lunedì 31 marzo 2008

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Un posto all'ombra. Di un immaginario da incubo


Tamar Pitch


Roberto Ferri ha rapito e sequestrato Carmen in un luogo segreto e sicuro. Questo succede dopo che Ferri ha cercato di impedire a Carmen di fare una vita normale, prima con le buone, promettendole una vita facile e ricca, poi con le minacce: niente. Carmen, infida, si fa sorprendere a telefonare al padre che vuole andare a vivere da lui, in povertà, pur di tornare libera di sé. Di qui gli ultimi (per ora) sviluppi di "Un posto al sole", telenovela che spesso riesce a mettere il dito sulle piaghe italiane assai meglio di tutti i talk show. Carmen è una bella ragazza, buona, brava e desiderosa di ricominciare la sua carriera di cantante. Purtroppo, però, è incinta: del figlio maggiore morto tragicamente del suddetto Ferri, ricco e potente imprenditore napoletano, che questo possibile nipote non vuol perderlo in alcun modo. E' così che, piano piano, Carmen è ridotta da Ferri a contenitore del sacro feto di suo figlio morto. O meglio, Ferri vorrebbe che così fosse, e che così Carmen si comportasse. Ma Carmen, ahimé, è una donna, che vuole bensì fortemente questo bambino, ma non ritiene di dover rinunciare alla sua vita, i suoi desideri, le sue speranze per comportarsi da bravo e docile contenitore di un feto: e oltretutto pensa che questo, al feto, non faccia affatto bene. Lei, infatti, si sente tutt'uno col suo futuro figlio (se ne parla sempre al maschile), e pensa che star bene con se stessa sia la prima regola per far star bene il feto che vive in simbiosi con lei. Di qui le crescenti paure di Ferri, le sue ansie, l'angoscia che perdendo il controllo di Carmen perderà il figlio di suo figlio, dunque il suo stesso futuro... e Ferri si comporta di conseguenza, mettendola sotto chiave in un posto sicuro e segreto. Ecco un bell'esempio di coerenza maschile, quella coerenza che in coscienza dovrebbero perseguire Ferrara, Ratzinger e tutti gli altri e altre che discettano di poveri embrioni uccisi a miliardi, senza che li sfiori il pensiero che questi embrioni vivono, se vivono, in simbiosi con una donna, grazie ad una donna. Ossia: se l'aborto è un omicidio, come dicono, se l'embrione è non solo «vita» (che ovvietà), ma vita umana da tutelare, allora, oltre a prevedere per l'aborto la pena prevista per l'omicidio, dovranno darsi da fare per sorvegliare tutte le donne che presumano essere incinte o in procinto di diventarlo, costringerle a seguire lo stile di vita giudicato più salutare per lo sviluppo dell'embrione. O magari, tout court, metterle sotto chiave, come Ferri con Carmen. Non se ne esce: o si riconosce pienamente la responsabilità femminile in ordine alla procreazione (responsabilità, non diritto: così abbiamo sempre detto in Italia), o si trattano le donne come contenitori attuali o virtuali di figli per gli uomini, e se si rifiutano le si costringa. In futuro, chissà, delle donne si potrà fare a meno. In un libretto recente, Henri Atlan dice che arriveremo all'utero artificiale. Dopotutto, già ora gli embrioni si fabbricano in laboratorio, e i feti sopravvivono in incubatrice sempre più prematuri. Che meravigliosa semplificazione! Niente più donne con cui avere a che fare, persone inaffidabili e potenzialmente omicide, che continuano a voler vivere normalmente anche quando sono incinte. Un bel contenitore senza volontà, desideri, fantasie, affetti! E infatti per Atlan l'utero artificiale inaugurerà la fine della lotta tra i sessi e la pace universale. Beh, se non altro Atlan e "Un posto al sole" ci dicono chiaramente qual è la posta in gioco di questo stracciarsi le vesti di alcuni (molti? tutti? quanti maschi hanno la possibilità di immaginarsi altro che frutto di un aborto miracolosamente evitato?) sull'aborto volontario. Il futuro, reale e simbolico, non sta nelle loro mani, ma in quello di donne-madri vissute come onnipotenti e capricciose (diceva Amato parecchi anni fa che le donne abortiscono per far carriera e poter scrivere libri). Un incubo. Aggiungo un'altra ipotesi, non alternativa. Si sa, tradizionalmente le donne sono nel pensiero e nell'immaginario maschile la natura, il caos, il disordine, insomma la complessità. E che cosa c'è di più complesso di una donna incinta, una che è insieme e contemporaneamente due, parte di una relazione che è il prototipo di tutte le relazioni, irriducibile alla semplificazione giuridica e scientifica dominanti? La complessità va dominata e/o semplificata, la natura sottomessa, la relazione raccontata come il rapporto tra una mente ostile, un embrione bisognoso di tutela, e un Padre (il partner, il medico, lo stato, il papa...) severo e amoroso - verso l'embrione, si capisce. In tempi poi di catastrofi ecologiche annunciate, a causa della hubris umana (maschile), la paura di una «natura» che si ribella e minaccia punizioni collettive favorisce il riversarsi della frenesia di controllo su quella «natura» che sembra a portata di mano, le donne...

il manifesto (8 marzo 2008)


Avevo messo da parte questo pezzo che mi pare offrire considerazioni interessanti che propongo. A colpirmi, in particolare, lo spunto di partenza: “Un posto al sole”, la fiction (non telenovela) di Rai Tre che va in onda dal 1996. L’orario favorevole (20:30-21:00) e la fidelizzazione che si crea, ben presto mi hanno reso, soprattutto negli ultimi anni, spettatore fedele e interessato. Rilevando, tra l’altro con piacere, come la sottolineatura efficace di determinate problematiche sia un aspetto “caratterizzante” di questa produzione televisiva, non un semplice prodotto usa-e-getta.

Nel frattempo Carmen, liberata da un amico viene posta sotto la tutela di Marina, una ex cattiva che si era vista sottrarre, nell’adolescenza, un figlio appena nato e che, dunque, si è rivista nel dramma di Carmen, la quale però è ormai sul piede di partenza verso Campobasso, dove abita ancora il padre. Lì vorrà far nascere il figlio, lì dove si sentirà al sicuro dal cattivo Ferri. E da stasera riprendono le vicissitudini dei vari protagonisti.

martedì 25 marzo 2008

Il tempo delle parole rade


Il suono della sveglia s’inserisce impietosamente nella nostra intimità. Ci ridesta dopo poche ore di sonno, come sempre accade quando si tratta dell’ultima notte assieme. Mi ero addormentato sul cuscino più morbido che ci sia. Per questo la durezza del risveglio scuote dal torpore, richiamando alla realtà e agli orari, completamente trascurati nei giorni precedenti.

“Vai prima tu?”.

“Vado”.

“Intanto preparo il caffé”.

Dalle persiane semichiuse filtra una striscia di sole che accarezza il suo posto ancora caldo. E profumato. Spalanco la finestra e l’azzurro del cielo è il colore beffardo che accompagnerà le ultime ore. Lo sfondo meno adatto per salutarsi e dirsi arrivederci. Naturalmente.

Lei, intanto, ha sistemato la tazzina fumante sulla tovaglietta del tè. Già, ieri pomeriggio. Mi siedo, mentre sento scorrere il getto della doccia. Mi guardo attorno per cogliere i segni ancora esistenti della sua presenza-assenza. L’altra tazzina, vuota, poggiata sul lavello. I suoi cellulari spenti, il libro che leggerà in viaggio. Quello che le ho regalato io, accanto allo zainetto. Il trolley di nuovo pieno. Trovo una tasca e la riempio di ovetti al latte e fondenti. Il secondo bucaneve che mangio è anche l’ultimo, non va giù altro. Sento che adesso esce dal  bagno e si dirige in camera. Butta per aria il letto, stende lenzuola e piumone al sole.

“Ancora caffé?”.

“No, grazie”.

Riporto la caffettiera in cucina. È questo il giorno delle parole rade.

Si soffre insieme il solito distacco inevitabile, eppure ogni volta le ripercussioni spaccano il cuore. Gran parte della vita è una miscela di ripetizioni e ripartenze. Con lei le ripetizioni sono sempre diverse, il distacco – forse questa volta più breve – una sofferenza silenziosa e lacerante. Lo sappiamo ogni volta che ci incontriamo e ogni volta speriamo che il calice da bere sia meno amaro. E invece…

Un sentimento che cresce produce l’effetto di decuplicare le amarezze, come moltiplica la gioia di stare con lei, di cercarla, di desiderarla. La memoria fissa già i momenti lieti, quelli che maggiormente hanno caratterizzato queste brevi giornate. Il viaggio di ritorno assieme giovedì pomeriggio, dopo le quattro ore all’andata del mattino, da solo. Lieve come una piuma il tragitto. Otto ore e non sentirle nella lunga notte. I risvegli conditi da dolcezze insostituibili, la colazione può attendere. E poi ci sono gesti piccoli, attenzioni mirate, sguardi e desideri. Un impasto di erotismo e carnalità. Le risate contagiose. Piccola grande donna-bambina che ha riempito tanti vuoti, che mi dà speranza restituendo, migliorata, la capacità di provare sentimenti forti. Di quelli che caratterizzano la vita.

“Andiamo?”.

“Sì, andiamo”.

“Non piangiamo, d’accordo?”.

“Sì, certo”.

Ecco la stazione, gioia e delizia pochi giorni fa e adesso sofferenza che stringe il cuore. È come se l’accompagnassi verso il patibolo. Il binario giusto, il treno in attesa. Nulla si può più rinviare. Un bacio, un altro e ancora tanti. Da soffocamento. Corpi che non vogliono staccarsi. Una lacrima le riga il viso: “Non piangiamo, d’accordo?”.

sabato 22 marzo 2008

Auguri!




Il blog è chiuso per una breve pausa che coincide con le festività pasquali. Gli auguri più cari a tutti voi sono un pretesto anche per rassicurare sulla mia presenza che, tra qualche giorno, dovrebbe tornare ad essere costante. Perché mi mancate e siete importanti.


mercoledì 19 marzo 2008

Un boicottaggio d'annata


TIBET – CINA Le foto del massacro tibetano. Una serie di immagini che testimoniano la violenza del regime cinese contro i manifestanti che, in questi ultimi giorni, hanno chiesto a Pechino più libertà.

Roma (AsiaNews) – Negata da Pechino, la violenta repressione dei manifestanti e dei monaci tibetani viene illustrata da una serie di foto particolarmente violente, inviate dalla dissidenza tibetana in occidente. Si tratta di immagini particolarmente crude, inviate dal monastero di Kirti al Free Tibet Campaign.

Le foto sono state scattate il 16 marzo scorso nella provincia tibetana autonoma di Amdo, che attualmente fa parte della provincia settentrionale cinese del Sichuan. Secondo il Free Tibet Campaign, il massacro è iniziato dopo che i religiosi del monastero di Kirti hanno inneggiato al “Tibet libero” ed al Dalai Lama. Ai monaci si sono aggiunte 400 religiose buddiste e gli studenti della scuola media tibetana locale.

La polizia cinese, che controllava a vista il monastero sin dall’inizio delle proteste (il 10 marzo scorso), ha aperto il fuoco contro la folla. Secondo i dati del governo tibetano in esilio, circa 20mila tibetani del Sichuan hanno protestato in segno di solidarietà con i monaci tibetani. Delle 20 vittime accertate della repressione, 9 sono state identificate: fra questi, ragazzi di 15 e 17 anni.

Fonte: AsiaNews



Avevo già auspicato, in tempi non sospetti, che l’idea di boicottare i Giochi Olimpici di Pechino sarebbe stata da attuare. La sanguinosa repressione, in corso nel Tibet, da parte del governo cinese rafforza questa convinzione. Le foto che ho deciso di pubblicare rendono indifferibile un'azione, non tanto coraggiosa quanto ovvia.

Purtroppo i governi del mondo si stanno limitando a blande proteste, manifestando quella solidarietà ai manifestanti, che non si nega mai a nessuno, senza nulla di concreto. Perfino il ciarliero Vaticano, sempre pronto a metter bocca dappertutto, segnatamente tra le nostre lenzuola, persiste nel suo ormai imbarazzante e sconcertante silenzio. Si fosse trattato di embrioni…

La nausea maggiore deriva dalla ormai stretta connessione tra economia e ragione di stato, che induce i massimi rappresentanti a non fare nulla che possa precludere i traffici commerciali con la Cina, vista come uno sterminato mercato da saturare per assicurarsi pance e casse piene, profitti abbondanti e chissenefrega dei monaci e dei buddisti.

È stomachevole che venga fatta cadere unicamente sugli organismi sportivi la ragionevole scelta di mandare in fumo, con la mancata partecipazione, l’Olimpiade di Pechino. Una decisione che non assumeranno mai, tra l’altro. E così si registra il vile silenzio e il prevalere di logiche che mi sono estranee. Lontanissime dal mio modo di pensare e a cui non mi adeguerò mai.

Mi auguro che l’impressionante testimonianza fotografica si diffonda ad ogni livello, in modo che nessuno possa affermare impunemente: “Io non sapevo”.


venerdì 14 marzo 2008

Il tempo dell'attesa



Voglio scusarmi per le mancate integrazioni ai commenti, nonchè per gli irregolari aggiornamenti, ma sto vivendo una fase assai delicata che riguarda la quotidianità intrecciata di cambiamenti, di prospettive, di tempi che si dilatano oppure si accorciano a seconda dei punti di vista.

Spero di tornare quanto prima ad un ritmo più regolare per poter, segnatamente, dedicare attenzione a tutti coloro che qui passano lasciando tracce per me preziose.



 


 

martedì 11 marzo 2008

Il paradigma del Grillo


Seguo con grande disincanto, che poi equivale praticamente ad un distacco olimpico, la struggente campagna elettorale in corso. Risultano stomachevoli certe immagini di arroganza e strafottenza come il gesto dimostrativo (abbiamo equivocato tutti, no?) del tesserato P2 n°1816 il quale, invece di ammuffire nelle patrie galere, si diverte a stracciare il programma di un partito. Non è il mio partito, quello Democratico, ma ho ravvisato in quell’atto tutto il disprezzo possibile per la parte avversa e anche nemica. Mi ha dato fastidio in ogni caso.


Ma altrettanto desolante trovo la corsa a chi ha più donne, più operai, più giovani, (perché più gay no, per esempio?) quasi fossero gioielli da esibire una volta per tutte e poi conservare nella naftalina del dimenticatoio politico. Giusto il tempo per fungere da simpatici acchiappavoti, quindi largo ai professionisti del mestiere.


Sarà molto difficile poter decidere di votare.


E come contributo ai pensieri assorti del periodo propongo questo pezzo tratto da Dagospia. Confesso che non so (né ho voglia di approfondire) se le voci e le intenzioni, pericolosamente manifestate, si siano poi anche concretizzate. La data, infatti, è quella del 4 marzo, sei giorni prima della fine del giro di giostra delle candidature e della presentazione delle liste.


In fondo non mi pare importante, perché si tratta di dettagli, aggiustamenti limati per equilibrare le proporzioni, per non far mancare le briciole agli affamati. Ma alla base di tutto un pensiero stupendo e anche inquietante a volerlo prendere sul serio: cosa si potrebbe ragionevolmente obiettare a chi andrà ad infoltire le fila dei “grillini”?


Si raccomanda la lettura a stomaco vuoto e in dosi omeopatiche, per evitare di farsi del male.


Dagospia 04 Marzo 2008 - ALLA FACCIA DEL RINNOVAMENTO, LE LISTE PIDÌ SONO UN INVITO A “VOTA GRILLO!” ZEPPE DI “FIGLIE DI”, “MOGLI DI”, AMICHE DELLE “MOGLI DI”, GRIGI ADDETTI STAMPA I SEGRETARI DI ROSY BINDI E DI FRANCESCHINI, GLI STAFF DI PRODI E DI VELTRONI


Quando Rino Formica nel 1991 coniò la fortunatissima espressione “corte di nani e ballerini” in riferimento all’assemblea del Partito Socialista piena di soubrette e personaggi dello spettacolo, credeva di fare un dispetto al suo arcinemico Bettino Craxi. E invece non fece altro che contribuire alla sua santificazione postuma. Ma oggi il modello craxiano sembra ancora più maestoso in confronto allo spettacolo desolante regalato dalla chiusura delle liste del Partito Democratico, che ieri ha visto riuniti per tutta la giornata Walter Veltroni, Goffredo Bettini e Dario Franceschini alla sede della Margherita per la limatura finale.

Perlomeno i nani sono divertenti e le ballerine per definizioni so’ bbone. Invece dagli elenchi di candidati/nominati che sono usciti dal Loft emerge una mirabolante lista della serva con forte incentivo al mercato della verdura e degli ortaggi. Sì, per posizionarsi davanti a Montecitorio e tirarne a più non posso a chi entra ed esce.

Pagina per pagina, dai nomi piazzati nelle postazioni sicure viene fuori una lunga sequela di “figlie di”, “mogli di”, amiche delle “mogli di”, grigi addetti stampa e portavoce, sconosciute segretarie, collaboratori vari e avariati, capi segreteria. Leader e mezzi leader del Pd hanno passato le ultime ore a trattare per imbottire il nuovo parlamento dei propri famigli e collaboratori. Da Veltroni a Prodi, da Franceschini a Fioroni fino a Visco, non manca praticamente nessuno all’appello.

Fabio Martini sulla “Stampa”, in maniera apparentemente pudica e in quindi ancora più maligna, la chiama “valorizzazione senza precedenti degli staff”. Almeno il Cavaliere ha sempre avuto il buon gusto di infarcire le proprie liste con stuoli di avvocati che popolano gli studi legali che lo difendono. Insomma, gente che in ogni caso un mestiere ce l’ha.

I nuovi gruppi parlamentari del Pd, invece, avranno il proprio pilastro su fenomenali personaggi che fino ad oggi hanno sguazzato nel sottobosco politico e tra due mesi saranno onorevoli e senatori della Repubblica.

Nella categoria delle “figlie di” non c’è solo l’ormai arcinota Marianna Madia, il cui padre era amico di Veltroni e consigliere comunale della lista civica che in Campidoglio ha portato il suo nome, e il cui zio è il celebre avvocato (tra gli altri di Mastella) Titta Madia. Per non parlare poi della celeberrima trimurti che sponsorizza la fighetta del Loft: Enrico Letta-Giovanni Minoli- Silvio Sircana

Da segnalare, infatti, nel collegio Sicilia 1 alla Camera il caso di Daniela Cardinale, figlia dell’ex ministro Salvatore Cardinale cui è stato impedito di candidarsi personalmente. “Adesso è tutto ha posto. Lafamiglia conserva il seggio a Montecitorio. E noi sappiamo che, nel 2008, si può diventare deputati anche per diritto ereditario”, chiosa sarcastico non Feltri su “Libero” ma Sebastiano Messina su “La Repubblica”.

Sul fronte “mogli di” si è riproposto lo scenario del 2006. Anna Serafini, la battagliera Lady Fassino che aveva sputato veleni corrosivi contro Veltroni quando per la regola dei tre mandati rischiava di rimanere fuori, viene tranquillamente confermata con un seggio sicuro al Senato in Sicilia. Stesso destino per Anna Maria Carloni, al numero 3 nella circoscrizione Senato in Campania: Veltroni dice di voler fare fuori il marito, Antonio Bassolino, ma intanto si tiene stretta la moglie.

Vanno forte segretarie e segretari. Il ministro dell’Istruzione e mariniano storico, Giuseppe Fioroni, ha imposto la sua segretaria Luciana Pedoto in un posto sicuro niente meno che in Campania 2 alla Camera, certamente per le sue proposte forti in tema di rifiuti, soprattutto per quanto riguarda la pulizia degli uffici… La dura e pura Rosy Bindi non ha voluto sentire storie: il suo collaboratore Salvatore Russillo figura al quarto posto nella circoscrizione Basilicata alla Camera.

Sotto la casella “addetti stampa e portavoce” figura, oltre al solito Silvio Sircana, portacroce di Prodi transitato dalla Camera al collegio senatoriale della Campania, anche Piero Martino, portavoce di Dario Franceschini piazzato nella circoscrizione Sicilia 1 alla Camera. Sandra Zampa, invece, è a metà tra questa categoria (come capo ufficio stampa di Palazzo Chigi) e un’altra, quella delle “amiche delle mogli di”, in quanto candidata alla Camera Emilia Romagna anche come intima confidente di Flavia Franzoni Prodi.

A proposito del Professore, il suo staff è stato infilato al completo: il delegato alle questioni di San Marino, Sandro Gozi, alla Camera in Umbria; il responsabile “contegno british”, Ricky Levi, alla Camera Sicilia 2; l’ex “saggio” del Pd in quota prodiana, Mario Barbi, alla Camera Piemonte 2.

Anche il segretario Veltroni ha deciso di promuovere un mazzetto dei suoi collaboratori: il capo segreteria Vinicio Peluffo alla Camera in Lombardia 1; il responsabile del sito internet Francesco Verducci alla Camera nelle Marche; lo storico capo segreteria prima a Botteghe Oscure e poi in Campidoglio, Walter Verini, in Umbria diretto anche lui a Montecitorio.

Non è voluto essere da meno il suo vice, Franceschini, che oltre al portavoce Martino ha ottenuto poltrone sicure anche per il suo capo segreteria alla Camera quando era capogruppo del Pd, Alberto Losacco (ora dirigente del Loft), e l’attuale capo segreteria Antonello Giacomelli, candidati rispettivamente in Puglia e in Toscana alla Camera.

Altri due collaboratori promossi nelle liste: il consigliere di Vincenzo “Vlad” Visco al ministero delle Finanze, Stefano Fassina (Liguria Camera), e il braccio destro di Arturo Parisi al ministero della Difesa, Fausto Recchia (Lazio 1 Camera). E poi dice che uno si butta su Beppe Grillo…

Fonte:
Dagospia

4 marzo 2008


P.S. Naturalmente il tesserato P2 n° 1816 è ormai inarrivabile dopo aver preteso la candidatura del fascista Ciarrapico. Ma qui ci troviamo al cospetto di fuoriclasse, rispetto agli apprendisti stregoni del Pd i quali, però, per essere alla loro prima volta, hanno già dimostrato di saperci fare.

sabato 8 marzo 2008

Processo per stupro


Fu una serata rivoluzionaria quella del 26 aprile 1979. Sulla Seconda rete della Rai venne trasmesso il programma “Un processo per stupro” (seguito poi da un dibattito) e replicato il 18 ottobre dello stesso anno. Vinse il Premio Italia 1979 quale miglior documentario televisivo.


La trasmissione “Blob” ne ha riproposto, un paio di giorni fa, alcune immagini, talvolta grigie e scolorite, come doveroso omaggio alla protagonista assoluta di quel processo e di quella serata, l’avvocato Tina Lagostena Bassi, deceduta martedì scorso. Qui propongo la sua appassionata arringa.


Presidente, giudici. Vedo che innanzitutto io debbo spiegare una cosa, perché noi donne siamo presenti a questo processo e intendo prima di tutto Fiorella, poi le compagne presenti in aula ed io, che sono qui prima di tutto come donna e poi come avvocato. Che significa questa nostra presenza? Ecco, noi chiediamo giustizia. Non vi chiediamo una condanna severa, pesante, esemplare; non ci interessa la condanna. Noi vogliamo che in quest’aula ci sia resa giustizia, ed è una cosa diversa. Che cosa intendiamo quando chiediamo giustizia come donne? Noi chiediamo che anche nelle aule dei tribunali ed attraverso ciò che avviene nelle aule dei tribunali, si modifichi quella che è la concezione socio-culturale del nostro paese. Si cominci a dare atto che la donna non è un oggetto.


Noi donne abbiamo deciso, e Fiorella in questo caso, a nome di tutte noi, noi le siamo solamente a lato, perché la sua è una decisione autonoma, di chiedere giustizia. Questa la nostra richiesta. E certo io non sarò molto lunga, ma devo purtroppo ancora prendere atto, e mi scusino i colleghi, che se da parte di questo collegio si è trattato, in questo caso Fiorella, ma si sono trattate le donne come donne e non come oggetti, ancora la difesa dei violentatori, considera le donne come solo oggetti, con il massimo disprezzo e vi assicuro, questo è l’ennesimo processo che io faccio, ed è come al solito, la solita difesa che io sento. Vi diranno gli imputati, svolgeranno quella che è la difesa che a grandi linee già abbiamo capito. Io mi auguro di riuscire ad avere la forza di sentirli, e non sempre ce l’ho, lo confesso. Di avere la forza di sentirli e di non dovermi vergognare, come donna, e come avvocato, per la toga che tutti insieme portiamo, perché la difesa è sacra ed inviolabile, è vero, ma nessuno di noi avvocati, e qui parlo come avvocato, si sognerebbe di impostare una difesa per rapina così come si imposta un processo per violenza carnale. Nessuno degli avvocati direbbe nel caso di quattro rapinatori che con la violenza entrano in una gioielleria e portano via le gioie, beni patrimoniali, sicuri da difendere, bene, nessun avvocato si sognerebbe di cominciare la difesa, che comincia attraverso i primi suggerimenti dati agli imputati, di dire ai rapinatori: «be’, dite che però il gioielliere ha un passato poco chiaro. Dite che il gioielliere in fondo ha ricettato, ha commesso reati di ricettazione, dite che il gioielliere be’ è un usuraio, che specula, che guadagna, che evade le tasse». Ecco, nessuno si sognerebbe di fare una difesa di questo genere, infangando la parte lesa soltanto. E nessuno lo farebbe nemmeno nel caso degli espropri proletari, ma questi sono avvocati che certamente non difendono nessuno che fa esproprio proletario. Ed allora io mi chiedo perché, se invece che quattro oggetti d’oro, l’oggetto del reato è una donna in carne ed ossa, perché ci si permette di fare un processo alla ragazza. E questa è una prassi costante: il processo alla donna, la vera imputata è la donna. E scusatemi la franchezza, se si fa così, è solidarietà maschilista, perché solo così si ottiene che non si facciano denunce per violenza carnale.


Io non voglio parlare di Fiorella. Secondo me è umiliare una donna, venire qui a dire non è una puttana né niente, una donna ha diritto di essere quello che vuole. E senza bisogno di difensori. E io non sono il difensore della donna Fiorella. Io sono l’accusatore di un certo modo di fare i processi per violenza. Ed è una cosa diversa.


Tutto si cerca di sporcare. E questa ragazza alla ricerca disperata di lavoro, e che lavoro fa, lavoro nero, mentre se andasse per le strade non avrebbe bisogno di andare per settantamila lire al mese a lavorare da Giordano, perché tanto era il suo guadagno!


Pensate, una violenza carnale ad opera di quattro, durata un pomeriggio, con un sequestro di persona in una villa, viene valutata due milioni. Il silenzio della Fiorella valeva un milione invece. Questo vi prego di tenerne conto ai fini dell’esame di quella tal congruità dell’offerta di risarcimento. Bene, le si offre un milione e Fiorella, che ripeto è pure una ragazza che avrebbe bisogno di soldi, ma li vuole solo lavorando pulitamente, anche se fa lavoro nero, se viene sfruttata come lavoro, ma vuole guadagnare i soldi solo coi suo lavoro, fa finta di accettare, guadagna qualche ora. Non vi sto a rileggere tutto. Dice ne riparliamo domani. Perché domani? Sono le sette e mezza di mattina, alle otto ci sono altre telefonate; lei risponde «non lo voglio vedere subito», alle undici è già al commissariato.


Ma il maresciallo è stato fin troppo chiaro quando ha detto: «quando sono andato a fermare il Vallone se lo aspettava e mi ha detto “sì, per i fatti di Fiorella. Siete qui per i fatti di Fiorella”». Lo abbiamo sentito or ora. Ma se i fatti di Fiorella era che avevano avuto un rapporto a pagamento, non a pagamento, ma con una donna consenziente, ma come uno si aspetta la polizia? E poi, la seconda parte. Vengono interrogati dal Pubblico Ministero a Regina Coeli, e non è ancora intervenuto il difensore a dare suggerimenti, e allora che cosa fanno? Negano. Mentre al maresciallo confermano di aver avuto rapporti carnali, perché tanto anche hanno detto, di fronte al Pubblico Ministero negano, negano l’evidenza.


Ma chi ha mai detto che occorre la pistola, che occorrono le botte? Nel Medioevo sì, si diceva, quando si parlava e vi ricordate la giurisprudenza del decennio scorso della «vis grata puellae ». Non siamo più ancorati a provare questa violenza gradita alla fanciulla che si ammanta di pudicizia. Nel 1977-78 i costumi sono cambiati. Se una donna vuole andare con un ragazzo, ci va, molto più semplicemente. E non si parla di «vis grata puellae », né di quella resistenza, destinata a cadere come le mura di Gerico.


A nome di Fiorella e a nome di tutte le donne che molte sono, ma l’ora è tarda noi chiediamo giustizia. E difatti questo io vi chiedo: giustizia. Noi non chiediamo le condanne, non ci interessano. Ma rendete giustizia a Fiorella ed attraverso la vostra sentenza voi renderete giustizia alle donne; a tutte le donne, anche a quelle che vi sono... e prima di tutto a quelle che vi sono più vicine, anche a quelle povere donne che per disgrazia loro sono vicine agli imputati. Questa è la giustizia che noi vi chiediamo. Per quanto attiene al risarcimento già vi ho detto. Una lira per Fiorella. Questa ragazza cosi venale, che andava con gli uomini per soldi, vero? e sulla quale voi butterete fango, butterete fango a piene mani. Bene, questa ragazza cosi venale vuole una lira. E vuole la somma ritenuta di giustizia devoluta al Centro contro la violenza sulle donne. Perché queste violenze siano sempre meno, perché le donne che hanno il coraggio di rivolgersi alla giustizia siano sempre di più”.


Replica finale dopo le tre arringhe degli avvocati difensori degli imputati


“In realtà quello che è successo qua dentro si commenta da solo, ed è il motivo per cui

migliaia di donne non fanno le denunce, non si rivolgono alla giustizia. Poi due cose mi hanno indotto a farlo, un senso di correttezza nei confronti di Fiorella ed una cosa che non entra nel processo, ve ne do atto, la devo dire per onestà. Ho letto sui giornale, «Paese Sera» edizione della notte, di un’ulteriore violenza a una ragazza di diciassette anni che non dirà bugie perché è sordomuta ed è stata molto molto malmenata perché forse ha fatto quella resistenza che qui si nega ci sia stata. Io mi chiedo quale sarebbe stata la reazione. Sono quattro uomini. Certo, uno può dare un morsico e può rischiare la vita, e l’avrebbe rischiata, e ognuna delle donne ricorda quello che è successo a chi ha cercato di ribellarsi, a chi cerca di ribellarsi alla violenza. Ed ecco che violenza vi è anche senza una reazione di questo tipo, perché non si può aspettare che tutte siano delle sante Goretti.


Non ci sono una parola e l’altra. C’è stata quella che è stata la presa in giro di una ragazza, della buona fede di una ragazza che è andata fiduciosa con Vallone proprio perché lo conosceva, perché aveva avuto fino a quel punto rapporti normali, perché sapeva che era sposato, perché per lei era un uomo anziano, uno al di fuori di ogni questione, uno con moglie. Io ho finito. Affido a voi la giustizia anche per quella ragazza che non ha voce per chiedere giustizia”.

domenica 2 marzo 2008

Un malinconico e dolce naufragio


Stefano Manni - Casa sulla collina - Opera giovanile (1978) Olio su tavola


I luoghi della vita sono rappresentati da piccole cose (strade, edifici, volti) di cui è facile conservare la memoria, ancor più se il presente ne ha modificato le immagini originarie. 

Un viottolo di campagna, che ben si prestava alle passeggiate, sventrato anni fa da una circonvallazione, offre ormai rare tracce di quelle avventure che avevano contrassegnato l’infanzia. È venuto meno anche il mistero che accompagnava l’inoltrarsi tra alberi e arbusti vari, perchè già all’inizio del tracciato si vede cosa si troverà alla fine: condomini e nuovi quartieri. La stradina poi s’interrompe a metà, come un sogno spezzato dal risveglio del mattino.

Un altro sentiero lo individuai molti anni fa sorprendendomi per la scoperta tardiva. Bastava percorrerne pochi metri e si giungeva su un prato da cui si abbracciava, con lo sguardo, una distesa di campi coltivati e rade abitazioni coloniche. Era così bello e incantevole quel panorama che mi ripromisi di tornarci periodicamente, all’avvicendarsi delle stagioni, così da coglierne le differenze significative. Mi fu possibile per poco. Un giorno, si era di questi tempi, venni sospinto da quelle parti da una promettente giornata di sole che illuminò subito “case su case, catrame e cemento”. Quella stupefacente visuale oscurata per sempre dalla privatizzazione del paesaggio.

C’era poi una casetta, costruita su una piccola collina, che stava lì quasi a delimitare la fine del centro abitato. Da lassù si poteva vedere “un grande prato verde dove nascono speranze” (che avevo appunto sempre immaginato come il luogo cantato nella famosa canzone). Poco per volta su quel “grande prato verde” s’innalzarono nuove abitazioni, ma la casetta – seppur ormai disabitata -  restava impavida sempre là, come un simbolo del passato felice e, appunto, pieno di speranze.

Passandoci dopo parecchi anni (e tante di quelle acerbe speranze non realizzate) notai attaccato alla porta d’ingresso il cartello “vendesi”. Provai una stretta al cuore, ma probabilmente neppure i vecchi proprietari se la sentivano più di ritornare in quella zona ormai soffocante. Però anche gli acquirenti latitavano, poiché molto tempo dopo quel cartello, solo un po’ scolorito, era sempre lì. Poi, giusto qualche giorno fa, l’ho vista ingabbiata: dunque venduta e in ristrutturazione.

Alcune domeniche fa mi sono ritrovato a transitare davanti all’oratorio. La porta era aperta, ma non si sentiva alcun rumore. Ho evitato di entrare per tutelare il ricordo di “quelle domeniche da solo, in un cortile a passeggiar”. Che poi eravamo spesso in tre, tra i pochi che non andavano al cinema parrocchiale. Perché non si poteva o non si voleva. Così dopo la lezione di catechismo, spentasi la chiassosa allegria di coloro che si affollavano per acquistare il biglietto a prezzo ridotto, si disponeva della sala giochi. Soprattutto dell’ambitissimo tavolo da ping pong e così diventavamo rispettivamente, per imperscrutabili meccanismi, campioni del Mondo, d’Europa e d’Italia. Titoli che cambiavano proprietario di domenica in domenica. Non riuscii mai a diventare “campione del Mondo”, più spesso d’Europa, poche volte d’Italia. Però imparai piuttosto bene a disimpegnarmi con racchetta e pallina. Mi hanno riferito che adesso si fa catechismo il venerdì e il sabato, mentre la sala giochi ospita spesso feste con tanto di effetto discoteca.

C’è poi la scuola elementare, quella dove nei lontani anni ’60, ambientai nella mia fantasia le vicende del libro “Cuore”, imperdibile “must” (si direbbe oggi) dell’epoca. Romanzo letto in classe seconda A e riletto a distanza di mesi per una, due e non so quante volte ancora. Per fortuna conservo le foto, almeno della facciata originaria dell’edificio, oggi violentata dalla filiale di una banca, dal magazzino di un centro commerciale e dall’insegna di un centro estetico. Ma quando mi va di coccolare un po’ il mio cuore quelle immagini d’annata me lo riscaldano a sufficienza, sovrastate dal volto di mia madre, sempre presente in quell’infanzia felice.