domenica 26 febbraio 2012

Rigurgito padronale







«L'EUROPA SI ERA ILLUSA DI POTER EVITARE SCELTE DOLOROSE ORA INEVITABILI»
Marchionne: «Le fabbriche italiane si salvano solo se esporteranno in America»
Intervista all'a.d. Fiat: «Ma senza costi competitivi
dovremo ritirarci da 2 stabilimenti»

Massimo Mucchetti

MILANO - «Ha visto? Chrysler ha ritirato la domanda dei prestiti federali per le auto ecologiche». Il colloquio con Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, parte dall'America e sull'America finirà.
Dottor Marchionne, perché decidere ora quando Gm vi aveva rinunciato tempo fa?
«Perché ora Chrysler non ha più bisogno di quei dollari...».
Tre miliardi al tasso dello 0,1%.
«Alla fine eravamo scesi a 2, ma il tasso d'interesse basso si accompagnava a vincoli sugli aumenti di capitale e agli investimenti fuori dagli Usa. Troppi per mettersi le manette».
Adesso avete le mani libere.
«Sì, i prestiti dei governi di Stati Uniti e Canada li abbiamo restituiti nel 2011, versando mezzo miliardo di dollari quale risarcimento degli interessi che avremmo dovuto pagare se fossimo rimasti debitori fino alla scadenza».
Tiferete per la riconferma del presidente Obama che vi diede Chrysler?
«Ci auguriamo un risultato elettorale chiaro, con la stessa maggioranza al Congresso e alla Casa Bianca. Sennò si fatica a governare».
Sembra neutrale. Con Obama lo Stato è intervenuto nell'economia. Socialismo, accusano i repubblicani. Lei che pensa?
«L'intervento dello Stato non può essere giudicato in assoluto. Io condivido i valori americani, il primato dell'iniziativa privata. Ma nel 2008 l'economia intera stava andando alla malora. Il bail out dell'auto è stato necessario perché il sistema finanziario non era più in grado di affrontare i fallimenti. Ora i fondi Tarp sono stati quasi tutti rimborsati».
Come vede il 2012 per l'America?
«Sono molto ottimista».
Con tutto quel debito pubblico?
«In quel concorso di bellezza che è la vita spesso vince la meno brutta».
E l'Italia?
«Non siamo in condizioni floride. E però il nuovo governo, in pochissimo tempo, ha dato al mondo l'idea di un Paese che sta svoltando. Un successo incredibile. Ero a Washington durante la visita del premier Mario Monti. Ha avuto un'accoglienza straordinaria: Monti è stato un'ora a colloquio con il presidente Obama, ha riscosso grandissima attenzione al Peterson Institute, il think tank più importante. L'America è un animale enorme, che tende a percepire tutti gli altri come piccoli. Non è facile che dia tanta importanza ai suoi ospiti...».
Silvio Berlusconi attaccava i giudici dall'estero. E lei non certo incoraggiava i capitali internazionali dicendo che la Fiat non poteva investire in Italia per colpa della Fiom.
«Un momento: io non ho mai parlato male dell'Italia. Ho solo riconosciuto quello che non va perché era serio farlo nell'interesse della Fiat, che è un gruppo multinazionale, e, se permette, del mio Paese».
Se in America le chiedessero: dimmi, Sergio, adesso conviene investire in Italia?
«Conviene investire man mano che le riforme del governo Monti vanno avanti».
Tra queste spicca la riforma del mercato del lavoro. Che cosa pensa dell'articolo 18?
«Che ce l'ha solo l'Italia. Meglio assicurare le stesse tutele ai lavoratori in uscita in modi diversi, analoghi a quelli in uso negli altri Paesi. Diversamente, le imprese estere non capiscono e non vengono qui a investire».
E la Fiat che fa?
«La Fiat sta investendo».
È soddisfatto degli accordi sindacali?
«Sì. Ora possiamo lavorare».
Come mai allora, 14 mesi dopo il referendum, la produzione di Mirafiori scende da 70 mila a 54 mila auto l'anno quando se ne dovrebbero produrre 280 mila? Il progetto Fabbrica Italia, presentato nell'aprile 2010 a palazzo Chigi, appare in ritardo.
«Pomigliano è ripartita. Venga a visitarla: vedrà una fabbrica modello...».
Senza più iscritti Fiom tra i neoassunti.
«Falso. Si legga il Giornale . Riporta le parole on records di lavoratori che erano iscritti alla Fiom e non ne vogliono più sapere. Ma abbiamo deciso di non parlare più di Fabbrica Italia. Siamo l'unica azienda al mondo da cui si pretendono informazioni così di dettaglio. Gli investimenti li comunichiamo man mano li facciamo. E li facciamo in base al mercato. A Mirafiori, non si lavora per riempire i piazzali di veicoli invenduti. Ma Mirafiori tornerà a regime entro la fine del 2014 con un modello Fiat e uno Chrysler».
È sano che sindacalisti dal seguito non trascurabile siano costretti a uscire dagli stabilimenti portandosi via gli scatoloni come i banchieri della Lehman dopo il crac? Perfino negli anni di Valletta le commissioni interne da vano cittadinanza a tutti.
«Lasciamo la storia agli storici. Il quadro anche giuridico era diverso. La Fiom si trova in questa situazione in seguito al referendum del 1995 sulle rappresentanze sindacali, che essa stessa aveva sostenuto, e perché non firma quando pure l'accordo è stato approvato dalla maggioranza assoluta dei lavoratori».
In un Paese che ha avuto il terrorismo rosso è saggio isolare il sindacalismo radicale?
«Onestamente, non vedo oggi rischi analoghi a quelli di oltre trent'anni fa».
E se il governo regolasse il diritto di sciopero e le rappresentanze sindacali attuando gli articoli 39 e 40 della Costituzione, e dunque riaprendo le porte delle fabbriche alle sigle che raggiungono un certo quorum?
«Che senso ha schierarsi sulle ipotesi? Qualsiasi riforma non potrà prescindere dall'esigibilità degli accordi approvati dalla maggioranza dei lavoratori. La Fiat sarà coerente con le intese raggiunte con tutti gli altri sindacati e convalidate dalla magistratura. Se si assume le sue responsabilità, la Fiom può rientrare già adesso. Ma temo che Maurizio Landini stia facendo una battaglia politica».
Difende, dice, i diritti dei lavoratori.
«C'è forse un sindacalista che dica il contrario? In pratica, vedo un Landini più rigido, molto di più del suo predecessore, Gianni Rinaldini, con cui si poteva dialogare».
Ha mai cercato un chiarimento?
«Ci sono stati incontri riservati con esponenti della Fiom. La sinistra più intelligente ha provato a ricucire. Ma è andata male. Non possono pretendere che, nei fatti, sconfessi Cisl, Uil, Ugl e Fismic».
In Cgil c'è ora Susanna Camusso.
«Con Epifani si riusciva a ragionare di più. Camusso forse parla troppo della Fiat e di Marchionne sui media e troppo poco con noi».
Vorrà evitare che nasca una quarta confederazione a egemonia Fiom.
«Io sono un metalmeccanico che fa automobili. E fatica a capire chi considera Parlamenti i sindacati. In America, il capo della Uaw comanda e sa prendere impegni. Lo stesso accade in Germania con l'Ig Metal. E, mi creda, non sono sindacati comodi».
L'Italia ha la sua storia.
«Di troppa storia si muore».
La sua dichiarazione pro Bombassei e l'eventuale rientro in Confindustria non rischiano di trasformare il dopo Marcegaglia in un referendum sulla Fiat?
«Al referendum non ci avevo proprio pensato. Ma riflettendoci non mi interessa molto. Ho voluto semplicemente dire che stimo Bombassei come persona e come imprenditore e che credo sia in grado di cambiare radicalmente Confindustria che, come tutto il Paese, deve essere profondamente modernizzata».
Veniamo ai bilanci. Parlate di record per il 2011, ma Fiat e Fiat Industrial assieme fanno un utile della gestione ordinaria di 4,1 miliardi, pari al 4,8% dei ricavi aggregati quando nel 1989 il gruppo Fiat portò a casa, a moneta attualizzata, 4,8 miliardi di euro, pari al 9% dei ricavi di allora.
«Nel 1989 c'erano business poi gradualmente ceduti: Telettra, Snia, Impresit, sistemi ferroviari, Avio. Nel loro insieme, contribuivano per 700 miliardi di lire al risultato operativo consolidato di 4.670 miliardi. A parità di perimetro e a moneta inflazionata, quel margine sarebbe di 4 miliardi di euro. Dunque...».
Beh, nell'89 non c'era Chrysler.
«Consolidi allora pro forma Chrysler per 12 mesi e vedrà che il risultato della gestione ordinaria arriva a 5 miliardi di euro: 3,3 miliardi Fiat Spa e 1,7 Fiat Industrial».
Ma su ricavi ancora maggiori. Dunque, i margini restano minori, fatale per i produttori generalisti europei. Concentriamoci perciò su Fiat Spa, il cui cuore è appunto l'auto. Ebbene, senza l'apporto di Chrysler e la rivalutazione delle azioni Chrysler ottenute senza esborso monetario, e con un'aliquota fiscale media del 24%, l'utile netto consolidato di Fiat Spa supera di poco i 300 milioni. Non è molto...
«Nel 2011, l'aliquota fiscale media è del 24% perché risente dell'impatto quasi nullo dei proventi atipici. Con un carico fiscale normalizzato in relazione ai diversi Paesi dove operiamo, e senza Chrysler e i proventi atipici, l'utile sarebbe di 700 milioni...».
Escludevo la quota delle minoranze. Ma non è questo il punto. Con trasparenza, lei avverte che l'auto non è ancora a posto. Ed è questo il grosso problema per l'Italia.
«In effetti, ipotizzando Chrysler quale parte integrante del gruppo Fiat per l'intero 2011 e non solo per i 7 mesi citati, si può stimare che le attività automobilistiche in America Latina diano il 37% del risultato della gestione ordinaria e quelle nordamericane il 52%. Il resto del gruppo perderebbe appunto 500 milioni già a livello operativo se non potesse compensare con i risultati positivi di Ferrari, Maserati e componentistica».
Non crede che la Fiat Spa abbia anche un debito troppo grande e troppo costoso? Nel 2011 ha pagato 1,3 miliardi di oneri finanziari netti, pari al 55% del risultato della gestione ordinaria.
«L'esborso che lei cita comprende pure componenti di natura contabile per 200 milioni quali la valutazione degli equity swap e l'attualizzazione dei fondi pensione. Fiat-Chrysler ha debiti finanziari per 26,8 miliardi di euro. Ma una ventina restano liquidi».
Gli impieghi liquidi, si sa, rendono meno di quanto costi il debito. Quanto meno?
«Quasi 700 milioni».
Non converrebbe ridurre tanta liquidità?
«Ma lei si fida dei mercati finanziari?».
Molto poco.
«E allora dovrà riconoscere che questa liquidità è la nostra polizza contro un credit crunch ; il suo costo è il premio assicurativo».
Vedere tanta liquidità ferma in un Paese che ha avuto la Parmalat...
«Ma come si permette?! Si tratta di disponibilità liquidabili in tempi brevissimi e investite con controparti solide. Nessun legame con FGA Capital (la joint-venture con il Credit Agricole per il finanziamento delle vendite, ndr ) né con le posizioni bancarie dei concessionari. Non ci sono Gmac nel nostro perimetro, tanto per capirci (Gmac era la «banca» commerciale di Gm che la tirò a fondo, ndr ). Il fatto è che la liquidità serve perché è finito il tempo dei convertendi!».
Spieghiamo. Si chiamò convertendo un prestito di 3 miliardi che si convertiva dopo 3 anni in azioni e che nel 2002 salvò la Fiat.
«Oggi le banche, con gli accordi di Basilea, non potrebbero fare un prestito di quel tipo nemmeno se volessero».
Quanto pagano il denaro Fiat e Chrysler?
«La prima il 6%, confermato anche nell'ultima emissione obbligazionaria in franchi svizzeri, e l'altra poco più dell'8%».
Perché questa differenza se Chrysler è meglio di Fiat? Il mercato si preoccupa perché ha un patrimonio netto negativo per 3 miliardi di dollari e uno netto tangibile negativo addirittura per 8 miliardi?
«Il patrimonio netto contabile di Chrysler risente degli oneri straordinari sostenuti al riavvio dell'attività nel 2009. E gli intangibles pesano per il 13% del totale di attività, impianti e macchinari per il 41%. Sono solo questioni contabili. Oggi il business fa profitti e cassa, le vendite aumentano del 26% in un mercato che cresce del 10%, ed è ciò che conta».
Chrysler dovrà pagare pensioni per circa 32 miliardi di dollari e ha attività finanziarie per 25,5 miliardi. Uno squilibrio pesante che non viene ricompreso nel debito.
«La quota unfunded del fondo pensioni non è un debito finanziario, ma un impegno verso i dipendenti da onorare nel tempo. Molte imprese americane hanno quote unfunded nei fondi pensione. D'altra parte, l'1% in su o in giù nei tassi rivaluta o svaluta di 3 miliardi le attività finanziarie del fondo Chrysler».
Le decisioni della Federal Reserve contano più delle vostre, verrebbe da dire. Ma se la Fiat sale all'80% del capitale Chrysler, diventa responsabile in via surrogatoria di eventuali inadempienze del fondo pensioni.
«Sarebbe un problema solo se Chrysler versasse in stato di insolvenza. Gli Organizational Documents di Chrysler, comunque, assicurano che Fiat non sarebbe soggetta a tali obblighi in maniera inattesa. Ma oggi Chrysler va bene, ne abbiamo il 58% e il resto appartiene al fondo Veba dei sindacati».
Che rimarranno soci ancora a lungo?
«Non troppo a lungo. O compreremo noi quelle azioni (abbiamo un'opzione) o troveremo assieme il modo di ricollocarle».
Quale futuro per Fiat-Chrysler?
«Le ipotesi sono tre: a) un'offerta pubblica delle azioni Chrysler; b) Fiat compra e sale al 100%; c) si fa la fusione Fiat-Chrysler che comporterebbe l'automatica quotazione di Chrysler e diluirebbe sia Veba che Exor».
Qual è l'ipotesi più probabile?
«La meno probabile è la prima».
Dottor Marchionne, Giovanni Agnelli non volle rinunciare al controllo sull'auto. Lei riconobbe con gli analisti che Fiat Auto da tanti anni non ripagava il costo del capitale investito dai soci. Qual è il suo mandato?
«Il mio mandato nel 2004 era molto semplice: salvare un'azienda quasi fallita. E ci siamo riusciti. Poi di rendere la Fiat redditiva. E il risultato del 2011, pur in una situazione economica molto difficile, mi pare testimoni che l'operazione è ampiamente riuscita».
L'entità dei suoi compensi fa discutere.
«I miei compensi hanno una parte fissa e una variabile costituita da opzioni sulle azioni Fiat, e dunque legata alle quotazioni del titolo. È questa che ha indotto a certi calcoli. In realtà, nel 2004, quando nessuno ci credeva, mi è stato assegnato lo stesso numero di opzioni che aveva Giuseppe Morchio, e un prezzo d'esercizio più alto. Per quattro anni su otto non avevano alcun valore. Se oggi ce l'hanno, dipende dall'andamento del titolo di cui beneficiano tutti i soci».
Ma c'è un'enorme sproporzione tra i compensi dei top manager e quelli del dipendente medio. Un tempo non era così.
«Trent'anni fa non si era ancora creato un mercato delle competenze manageriali come quello attuale».
Lo spread tra le obbligazioni Volkswagen e quelle Fiat è superiore al differenziale tra i Btp e i Bund tedeschi. Come mai?
«Ciascun debitore ha la sua storia».
Infatti, lo Stato italiano ha varato la manovra per risanare i conti pubblici. La Fiat farà un aumento di capitale?
«Non serve. Nel 2012 investiremo oltre 7 miliardi, ma senza aumentare il debito. Useremo semmai un po' della nostra liquidità...».
E intanto zero dividendo alle ordinarie.
«È il momento di rafforzare il patrimonio. Più in generale, si deve capire che l'auto è un business che, quando tira, genera molta cassa. Già nel 2007 il gruppo Fiat aveva azzerato il debito industriale netto».
Ne avete abbastanza per reggere la sfida della multipiattaforma Volkswagen per 20 modelli diversi?
«Fiat spende in ricerca e sviluppo il 5,3% dei ricavi. La media dei produttori generalisti europei è del 5,7%. Ce la stiamo giocando. La multipiattaforma Volkswagen rientra nei processi di standardizzazione e razionalizzazione comuni a tutti i produttori, anche se c'è chi ha cominciato prima e chi, come noi, un po' dopo. Ferdinand Piëch è un grandissimo. Ma con le sue 10 architetture, Fiat-Chrysler riuscirà a non sacrificare le prestazioni delle vetture di segmento superiore e a non caricare costi insostenibili su quelle di segmento inferiore. Già nel 2014 metà dei nuovi modelli Chrysler e Fiat verranno da una piattaforma comune».
Ford e Gm varano piattaforme da 2 milioni di pezzi.
«Oltre il milione le economie di scala tendono a esaurirsi».
Ma dove sono questi nuovi modelli?
«La Fiat ha scelto di rallentare il lancio dei nuovi modelli per la scarsità della domanda in Europa».
I concorrenti fanno il contrario.
«Ed ecco che Peugeot-Citroen, Opel, Renault e la stessa Ford Europe perdono soldi nel Vecchio Continente».
Come voi, del resto. Ma almeno hanno difeso le quote di mercato.
«Ragionando così non si va lontano. Guardiamo avanti. La domanda di automobili in Europa è destinata a rimanere bassa ancora a lungo. Almeno fino al 2014. Le case generaliste hanno troppa capacità produttiva...».
Secondo il Financial Times, Renault e Psa sfruttano gli impianti al 62%, Fiat al 50%. Volkswagen al 75%.
«Volkswagen è un caso a parte. Ha cominciato 20 anni fa a scalare il mondo e ci sta arrivando. La Francia invece si era illusa di poter reggere tale e quale, magari con i sussidi statali. Ora anche Philippe Varin, il mio collega della Psa, pone il problema dell'eccesso di capacità produttiva in Europa. Ma la Fiat ha una straordinaria opportunità negli Stati Uniti. Che hanno fatto quanto l'Europa si era illusa di poter evitare: chiudere un certo numero di stabilimenti per abbassare i costi fissi in relazione alla domanda attesa nella produzione di massa. Le linee premium, dove eccellono Bmw, Audi, Mercedes, Porsche, ma anche le nostre Ferrari e Maserati, sono tutto un altro film...».
L'Europa come la Detroit del 2005?
«Ricordo solo che Chrysler perdeva vendendo quasi 3 milioni di automobili, oggi pareggia con 1,5 milioni e nel 2012 ne venderà 2,4 milioni. La domanda sta rifiorendo...».
Chrysler riaprirà i siti dismessi?
«No, quelli sono finiti alla car.co in liquidazione. Le fabbriche della nuova Chrysler stanno già marciando a pieni giri. Potremo aumentarne un po' la capacità produttiva. Ma ormai negli Usa c'è un terzo della domanda che potrà essere soddisfatta solo dal Messico, dal Canada o dall'Europa. Gli stabilimenti Fiat italiani hanno l'opportunità di esportare negli Stati Uniti. Questo penso di fare per l'Italia ed è per questo che trovo insopportabilmente razzista dipingermi come un uomo senza patria: svizzero, canadese, americano, italiano a seconda delle comodità polemiche».
Che cosa ci vuole adesso?
«L'indebolimento dell'euro verso il dollaro aiuta, ma servono costi competitivi. Sa perché gli Usa funzionano con un costo orario del lavoro più alto di quello italiano? Perché si utilizzano in modo pieno e flessibile gli impianti. L'Italia deve tenerne conto».
Ma bisogna anche avere il prodotto. La Chrysler ha avuto la tecnologia Fiat...
«Chrysler è tornata al profitto ristrutturandosi, e cioè con le sue forze. Il primo modello a tecnologia Fiat è la Dart. Che abbiamo cominciato a vendere adesso».
Grazie agli accordi, Fiat ha avuto il 35% di Chrysler in cambio dell'accesso a tutte le sue tecnologie da parte della casa di Auburn Hills. Il governo americano le valuta miliardi di dollari. Nel bilancio Chrysler sono iscritte per 320 milioni di dollari.
«Confermo i numeri di Chrysler».
Che danno a Fiat 120 milioni di guadagno.
«Il prezzo delle tecnologie dipende dalle circostanze in un cui vengono scambiate».
La Fiat inventò il common rail e lo vendette per poche decine di miliardi di lire.
«Non giudico quelle scelte. Non c'ero. Nelle condizioni in cui è oggi la Fiat non lo venderei. Magari ci farei una licenza».
L'Italia ha ancora un cluster dell'auto competitivo oppure no?
«La storia è grande, ma anche la Grecia era il bacino della democrazia. Esistono ancora diffuse competenze. Non mancano tentativi di aggregazione. Ma manca una regia. E oggi anche la Chrysler sta dimostrando inaspettate capacità tecnologiche. Lo dico sempre ai nostri ingegneri: non si vive sugli allori».
Chi dovrebbe essere il regista?
«Se ne dovrebbe occupare chi guida la politica industriale del Paese».
La Fiat non è riuscita a rilanciare l'Alfa Romeo. Perché non la cede a Volkswagen?
«Perché non la vogliamo vendere. E in ogni caso Piëch vorrebbe solo il marchio».
Non si prenderebbe un sito produttivo?
«So quel che dico. E l'Alfa ci serve in America».
In Brasile, Serbia, Usa la Fiat trova diversi ma sempre rilevanti aiuti da parte degli Stati. Che cosa si attende dal governo italiano?
«Mi attendo soprattutto che non dia altri incentivi alle rottamazioni. È vero, in passato li abbiamo chiesti anche noi. E abbiamo fatto male. Anche perché hanno sostenuto al 70% le vendite dei concorrenti».
La Fiat Auto ha lasciato Termini Imerese. Le restano Mirafiori, Cassino, Atessa, Melfi e Pomigliano. Se non funzionassero le esportazioni verso gli Usa, quanti sarebbero i siti eccedenti?
«Tutti gli stabilimenti staranno al loro posto. Abbiamo tutto per riuscire a cogliere l'opportunità di lavorare in modo competitivo anche per gli Stati Uniti, ma se non accadesse dovremmo ritirarci da 2 siti dei 5 in attività».
Quali?
«Ricorda Sophie's choice? Nel film, alla fermata del treno il nazista chiede a Sophie uno dei suoi due figli. In caso contrario li avrebbe ammazzati tutti e due. Sophie resiste, ma alla fine deve scegliere e passa il resto della sua esistenza con l'incubo di quella decisione. Dunque, per favore, non me lo chieda».
(24 febbraio 2012)

martedì 7 febbraio 2012

Ossessione bianca



Non appartengo alla generazione che ha conosciuto la tragedia della guerra, né a quella che ha patito nella ricostruzione. Sono arrivato dopo, senza alcun merito ovviamente ed è stata una fortuna. Nonostante questo, ricordo che la carne era riservata soprattutto alla domenica e alle altre feste comandate. Che l'attenzione all'uso di olio e di parmigiano era ogni volta raccomandata e che del pane si consumava fino all'ultima briciola. Forse, chissà, si producevano anche meno rifiuti.
Il deterrente adoperato, di facile presa, erano i racconti degli adulti sul periodo della guerra. Le descrizioni dei pasti, l'irruzione del mercato nero che, nell'immaginario di un bambino, si collocava come la residenza del famigerato uomo nero.
Suggestione prima e consapevolezza dopo, sta di fatto che ho sempre cercato di fare un uso consapevole delle risorse alimentari, di evitare lo spreco ed il superfluo, anche quando ci si può permettere di più (sempre maggiormente di rado).
Eppure, entrando in panetteria, ho provato sorpresa trovando la fila e, soprattutto, verificando che le scorte si stavano esaurendo. Il fornaio m'informava che, senza l'arrivo di nuovi sacchi di farina, entro un paio di giorni avrebbe dovuto calare la saracinesca. Altro che sotto la neve pane. Ma le sorprese non si erano esaurite, perché entrando nel supermercato rimanevo sconcertato. La visione era apocalittica. Come se fosse passato un branco di cavallette e avesse fatto piazza pulita di tutto. Il reparto ortofrutta semplicemente inesistente, il banco frigo svuotato. Di latte e derivati tracce residue. Esauriti anche i barattoli di legumi. Alcuni pacchi di pasta erano rimasti sugli scaffali. Per fortuna ho trovato la carta igienica. Scaraventato indietro di almeno mezzo secolo.
Se avessi disposto di più tempo ci sarebbe stato materiale, quello sì in abbondanza, per una modesta quanto significativa indagine sociologica su quello che le persone considerano necessario e ciò che invece ritengono superfluo. Esaminare poi i loro comportamenti, probabilmente compulsivi, inguaribilmente deteriorati dallo sfavillante consumismo.
Eppure sono stati sufficienti alcuni giorni di precipitazioni nevose, per quanto abbondanti, per far crollare la fragilità di un sistema che si millanta non solo come evoluto, ma pure inattaccabile.
Riconosco gli eventi eccezionali, amplificati però da infrastrutture decadenti se non inesistenti che hanno creato situazioni emergenziali in vaste aree della penisola. 
D'inverno, si sa, è molto probabile che nevichi, ma nello stesso tempo le previsioni meteo hanno raggiunto alti livelli di affidabilità, eppure non si è mai preparati a fronteggiare le varie situazioni. Tutto diventa subito catastrofico e viaggiare in treno, che di norma è un'avventura, quando la temperatura va sottozero, significa trovarsi a vivere autentici drammi. Il profitto dell'alta velocità, a discapito di tratte importanti, ma meno redditizie diventa la concausa di tutto ciò. S'inseguono opere faraoniche, che naturalmente non verranno mai realizzate, mentre si trascurano colpevolmente la salvaguardia e la tutela del territorio. Per non parlare del viluppo di competenze che produce il più scontato e stantio scaricabarile, lo sport nazionale per antonomasia.
Nel frattempo controllo le mie provviste, verifico che il pane nella madia sia sufficiente e preparo mentalmente una lista mirata della spesa, sperando che non tornino ancora le voraci cavallette. Tiene la luce, il gas non manca (e peserà parecchio sull'economia domestica), l'acqua continua a scorrere. Posso ancora reggere la spallata del tradizionale generale Inverno.

sabato 4 febbraio 2012

La sfiga della botta di culo



Una cara amica mi suggerisce di andare a leggere quanto prima un pezzo di Dario Vergassola pubblicato su “Il Venerdì” di Repubblica.
Resto perplesso, ma non replico e prometto che lo farò. In fondo Vergassola non è quel comico che conduce un programma su “La7” con Serena Dandini? Sarà un pezzo di satira, come mai dunque quella “calda raccomandazione”?
Ho capito il motivo solo quando ho finito di leggere l'articolo sottostante: bello da fare molta rabbia. E credo ci sia anche da essere preoccupati se un comico, che come mestiere dovrebbe far ridere e non ha più la concorrenza sleale a Palazzo Chigi, riesca invece a dar voce a tutta l'irritazione che le persone dotate di buon senso hanno provato leggendo la sublime bestialità del sottosegretario al Lavoro Michel Martone, peraltro sbertucciato a dovere da Marco Travaglio, giovedì scorso, nella trasmissione “Servizio Pubblico”.



nostri figli sfigati che fanno l’Università per diventare precari
di Dario Vergassola

Il viceministro del lavoro Michel Martone ha dichiarato: “Chi si laurea dopo i 28 anni è uno sfigato”. A questo punto mi chiedo quale sarà il prossimo passo del governo dei Professori: i bambini che non superano l’esame di primina, saranno gettati giù da una rupe come ai tempi degli spartani?
Parlo per esperienza personale: mio figlio, che io per primo giudico un privilegiato, ci ha messo parecchio a laurearsi perché ha perso tempo distraendosi appresso al cazzeggio, alla musica, ai viaggi, agli amici, alle fidanzate (così tante che mi meraviglio pure che si tratti di mio figlio). Nonostante questo non lo giudicherei mai uno sfigato, piuttosto lo chiamerei un incorreggibile pelandrone. Perché usando l’appellativo sfigato, invece, rischierei di offendere tutti quei giovani che magari si laureano più tardi della media, solo perché non hanno la fortuna di essere figli di un comico o di un avvocato famoso.
mi riferisco a un esercito di studenti fuori sede, che oltre a combattere contro la fatica imposta loro dai libri, dai professori universitari e dal disastro della riforma Gelmini, combattono tutti i giorni anche per sopravvivere e per pagarsi gli studi. Generalmente vivono in città piuttosto lontane da quelle dove sono nati, che raggiungono tutti i lunedì a bordo di treni scomodi, sporchi e sovraffollati per andare a passare la settimana in appartamenti accoglienti come garage ma costosi come attici, insieme ad altri studenti con i quali – in molti casi – condividono pure la stanza da letto e di studio (una condizione che certo non ti agevola la concentrazione quando sei a casa a preparare un esame).
Anche se a dire il vero loro in queste case non ci stanno poi così tanto, visto che spesso, dopo le lezioni, sono in giro a fare mille lavori: camerieri, babysitter, fattorini, addetti ai call center. Qualsiasi cosa – insomma – gli permetta di racimolare qualche soldo con cui pagarsi l’affitto (quasi sempre in nero), nonché la retta universitaria (sempre più cara).
Più che dei grandi sfigati io li trovo piccoli eroi. E non m’importa se ci metteranno più degli altri a laurearsi. So per certo che sia quei pochi di loro che diventeranno la futura classe dirigente del Paese, che quei tanti che saranno disoccupati a vita con laurea, saranno consapevoli del valore che hanno i sacrifici, sperando che anche a qualcuno di loro arrivi una botta di culo, come quella di diventare viceministro a 37 anni.

(3 febbraio 2012)

Foto riservata personale




Per Bluetime. E' un regalo per te.