lunedì 8 gennaio 2007

Senza api non si vola

È un futuro drammatico quello che ci aspetta, secondo un rapporto della Commissione europea sul clima. la Repubblica del 7 gennaio ha aperto con il titolo: «Clima, l’allarme dell’Europa». Il panorama è quasi spettrale: migliaia di morti per il caldo. Siccità al Sud, turismo che si sposta al Nord. L’Italia e la Spagna sono i paesi maggiormente  a rischio, perché la catastrofe prossima ventura è individuata nel Mediterraneo. Strano, ma vero ci si allarma per la situazione ambientale. E ciò avviene con colpevolissimo ritardo. Tra alcuni anni la frase stereotipata che “le stagioni non sono più quelle di una volta, signora mia” diventerà insopportabile (adesso è irritante). Eppure i segnali sono chiarissimi: uno sciagurato modello di vita ci ha condotto sull’orlo del baratro.


Ma a colpirmi non è stata soltanto questa notizia, perché l’ho subito abbinata ad un’altra, di pochi giorni fa, che riguardava le api e la loro fuga dalle piante Ogm, un altro mostro partorito dalla nostra presunta civiltà.


Ho trovato il pezzo uscito su La  Stampa, che ha diffuso la notizia, corredato da un’interessante intervista, sempre del 3 gennaio, all’etologo Giorgio Celli.


 


Una ricerca canadese


Le api boicottano le piante Ogm     


Gabriele Beccaria


la Stampa 3 gennaio 2007


 


Se lo saranno detto con le sequenze di simboli nascosti nelle danze a mezz’aria? Oppure con le emanazioni dei recettori odorosi, che - rivelano studiosi americani come James Nieh - sono state elaborate con milioni di anni di sforzi e oggi ricordano in tutto e per tutto i codici cifrati degli agenti segreti?

Di certo l’evoluzione non le aveva preparate all’imprevisto fabbricato dai loro partner da almeno 8 mila anni, gli esseri umani: le api si stanno scambiando informazioni via via più preoccupate e da un po’ di tempo si consigliano reciprocamente di stare alla larga dai campi geneticamente modificati che ricoprono superfici in rapida espansione, dalle praterie della «corn belt» statunitense alle pampas argentine, fino alle pianure infinite di India, Cina e Australia. Gli studiosi se ne sono accorti quando hanno deciso di osservare che cosa succede attorno a una pianta che non esiste in natura, ma è una fortunata manipolazione che genera fiumi di dollari.


Si chiama canola (acronimo che sta per «Canada» e «olio»), deriva dalla rapa e produce un olio per innumerevoli usi, anche alimentari, dato che è considerato povero di grassi cattivi. E’ proprio nelle zone dove cresce con impeccabile logica industriale - denuncia una ricerca della Simon Fraser University nel British Columbia del Canada - che si sta registrando un crollo dell’impollinazione. Secondo le analisi, appena rese note dall’Ecological Society of America, la densità delle api diminuisce progressivamente a seconda che il campo che sorvolano sia, nell’ordine, organico, trattato pesantemente con erbicidi e Ogm.


Il fenomeno può essere interpretato come una fuga o una difesa. O come una forma strisciante di sterminio. E’ infatti una nuova prova che si aggiunge agli studi con cui si accusano le piante «trans» di minacciare le api e spingerle all’estinzione dal pianeta che le ospita da 300 milioni di anni, quando si separarono dalle zanzare e dal moscerino della frutta. Proprio in Nord America - e soprattutto negli Usa - questi insetti-chiave per la riproduzione della maggior parte della flora terrestre stanno scomparendo a tassi abnormi. La colpa - confermano le analisi dell’Università di Jena in Germania - è (anche) della canola e di alcuni ceppi di batteri resistenti agli antibiotici.


Tutto nasce da un gene «marcatore» utilizzato nella controversa pianta canadese: questo riesce a trasferirsi nei batteri, che da tempo immemorabile colonizzano il sistema digerente delle api, e i microrganismi si alterano. Da ospiti si trasformano in killer, facendo strage dell’insetto più affascinante e oggi più studiato (da poche settimane, infatti, il consorzio internazionale «Honeybee Genome Sequence Consortium» ha sequenziato il suo genoma).


Le povere api muoiono perché si ammalano e anche il miele risulta contaminato. Ha tracce Ogm e - denunciano l’associazione britannica «Bee Farmers Association» e «Friends of Earth» - c’è il rischio che i «resti» arrivino fino agli animali e naturalmente all’uomo. Se l’uomo massacra le api, questa potrebbe essere la subdola vendetta di creature che con noi hanno almeno due straordinarie forme di parentela: la stessa origine africana e un orologio biologico quasi uguale al nostro.

Il dna


Sequenziati diecimila geni


Esistono quattro specie di api: l’Apis Cerana, l’Apis Florea, l’Apis dorsata e l’Apis Mellifera. Quest’ultima, la più comune, proviene dall’Asia (mentre la sua antenata è africana) ed è stata introdotta in America da inglesi e spagnoli. Dopo anni di tentativi è stato finalmente sequenziato il genoma di questo straordinario insetto: grazie al lavoro di 170 laboratori in tutto il mondo sono stati identificati 10.157 geni e grazie a questa gigantesca impresa si spera di trovare nuove strategie per salvare l’ape dal rischio dell’estinzione.


 


«La natura si ribella alle follie della scienza»


Professor Giorgio Celli, sembra che la natura cominci a ribellarsi agli Ogm. E’ così?

«Il fenomeno segnalato in Canada è ancora tutto da approfondire, ma sono molto preoccupato: sono sempre stato contro gli Ogm e credo siano solo un danno alla natura. La strategia con cui si ottengono organismi con caratteristiche che prima non possedevano dovrebbe essere messa sotto stretto controllo. Abbiamo sequenziato il Dna dell’uomo e dell’ape, ma non abbiamo capito le interazioni tra i nucleotidi. Non sappiamo ancora come interagiscono. Al momento, se inseriamo un pezzo di Dna tra due vegetali o animali, i risultati sono imprevedibili».

In tutto il mondo si segnalano stragi di api. I fenomeni sono quindi collegati?

«In Francia, per esempio, si è trattato di un potente insetticida: disorienta le api e queste non riescono a tornare all’alveare. Per quanto riguarda i campi Ogm, siamo di fronte a un effetto nuovo, che mi sorprende. Sicuramente è l’effetto del lavoro di ingegneri genetici che stanno chiusi in laboratorio e non sanno nulla della natura».

Che cosa dovrebbero sapere gli esperti di biotech?


«Gli ingegneri genetici non sono naturalisti. Poco tempo fa alcuni ricercatori giapponesi hanno annunciato di poter creare api senza pungiglione. Erano più facili da allevare. Ma, così disarmate, sarebbero state soggette agli attacchi di quelle “armate”. Perché un alveare debole è sempre vittima di un alveare forte. Agli ingegneri manca una visione complessiva della natura».


Foto: Fabrizio Rosano

3 commenti:

  1. molto interessante....

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  2. Ciau, voglio lasciarti l' indirizzo del mio blog su Iobloggo ( http://ifona.iobloggo.com/ )



    C'e' un articolo esilarante che ho postato poco tempo fa...



    Ti ho inserito nei preferiti in quello di splinder.



    Ricapitolando ho:

    - lo storico di Msn.

    - Il nuovo di iobloggo

    - lo strafigo: www.santamarialanova.splinder.com



    Un bacio

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  3. E' necessaria ancora molta, moltissima, sperimentazione. C'è invece chi, anche se non legato alle multinazionali, si ostina a prendere per oro colato tutto quello che dicono certi ricercatori, o pseudo ricercatori.

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