mercoledì 21 luglio 2010

La dissoluzione di un impero (e di Cesare)


 




L’ometto si sta squagliando come il cerume con cui s’imbratta. Mancano le Idi di marzo e poi il ritratto di Cesare è a posto. Sono gli ultimi giorni dell’impero (e dell’imperatore). I più pericolosi, perché può accadere di tutto. Il colpo di mano di chi si vede ormai perduto e se Sansone deve perire, muoiano assieme a lui tutti i filistei.
I topi che hanno infestato la nave sono pronti a saltar giù appena comincerà ad imbarcare acqua, per impegnarsi ancora in quel trasformismo, autentico carattere di un pessimo italiano medio. Facciamo attenzione a coloro che oggi sono servi, ascari, complici e conniventi; facciamo attenzione a quell’associazione a delinquere, che per convenzione si usa definire “governo” e che domani, o al massimo dopodomani, si scioglierà per andare a formarne un’altra e da un’altra parte, perché un titolo di commendatore o di cavaliere (ehm) non si nega a nessuno e poi si tratta di passare ad una cloaca meno fetida e meno profonda.
Su “la Repubblica” di ieri Francesco Merlo ha scritto un pezzo strepitoso sulle ossessioni dell’ometto. La memoria mi ha guidato alla ricerca di altri exploit del commentatore di “Repubblica”: ne ricordavo un paio , un altro si è agganciato di conseguenza.
Già nel lontano 2003, questa volta sul “Corriere della Sera”, Francesco Merlo aveva messo in risalto le sue doti di giornalista e la pochezza esistenziale (mi verrebbe da dire: inutilità) dell’ometto che, una parte di nostri connazionali, ha sciaguratamente contribuito a piazzare al potere. Dovranno essere costoro, più che il papi, a renderci conto di questa mostruosità. Almeno chiedendoci scusa. Per il disturbo.
E poi che se ne vadano a Piazzale Loreto.


 
 

IL COMMENTO

La Bindi ossessione del Cavaliere
 
di FRANCESCO MERLO
 
La prima volta che insultò la Bindi ho scritto che era maleducato. Ma adesso è diventato un problema di farmacia. Berlusconi che insolentisce ancora Rosy Bindi, ossessivamente e con la stessa litania, non è più un avvenimento che può essere affrontato da un polemista.
Ci vuole qualche pillola per tenerlo a bada. E non è più il caso di mostragli uno specchio o di ricordare cosa raccontano quelli che hanno avuto l'avventura di incontralo di mattina presto, con il viso sfatto, senza cerone e senza trucco, piccolo, rotondo e cadente, con la pelata in libertà e l'alito guasto... No, Berlusconi non ha più bisogno di qualcuno che gli rammenti la sua verità estetica. Ha invece necessità di una terapia. E infatti non mi viene più in mente che si tratta di volgarità e non gli consiglio più qualche buona lettura, il bon ton, il galateo e neppure di ritornare ai comportamenti antichi, a rimettere in campo quella cavalleria maschile che ai tempi della sua formazione e nel suo ambiente era un valore.
Il fatto è che un premier che racconta barzellette salaci e fa battute oltraggiose va biasimato e magari anche stroncato. Ma suscita una sincera pietà un premier che si riduce a raccontare sempre la stessa barzelletta, un uomo potente che si degrada all'impotenza di ripetere sempre la stessa battuta, e ogni volta ingiuria, sempre con le stesse parole, la stessa signora che, fra l'altro, non è il capo dell'opposizione, non è il suo avversario diretto, non è neppure il vigile del quartiere che gli fa le multe, non ha una presenza invasiva nei suoi ambienti, non è la più esagitata dei suoi nemici politici, ma è invece una donna tranquilla, anche nell'aspetto, che dice le cose tranquillamente anche quando polemizza e punge. Ecco: aggredire gratuitamente Rosy Bindi sempre e solo sul piano estetico è un invasamento paranoico.
E non è possibile che Berlusconi ieri, nel visitare un’università, non sapesse di commettere una mascalzonata tirando in ballo Rosy Bindi e villanamente offendendola, senza ragione apparente, a freddo, non più da gaglioffo smanioso di mordacità ma da povero uomo ormai basito e patetico. È insomma probabile che egli creda di avere messo in atto un diversivo e abbia dunque ricicciato la sua malsana ostinazione pensando di distrarre gli italiani dalla cricca, dalla P3, dalle malefatte nel nome di Cesare... Ebbene, se è così è ancora più straziante vedere quell'uomo che, comunque è stato corpacciuto e soddisfatto di sé, diventare goffo e sconnesso. Nessuno, neppure il più feroce dei suoi detrattori, può oggi godere dinanzi allo spettacolo di un vecchio imperatore tenuto in piedi da una rabbia tristissima.
Qui infatti non c'è la disperazione che presuppone una forza, non c'è l'inventiva delle vecchie genialità che gli permisero di rilanciare, di spostare il campo da gioco. Ridire, rifare, ripetere, reiterare sempre lo stesso insulto è patologia affliggente e mesta, è un comportamento smisurato e al tempo stesso striminzito. Sono infatti diventate un unico tic villano le famose trovate spiazzanti, la nave e la bandana, il lifting e le corna... Non c'è più la creatività e non c'è la fantasia della diplomazia del cucù. C'è invece quel folle desiderio di farcela che a volte assale i vecchi e i malati terminali. Roba straziante. Verrebbe quasi voglia di aiutarlo. Suscita un'illogica solidarietà. Come una candela che si spegne.
Più significativo di cento consigli dei ministri, più illuminante della battaglia contro Fini e delle cene nella casa-covo di Bruno Vespa, questo lungo insulto alla Bindi è l'ululato di un leader che si sta sfinendo lontano dalla Storia.  
(20 luglio 2010)
 
 
 


LA POLEMICA

L'insulto speculare
 

di FRANCESCO MERLO
 
Chi di specchio ferisce di specchio perisce. Un amico che fa il direttore di un grande albergo (non ne farò il nome neppure se torturato) mi ha raccontato di avere visto Berlusconi alle 4 del mattino nel corridoio dell'hotel. Gli si è presentato dinanzi, per uno di quei contrattempi che a volte accadono nel suo mestiere, un vecchietto rotondo e basso, non calvo ma spelacchiato, scolorito e stinto, la pelle tostata e avvizzita... Ebbene, il mio amico lo ha trovato, proprio in quell'occasione, pietosamente umano. Perché la verità, ha aggiunto, non è lo specchio magico che deforma i tratti altrui ed esalta quelli propri, non è devastata dai truccatori, non è di comodo.
Ecco: Berlusconi ieri a Torino ha insolentito il governatore Mercedes Bresso, la quale governa bene un pezzo dell'Europa che conta, non solo perché è una signora e non una velina. Contro la Bresso ha evocato lo specchio non solo perché identifica le donne con le mutandine e al pennone della sua bandiera sventola un tanga. Ma perché lui non si specchia mai. Davvero Berlusconi non riuscirebbe a sostenere il giudizio severo dello specchio. Com'è noto, preferisce specchiarsi in Bonaiuti e negli occhi degli amori mercenari che lo esaltano in proporzione alla dazione. Cesare Pavese ha cantata così l'immagine insopportabile che girava nel corridoio di quell'albergo: "Come un vecchio rimorso/ o un vizio assurdo. I tuoi occhi/ saranno una vana parola / un grido taciuto/ un silenzio. Così li vedi ogni mattina/ quando su te solo ti pieghi / nello specchio...".
Insomma non c'è soltanto l'idea fissa del satiro senile nella seguente volgarità sputata contro il governatore del Piemonte: "Cosa fa la Bresso al mattino? Si guarda allo specchio e cosa vede? Vede la Bresso e si è già rovinata la giornata". Dire che la Bresso non è una cubista e non è una escort è infatti una ovvietà. Ma solo Berlusconi ne deduce che la Bresso non piace a se stessa. E ha cercato di convincere i piemontesi a non votarla perché non scodinzola e non miagola davanti allo specchio. Lui non sosterrebbe mai una signora sobria, discreta e responsabile che ragiona con la testa e non con la guepiere.
Ma il vero dramma non si coglie in superficie. Berlusconi crede che lo specchio sia un suo alleato, un suo ministro, un La Russa o un Gasparri. Pensa di essere bello, intelligente, alto e biondo proprio perché evita lo specchio vero. Non capisce che la gente normale non colleziona specchi e la mattina, alzandosi alla guerra con il mondo, non corre a cercare uno specchio ma si ritrova e si perde nei problemi di ogni giorno: gli stipendi, l'affitto, i figli a scuola, la pensione, il lavoro e ovviamente, se è italiano, la sventura di avere Berlusconi.
Alla fine, dietro la scemenza sullo specchio, che Berlusconi peraltro aveva già recitato, non c'è la Bresso e non c'è neppure la campagna elettorale che invece c'è negli immancabili insulti ai giudici e, questa volta, anche ai colleghi della Stampa di Torino. C'è, invece, nel Berlusconi che si arrampica e scivola nello specchio, un disperato e malcelato bisogno di fissità. C'è la paura di incontrare se stesso nel corridoio di un albergo, di vedersi, appunto, allo specchio che è un tribunale senza Ghedini. È questo l'epilogo del Berlusconi che si sta disfacendo: dopo avere in ogni modo truccato se stesso, adesso  -  al mattino a mezzogiorno e a sera  -  trucca gli specchi, lucida la superficie convessa dei suoi Minzolini.
(24 marzo 2010)



 




OLTRE IL LIMITE


Francesco Merlo



 
Troppe volte ci capita di pensare che Berlusconi faccia la satira di se stesso e si autoriduca a macchietta. Almeno due volte la settimana infatti si caricaturizza da solo con involontarie autodenigrazioni. Se continua così, in mancanza di riforme, di grandi opere, di efficienti scuole di Stato, di rilancio dell' economia, di sport e di talento, presto di lui potrebbe restare, come materia di studio e di pietas, solo un modello di autoannichilimento. Insomma sta accadendo quel che Montanelli aveva preannunciato sul Corriere: Berlusconi si sta consumando e sbriciolando da sé. Ecco perché, nel giorno in cui Berlusconi ha detto che i giudici sono matti e ha aggiunto che Montanelli e Biagi sono stati sempre invidiosi di lui, la cosa che più ci manca è la risposta di Montanelli. Ci manca la sapienza di chi comprende che l' insulto insensato e l' ingiuria sguaiata nascondono sempre debolezza, malessere, inadeguatezza, forse tragedia. Nessuno di noi conosce Berlusconi come lo conosceva Montanelli. Solo lui avrebbe capito, allarmato, da quale pozzo di disperazione affiori l' idea infantile che un re invidi un valletto, un gigante un nano, che un monumento della storia d' Italia, il quale aveva rifiutato anche il seggio di senatore a vita, abbia desiderato, fosse pure una volta, di indossare i tacchi e la pelata di un parvenu della politica. E perché mai Enzo Biagi dovrebbe invidiare un improvvisatore del quale non si possono invidiare né la cultura né l' intelligenza né l' eleganza ma solo il danaro, problematicamente accumulato? Secondo noi, Montanelli oggi non rimprovererebbe a Berlusconi neppure il cattivo gusto di avere insultato un morto. Berlusconi infatti - ci perdonino tutti i suoi forsennati detrattori che tanto gli somigliano - sicuramente non è una iena, ma un visionario, la cui originaria naïveté e la cui proverbiale leggerezza stanno degradandosi in grottesco, come il trucco sfatto sul viso di un clown. Dunque Berlusconi attacca il morto perché lo vede vivo, lo teme vivo e, di nuovo, confonde la libertà di giudizio con l' invidia. Anche l' idea che i giudici siano matti, oltre che un' ossessione da imputato, è un autogol da imputato. Il giudice matto non esiste, e la convinzione che ci sia una tabe psichica che motivi i dottori in Legge verso la magistratura non è buona neppure per la letteratura da «scemeggiato» tv. Si conoscono infatti giudici corrotti, moralmente o politicamente, giudici eroi, giudici per bene, giudici quaquaraquà, ma il giudice pazzo è una categoria solo berlusconiana, come appunto l' invidia di Biagi e Montanelli; è una categoria che rimanda ad altro, che significa altro. Significa che per Berlusconi il Diritto frequenta, o meglio - viste le precisazioni del disperato portavoce Bonaiuti - costeggia la follia. Una persona che informa la sua vita al rispetto del Diritto non è normale, come pensa di essere Berlusconi, ma folle o quanto meno maniaco, come non pensa di essere Berlusconi. La legge è fatta per essere amministrata da dissennati e gli italiani che si fidano dei giudici pazzi sono poveri idioti. Come si vede, siamo oltre la satira più impietosa. Nessuna Sabina Guzzanti sarebbe arrivata a tanto. C' è una tale assenza di misura da spingerci non all' indignazione ma alla commiserazione, la stessa provata per Robert De Niro che, pugile per forza, dopo l' incontro si finisce dissanguandosi nelle toilettes.
(5 settembre 2003)     



 






Maggioranza in riga



MOLTI CAVALLI MA IL CAVALIERE E' UNO SOLO



Francesco Merlo


 


Sembra più adatto alla politica che alla Lancia Thesis e ai suoi 230 cavalli lo spot televisivo della splendida Cucinotta: «Molti cavalli. E un solo cavaliere». Di sicuro l' idea, selvaggia e indecente, che un solo cavaliere domini tutti quei cavalli, 474 tra Camera e Senato, e addirittura li degradi a ronzini, è perfettamente adeguata alla giornata di martedì, quando la pur rissosa maggioranza di governo ha approvato, in un solo pomeriggio, ben due leggi che, alla fine, hanno un' unica sostanza, trattano la stessa materia: la tv di Berlusconi, l' interesse del padrone. Ormai è accertato che sulle televisioni, sul proprio patrimonio personale, sulla guerra ai magistrati che lo stanno processando e sui «lodi» che lo ibernano, Silvio Berlusconi tiene l' Italia in uno stato di eccitazione sentimentale, una specie di infiammazione uterina che ci riguarda tutti, sostenitori e oppositori. Ed è un'ossessione che, comunque vada a finire l' avventura, diventerà materia di studio politologico per la posterità. Da un lato bisognerà decifrare infatti la passione assatanata di questa maggioranza che si comporta come personale di servizio, dove tutti si azzuffano su tutto, ma poi come le api e come le mosche tutti vengono risucchiati sull' essudato. Dall' altro lato ogni volta che la maggioranza si compatta sulla pastura del biscione, nell' opposizione scatta subito l' intransigenza etica, dettata da codici lontani, ma nessuno sa mettere le mani nel pasto. E nessuno, nell' opposizione, sa modificare la ricetta, ridosare gli ingredienti in maniera più o meno surrettizia, entrista o troskista, di lotta e di governo. E difatti il presidente della Rai Lucia Annunziata promette le dimissioni, e a piazza Navona si gira in tondo, nelle feste dell' Unità si fanno spettacoli incandescenti, e i comici si candidano a leader della politica della risata e degli sfottò dove, come tutti capiscono, deriso e derisori sono sostanzialmente solidali. Al punto che il più intransigente degli oppositori, Nando Dalla Chiesa, è diventato, in teatro, il più fedele e il più applaudito imitatore di Berlusconi. Insomma non potendolo sfidare lo si ridicolizza amabilmente, come facevamo a scuola con l' odiato professore al quale riconoscevamo il monopolio del sapere, e lo sfottò era dunque l' unica licenza, l' estremo rifugio perché nessuno poteva contestargli l' abilità professionale, lui solo sapeva che l' aoristo di lambano era elabon, e la metrica di Virgilio e di Seneca, e l' esametro dattilico, una lunga e due brevi... Ebbene, come quel professore deteneva il monopolio del sapere così Berlusconi detiene l' iniziativa della politica italiana. E' infatti il solo che riesce a compattare e a mantenere uniti sia i secchioni e sia le birbe, la maggioranza dei diligenti e la minoranza dei monelli, ad assicurare insomma la disciplina in classe. Perciò alla fine ha ragione la Cucinotta, non meraviglia tanto il cavaliere: qui il problema sono i 474 cavalli della maggioranza ridotti a ronzini da un solo cavaliere. Silvio Berlusconi, per la verità, sa anche governarli con leggerezza questi suoi cavalli, lascia che scalpitino sulle pensioni o sull' immigrazione, permette a Fini di dare dell' arrogante a Tremonti, concede a Bossi di insolentire chi gli pare, e a Follini ha assegnato il ruolo più elegante, quello della discrezione al galoppo. La settimana scorsa, ricordate?, Berlusconi l' ha pure detto che i suoi cavalli «devono sfogarsi» ed è andato a comprarsi la villa di Zeffirelli a Positano: «Tanto, senza di me si suiciderebbero». Berlusconi del resto era stato molto liberale pure sulle quote latte, e aveva persino permesso ad An di votare con i comunisti di Rifondazione per bloccare la vendita dei beni immobili dello Stato. Sulla grazia a Sofri poi, tutti si sono ricordati di essere cavalli, e si sono persino imbizzarriti. Ma sulle televisioni no. Su tutti gli affari del presidente del Consiglio, imprenditore interessato, vale lo slogan della Cucinotta e il Parlamento diventa il bivacco di un solo cavaliere. Davvero dunque la giornata di martedì scorso è la giornata simbolo dell' infelicità di questa Italia che deve scegliere tra i ronzini e i goliardi. Nulla di più lontano dalla tradizione e della storia del Paese, fosse pure la più controversa, fosse pure la più cortigiana. Si sa, per esempio, che Fanfani dipingeva e magari teneva ai suoi quadri più che ai suoi progetti politici. Ma non ha mai creato il partito delle tele, non ha ridotto la Dc a un' accozzaglia di adulatori né il Parlamento ha mai legiferato per dare a Fanfani il monopolio della pittura. No, la strada sulla quale Berlusconi sta portando i suoi ronzini potrebbe presto diventare senza via d' uscita: presto, molto presto, quando la legge Gasparri sul riordino televisivo e la legge Frattini sul conflitto di interessi verranno definitivamente approvate. Svanirà così la possibilità che il presidente del Consiglio si liberi completamente del suo dominio televisivo e smonti da cavallo, che è l' unica soluzione, proprio l' unica, per fare di quella stalla un' aula parlamentare.
(24 luglio 2003)  



         
 



La vignetta di Marilena Nardi è stata pubblicata sulla prima pagina de "il Fatto Quotidiano" del 14 luglio 2010.



 


Nessun commento:

Posta un commento