domenica 11 dicembre 2011

C'erano una volta i treni della notte






Addio ai treni notturni tra Nord e Sud

cancellato anche il "Treno del sole"



Le ferrovie cancellano gli ultimi treni a lunga percorrenza che per decenni sono stati il simbolo dell'emigrazione. Tutti i convogli partiti dalla Sicilia si fermeranno a Roma



di SALVO CATALANO


PALERMO - Per decenni i loro nomi evocativi sono stati un simbolo dell'Italia unita e dell'emigrazione: Treno del sole, Trinacria, Treno dell'Etna. Un simbolo che adesso finirà nei ricordi: dal prossimo 12 dicembre chi dalla Sicilia vorrà raggiungere Milano, Torino e Venezia non potrà più farlo in treno. Con il nuovo orario invernale, Trenitalia ha deciso di cancellare gli ultimi tre collegamenti diretti che erano rimasti con le città del Nord. Fermata obbligata diventerà Roma.


Nel 2005 erano 56 i treni circolanti da Nord a Sud e viceversa. Oggi sono 26, e da lunedì prossimo saranno dieci. I sindacati Fit Cisl e Filt Cgil denunciano i numeri che illustrano il disimpegno del gruppo Ferrovie dello Stato dalla Sicilia. "È il colpo di grazia - denuncia Franco Spanò, segretario generale della Filt Cgil - Viene negato ai siciliani il diritto alla mobilità e alla continuità territoriale". Oltre ai disagi per i passeggeri, secondo i calcoli della Fit Cisl, spariranno oltre 150 posti di lavoro tra macchinisti, capi treno, operatori della manutenzione e personale dell'indotto ferroviario.


Attualmente sono 26 i treni che uniscono le città siciliane al resto d'Italia, dal 12 dicembre diventeranno cinque da Palermo e cinque da Siracusa, tutti con destinazione Roma. Verranno cancellati del tutto il Palermo/Siracusa-Torino (Treno del sole), il Palermo/Siracusa-Milano (Trinacria) e il Palermo/Siracusa-Venezia (Freccia della Laguna). Soppresso anche l'Agrigento-Roma e viceversa. Se gli abitanti della città dei Templi vorranno raggiungere la capitale dovranno optare per il pullman.


Chi, invece, sceglierà di viaggiare in treno verso una città più a nord di Roma, sarà costretto a scendere comunque nella capitale e cambiare convoglio. "Attualmente il costo medio per andare da Palermo a Milano con un treno notte è di cento euro - afferma Spanò - Da dicembre non si sa". Trenitalia, che fornisce i servizi su commissione del ministero delle Infrastrutture, garantirà integrazioni tariffarie sui collegamenti da Roma in su per chi proviene dalla Sicilia. "Ma in questo momento è una promessa del tutto astratta - spiega Spanò - Non sappiamo se sarà mantenuta, quanto durerà e come si eserciterà. Abbiamo chiesto più volte un confronto, ma non abbiamo avuto notizie".


Resta incerto anche il futuro dei vagoni letto sui treni notte per Roma, visto che ad oggi è impossibile prenotare un posto per il 12 dicembre. Secondo i dati della Fit Cisl in quattro anni, dal 2006 al 2010, a causa dei tagli operati da Rfi e Trenitalia, il numero di passeggeri trasportati tra le due sponde dello stretto si è ridotto di un milione e duecentomila unità. Sulle decisioni di Trenitalia ha influito il pesante taglio sul trasferimento di risorse da parte del precedente governo, che ha spinto i dirigenti dell'azienda pubblica a tagliare le linee economicamente svantaggiose. "Un servizio obsoleto che aveva senso vent'anni fa" spiegano dall'ufficio stampa di Trenitalia, secondo cui, con l'eccezione dell'alta stagione, i treni notte vengono scelti da poche decine di persone.


Soltanto nel triennio 2008-2010 c'è stato un calo del 25 per cento di passeggeri. "Che il numero dei passeggeri sui treni notte dalla Sicilia fosse basso è una falsità - spiega il segretario Filt Cgil Spanò - Anzi, da un anno e mezzo Trenitalia porta avanti una politica di disincentivazione, ostacolando le prenotazioni e preferendo far viaggiare i vagoni vuoti per poi usare questo argomento a sostegno delle sue irresponsabili scelte". Il segretario della Cisl Sicilia, Maurizio Bernava, invita a "una forte reazione" i politici siciliani, il mondo sociale e lancia la proposta di una grande manifestazione a Roma per metà dicembre.


(6 dicembre 2011)



domenica 20 novembre 2011

Alluvione perenne - 2


La Costituzione della Repubblica Italiana



Art. 9



La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.



 













Prefazione



di Marco Travaglio



Nei miei primi venticinque anni, la Liguria è stata sinonimo di mare, di vacanze, di estate, di focacce, di pesce fresco, di ragazze, di allegria. Poi, quando cambiai rotta per le ferie, rimase un bel ripostiglio di ricordi e di emozioni, che riemergevano a ogni canzone di De André, a ogni spettacolo di Grillo, a ogni poesia di Montale, a ogni film di Villaggio. Nel luglio del 2006 mi arrivò il numero 5 di «MicroMega». C'era una lunga inchiesta di Marco Preve e Ferruccio Sansa, due fra i migliori cronisti che conosca. S'intitolava «L'Unione fa il cemento». Da allora, la Liguria mi è diventata sinonimo di tristezza, di rabbia, di impotenza. Decisi di fare qualcosa, nel mio piccolo.



Ripresi l'inchiesta in una delle mie rubriche quotidiane su «l'Unità». La intitolai «Calce & Martello», nella speranza di provocare una qualche reazione dei politici citati. Invitai i turisti che stavano per mettersi in autostrada verso le spiagge liguri a munirsi di macchina fotografica per immortalarne i paesaggi marini, perché quello poteva essere l'ultimo anno utile per ammirarli, prima della grande colata di cemento, prima della «ra-pallizzazione-bis». Domandai che fine avesse fatto la sensibilità ambientalista del centrosinistra che governava la Regione quasi ininterrottamente da sessant'anni. Citai le cifre di Preve e Sansa a proposito dei quindici progetti per altrettanti porti turistici da 9.807 posti-barca che, oltre a occupare buona parte di quel che resta della costa, porteranno con sé 37.882 metri quadri di edilizia residenziale, 51.601 di uffici e negozi, 19.122 di alberghi, 33.918 di artigianale e 11.007 posti auto fra Ventimiglia, Bordighera, Diano Marina, Alassio, Loano, Savona, Finale, Albissola, Varazze, Arenzano, Santa Margherita, Portovenere. (Ma adesso si scopre che in tutta la Liguria, come ricordano gli autori in questo libro, sono in arrivo quasi tre milioni di metri cubi di cemento!)



Ricordai il patto d'acciaio siglato a Imperia dai due Claudii: il reuccio del luogo, il forzista Claudio Scajola detto «Sciaboletta», e il governatore diessino Claudio Burlando, che avevano da poco festosamente posato la prima pietra del nuovo porto: un'opera faraonica da 90 milioni di euro, con 1.392 posti barca, 1.887 posti auto, 40.000 metri cubi di edifici con 100 appartamenti, e poi garage, commercio, officine e si parla persino di un campo da golf con vista mare. Cerimonia nobilitata dalla presenza dei rappresentanti della società costruttrice: l'Acquamare di Gaetano, Francesco e Ignazio Bellavista Caltagirone, uno dei tanti nomi eccellenti, quest'ultimo, sfiorati dall'inchiesta Antonveneta, in cui era ed è coinvolto anche l'immobiliarista piemontese Luigi Zunino, uno dei furbetti al seguito di Ricucci nelle scalate illegali del 2005. Quello stesso Zunino che è pure impegnato nella costruzione di case extralusso sulla costa di Alassio. Così come Gianpiero Fiorani, quello del blitz su Antonveneta, era interessato alla mega-speculazione sull'ex Italcementi di Imperia, ed era in intimi rapporti con altri protagonisti delle speculazioni in Liguria: il trasversalissimo e dunque sempreverde costruttore pluri-indagato Marcellino Gavio; il senatore forzista ligure Luigi Grillo; la banca Carige, nel cui Cda siedono il fratello di Scajola e il figlio dell'eurodeputato Udc Vito Bonsignore, pure lui indagato come Grillo per il fallito assalto ad Antonveneta.



Rammentai il caso di Savona, che sarà presto ingentilita da tre grattacieli: una torre e un crescent progettati dall'architetto catalano Ricardo Bofill e il «faro ricurvo» ideato da Massimiliano Fuksas, un bananone luminoso alto 120 metri a strapiombo sul mare. En passant, citai anche lo scandalo di Rapallo, che rischia di essere «ri-rapallizzata» con operazioni immobiliari nello splendido borgo di San Michele di Pagana, uno dei pochi scampati alla cementificazione selvaggia del dopoguerra: «la Repubblica» aveva appena svelato un'inchiesta della Procura di Chiavari, incuriosita dalla presenza dei figli del sindaco di destra Ezio Armando Capurro, detto «il Berlusconi del Tigullio», nell'immobiliare che aveva acquistato le aree su cui stava per sorgere un hotel a 4 stelle sebbene lo stesso Comune le considerasse inedificabili (trovai irresistibile, fra l'altro, che Capurro portasse lo stesso nome del simpatico truffatore interpretato da Totò ne I due marescialli con Vittorio De Sica).



La mia rubrica su «l'Unità» si concludeva con un espediente retorico, tra il beffardo e il provocatorio: «Ce n'è abbastanza per prevedere che, alla fine dei lavori, il paesaggio ligure ne uscirà, se non sfigurato, ampiamente modificato. E c'era da immaginare che l'inchiesta uscita su "MicroMega" suscitasse dibattiti, polemiche e soprattutto smentite dalla giunta regionale. Niente di tutto questo. Silenzio di tomba. Nessuna smentita nemmeno sulla presunta "pax burlandiana", cioè sul ruolo decisivo di molti esponenti della sinistra ligure e sugli strani trasversalismi fra comuni di destra e di sinistra interessati ai progetti. Forse gli amministratori regionali erano troppo impegnati in altre faccende, per leggere la lunga inchiesta di "MicroMega" e per rispondere. Per questo l'abbiamo riassunta su "l'Unità": nella speranza che qualcuno ci dica che è stato tutto un brutto sogno, e che non è vero niente».



L'articolo uscì il 30 agosto 2006. Sto ancora aspettando una risposta, un cenno, una parola. Niente. Nemmeno ai lettori de «l'Unità» il compagno Burlando ritenne di dovere delle spiegazioni. Non pervenuto. Lui, del resto, preferisce rivolgersi direttamente agli editori per lamentarsi dei giornalisti che lo criticano. Ama le scorciatoie. Come quando fu sorpreso in auto mentre imboccava in contromano una superstrada e, fermato dalla polizia, estrasse pure il tesserino di ex parlamentare, peraltro scaduto.



Nel frattempo Preve e Sansa hanno continuato a scavare in quella lingua di terra che rischia di diventare la nostra Striscia di Gaza, senza bombe ma tutta asfalto e cemento. Con meno abitanti (caleranno di centomila unità nei prossimi vent'anni), ma con più case, più auto, più barche, più turisti (ancora!) e più arresti per tangenti e gare truccate. Ne è nato questo bel libro, scritto con precisione e amore non solo per i dettagli, ma anche per la terra di Liguria devastata da orde di predatori indigeni e importati da fuori. Che non sono però i tamarri da spiaggia libera armati di stereo in spalla e tovaglia di spugna. Sono politici, amministratori, architetti, costruttori, speculatori, immobiliaristi, qualche mafioso, col contorno delle immancabili cooperative rosse che non mancano mai per garantire la mancanza di opposizione a sinistra. Non a caso, alle ultime elezioni politiche, per la prima volta dalla Liberazione il centrodestra ha scavalcato il centrosinistra, violando una delle ultime roccaforti «rosse» considerate inespugnabili e puntualmente espugnata.



Non ci sono soltanto storie di ordinario malaffare e straordinaria speculazione, in Il partito del cemento. Ma anche racconti ai confini della realtà, come quello dei medici che posano in gruppo con lo sgovernatore Burlando in un memorabile calendario e poi si ritrovano quasi tutti promossi a primari. E c'è soprattutto la nostalgia per una terra povera ma bella, che un tempo attirava uomini di cultura da tutto il mondo, da Marguerite Duras a Ernest Hemingway, e oggi calamita palazzinari e professionisti del brutto, sempre più rinomata per la malapolitica e per le retate di colletti bianchi. Anzi, sporchi.



http://www.chiarelettere.it/libro/principio-attivo/il-partito-del-cemento.php






 


sabato 19 novembre 2011

Alluvione perenne




 



8 maggio 1998 (l'Unità)

 





 



“Adesso come allora. Come ai tempi de La speculazione edilizia di Calvino (1957). Una nuova colata di cemento si abbatte sull'Italia, a partire dalla Liguria. La febbre del mattone non conosce ostacoli perché raccoglie consensi trasversali, e al diavolo il paesaggio.

Chi può, se ne va ai Caraibi. Castelli, ex fabbriche, conventi, colonie, ex manicomi, ospedali: tutto si può "riqualificare", parola magica che nasconde ben altro.



Politici locali e nazionali, di destra e di sinistra, imprenditori, alti prelati, banchieri, siedono contemporaneamente in più consigli di amministrazione e si spartiscono cariche pubbliche, concorsi, appalti, finanziamenti.

Allo scopo servono anche associazioni culturali o in difesa dell'ambiente, appuntamenti gastronomici, feste e premi. Controllori e controllati spesso sono la stessa persona, famigliari o amici fidati.

"Fare sistema" da queste parti vuol dire costruire una rete sul territorio che non lascia spazi a chi non è della partita. In nome degli affari.

La Liguria sta coprendosi di quasi tre milioni di metri cubi di cemento e se non c'è più posto a terra, si prova sul mare, costruendo nuovi porti per decine di migliaia di posti barca. Non mancano neppure i grattacieli, opera di architetti prestigiosi (Bofill e Fuksas a Savona, Consuegra ad Albenga) che hanno messo da parte qualsiasi scrupolo paesaggistico (ma Renzo Piano si è ritirato da un progetto che inizialmente portava la sua firma).

Parlando di cemento e di piani regolatori, si arriva necessariamente a parlare della mancanza di regole di una classe dirigente in bilico tra l'imbroglio, la trama del sottogoverno e l'interesse personale. Di un'umanità approssimata moralmente e culturalmente.



Addio all'Alassio di Carlo Levi e di Hemingway, addio alla Sanremo di Calvino, addio alle Bocche di Magra della Duras, di Vittorini, Pavese, Einaudi. Addio alla Liguria degli artisti e degli intellettuali.



Ma non tutto è perduto, c'è chi si batte e ottiene risultati sorprendenti. Basta cominciare dal basso. Tutti possiamo esercitare il ruolo di cittadini, come dimostrano le associazioni libere e le iniziative che sono nate in questi mesi, in questi anni”.



Quarta di copertina del libro "Il partito del cemento" (di Marco Preve, Ferruccio Sansa) (luglio 2008). Edizioni Chiarelettere.



 





 


venerdì 11 novembre 2011

L'alluvione e la natura violentata









Alluvione a Genova, Don Gallo: “Fa male l’indifferenza. La città deve unirsi”





Il prete di strada: “La pioggia è stata eccezionale, ma le colline sono state deturpate per 50 anni”





“Questa alluvione non è certo una novità per noi, e questo è triste. Ma le cose peggiori sono l’indifferenza della gente e lo scaricabarile dei politici”. Don Andrea Gallo, 83 anni trascorsi a lottare per gli emarginati e contro i pregiudizi, parla dal suo studio vicino al porto di Genova, la sua città. Nella voce, la consapevolezza di chi ne ha viste parecchie.



Don Gallo, dopo le Cinque Terre la natura se l’è presa con Genova.



I ragazzi della mia comunità (San Benedetto al porto, ndr) vengono di continuo a portarmi notizie terribili, la città è sconvolta. Io dovevo andare a Sant’Arcangelo di Romagna, pensi che lì oggi (ieri, ndr) c’era il sole. Abbiamo telefonato, per spiegare che io non potevo partire con l’autostrada allagata e con questa situazione. Sono morti anche dei bambini…



L’opposizione accusa il sindaco Vincenzi di non aver fatto abbastanza per prevenire l’alluvione.



Guardi, i tagli del governo alle amministrazioni sono stati tremendi, e questo pesa tanto. Però bisognava organizzarsi meglio. Dalla parte del Bisagno, sul Levante, non hanno previsto nulla. E dire che c’era l’allerta, dopo quello che è successo alle Cinque Terre. E poi, perché non hanno chiuso le scuole questa mattina?



Il sindaco replica che la chiusura avrebbe ingolfato la viabilità (“i genitori avrebbero portato i bimbi dai nonni”), e che “comunque tanta gente che era in giro si è potuta rifugiare nelle scuole”.



Sarà, ma in certe scuole per salvarsi sono dovuti arrivare al quarto piano. Se parliamo di viabilità che non funzionava, ma di chi è la colpa? Ricominciamo con lo scaricabarile dei politici. La pioggia sarà pure stata eccezionale, però a Genova le alluvioni non sono certo una novità. E si capisce: basta guardare come hanno deturpato le colline in 50 anni. Ma c’è un’altra cosa che mi preoccupa.



Ovvero?



L’indifferenza. Tanta gente ti dice: "L’alluvione? Non mi ha toccato, quindi pazienza". E non va bene, perché stare in una città significa condividere delle cose, partecipare alla vita di tutti.



Vede troppa indifferenza nella sua Genova?



Sì, anche tra i giovani. Qualche sera fa sono stato a una premiazione, a Pegli, e spiegavano che qui in città è molto peggiorata la situazione del volontariato per la pubblica assistenza.



Eppure quando ci fu un’altra alluvione nel 1970 furono proprio i giovani a rimettere in piedi la città.



Certo, io ero con loro in mezzo a quel fango. Pensi che al tempo volevano costruire il monumento al giovane, per celebrare quell’impegno. Ma oggi è diverso. I ragazzi sono scoraggia-ti, delusi. Non cercano più lavoro, sognano di andarsene altrove, all’estero. E questa città è preda di una lenta eutanasia. Non c’è quel vento del cambiamento che soffia da qualche anno a Milano. Le persone e la politica si mobilitano solo per vietare. Per esempio, per impedire la costruzione della moschea.



Lei sembra mettere in correlazione l’alluvione con i problemi di Genova.

Penso che questo dramma faccia emergere le ferite della nostra città. Dobbiamo utilizzare quanto accaduto per un momento di riflessione, per guardarci dentro. Io voglio bene a Genova, è la mia città e la conosco molto bene. Ma dobbiamo tornare tutti a partecipare, ad aiutarci. Lo ripeto: la pioggia è stata eccezionale, ma la non-partecipazione è la normalità.



Ora come si riparte?



I ragazzi delle nostre comunità sono pronti ad aiutare, come sempre. Pur essendo stati emarginati in questa città, sono molto felici di aiutarla. Per loro, è uno stimolo a migliorarsi. In diversi sono già andati nelle Cinque Terre per aiutare la Protezione Civile. E poi abbiamo raccolto scorte e fondi. Lo faremo anche nella nostra Genova.



Don Gallo, cosa chiederebbe a Dio dopo un dramma come l’alluvione?



Gli chiederei perché non ha dato a Mosè l’11° comandamento: “Rispetta la natura”. Padre Zanotelli (missionario, ndr) me lo ripete sempre: la Bibbia è una contemplazione della natura e delle sue bellezze.



(5 novembre 2011)


giovedì 20 ottobre 2011

La piazza pulita




Marina Petrillo è una giornalista di Radio Popolare che conduce il programma
Alaska e lavora molto con i social media: negli ultimi mesi il suo lavoro informativo su Twitter sulle rivolte nordafricane ma anche americane è stato ricchissimo e utile.

http://www.ilpost.it/2011/10/18/siete-solo-imitatori/



Io l'ho trovato intenso e commovente. Da leggere fino in fondo e diffondere. Lo merita, perché si tratta di una delle analisi più interessanti scritte dopo gli incidenti del 15 ottobre.



sul #15O



Potrei essere vostra madre, o vostra sorella - per fortuna non lo sono, perché immagino che per quanto amiate le vostre madri e sorelle, la loro saggezza vi appaia come un altro pezzo di quel presunto perbenismo che siete venuti a disfare con le vostre mani, con le vostre braccia giovani, con le vostre spranghe e i vostri bastoni. Ma non sono né vostra madre né vostra sorella, sono una giornalista, lavoro da tanti anni in una radio indipendente, e da poco meno di un anno faccio un lavoro che prima nemmeno esisteva, il curatore di social media, una persona che verifica e sceglie contenuti tratti dal lavoro collettivo della rete per produrre a sua volta contenuti informativi. Seguo da dieci mesi le rivolte arabe, e questo mi ha cambiato la vita. Non solo perché le rivolte l’hanno cambiata a tante persone, ma perché le migliaia di ragazze e ragazzi che stanno lottando per il futuro dei loro paesi mi hanno restituito la passione civile, mi hanno fatto sentire interrogata sui modi in cui facciamo politica, mi hanno strappato dal meccanismo di delega vuota degli ultimi quindici anni, e mi hanno fatto restare in un paese che prima volevo lasciare. Studiare l’attivismo in rete mi ha condotto alle stesse conclusioni di altre decine di curatori: non esiste bloggare o twittare da una posizione di neutralità; si può offrire alla rete la propria esperienza di verifica, di studio, di approfondimento, ma si diventa partecipi, e in qualche modo attivisti, senza quasi rendersene conto, senza averlo deciso. E un bel mattino si accetta che sia così. Perché, vi assicuro, non si può stare immersi nella lotta di piazza Tahrir senza sentirsi in qualche modo responsabilizzati, interrogati nel profondo, chiamati - non a riempirsi la bocca di slogan, ma a fare sul serio. E così come faccio dirette Twitter sul Cairo col cuore in gola perché ad ogni sit-in o corteo uno di quei ragazzi può lasciarci la pelle - come è successo a Mina Daniel, disarmato, durante il massacro dei copti il 9 ottobre - così ho twittato la Roma del #15O con crescente apprensione. Ho avuto paura che vi faceste accoppare da un poliziotto che perdeva la testa. Ho avuto paura che vi faceste pestare a sangue come chi è stato a Genova dieci anni fa ricorda bene e non dimenticherà mai. Ho avuto paura che saltaste in aria nell’esplosione di una di quelle auto che avete bruciato. Ho avuto paura che uno di quei blindati ubriachi vi investisse. Ho avuto paura che ammazzaste un poliziotto. Ho avuto paura che il vostro disprezzo evidente per la gran massa di gente perbene fra cui vi siete mimetizzati vi portasse a ferire, o a uccidere, o a far uccidere, una persona che un bastone o una spranga non li userebbe mai.

Poi ho capito che voi non avete paura. Voi vi piacete così, vi sentite belli con la vostra ferocia, con la vostra rapida coreografia della morte, ho capito che corteggiate il pericolo, che non vi importa delle conseguenze, che pensate di non avere niente da perdere (e siete troppo giovani per capire che invece avete parecchio), e soprattutto ho capito che non state costruendo niente. Senza quella folla immensa in cui vi siete nascosti - lo sapete benissimo - non siete niente, nessuno vi guarda, nessuno si cura di voi, non contate un accidenti. È vero, siete bellissimi e subdoli e veloci come un branco di lupi che discende in pianura. I miei amici antagonisti vi ammirano, sono dalla vostra parte, riconoscono in voi una rabbia profonda che tutti proviamo. Salvo poi essere un filo confusi - infiltrati della polizia oppure intrepidi compagni?

Devo scrivervi perché ho rispetto per chi muore per le cose in cui crede. Per chi non ha scelta. Per chi in piazza ci va studiando, facendo fatica, mediando con persone che la pensano diversamente. Per chi si stanca, e piange, per chi diventa eroe suo malgrado, e perde amici e fratelli, e pure non smette. Per chi da dieci mesi non dorme una notte intera, per chi si interessa della democrazia e si domanda come crearne una che funzioni e darle il proprio contributo. Per chi si fa un culo pazzesco nelle scuole, nella magistratura, nei sindacati clandestini, nei giornali censurati, nella tutela legale dei prigionieri politici, nel servizio d’ordine della piazza più rivoluzionaria del mondo. Per chi va in galera a vent’anni per aver scritto una cosa di troppo in un blog, o viene torturato per un graffito. Per chi rinunciando ad armarsi ha scelto la strada più lunga e produttiva. Per chi le botte e i gas lacrimogeni se li risparmierebbe se potesse, per chi i sassi li tira perché ha di fronte un apparato infernale e corrotto che da 40 anni lo schiaccia e lo tortura - e non per modo di dire. Per chi soltanto una settimana fa ha visto i soldati gettare nel Nilo cadaveri di cristiani disarmati. Voi siete solo imitatori, attori, pedine. Non avete rispetto per i vostri diritti, e ricoprite un ruolo ridicolo nella stessa recita che tanto detestate. È nato un movimento internazionale, se vi va di rendervene conto, che potrebbe perfino salvarci dal nostro provincialismo. Ha quattro regole in croce, e chiede di rispettare solo quelle. Ha scelto la resistenza passiva - la studia, la pratica, sa a cosa serve. Se volete, è anche casa vostra. Sta a voi. Dentro al movimento, con le vostre forti braccia e magari anche il cervello, potete sperare di contare qualcosa. Ma se non avete rispetto, se non vi fidate di nessuno, se siete cinici e nichilisti e avete già deciso che non cambierà mai niente, se pensate di essere un po’ più derubati degli altri, più precari degli altri, più disoccupati degli altri, allora andate a fare gli esclusi per scelta sugli spalti degli stadi, o a spaccare vetrine da soli finché non sarete cresciuti - con la vostra illusione di avere sempre ragione, di sfidare il sistema, o di distruggere i simboli della proprietà privata mentre è vostro padre che paga ancora le rate. Vi va bene che siete italiani. Vi va bene che qui c’è qualcuno a cui fa comodo che esistiate, che finge di non vedere i bastoni nascosti a San Giovanni dalla sera prima, che non vi ferma alla stazione Termini mentre passate col viso coperto e un metro di legno che vi spunta dagli zaini. Vi va bene che qui il rapporto di fiducia con la polizia è così corroso e malato che a via Merulana si è fatta un’assemblea tragica in mezzo ai lacrimogeni per decidere se consegnare o no 3 di voi agli agenti - perché la polizia è maiale se ti carica, o se carica quelli sbagliati, ma è anche vigliacca se non ti protegge dai provocatori. Vi va bene che siete nati in un paese così bizantino e pieno di segreti che le teorie del complotto sono sempre lecite. Vi va bene che siete in un paese vecchio, l’unico in cui il movimento che dichiara la fine di un sistema fallimentare scende in piazza ancora coi suoi stracci di bandiere, con le sue divisioni tribali, con i suoi rottami di sindacato, col suo ritardo spaventoso in un paese governato da un impunito. Vi va bene che siete in un paese ipocrita, teatrale, che sfila in tv ma poi alle assemblee di discussione non ci va, e che ha aspettato invano per anni che qualcuno lo chiamasse in piazza invece di andarci e basta. E vi va bene che siamo ancora così stupidi da organizzare cortei-fiume in mezzo ai palazzi più preziosi del mondo invece di occupare pacificamente una piazza - perché certo, poi ci toccherebbe anche metterla in sicurezza noi stessi, e tenerla pulita, e prendercene la responsabilità. Vi va bene che vi sia stato offerto di nuovo un palcoscenico - voi, e tre ore di caroselli anni ‘70 delle camionette in diretta tv. Col “sistema” sembrate d’accordo almeno su una cosa: sul fatto che è meglio non manifestare del tutto, che è meglio tenere la bocca chiusa e starsene a casa, cioè esattamente l’opposto di quello che reclama questo movimento - il diritto a riprendersi lo spazio pubblico, e a usarlo per il bene comune. Avrete pure vent’anni ma siete vecchi anche voi, non scandalizzate nessuno, e vi lasciate usare. Vi hanno fatto credere che la prima linea sia quella piazza da cui avete divelto i sanpietrini, e ci siete cascati. E invece, come vi dirà qualunque vero rivoluzionario, la prima linea è dentro, e si trova insieme, e costa tempo, pazienza, e fatica.

Una cosa è sicura - questo movimento sarà anche ingenuo, ma tanto non sarete voi a cambiare il mondo. Avreste dovuto restare a bocca aperta, quando la basilica ha aperto i suoi giardini ai manifestanti soffocati dai lacrimogeni a San Giovanni. A bocca aperta per la bellezza straordinaria di quel luogo che appartiene all’umanità intera, e che è nostro privilegio conservare a prescindere dalla fede religiosa. E qualcuno avrebbe dovuto dirvi che a gennaio, per proteggere con una catena umana il Museo Egizio del Cairo, uomini e donne si sono presi per mano mentre dai tetti gli sparavano addosso i cecchini del loro stesso presidente. E che quegli uomini e quelle donne sanno che la non-violenza ha un prezzo salato, come 700 morti, che non si finisce mai di pagare. Ma ci ricordano che è uno strumento collettivo di straordinaria civiltà e potenza; ti permette di vincere battaglie decisive, ti migliora, ti moltiplica, ti eleva, ti fa contare sul serio, e ti conquista il rispetto del mondo.



Marina Petrillo

(17 ottobre 2011)