martedì 20 marzo 2007

Il feudatario e il vassallo


Ad un lettore che si rammarica perché l’Italia dedica poca attenzione e scarse risorse alla difesa, così risponde Sergio Romano sul Corriere della Sera del 15 marzo 2007.(Il grassetto è mio).


“È vero che l'Italia spende troppo poco per la propria sicurezza. Ed è particolarmente vero in un momento in cui tutti i governi italiani, di destra o di sinistra, ritengono utile promuovere l'immagine del Paese nella politica internazionale inviando missioni militari talora encomiabili, ma troppo numerose per i nostri mezzi. I pochi soldi di cui dispongono le forze armate vengono così impiegati per mantenere presenze militari che stanno divorando le risorse del bilancio e impoverendo l'arsenale del Paese. È giusto quindi sostenere, che la difesa dell'Italia richiede un maggiore impegno finanziario.

Ma nel caso delle basi americane in Italia e in particolare di quella che gli Stati Uniti intendono raddoppiare a Vicenza, dovremmo chiederci anzitutto se questa presenza possa sopperire alle nostre carenze e garantirci una maggiore sicurezza. A questa domanda ho cercato di rispondere osservando che gran parte della strategia americana sembra essere dominata dalla necessità della «guerra al terrorismo». Abbiamo visto negli ultimi tempi come gli Stati Uniti concepiscano questa guerra. Hanno invaso l'Afghanistan come se l'operazione potesse esaurirsi nella eliminazione di un regime che aveva ospitato sul proprio territorio le milizie di Al Qaeda e hanno trascurato per molto tempo il problema della ricostruzione economica e civile del Paese. Con il risultato che il maggior problema oggi è la riconquista del territorio. Il caso iracheno è ancora più drammatico. Gli Stati Uniti hanno invaso il Paese con motivazioni infondate e con un contingente militare inadatto al controllo del territorio. E hanno suscitato una nuova guerra, molto più micidiale e sanguinosa. Se è questo l'uso che gli americani intendono fare delle loro basi dislocate nei cinque continenti, siamo davvero sicuri che la base di Vicenza possa garantire la nostra sicurezza? Molti si chiedono ormai da tempo se all'origine di questi errori non vi sia proprio il concetto di guerra al terrorismo. In un articolo apparso nell'International Herald Tribune del 9 febbraio, Joseph S. Nye jr., professore dell'università di Harvard e alto funzionario dell'amministrazione Clinton, ci ricorda che il maggior problema, nella lotta contro il terrorismo non è quello di sventare attentati e arrestare sospetti. La maggiore esigenza è quella di evitare che le organizzazioni terroristiche riempiano i vuoti dei militanti arrestati o uccisi con nuove reclute. L'espressione «guerra contro il terrorismo» ha fornito ai dirigenti delle organizzazioni islamiste l'occasione per affermare che l'America è in guerra contro l'Islam e che i giovani hanno quindi l'obbligo di rispondere all'appello correndo a combattere nelle file della «resistenza». L'espressione, in altre parole, si è ritorta contro coloro che l'hanno usata e contribuisce a ingrossare i ranghi dei loro nemici. Non è un caso che gli inglesi se ne siano accorti e abbiano deciso di abolire l'uso dell'espressione «guerra al terrorismo».

Combattere il terrorismo esige altre politiche. Occorre isolare i nemici, suscitare contro di essi la riprovazione delle società musulmane, impedire che dispongano di un territorio su cui combattere e di un retroterra su cui appoggiarsi. Sino a quando gli Stati Uniti non avranno modificato il loro vocabolario e la loro strategia, sarà lecito chiedersi quale uso intendano fare delle loro basi”.


L’editorialista del quotidiano milanese non appartiene certo alla cosiddetta sinistra radicale, i suoi giudizi sono generalmente improntati ad equilibrio e buon senso, sebbene talune considerazioni non si prestino ad essere condivise, ma la sua posizione sulle basi americane è assai apprezzabile. In sostanza, sostiene Romano, è meglio non avere basi Usa nella guerra al terrorismo. Altro che raddoppiarle.


Esistono inoltre altri aspetti, essenzialmente di carattere economico. Stando a quanto risulta dai documenti ufficiali di bilancio delle forze armate Usa, del Dipartimento della difesa e del Congresso degli Stati Uniti, l'Italia paga ogni anno il 37% dei costi delle basi e delle truppe americane di stanza nel nostro paese. Nel 2002, ad esempio, ognuno di noi, volente o meno, consapevole oppure no, ha partecipato alle spese militari americane per un ammontare di 326 milioni di dollari. Una parte della somma è stata versata in denaro liquido, il resto sotto forma di sgravi fiscali, sconti e forniture gratuite che riguardano trasporti, tariffe e servizi ai soldati e alle famiglie. La stragrande maggioranza dei pagamenti nascono da «accordi bilaterali» tra Italia e Stati Uniti, mentre solo una minima parte viene dalla divisione delle spese in ambito Nato. I pagamenti a Washington, tra l’altro, non finiranno nemmeno se le basi dovessero essere chiuse, come sta per accadere alla Maddalena, in quanto negli accordi esiste una clausola chiamata Returned property - residual value, che prevede un indennizzo per le «migliorie» apportate.


A questo punto se la guerra fredda poteva (forse) giustificare una parziale perdita della nostra sovranità nazionale, ora che questo pericolo non esiste più, non sarà il caso che questi parassiti invadenti lascino definitivamente il suolo italiano?


 

2 commenti:

  1. per me dovrebbero abolire l'esercito, Frank. Su questo non ci sono dubbi. Però...



    Però molto spesso ci si dimentica di una contraddizione fondamentale: l'esercito ha rappresentato per generazioni di italiani (e in buona parte anche oggi) uno sbocco professionale, un modo per tirare uno stipendio e metter su famiglia, soprattutto per i giovani che venivano e vengono da zone del paese prive di prospettive. Insomma, stato sociale puro.

    Possiamo essere per il mantenimento dello stato sociale e poi "abolire" un esercito dove (oggi) i volontari sarebbero dei potenziali disoccupati?



    sermau

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  2. stefanomassamarzo 22, 2007

    ciao frank..sempre in grn forma eh?

    saluto stef

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