Quello che non ti aspetti e non riconosci, poi quando si rivela appaga e riempie di gioia.
Sono in attesa dell’autobus per il ritorno a casa, dopo la prima giornata lavorativa dell’anno (impatto col presunto “nuovo” che è poi ovviamente sempre “vecchio”, piatto e vomitevole) quando noto un tipo, al volante della sua auto, che si sta sbracciando nei miei confronti. Non lo conosco, ma lui sì evidentemente. Sono inequivocabili i suoi cenni: intende offrirmi un passaggio, perché va anche lui nella mia stessa direzione. Salgo a bordo e vengo investito da quella cordialità liberatoria e sorridente di chi è stato sempre in confidenza e può ora manifestarla dopo parecchio tempo. Ribadisco, a me stesso, l’interrogativo sull’identità di questa persona, che sta già chiedendomi se lavoro da quelle parti e non si accorge - credo – della mia perplessità. La memoria, al momento, non mi soccorre.
Tuttavia la conversazione scorre subito impegnandomi su due canali paralleli che dovrebbero alla fine convergere, sovvertendo la geometria, ma risolvendo il dilemma. Da una parte ricambiare cortesia ed entusiasmo, per me inspiegabili almeno in quelle dimensioni, seguendo il fiume in piena delle sue parole. Dall’altra badare a non commettere gaffe e scavare nei più oscuri recessi della mente per trovare un’indizio che mi aiuti. Come fanno a CSI quando si accaniscono su un frammento di Dna.
Come talvolta capita, invece, fa tutto lui, pur non rendendosene conto. Dapprima il richiamo alla sua attività in una nota azienda della zona, poi un riferimento alla persona, forse la più cara che io abbia avuto al mondo e che il mondo rapì, vigliaccamente e ingiustamente, disintegrandola poco più di sei anni fa, da lui conosciuta. Così lo guardo meglio in volto e, mentre continua a raccontare, credo di capire. Una folgore squarcia il buio. E sta riferendo di sé, della sua malattia. Linfoma, due anni fa. O. E allora ricordo, sì che ricordo.
Me ne aveva parlato l’estate scorsa un ragazzo che condivide con lui la comune passione di andar per mare. “Ti ricordi di O.?”. “Ma certo. Sono alcuni anni che non lo vedo. Come sta?”. Eccola lì la domanda, tanto spontanea quanto idiota, nella circostanza, perché non sapevo. Mi racconta, in breve.
O. Una cascata di ricordi irrompe nell’abitacolo dell’auto. Elementari assieme, poi sezioni divise alle medie e alle superiori. E adesso quello che ricordavo come un ragazzo con qualità mediocri, mi sta parlando di come sta affrontando la malattia. Della morte che ha avuto accanto per un po’ di tempo, di come abbia poi vissuto da “vecchio”, della lunga permanenza in ospedale e poi la riscossa, la rinascita scandita da esami clinici rientrati nella norma, da una tranquillità acquisita.
Il fisico forte lo ha aiutato, perché in effetti non denuncia alcunché. La mente che lavora in sintonia con il corpo attraverso la pratica sportiva (barca a vela e sci), la riappropriazione di testi classici, della lettura, dell’approccio alla filosofia, alla conoscenza, con una sete inestinguibile. Non vi è nulla più del ragazzino che ricordavo, un po’ sciocchino e superficiale. Affettato con le ragazze, blasè nel comportamento. Laico e miscredente. Tutto, s’intende, con senso della misura e dell'età.
Trovo esaltanti le sue considerazioni, ma ancora di più ritrovare quel compagno di allenamenti all’alba, di corse lungo viottoli di campagna, quando in meno di una decina sfruttavamo così le prime ore delle giornate estive. Le partite di pallavolo, in cui sciaguratamente dissipava il suo talento. Quelle di ping pong (perché all’epoca ignoravamo che si definisse correttamente tennistavolo) interminabili, perché era uno tosto.
E adesso O. mi racconta del suo amore per la vita, dell’incitamento al figlio quando lo vede chattare al pc: “Esci, figlio mio, vai a veder un’alba o un tramonto, incontra persone, parla con loro, ascolta”. Possiede una carica interiore enorme quest’uomo, assieme agli sterminati ricordi condivisi: quelli più belli, quelli della nostra infanzia. Quelli che basta un cenno e magicamente si ricompongono davanti agli occhi, anche se è trascorso tanto tempo da allora e quasi altrettanto da quando ci siamo perduti di vista, per il suo trasferimento altrove.
È stato così esaltante questo incontro, assolutamente imprevedibile e bello come tutto ciò che esce fuori da schemi preordinati, che prima ancora di pranzare avrei voluto scriverne, scaricando sul foglio elettronico la tensione emotiva, per mettere ordine e placare la giostra stordente dei ricordi, delle passioni vissute. Dell’emozione che mi hanno trasmesso le sue parole. Quelle di un giovane uomo che sta lottando per prolungare la sua vita, senza ostentazione, ma determinato a schiacciare ancora una volta a terra. Vincente. Come faceva a pallavolo, nelle giornate di vena o al tavolo verde da ping pong, dove prima di perdere, se perdeva, metteva in gioco se stesso.
Bellissimo racconto e bellissima esperienza. L'anno nuovo ti ha regalato una novità inaspettata e anche commovente. Una pagina di poesia.
RispondiEliminaTi invidio un po': tutti i miei ex compagni di scuola, quando s'incontrano, fingono di non conoscersi fra loro, e altrettanto fanno con me, superbi e ostili, come se non fosse mai esistito alcun rapporto tra noi.
Resto sempre stupefatta di fronte a racconti come il tuo. Per me un'esperienza simile è un miraggio. Comprendo che possa sembrare strano o esagerato, ma è davvero così.
Romina
Capita ogni tanto di incontrare pezzi del nostro passato; fortunato a rivedere una persona così intensa.
RispondiEliminaE sottoscrivo il rammarico di Romina, il 99% degli amici di un tempo ormai si è perso nei meandri della vita.
ciao
Un bellissimo incontro raccontato con bravura come al solito!
RispondiEliminaUn abbraccio da Fioredicampo.
Complimenti per il suo blog. La invito a visitare il sito www.maldamore.it (l'unico sul web sulle problematiche legate al mal d'amore)ed a lasciare, eventualmente, un suo scritto personale.
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