giovedì 1 luglio 2010

Ustica, la verità negata





11 giugno 1989


Esiste un enorme buco nero, ricolmo di sangue, che ha inghiottito vittime inconsapevoli e innocenti, lacerando il tessuto sociale di questo Paese. Nel cratere sono precipitate la verità e la dignità di un popolo, il vuoto pneumatico di giustizia è stato riempito, da cialtroni e farabutti, da versioni omissive e di comodo.
La collusione di intere classi dirigenti con i burattinai di oscure Logge, che hanno animato il triste palcoscenico italiano, è un peccato collettivo imperdonabile. Il male non è stato estirpato alle radici: da quel buco nero senza fondo miasmi nocivi appestano l’aria. Da 30 anni. Almeno.
La notte della Repubblica iniziò a calare il 27 giugno 1980, sopra Ustica e con quel Dc9 precipitò nel mare anche la possibilità di conoscere, di sapere. Assieme agli 81 morti. Ed era solo l’anteprima di quel fiume di porpora che sarebbe stato generato alle 10,25 del 2 agosto alla stazione di Bologna. Una strage fascista.
Intere generazioni di giovani, per buona parte, sono state private di queste pagine di storia contemporanea, attraversata da generali felloni, da politici conniventi, da un Grande Vecchio, dal piduismo che non è una categoria mentale, ma una realtà che sta riproducendo già adesso il Piano di Rinascita Nazionale, dapprima teorizzato e poi attuato in maniera resistibile dal tesserato P2, n° 1816 e dai suoi scherani. Fulgido esempio di allievo che ha superato il maestro.
Anche per questo motivo ho recuperato dalla cartellina riservata ad Ustica la prima pagina originale de “la Repubblica”, quale esercizio di memoria e, allo stesso modo, ho scelto di raccontare attraverso il reportage di un settimanale, “Europeo”, ricomparso nelle edicole qualche anno fa mutato anche nella periodicità, una tra le storie più inquietanti legate a filo doppio e rosso sangue con la strage di Ustica: quella di dieci morti misteriose di militari e radaristi, di persone cioè che furono testimoni oculari di una verità spaventosa, sepolta assieme a loro. Attorno un muro di gomma.


Le dieci morti misteriose del dopo Ustica
Testimoni colpiti da infarto pochi giorni prima di essere interrogati dai magistrati. Militari vittime di incidenti stradali subito dopo aver detto di temere per la propria vita. Radaristi spaventati al punto di giungere al suicidio. Nella vicenda del Dc 9 dell’Itavia scomparso in mare dodici anni fa c’è un elenco impressionante di decessi sospetti
 
di DANIELE PROTTI e SANDRO PROVVISIONATO
 
Un elenco di dieci morti misteriose. La sensazione che scorrendo quei nomi si stia toccando con mano un macabro filo rosso sangue. Il sospetto che quelle morti siano tutte legate alla tragedia di Ustica e vadano quindi ad aggiungersi alle 81 persone uccise a bordo del Dc9 dell’Itavia il 27 giugno di 12 anni fa. L’angoscia che dei misteri di Ustica si possa anche morire: perché chi sa non parla e chi potrebbe parlare, deve tacere per sempre. Ma chi uccide i testimoni? Con un meticoloso lavoro di inchiesta Europeo ha ricostruito la storia di quelle dieci morti. Di quei dieci uomini venuti in contatto con i segreti di Ustica. Tutti morti in circostanze drammatiche. Tranne uno, sono tutti militari dell’Aeronautica, sette ufficiali e due sottufficiali. Inoltre la tragica fine di tutti loro si colloca geograficamente nei luoghi dove in questi anni si è dipanato il filo dell’inchiesta su quella maledetta strage.
I misteri di Poggio Ballone. Sono sei le morti che ruotano attorno ai misteri del «radar dimenticato» di Poggio Ballone, il centro dell’Aeronautica militare che sorge su una collina, pochi chilometri a nord di Grosseto. Per otto anni è stato nascosto ai magistrati che proprio quel radar puntato sul Tirreno aveva visto tutto la notte della strage. E quando nel 1988 i giudici Bucarelli e Santacroce, fino al 1990 titolari dell’inchiesta, chiesero l’elenco del personale in servizio la notte della tragedia, si accorsero che due nomi erano stati omessi: quelli del capitano Maurizio Gari e del maresciallo Alberto Mario Dettori. Entrambi erano in servizio la sera del 27 giugno 1980. Gari era il «master controller» nella sala radar di Poggio Ballone, cioè il responsabile della sala stessa. Dettori procedeva invece all’identificazione dei velivoli che solcavano il cielo. Entrambi sono morti: Maurizio Gari il 9 maggio 1981 è stato stroncato da un infarto, nonostante avesse soltanto 32 anni e, a detta dei familiari, godesse di ottima salute. Alberto Mario Dettori viene invece trovato impiccato ad un albero il 30 marzo 1987. La mattina dopo la strage di Ustica alla moglie e alla cognata il maresciallo era apparso molto scosso. «È successo un casino, per poco non scoppia la guerra», aveva confidato alle due donne, «siamo ancora in emergenza». Prima di morire Dettori era stato sei mesi in Francia, alla base di Montangel, per un corso di aggiornamento. Da lì era tornato nervoso e spaventato. Cosa avevano visto di tanto inconfessabile la notte di Ustica Gari e Dettori? Perché i loro nomi erano stati cancellati dall’elenco dei militari in servizio?

Ma prima ancora un altro importante testimone era scomparso: l’8 agosto 1980, a neppure due mesi dalla strage, l’auto sulla quale, assieme alla moglie e ai due figli, viaggiava il colonnello Giorgio Teoldi si schianta lungo la via Aurelia. Teoldi era il comandante dell’aeroporto militare di Grosseto, competente sul sito radar di Poggio Ballone. Il colonnello porta nella tomba un altro mistero i cui contorni sono venuti alla luce solo di recente: la sera della strage di Ustica, proprio mentre il Dc9 è in volo, tre aerei da guerra, due TF 104 biposto e un F 104 monoposto, erano decollati proprio dall’aeroporto di Grosseto. Teoldi, in quanto responsabile delle piste di Grosseto, non poteva ignorare lo scopo delle loro missioni. Ma c’è di più. Proprio su uno dei TF 104 erano in volo i capitani Ivo Nutarelli e Mario Naldini, anch’essi morti, assieme all’altro capitano Giorgio Alessio, tutti e tre della pattuglia acrobatica delle Frecce Tricolori, il 28 agosto 1988 nella tragedia di Ramstein, in Germania, che provocò un’altra strage: 51 morti, oltre 400 feriti. La possibilità che esista un legame tra Ustica e Ramstein è incredibile anche se i Verdi tedeschi e alcune inchieste giornalistiche del quotidiano berlinese Tageszeitung e del settimanale Der Spiegel hanno recentemente parlato di sabotaggio degli aerei. Prove? Nessuna.
Ufficialmente la causa di questa tragedia è stata attribuita ad un errore di manovra del solista Ivo Nutarelli, un pilota per altro espertissimo, con 4.200 ore di volo, che avrebbe commesso un tragico sbaglio nell’esecuzione del cardioide, proprio quella che viene ritenuta una delle acrobazie più semplici. La coincidenza allarmante è che Nutarelli e Naldini sono morti una settimana prima della data fissata dai giudici che volevano interrogarli sulla loro missione la sera di Ustica. L’interrogativo è: i due ufficiali dell’Aeronautica videro o intuirono qualcosa che aveva a che fare col Dc9 dell’Itavia?
Sempre nella zona di Grosseto, nel 1984, ecco un altro misterioso incidente stradale. La vittima è Giovanni Finetti, sindaco di Grosseto. Poco dopo la strage di Ustica, Finetti raccolse le confidenze di alcuni militari della Vam (Vigilanza aeronautica militare) secondo le quali due caccia si erano levati in volo dalla base di Grosseto per inseguire ed abbattere un mig libico. Nella battaglia aerea sarebbe rimasto colpito il Dc9. Sulla base di queste voci, Finetti avrebbe preso ad interessarsi della strage di Ustica e sarebbe morto pochi giorni dopo aver detto in giro che era sua intenzione rivolgersi alla magistratura.
Un attentato anomalo.
Il 20 marzo 1987 muore a Roma, in un attentato terroristico, il generale dell’Aeronautica Licio Giorgieri. Due killer in moto lo freddano a bordo della sua auto. Giorgieri era il responsabile degli armamenti dell’aviazione e stava lavorando al progetto europeo delle «guerre stellari». Almeno è questo il motivo per cui le Unità combattenti comuniste (Ucc), nate da una scissione delle Brigate rosse, con un volantino rivendicano l’omicidio. Il delitto Giorgieri appare subito un delitto terrorista anomalo. Viene giudicato dagli esperti come il colpo di coda dell’eversione rossa. Siamo infatti in un periodo in cui i terroristi nostrani hanno ormai da tempo deposto le armi. Anche la moglie del generale fin da subito dichiara di non credere alla matrice dell’omicidio. La vicenda acquista contorni ancor più sospetti quando si apprende che a far sgominare la banda degli assassini del generale, al quale solo pochi giorni prima era stata negata la scorta, è un giovane terrorista che lavora come archivista al ministero dell’Interno. E fa molto clamore la decisione di un giudice di scarcerare gli assassini di Giorgieri, condannati a pene pesantissime, appena tre anni dopo il delitto.
Pochi sanno che all’epoca della strage di Ustica Giorgieri faceva parte dei vertici del Rai, il Registro aeronautico italiano, la struttura che per prima fu investita della tragedia, quando ancora si pensava che la caduta del Dc9 fosse da attribuire a un cedimento strutturale. E responsabile del Rai all’epoca era il generale Saverio Rana. Fu proprio Rana, pochi giorni dopo l’incidente, che ipotizzò al ministro dei Trasporti Rino Formica la presenza di un caccia accanto al Dc9. Rana, anch’egli morto d’infarto, aveva a disposizione tre fotocopie di tracciati radar. Da chi le aveva avute? Forse proprio da Giorgieri? Dell’omicidio Giorgieri si è occupato in passato anche il giudice Santacroce. Per quale motivo?
I morti della Calabria.Il giallo nel giallo di Ustica è rappresentato da un Mig libico, ufficialmente trovato il 18 luglio nel vallone di Timpa della Magara in provincia di Catanzaro. Sul fatto che quell’aereo da guerra straniero sia precipitato sulla Sila la stessa notte della caduta del Dc9 ormai non ci sono più dubbi. I resti di quel Mig 23, su incarico dei servizi segreti, vennero recuperati in tutta fretta e trasportati all’aeroporto di Pratica di Mare (Roma) dalla ditta fratelli Argento di Gizzeria Marina. E proprio a Gizzeria Marina muore il 14 agosto 1988 il maresciallo dell’Aeronautica Ugo Zammarelli. Stava camminando con un’amica sul lungomare quando entrambi vengono investiti ad altissima velocità da una Honda 600 con in sella due giovani tossicomani. È una strage. Ma mentre i corpi dei due ragazzi appaiono sfracellati, i cadaveri di Zammarelli e della sua amica sono perfettamente integri. Nessuna autopsia viene fatta. Ma stranamente i bagagli del maresciallo, che ufficialmente si trovava a Gizzeria in vacanza, spariscono dal suo albergo. Si scopre che Zammarelli, in forza alla base Nato di Decimomannu, in Sardegna, non era in Calabria per diletto, ma stava conducendo un’indagine proprio sul Mig libico caduto sulla Sila. Un suo amico, Gaetano Sconzo, giornalista dell‘Ora di Palermo, sul suo giornale riporta alcune confidenze di Zammarelli: stava indagando su Ustica, ma temeva per la sua vita.
Un altro maresciallo dell’Aeronautica, che forse aveva a che fare con la strage di Ustica, è misteriosamente morto di recente. A 39 anni Antonio Muzio è stato freddato con tre colpi di pistola al ventre il 1° febbraio del 1991 nella sua abitazione di Pizzo Calabro. Il fatto singolare è che la pistola era la sua, ma per gli inquirenti è escluso il suicidio. Fino al 1985 Muzio aveva lavorato all’aeroporto di Lamezia Terme, uno scalo direttamente coinvolto nella vicenda del Mig libico, del suo recupero sulla Sila e della sua restituzione a Gheddafi. E dove sono stati custoditi la scatola nera del Mig e i nastri di registrazione dei voli.
L’ultima vittima di Ustica?Il suo cadavere è stato appena sepolto. Sandro Marcucci, 47 anni, ex colonnello pilota della 46ªAerobrigata di stanza a Pisa, è precipitato con il suo Piper antincendio il 2 febbraio scorso. Marcucci era un pilota provetto. Eppure si schianta sulle Alpi Apuane come fosse un pivellino. L’aereo brucia, va in fumo. C’è chi giura di aver visto l’aereo perdere stranamente quota e all’improvviso. Poi, mistero nel mistero, nella sua bara viene trovato un pezzo del motore: è tutto fuso, tranne un tubicino di gomma. Il fuoco ha sciolto il metallo, ma non la gomma. Ma chi l’ha nascosto accanto alle sue spoglie?
Il Tirreno, quotidiano di Livorno, si ricorda di un’intervista. Marcucci soltanto cinque giorni prima aveva duramente attaccato il generale dell’Aeronautica Zeno Tascio, comandante dell’aeroporto di Pisa dal 1976 al 1979, responsabile dei servizi segreti dell’Aeronautica all’epoca di Ustica, oggi inquisito nell’inchiesta sul Dc 9.
Di Tascio, Marcucci, tra l’altro, aveva detto: «È sempre stato un uomo disponibile a fare dei favori a chi stava più in alto». Anche il colonnello Marcucci sapeva qualcosa di Ustica?
Daniele Protti  e Sandro Provvisionato
Ha collaborato Antonio Delfino

EUROPEO 9 /28 FEBBRAIO 1992


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