono srotolati dodici mesi della mia vita i cui riflessi si sono riversati su queste pagine elettroniche. Assieme a voi ho compiuto un percorso iniziatico prodigo di conoscenze estremamente varie e positive. Tranne qualche caduta di stile, inevitabile, sporadica, lontana nel tempo e circoscritta rapidamente, ho potuto apprezzare il dominio dell’intelligenza, sensibilità marcatissime, personalità di forte impatto, testimonianze di vita assolutamente impreviste e, talora, drammatiche. Conoscenze che si sono, di conseguenza, allargate ai rispettivi blog: tutto un universo, virtuale quanto si vuole, ma dotato di una concretezza non sempre riscontrabile nella realtà.


Vari nick si sono disvelati, hanno assunto un nome, una voce, una localizzazione geografica e quelli che costituiscono gli aspetti più esaltanti, vale a dire riscontrare un comune sentire, mescolato all’indignazione civile, al pragmatismo, alle similitudini, a certe affinità elettive, al garbo e alla bellezza espositiva (non solo formale), assieme ad una piacevole forma di seduzione intellettuale da cui sono sempre stato magicamente affascinato, queste caratteristiche, dicevo, hanno un loro rovescio, l’altra faccia della luna, quella che è preferibile non vedere, non scorgere. Mi riferisco alla difficoltà nel mantenere il ritmo, nel rispettare i tempi, nel lasciar cadere (e garantisco solo apparentemente) certi stimoli, fino alle fatali delusioni e cali di attenzione a cui mi sono, purtroppo, esposto, Ma siamo umani anche per questo, no?


Mi piace, invece, sottolineare come dietro ad ogni nickname linkato, in un elenco peraltro da aggiornare, riesca ormai a scorgere precise caratteristiche legate ad un aspetto, un episodio, un racconto, una segnalazione. Immagino, provo a farlo almeno, le vite che si celano mentre scorro l’elenco e scopro la familiarità di ognuno. Ciascun nick mi riconduce a determinate situazioni siano esse sentimentali, affettive, quotidiane.


In privato, con un discreto numero, i contatti sono diventati sia telefonici che per e-mail. Sto così raccogliendo anche testimonianze, talvolta molto personali e di questo ringrazio pubblicamente per la fiducia: è ben riposta, avete scelto bene e non avrete modo di pentirvene.


Infine, sono lieto di sottolineare come l’itinerario affrontato, condividendo con voi ciò che scaturiva da un’esperienza traumatica e disastrosa, si sia rivelato terapeutico, efficace. Pur se è triste riconoscere che quelle sensazioni “talvolta così profonde, che ne conservo il profumo e l’aroma per l’intera giornata”, abbiano ormai esaurito la loro propulsione sensoriale. Sono mancati, come previsto, gli auguri, ma questa informazione  ve la dovevo per la cronaca.


BUON 2006, se possibile e GRAZIE


 

giovedì 29 dicembre 2005

La questione morale


Dolce Enrico, sì, dolce malinconia per un uomo "introverso e malinconico, di immacolata onestà e sempre alle prese con una coscienza esigente, solitario, di abitudini spontanee, più turbato che alettato dalla prospettiva del potere, e in perfetta buona fede di cui ci resta un programma sociale, politico, economico, etico e morale non scritto basilare per il futuro democratico e di progresso del nostro Paese” come scrisse Indro Montanelli. Oppure, ancora più forte la commozione, leggendo le parole di Roberto Benigni : "Il dono breve e discreto che il cielo aveva dato a Berlinguer era di unire parole ad uomini, ora la sua voce è sparita e se è vero, come dice il poeta, che la vita si spegne in un falò di astri in amore, in questi giorni è bruciato il firmamento". Da brividi.


E quando l’emozione sta per accrescere la dose sopraggiunge il desolante squallore che unisce Fazio a Fiorani a Ricucci a Consorte e agli altri “furbetti” di questi nostri giorni malati e marci.


Etica e morale. Piange il cuore anche constatando lo spessore di Berlinguer rispetto a costoro. Il dolce Enrico, nella sua lungimiranza politica, aveva già avvertito molti anni fa che la degenerazione era in atto, ponendo con fermezza quella che sarebbe stata definita la “questione morale”.


Ecco la famosa intervista a Enrico Berlinguer, pubblicata su “
la Repubblica
” del 28 luglio 1981.





«I partiti sono diventati macchine di potere»   


«I partiti non fanno più politica», dice Enrico Berlinguer.


«I partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia».


 di Eugenio Scalfari


 


La passione è finita?


Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per
la DC
: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora...


Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.


È quello che io penso.


Per quale motivo?


I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università,
la Rai TV
, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.


Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.


E secondo lei non corrisponde alla situazione?


Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo.


La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel '74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell'81 per l'aborto, gli italiani hanno fornito l'immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane.


Veniamo all'altra mia domanda, se permette, signor Segretario: dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno come lei descrive.


In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l'andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito "diverso" dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità. 


Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d'infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C'è da averne paura?


Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all'equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?


Veniamo alla seconda diversità.


Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.


Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.


Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant'anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi.


Non voi soltanto.


È vero, ma noi soprattutto. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell'economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche -e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee?


Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto socialdemocratico europeo. Però a lei sembra un'offesa essere paragonato ad un socialdemocratico.


Bè, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s'intende) si è sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi margini di uno sviluppo capitalistico che consentivano una politica socialdemocratica, ora che i problemi che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l'occidente capitalistico, vi sono segni di crisi anche nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese, proprio perché i partiti socialdemocratici si trovano di fronte a realtà per essi finora ignote o da essi ignorate.


Dunque, siete un partito socialista serio...


...nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo...


Le dispiace, la preoccupa che il PSI lanci segnali verso strati borghesi della società?


No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti verso i partiti laici e verso il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c'è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti, il PSI e i partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che davvero siano di effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se invece si trattasse di un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto nuove etichette, i vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stato, partiti e governo, partiti e società, con i deleteri modi di governare e di amministrare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa dovremmo dirci soddisfatti noi e il paese.


Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c'è o no?


Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per
la Sicilia
, ad esempio: vedrà che in gran parte c'è stato un trasferimento di clientele. Non voglio affermare che sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno finora dato alcun segno di voler iniziare quella riforma del rapporto tra partiti e istituzioni - che poi non è altro che un corretto ripristino del dettato costituzionale - senza la quale non può cominciare alcun rinnovamento e senza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta.


Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?


La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. [...] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.


Signor Segretario, in tutto il mondo occidentale si è d'accordo sul fatto che il nemico principale da battere in questo momento sia l'inflazione, e difatti le politiche economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell'obiettivo. È anche lei del medesimo parere?


Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L'inflazione è - se vogliamo - l'altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l'una e contro l'altra. Guai a dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l'inflazione si debba pagare il prezzo d'una recessione massiccia e d'una disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili.


Il PCI, agli inizi del 1977, lanciò la linea dell' "austerità". Non mi pare che il suo appello sia stato accolto con favore dalla classe operaia, dai lavoratori, dagli stessi militanti del partito...


Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che, comunque, la situazione economica dei paesi industrializzati -di fronte all'aggravamento del divario, al loro interno, tra zone sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all'avanzata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza- non consentiva più di assicurare uno sviluppo economico e sociale conservando la "civiltà dei consumi", con tutti i guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa. La diffusione della droga, per esempio, tra i giovani è uno dei segni più gravi di tutto ciò e nessuno se ne dà realmente carico. Ma dicevamo dell'austerità. Fummo i soli a sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio, contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Dicemmo che anche i lavoratori avrebbero dovuto contribuire per la loro parte a questo sforzo di raddrizzamento dell'economia, ma che l'insieme dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di rigorosa equità e che avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di dare l'avvio ad un diverso tipo di sviluppo e a diversi modi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo fu il nostro modo di porre il problema dell'austerità e della contemporanea lotta all'inflazione e alla recessione, cioè alla disoccupazione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati.


E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?


Il costo del lavoro va anch'esso affrontato e, nel complesso, contenuto, operando soprattutto sul fronte dell'aumento della produttività. Voglio dirle però con tutta franchezza che quando si chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli - come al solito - ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come
la P
2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire.


La ripresa


Giannelli sul Corriere della Sera


Dove eravamo rimasti? Ah, sì: l'informazione era stata monopolizzata, prima delle feste, dalla torrentizia conferenza-stampa (l'ultima, intendiamoci) di B.1816, quella che aveva fatto slittare di un’ora l'istituzionale TgUno delle 13:30 e proposto un (presunto) premier ormai da rottamare.


Un brano del resoconto di una delle migliori giornaliste de "
la Repubblica
", Concita De Gregorio, rende l'idea. Infatti, dopo aver raccomandato al leader israeliano Sharon una bella dieta mediterranea per rimettersi in forma e dimagrire, dopo avere affermato, con l'improntitudine che gli è congenita, di ignorare che suo fratello Paolo commercializzasse i decoder per il digitale terrestre (quelli che hanno ottenuto l'”aiutino” statale), dopo aver rassicurato i lavoratori precari che devono essere ottimisti, perché su due contratti a termine uno si trasforma poi in contratto a tempo indeterminato, aggiunge in un irresistibile crescendo che: "per dire tutto quello che abbiamo fatto di buono mi ci vorrebbe una tv". E qui suscita l'ilarità delle stesse guardie del corpo le quali pensano che sia una battuta. “Naturalmente non lo è” – precisa De Gregorio – “Berlusconi è serissimo”.


Questo tanto per avere un'idea. In realtà le famose tre "I" che avrebbero dovuto conferirgli l’impronta di statista si sono trasformate e moltiplicate. Adesso si tratta di: irresponsabilità, interesse proprio, incompetenza, illusione. ignavia, incapacità, improntitudine (come già scritto), inganno, ingerenza, iattura, ignominia, inadeguatezza, impudenza, impunità, incoerenza, incongruità, incubo, indagato, insabbiamento, inquinare, insidia, ipocrisia, ingiuria, infischiarsene. E credo che possa bastare.


Altre vignette colte sul web per celebrare l’evento. Ancora frammenti di relax. Da domani si torna all’indignazione civile, all’ordinaria ma lucida incazzatura. E altre “I” si sommano.


 



Maramotti su l'Unità    


 



Staino su l'Unità                                        


 


venerdì 23 dicembre 2005

Auguri sorridenti


http://www.qualcosadime.it/treetoys.gif


<DIV></DIV>&gt;&gt;C'era una volta un uomo perfetto e una donna perfetta che si
<DIV></DIV>&gt;&gt;incontrarono.
<DIV></DIV>&gt;&gt;Dopo essersi fatti una corte perfetta, si sposarono.
<DIV></DIV>&gt;&gt;La loro unione era perfetta. Una vigilia di Natale, di notte, la
<DIV></DIV>&gt;&gt;coppia
<DIV></DIV>&gt;&gt;perfetta viaggiava a bordo di una macchina perfetta lungo una
<DIV></DIV>&gt;&gt;strada
<DIV></DIV>&gt;&gt;deserta, quando videro un uomo in difficoltà sul bordo strada.
<DIV></DIV>&gt;&gt;Essendo
<DIV></DIV>&gt;&gt;perfetti si fermarono per dare soccorso. La persona in difficoltà
<DIV></DIV>&gt;&gt;era
<DIV></DIV>&gt;&gt;Babbo
<DIV></DIV>&gt;&gt;Natale, con il sacco pieno di regali. Non volendo che migliaia di
<DIV></DIV>&gt;&gt;restassero delusi da quest vigilia di Natale, la coppia perfetta
<DIV></DIV>&gt;&gt;fece
<DIV></DIV>&gt;&gt;salire
<DIV></DIV>&gt;&gt;sulla loro macchina Babbo Natale e i doni e lo accompagnarono a
<DIV></DIV>&gt;&gt;distribuirli.
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<DIV></DIV>&gt;&gt;Sfortunatamente, a causa del maltempo, i tre ebbero un incidente.
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<DIV></DIV>&gt;&gt;Solo uno dei tre sopravvisse. Quale?
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<DIV></DIV>&gt;&gt;(vedere la soluzione più in basso)
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<DIV></DIV>&gt;&gt;! continuate a scendere
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<DIV></DIV>&gt;&gt;La donna perfetta è sopravvissuta!
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<DIV></DIV>&gt;&gt;Infatti è la sola persona di questa storia che esiste veramente.
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<DIV></DIV>&gt;&gt;Tutti sanno che l'uomo perfetto e Babbo Natale non esistono.
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<DIV></DIV>&gt;&gt;è finita.
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<DIV></DIV>&gt;&gt;Gli uomini possono continuare.
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<DIV></DIV>&gt;&gt;continuate a scendere (SOLO GLI UOMINI, HO DETTO!)
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<DIV></DIV>&gt;&gt;Dunque, se l'uomo perfetto e Babbo Natale non esistono...guidava
<DIV></DIV>&gt;&gt;per
<DIV></DIV>&gt;&gt;forza la donna. Ciò spiega l'incidente.
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<DIV></DIV>&gt;&gt;Ancora un pò più in basso...
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<DIV></DIV>&gt;&gt;D 'altra parte, se sei una donna e stai leggendo a questo punto,
<DIV></DIV>&gt;&gt;stiamo semplicemente dimostrando un'altra verità: La donna non
<DIV></DIV>&gt;&gt;ascolta mai
<DIV></DIV>&gt;&gt;ciò
<DIV></DIV>&gt;&gt;che le si dice !!
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<DIV></DIV>&gt;&gt;FINE!!
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<DIV></DIV>&gt;&gt;Inviate il messaggio agli uomini intelligenti che hanno bisogno di
<DIV></DIV>&gt;&gt;un
<DIV></DIV>&gt;&gt;sorriso...e alle donne che vi sembrano abbastanza intelligenti per
<DIV></DIV>&gt;&gt;sorriderne.


Buone feste a coloro che passano e scivolano via, a coloro che entrano, escono  e poi tornano ancora e si fermano, diventando presenza costante, viva, insostituibile. Tante conoscenze intelligenti mi hanno arricchito e di questo ringrazio con molto affetto. Avevo promesso un post lieve e rilassante, spero di aver mantenuto la parola data, così come mi auguro pace e serenità per tutti voi.


Un bacio alle ragazze e un abbraccio ai ragazzi.


BUONE FESTE

mercoledì 21 dicembre 2005

Stupidità mediatica-3


http://interrail.publinet.it/FIMF/nov99/artico2.gif


Lo spot, di Trenitalia, andava in onda su RadioTre, come ne hanno riferito prima il Tg3 e, la sera dopo il TgLa7. Magnificava le virtù di un viaggio in treno, nel fine settimana, per andare a trovare, diceva uno dei due attori, un parente a Matera. Si dà però il caso che, pur avendo presentato la prima richiesta 99 anni fa, la città lucana sia rimasta l’unico capoluogo di provincia italiano privo di stazione ferroviaria. Vent’anni fa iniziarono i lavori, arenatisi poi ad uno scheletro di cemento e poco più, anzi niente. Ennesima cattedrale nel deserto.


Là il treno proprio non ci può arrivare. Le corse si fermano tutte in una  stazioncina  da dove avviene il trasferimento in autobus verso le altre destinazioni. Mentre le Fs, incuranti del ridicolo e badando al sodo (i manager a questo servono) hanno soppresso numerosi interregionali, con i nuovi orari invernali, sostituendoli con Intercity. Forse non si arriverà più in ritardo? E’ da escludere. Forse saranno meno sporchi? Ne dubito convintamente. Più sicuri? Meglio toccare ferro.


Di certo il tragitto sarà più costoso e così, mentre i tagli incideranno notevolmente nelle tasche degli utenti (sai la novità!), si ha la pretesa di sventrare una montagna per ricavarne un tunnel, perché altrimenti si resterebbe tagliati fuori dalle vie di comunicazione e dal progresso. Quando ad essere scollegati sono tanti cervelli e la stupidità non solo dilaga, ma produce danni. Sotto ogni punto di vista.


 

Stupidità mediatica-2


www.frangipane.it


Mi capita casualmente tra le mani il foglio di giornale, con cui era stato avvolto del materiale acquistato in ferramenta. Si tratta di un quotidiano locale, pagina degli spettacoli, nulla di interessante (anche perché ormai gli avvenimenti sono datati). Però non mi sfugge il modo in cui è stato redatto un articolo (in realtà può definirsi pubblicità occulta) che qui riporto nella prima metà.


La giornalista (?) deve presentare le opportunità che offrono discoteche e locali da ballo nella notte di Halloween, argomento che già provoca in me orticaria e insofferenza selvagge. 


Scrive, dunque, la ragazza: “ Streghe, fantasmi, zucche e scherzetti. Questo fine settimana anche nei locali notturni tutto ruota intorno ad Halloween. Per cacciare gli spiritelli, la discoteca... di... dà corpo alle fantasie dei suoi ospiti facendo materializzare la bellissima Giorgia Palmas. L’ex velina di Striscia la notizia vi presenterà infatti il calendario 2006 realizzato per Max, in esclusiva regionale lunedì 31 ottobre. Incontrerà i fan e firmerà un centinaio di calendari. Ma le luci della discoteca si accenderanno anche prima di lunedì. Domani sera la pista del... (un altro locale n.d.Frank57) sarà popolata da The Saints, i sei modelli del programma “Uomini e donne”. Sfileranno e regaleranno calendari e gadgets Nockfrot Van Hansen. La prossima settimana invece, sabato 5 novembre, l’ospite del locale sarà Manuel Casella appena uscito da “L’Isola dei famosi”, mentre in sala house il vocalist Marco Corona di Radio Deejay racconterà tutti i segreti del bel Manuel alle fans. (info...).


Halloween weekend (già due termini inglesi consecutivi producono altra scossa coronaria)  anche al... (numero verde...) con un’ospite sexi come Isa B per la sera di lunedì 31. Volto storico di Match Music, ha collaborato a diverse trasmissioni televisive e radiofoniche nazionali come RadioCapital, RadioDeeejay e Station One”.


Poi è inutile chiedersi perché tra i primi desideri di un buon numero di adolescenti ci sia quello di fare la velina o il tronista (purtroppo so cos’è) in televisione. E se manca personale infermieristico, per esempio, ci sarà un motivo.


 

lunedì 19 dicembre 2005

Stupidità mediatica

www.brunovespa.net Un anno.


Raccontava l’Unità di venerdì scorso, con un pezzo che iniziava in prima pagina, l’incursione in mezzo ai fornelli televisivi di Bruno Vespa, nella sua campagna di promozione tra le ventisette parrocchiette del video, della sua ultima fatica (anche per lui immagino si debba definirla tale). Questa interminabile maratona annuale ha toccato l’apogeo con la presentazione in pompa magna del tomo, davanti ad una platea rigorosamente bipartisan, perché per le scemenze c’è sempre tempo e soprattutto concordia.


Ignaro, ovviamente, di quanto sarebbe avvenuto durante la settimana, domenica 11 ho acceso la tv, poco dopo le 12:00, per seguire, come di consueto, “Linea Verde”, una trasmissione che ha almeno il pregio di non essere inquinata dagli applausi del pubblico in studio o, ancora più irritanti, da quelli preregistrati assieme alle risate. Anche se, essendoci Paolo Brusio, l’uomo da marciapiede più famoso di De Niro, sarebbero come cacio sui maccheroni.


Stavano scorrendo ancora i titoli di coda del programma precedente, “A sua immagine”, che è un settimanale di informazione religiosa. Il conduttore, un falso giovane dai capelli brizzolati, stava conversando amabilmente con un ospite, in atteggiamento abitualmente curiale e, dunque, quanto mai appropriato in quel contesto... Già, era proprio Vespa, il quale si trovava lì naturalmente per  raccontare un episodio del suo libro.


Inizia “Linea Verde”, in (falsa) diretta dalla natura. Siamo nel cuore della Maremma, allevamento di animali all’aperto, Paolo Brosio che fingeva, come sempre, di interessarsi e apprezzare, finiva col pestare un ricordo di vacca e lì si bloccava, ma prima di impantanarsi e intrattenersi in quella posa col ministro delle Risorse Agricole, Alemanno, aveva trovato il modo di incontrare, al pascolo da quelle parti... Già, ancora Bruno Vespa con libro al seguito, magicamente comparso tra le mani del conduttore.


Due punture di insetto in un solo giorno erano troppe e infatti notavo un evidente gonfiore in una zona del corpo, accompagnato da un senso di pesantezza...




 


giovedì 15 dicembre 2005

Gocce (asciutte) di memoria


http://www.gcs-crostolo.it/Immagini_file/Calendario%


Accadeva tutto due anni (e una settimana) fa. L’ultimo saluto, l’ultimo bacio e poi io che mi avviavo lungo il vialetto che fiancheggia la stazione e “lei” che si allontanava sulla sua auto. Non l’avrei più rivista. Solo che io non lo sapevo, “lei” invece sì.


E molte altre cose sapeva e aveva evitato di riferirmi. Lo avrebbe fatto in seguito, in dosi omeopatiche, frammentarie, confuse, non comunque in modo esaustivo. Formalmente non c’è stato addio.


I miei primi post (e anche questo blog) nascevano dall’amarezza, dall’irritazione e anche dalla passione, non ancora estinta, per questa donna. Racchiudevano uno slancio inesausto, un sentimento per quanto vilipeso e calpestato non ancora spento, simile alle braci che, dopo ardente foco si smorzano nel camino, con l’ultimo baluginio.


Mi sorprenderebbe, ne sono certo, se rileggessi, l’affetto che percorreva quegli scritti. Ne rimarrei stupito, perché adesso non sarei in grado di esprimere tali sensazioni, di trasmettere uno stato d’animo sì sconvolto. Sì disperato, sì amareggiato. E tanto. Una condizione spirituale a cui erano, però, sufficienti pochi spunti per ritrovare mai sopite sensazioni ed emozioni. 


Ma l’uomo, come la donna presumo, è cambiato. Sa che a rimetterci di più è stata “lei”. Sa e anche auspica, che questo rammarico, inevitabilmente sopraggiungente, la accompagnerà per un bel pezzetto di strada e sarà solo l’orgoglio, mai domo, ad impedirle di riconoscerlo. Certo le nostre strade non sono state parallele, in questo arco temporale, perché in frantumi ne sono uscito io. Certo più di “lei”. E ho dovuto ricostruirmi, pezzo per pezzo, in un’opera faticosa e ancora incompiuta.


Però quanto è strano doversi esprimere con tale nettezza, asciutta e anodina, su una donna che ha abitato la quotidianità, che è stata parte integrante di ogni mia azione, che ha abitato nel mio cuore. Il suo nome, che mai ho di nuovo pronunciato, farebbe ancora male, un dolore su cui non indugio, perché di acqua sotto i classici ponti ne è passata pure per me. La sua foto, formato tessera (con dedica) è rimasta in una tasca del portafoglio. La tentazione, che talvolta mi assale, trova ragionevoli motivazioni per non esondare.


Ho cancellato i sui numeri dalla rubrica del cellulare, in modo che qualora dovesse arrivare, in questo periodo, sciagurato anche per tale eventualità, un sms con un nuovo numero non sarei condizionato nella richiesta di identificazione. “ Ma sei sicuro che non riconosceresti il mittente? “ mi chiedeva un’amica, sabato mattina, forte di quello squisito sesto senso che arricchisce la femminilità, rendendola intrigante. “No – le ho risposto – credo che emergerebbe una lieve sfumatura a farmi capire da chi proviene”. Però mi darei coraggio – pensavo - e replicherei nel modo più formale possibile. Ma non vivo nell’attesa che questo accada. Ora non più.


 

lunedì 12 dicembre 2005

La strage fascista


http://digilander.libero.it/infoprc/pinelli_file/image011.gif 


Milano buia come la sera del 12 dicembre 1969, la sera della strage di piazza Fontana non la posso dimenticare. Allora abitavo in via Bagutta a quattrocento metri da piazza Fontana e dalla Banca dell´Agricoltura, la banca della strage. Milano in una caligine da Malebolge, da palude Stigia. E in quel buio arriva una telefonata da Pietra il direttore del Giorno. I direttori non ti chiedono mai se hai sentito, visto, saputo. Loro devono fare il giornale e ordinano: "Vai a vedere a piazza Fontana e poi vieni a scrivere il pezzo al giornale". Non era un bel vedere quello di piazza Fontana, non si poteva entrare nella sala terrena della banca dove una bomba aveva fatto strage, c´era solo da sentire l´odore acre di bruciato e di sangue, c´era da udire gli ululati delle autoambulanze, le grida di quelli che correvano sollevando le barelle, il buio pesto attorno ai fari bianchi, alle lampade rosse, rotanti, allo scempio dei corpi, ai getti d´acqua delle autopompe. C´era da vedere la cosa schifosa che è la strategia della tensione di cui una burocrazia cinica e sorniona è complice. Il gioco sta facendosi durissimo, a forza di simulare la guerra sociale la guerra è arrivata. In una Milano immersa in una caligine da Malebolge cominciarono gli anni del mistero. Un servizio segreto che impareremo a chiamare deviato, ma deviato da che nessuno può dirlo, ha messo Milano di fronte al misfatto. Andai al giornale a scrivere il pezzo e scrissi quello che era chiaro agli occhi di chiunque: la strage di piazza Fontana era una strage di Stato, per dire fatta da apparati statali che avremmo imparato a chiamarli deviati, un modo per dire: sono noti a una parte dello Stato, sono aiutati e coperti da una parte dello Stato ma diciamo che sono deviati. Così chi deve capire cosa vuol dire una bomba in una banca al centro di Milano mentre sta dilagando l´inverno caldo delle lotte operaie, capisce e si regola. Quella sera scrissi che la strage di piazza Fontana era una strage di Stato con tranquilla certezza senza tirare a indovinare. Mi chiamò Pietra, che aveva letto le cartelle una dopo l´altra, appena scritte. "Ma secondo te le bombe, qui a Milano e a Roma chi le ha messe?". "I carabinieri" risposi. Volevo dire quelli dei servizi segreti o delle trame nere, non i caramba, i ghisa, i celerini, insomma i poliziotti arruolati nelle campagne povere del Sud che vanno a farsi pestare in piazza. "Tu dici?" fece lui. "Il prefetto Mazza è convinto che siano stati gli anarchici". Ma chiamo il fattorino e mando il pezzo in tipografia senza correggere una virgola. Si diceva di lui che era stato assieme a Cefis nel Sim, il servizio segreto dell´esercito. Aveva un sorriso strano, fra cautela e intesa.




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Durante la guerra partigiana non aveva mai portato armi ma comandava una divisione garibaldina essendo un deciso anticomunista. Il 25 aprile del ‘45 quando al comando generale partigiano decisero di mandare il colonnello Audisio a giustiziare Mussolini e i gerarchi fermò un amico che si era mosso per aggregarsi alla spedizione. Ma non era uomo del doppio gioco, era soltanto uno che la sapeva lunga sulla politica e che ci sapeva navigare. Uno che sapeva come vanno le cose di questo mondo. Io invece in quel mondo mi muovevo con poca sapienza e poca prudenza, trascinato dalla passione politica e sorretto da quella convinzione di onnipotenza, di quasi immortalità che la guerra partigiana mi aveva lasciato in corpo. Convinto di stare dalla parte della verità, dalla parte giusta. Le buone ragioni non mancavano. Non era credibile che quei quattro gatti senza protezioni e senza soldi dei circoli anarchici avessero potuto organizzare ed eseguire attentati simultanei a Milano e a Roma nella banca e all´Altare della Patria. C´era la contestazione studentesca e c´era la rabbia operaia ma la risposta del terrore appariva sproporzionata. Sapevamo poco o niente della guerra fredda della violenza e della rozzezza degli opposti apparati polizieschi, della Nato come del patto di Varsavia. Ma dovevamo stare a quella scuola brutale di politica, dovevamo starci anche obtorto collo anche se ci sembrava impossibile che alti funzionari dello Stato fossero complici di delitti contro lo Stato, che un prefetto, un questore, un generale rendessero falsa testimonianza, dirottassero le indagini, facessero esplodere la bomba rimasta intatta alla Banca Commerciale per cancellare le prove e proteggere chi ce le aveva messe. La politica diventava misterica, sfuggente, incomprensibile. Un governo moderato che conosceva la nostra sudditanza dall´apparato atlantico si piegava a coprire le trame dei servizi, lasciava che gli scontri di classe fossero condizionati dalle bombe. Ma anche la risposta giovanile, le pulsioni rivoluzionarie, anche il gioco della rivoluzione invece di disvelare la congiura dei potenti la annodava, diffondeva la psicosi di un imminente golpe fascista, di destra, che fu la matrice del terrorismo. L´intolleranza si diffondeva, chi non era intollerante passava o per un debole o per un vile, per uno che tirava a campare. Riaffiorava la cultura del pressappoco, del fascismo che non è fascismo, del marxismo di chi non ha mai letto Marx. Tutto sembrava lecito e tutto sopportabile, come se a tutti fosse venuta una di quelle febbri maligne che non ti uccidono ma ti fanno impazzire, una di quelle febbri che non sai come curare, che da un giorno all´altro dovrebbero passare invece tirano avanti per anni. Bisogna stare al gioco e non è facile.




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Un 25 aprile di quegli anni la preside di una scuola mi chiede se posso dir due parole ai suoi alunni. La scuola è alla Barona, un quartiere del sud Milano che sembra un suburbio africano, la commemorazione si tiene in un cinematografo, le scolaresche sono già entrate, il lancio delle bucce di mandarini, di castagne secche e di cartacce sembra però tollerabile, attacco la mia orazione piccola, e arriva subito la buriana. I ragazzi della Barona sono quasi tutti immigrati, non sanno nulla della Resistenza e comunque non gliene importa niente, mi lasciano parlare per due minuti, poi si alzano, urlano, lanciano quel che gli capita sottomano, gridano "vaffanculo nonno", in un pandemonio di inferno. La preside mi prende per un braccio e mi porta in salvo. Ma non è imbarazzata, ha l´aria di pensare che è andata bene così. Non avevamo previsto le bombe e non è stato possibile dare una mano a scoprire i colpevoli. Lo Stato complice cancellava le prove, deviava i sospetti ma anche noi ci perdevamo fra le false notizie, le indiscrezioni pilotate, gli scoop che ci arrivavano dall´Ufficio Affari riservati diretto da un poliziotto gastronomo che si prendeva gioco di noi. Lavoravamo, cercavamo in un turbine di "notizie del diavolo", ci avventuravamo nel sottobosco dei finti misteri, dei mitomani, prendevamo per buone a volte le invenzioni dei chiacchieroni e dei fabbricanti di finte congiure. Un grande giornalista come Indro Montanelli che era anche persona civile e cortese perdeva il ben dell´intelletto accusando Camilla Cederna e Giulia Maria Crespi la proprietaria del Corriere della Sera di trame politico-erotiche con Mario Capanna e veniva preso sul serio dai carabinieri che perquisivano le ville della Crespi. E scambiare una Crespi per una sovversiva era davvero il segno della massima confusione. Ma ci furono anche i morti come Pinelli, i perseguitati come Valpreda, ci fu anche una sporca storia che non ha giovato a nessuno.



"Quando Milano piombò nel buio di Piazza Fontana" di Giorgio Bocca da "la Repubblica" del 5 maggio 2005




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venerdì 9 dicembre 2005

La gelatina natalizia


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Qui lo dico e qui non lo nego. La melassa appiccicosa di ipocrita e festosa allegria, tracimante da tv, radio, quotidiani, internet e qualunque altro mezzo di comunicazione, compreso il passaparola, è ormai insopportabile. Anzi con il passare dei giorni, come è inevitabile, sta assumendo dimensioni di autentica violenza nei confronti di chi non può sottrarsi, anche se cerca accuratamente di non incappare nella pornografia natalizia.


Avevo annotato, su un post-it, che il 4 ottobre alle 20:35, per poi ripetersi due ore più tardi, era passato su RaiTre il primo spot sulle “decorazioni natalizie che colpiscono al cuore”.  Adesso la misura è ormai in eccesso, con i soliti gestori di telefonia mobile ossessivamente presenti a tutte le ore. Ma l’onda più grossa ha cominciato a montare proprio da ieri.


Penso che i cattolici, per esempio, dovrebbero - sempre cristianamente, intendiamoci - irritarsi per la devastazione pagana che viene operata. Non esistono più le festività religiose in quanto tali, semmai esistono date che segnano l’inizio di un ponte, di un esodo, di una gita fuori porta oppure dell’avvio della corsa agli acquisti, come appunto è da ieri.


Come se non bastasse, a tutto questo ciarpame, si è aggiunto un oggetto trash che potrebbe diventare di culto, come i famigerati nani da giardino: il babbo natale rampicante.


Appesi ad una grondaia, pendenti da un albero, piazzati davanti al portone o infilati su un cancello, stanno spuntando come funghi questi bruttissimi pupazzi arrampicati su una scala. Quale ne sia il senso lo ignoro, ma credo che altro significato non abbia se non quello di una coazione a ripetere e scimmiottare una presunta moda generatasi nel pianeta della stupidità.


Povero babbo natale! E’ così in bolletta da avergli requisito slitta e renne e forse per sfuggire ai suoi persecutori si ritrova così abbarbicato: un uomo in fuga. Povero babbo natale ridicolizzato in un negozio come ho visto, proprio ieri e che come umano non avrei voluto vedere: le commesse alla cassa costrette, devo immaginare, a indossare giacca e pantaloni rossi, bordati di pelo sintetico bianco. E cappuccio, naturalmente. Mi sono vergognato per loro, ma ne ho pure provato profonda pena e istintiva solidarietà.

martedì 6 dicembre 2005

La valle dell' eden


http://www.legambientevalsusa.it/Images/notav.gif


Mi hanno riferito che, durante la notte scorsa, la polizia è intervenuta pesantemente per sgomberare il presidio pacifico allestito in Val di Susa. Per incompatibilità orarie non ho ancora potuto vedere nessuna immagine. Ma non mi è difficile credere alle manganellate pesanti dei celerini. In questo modo, guidati in cabina di regia da Fini, avevano già esibito i muscoli al G8 di Genova, all’esordio del nuovo governo di destra (centro).


E proprio stamattina mi è arrivata, dopo una serie interminabile di “forward”, questa lettera che pubblico (con tutte le cautele del caso, s'intende, anche se è firmata). Diario in edicola dedica l’inchiesta di copertina alla Val di Susa, una carissima blogger (e amica), autorevole e seria come harmonia aveva già postato qualche giorno fa sull’argomento.


Mi aggiungo anch’io a tutti coloro che sono interamente dalla parte dei valsusini. Questo blog è NoTAV al 100%.


"Scrivo queste poche (spero) righe con l’unica intenzione di portare a conoscenza una situazione che la maggior parte dei media cerca di tener nascosta. Da diversi anni è in corso in Val di Susa una manovra di resistenza organizzata contro la linea ad alta velocità ferroviaria Torino-Lione (TAV). Quello che fanno credere i media è che gli oppositori siano pochi e comunque motivati solamente dal fatto che “gli passa il treno sotto casa”. Nella manifestazione di giugno scorso c’erano 30.000 persone (in tutta
la Val
di Susa ci sono 50.000 abitanti) Non posso di certo smentire questa motivazione, ma in realtà i motivi veri (che vengono metodicamente nascosti dai media) sono ben altri.


1. La tratta Torino—Lione è completamente inutile: nella Val Susa esiste già una linea ferroviaria, sottoutilizzata, in grado di reggere il traffico richiesto (considerando i tassi di crescita) almeno fino al 2050.


2. La linea in costruzione è esclusivamente merci. Non si avrebbe alcun vantaggio in termini di tempo per la percorrenza da Torino a Lione. I treni passeggeri comunque continuerebbero a transitare nella linea storica con i tempi di percorrenza attuali.


3. Nel tratto montano (e quindi da Torino alla Francia), comunque non sarebbe una tratta ad alta velocità, perchè la conformazione del terreno (montano) non la rende possibile.


4. L’amianto sotto al Musinè c’è veramente (è già ampiamente dimostrato), e nei progetti non c’è il minimo accenno ad un piano di messa in sicurezza dell’amianto estratto (è previsto semplicemente uno stoccaggio in valle a cielo libero), che con i frequenti venti della Val di Susa verrebbe distribuito e respirato in tutta la cintura ovest di Torino ed in Torino stessa. Le malattie causate dalla respirazione di anche solo 1 fibra di amianto vengono diagnosticate 15 anni dopo l’inalazione. Dal momento della diagnosi la mortalità è del 100%, ed il tempo di vita medio è di 9 mesi.


5. Il corridoio 5 (tratta Lisbona—Kiev) di cui questa tratta sarebbe parte fondamentale non esiste: da Trieste verso est l’opera è bloccata in tutti i suoi aspetti.


6. Finanziariamente è un disastro annunciato: perchè vada in attivo, nella tratta dovrebbe passare un treno merci ogni 3 minuti, 24 ore al giorno. Per questo motivo, al momento nessun privato si è impegnato finanziariamente, banche e fondazioni comprese. La tratta è costosissima, ed i soldi non ci sono: è notizia recente che nella finanziaria di questi giorni sono stati tagliati quasi tutti i fondi per le grandi opere. Gli unici soldi su cui si regge l’opera sono i finanziamenti europei.


7. Se dovessi elencare tutte le implicazioni legali del ministro Lunardi (mi spiace, ma non riesco proprio a dare dell’onorevole ad una persona del genere) questo documento diventerebbe troppo lungo. Dico solo che l’appalto per la costruzione del tunnel di 52 Km (7,5 miliardi di euro) è stato vinto da una ditta francese che l’ha subappaltato alla francese RockSoil, di proprietà della moglie. Forse ora è più chiaro e motivato perchè nelle proteste dei valsusini sono presenti sempre, in prima fila, tutti i sindaci e le istituzioni di tutti i paesi della Valle, indipendentemente dal partito politico di appartenenza.


Il CIPE, incaricato di distribuire i fondi italiani, ha già eliminato la tratta Torino—Lione dalle opere da finanziare dallo stato italiano (nonostante quanto riferito dai media). L’unico obiettivo di chi
la TAV
la vuole fare è quello di agganciare la pioggia di finanziamenti europei per le grandi opere; per far questo, devono entro fine anno poter dire che i lavori sono iniziati.


Lunedì 1 novembre ho partecipato al blocco dei lavori a Mompantero: in 500 persone (saremmo stati molti di più, ma alla maggior parte delle persone è stato impedito di raggiungere i luoghi della protesta, militarizzando Susa) abbiamo bloccato senza alcuna violenza per un giorno intero 1200 demotivati esponenti delle forze dell’ordine. La notizia che i siti siano poi stati presi in possesso dalle forze dell’ordine in nottata (quando non c’era più nessuno ad opporsi e verificare) sembrerebbe falsa, alcune persone hanno verificato il giorno successivo che i siti erano ancora sgombri.


La questione NoTAV non è una questione di sinistra o destra: l’opposizione è trasversale, ed ogni persona di buon senso che sia informata sul problema non ha


difficoltà a capire le nostre ragioni. Il problema è che la voce dei NoTav viene puntualmente soffocata dai media, per la grande quantità dei finanziamenti europei in gioco.


Personalmente penso che anche i più accesi interessati questo lo sappiano benissimo, e dell’opera non gli importi proprio nulla. L’unica loro preoccupazione è farsi rigirare nelle loro casse i soldoni europei.


Non chiedo a chi legge questo messaggio di crederci ciecamente, ovviamente può essere inteso come propaganda di parte, ma di informarsi anche da altre fonti indipendenti. Purtroppo il quotidiano
La Stampa
ed il telegiornale regionale di RaiTre sono le fonti di informazione che si sono rivelati più corrotti e di parte, non solo nei commenti alle notizie ma anche nel continuo riportare notizie false.


Qualche anno fa è venuta una troupe di Report diversi giorni in valle a fare un servizio sul problema. Risultato: il servizio non è mai andato in onda ed il giornalista è stato quasi licenziato.


Il mio intento non è solo di convincervi sulle nostre ragioni, ma prevalentemente di informarvi. Se credete che le informazioni di questo messaggio siano false, vi invito a verificarle. Penso che poi la convinzione venga da sola".




lunedì 5 dicembre 2005

Pericoloso delirio



http://www.satira.biz/satira/vignette/vignette2.htm#




Il ridicolo faccione dell’ometto, ospite ormai pro-tempore di Palazzo Chigi, spicca nei manifesti 6x3 rassicurando gli italiani che “stiamo mantenendo gli impegni” per poi minacciare : ...”e andiamo avanti!”. Ormai l’unico contrasto da opporre a questo principe della satira super partes, nel senso di inavvicinabile anche dai migliori artisti del settore, è quello di riderci sopra, sperando che proprio da un’omerica risata vengano sepolti lui e i suoi megafoni. Ancora una volta in rete ho trovato questi versi, purtroppo anch’essi di autore ignoto. Consoliamoci.




Qui comincia la lettura
della splendida avventura
di quel Silvio Berlusconi
che, ricchissimo, a milioni,
ha promesso agli italiani
un magnifico domani,
quando a tutti disse un dì:
"Fo tutt'io, ghe pensi mi!".
Arrivò a menar la danza
dopo lunga militanza.
Fu bravissimo studente,
latin lover molto ardente,

come figlio fu ideale,
fu un marito eccezionale,
con due mogli, due famiglie,
con due figli e con tre figlie.
Fu cantante per diletto,
venditore del Folletto,
piduista, muratore,
artigiano e costruttore.
Fu operaio, contadino,
architetto del giardino,
del lavoro cavaliere,
re del video, paroliere.
Fu imputato, allenatore,
grande comunicatore,
dei potenti vero amico,
della terra l'ombelico.
E alla fin, con grande acuto,
molto in alto si è seduto.
Firmò subito un 'contratto'
agli ingenui molto adatto:
"Sono cinque gli obiettivi:
delinquenti inoffensivi,
ponti, strade, costruzioni,
incrementi alle pensioni,
per il fisco meno tasse,
più lavoro per le masse.
Ne realizzo solo tre?
Me ne vo, credete a me!".
Dopo un anno dal 'contratto'
ha gridato: "Tutto fatto!",
ma, statista dilettante,
le ha sbagliate tutte quante

e, fra un viaggio e due processi
fatto ha solo i suoi interessi.
Come andò saper potrai
se con calma leggerai.



 


domenica 4 dicembre 2005

Punti di vista


Venerdì 2 dicembre sciopero generale di otto ore dei metalmeccanici per pretendere (a questo punto) il rinnovo del contratto di lavoro scaduto da oltre un anno e manifestazione nazionale a Roma. Come inevitabilmente accade in questi casi solito contrasto di numeri con l’ormai famosa Questura della capitale. Guerra di cifre, viene sempre definita negli sbrigativi commenti, come se pure delle cose astratte fossero sempre in guerra in questo mondo capovolto. Ho trovato sul web questo raccontino, anonimo e lo aggiungo qui. Per sorriderci sopra. Sulle puntuali (e talvolta ridicole) discordanze, non certo sulle sacrosante rivendicazioni dei lavoratori metalmeccanici.





Il gran balletto delle cifre della questura nella storia.


- Un giovedì sera dell'anno 33 d.c. Gesù e gli Apostoli si ritrovano per l'ultima cena.
Seduti attorno alla tavola ci sono 13 persone secondo gli organizzatori, mentre secondo la questura di Roma i commensali non sono più di 5.


- Il 5 maggio 1860 Garibaldi salpa da Quarto a capo di un corpo di volontari. I partecipanti sono 1000 secondo gli organizzatori, mentre per la questura di Roma sono solo 300.
- Una mattina di fine '800 alcuni trentini entrano a Trento trotterellando. Secondo gli organizzatori i suddetti trentini sono 33, secondo la questura di Roma invece sono solamente 13.
- Fra il 18 e il 22 marzo 1848 aspri combattimenti contro l'invasore austriaco hanno luogo per le strade del capoluogo lombardo. Secondo gli organizzatori le giornate di Milano sono 5, la questura di Roma stima invece che le scaramucce non siano durate più di un paio d'ore.
- Una sera di marzo del 1929 alcuni gatti si mettono in fila per sei col resto di due. Secondo gli organizzatori i gatti sono 44, la questura di Roma stima invece in non più di 16 il numero dei felini.
- Tanti e tanti anni fa Alì Babà entra in conflitto con un gruppo di ladroni. Il numero dei ladroni è di 40 secondo gli organizzatori, ma di soli 9 secondo la questura di Roma.
- Durante l'Esodo, il profeta Mosè riceve le tavole della legge. Secondo l'Organizzatore i comandamenti intagliati nella pietra sono 10, mentre per la questura di Roma i precetti non sono più di due.
- Tra le due guerre mondiali una coppia di prolifici dalmata mette al mondo una grande cucciolata. Secondo gli organizzatori la carica dei cuccioli è composta da 101 unità, mentre per la questura di Roma non sono più di 58.


- Nell'ottobre del 1492 il navigatore Colombo veleggia verso le coste dell'America a bordo di un naviglio. Secondo gli organizzatori si tratta di 3 caravelle, ma per la questura di Roma la barca è una sola e per di più guidata da uno scafista.


- All'apice dell'età degli eroi Ercole affronta una serie di epiche fatiche. Per gli organizzatori della performance le fatiche sono 12, mentre per la questura di Roma l'eroe non si è mai mosso dal letto perché non c'aveva voglia di fare un *Censured*.

giovedì 1 dicembre 2005

La paura in casa


Sostiene Pizzi (Antonio Pizzi, procuratore della Repubblica a Monza su “
La Stampa
del 27 novembre) che: “Ormai siamo in presenza di quella che definisco la ‘Società parallela’. Sono immigrati clandestini, gente sconosciuta, senza nome e senza volto. Una ‘Società parallela’ che ricorre alla violenza per sfregio, per una sorta di rivincita nei confronti della nostra società”. Colpevole di “non riconoscere i diritti e di non consentire di realizzare progetti di vita”. Risultato, “i sistemi sociali non reggono”.


Sostiene Lutring (Luciano Lutring, rapinatore imprendibile degli anni ’60, definito “il solista del mitra”) che ai suoi tempi “nella Milano delle Topolino, non esistevano queste cose. Ma allora la ‘mala’ aveva una sua morale, un suo codice, era controllata dall’interno. Ora c’è troppa droga e troppi clandestini. Vedono che quelle rapine avvengono, pensano siano facili e vanno”.


Sostiene Ruotolo (Sandro Ruotolo, giornalista di spicco del Tg3, punta di diamante nella squadra di Santoro, sandroruotolo.splinder.com è il suo blog) che: “Questo della sicurezza e' un tema che non deve essere sottovalutato. Berlusconi ha vinto le elezioni sulla paura dei cittadini, mentre una certa sinistra ha snobbato la questione. Ma è proprio sulla legalità che, invece, si misura la capacità di governo delle forze attualmente all'opposizione.  A leggere i dati sulle rapine nelle ville emerge che nei primi sei mesi del 2005 sono state 166 contro le 317 dell'intero 2004 e le 257 del 2003. (erano state aggiungo – sempre riprendendo da “
La Stampa
” - 274 nel 2002. 282 nel 2001 e 323 nel 2000). “Rispondere all'esigenza di sicurezza da parte dei cittadini non è né di destra né di sinistra. Sbagliano coloro che ‘giustificano’... “Nel mezzogiorno d'Italia” gli è capitato di trovare “in certi intellettuali, in certi esponenti politici una sorta di miopia: ‘bisogna individuare nel malessere sociale la devianza’. E che c'entra? Se uno viola la legge va perseguito. Punto e basta. Poi e' la politica che deve dare risposte sociali al declino di intere aree del nostro Paese. Ci sono migliaia e migliaia di disoccupati, di lavoratori che vivono al di sotto della soglia di povertà e non per questo rubano e commettono reati”.


Sostiene Ferrero (Ernesto Ferrero, saggista e romanziere torinese, sempre sul quotidiano di domenica scorsa) che “Le aggressioni che ci spaventano e di cui soffriamo sono forse speculari al vuoto delle nostre società, alla caduta dei valori, all’assenza di progetti, alla nostra atonia morale, al nostro rimuovere tutto ciò che è dolore, sofferenza, fatica, paura, perché non è trendy, non è moderno, non è rock. Perché non sappiamo più fare i conti con noi stessi fino in fondo.


I modelli che attraverso la volgarità televisiva offriamo ai nostri figli, prima ancora che ai nuovi barbari (il successo che non costa niente, i soldi facili, il lusso virtuale degli spot pubblicitari, ecc.) contengono nel loro Dna il suggerimento a provare con le scorciatoie della violenza e della frode, che sono una tentazione sempre più diffusa anche per chi barbaro crede di non essere. il «provarci» paga quasi sempre e in ogni caso se va male costa pochissimo. I delitti grandi, piccoli e minimi che tutti i giorni abbiamo sotto gli occhi e che rimangono per lo più senza castigo, per via di una sciagurata cultura del lassismo e del perdonismo )quella «pornografia del perdono» di cui parlava Giuseppe Pontiggia), generano un’insicurezza diffusa che è anche peggio della paura da aggressione. Perché nasce dal dubbio angosciante che non esistano più regole del gioco condivise, che vincono sempre i più forti e i più scaltri, l’eterna Italia dei furbi e dei disonesti, come diceva Bobbio. Il vero nemico ce l’abbiamo in casa, e siamo noi.”.


Io sto con l’ordine e la legalità, con il rispetto delle regole per tutti, senza indulgere in ipocrisie, in giustificazionismi. Sto con Ruotolo, che di inchieste sulla criminalità organizzata ne ha compiute, quando scrive ciò che ho evidenziato, non nascondendo il dubbio, peraltro risolto dallo stesso giornalista, che se al Sud non si registra un’attività florida di bande nomadi dedite all’assalto delle ville, ciò è dovuto alla presenza indubbiamente più capillare (purtroppo) della mafia che, così, diventa automaticamente l’Antistato per il controllo del territorio, in grado dunque di garantire i parametri minimi di sicurezza. La deriva è così completa.


Destra o sinistra che sia chi governerà il Paese è con il gravoso problema della sicurezza e della legalità che dovrà confrontarsi. Senza sconti per nessuno.