lunedì 26 febbraio 2007

Vicenza, oh cara


Vicenza vista dall'alto


La città palladiana è dell'umanità, non degli Usa. Una lotta globale. Dalla terrazza panoramica si capisce un altro perché del rifiuto democratico alla nuova base


Marta Ragazzino


il manifesto 21 febbraio 2007


Bastava salire di poche centinaia di metri sul Monte Berico che domina Vicenza, superare la Rotonda di Palladio e la villa Valmarana affrescata da Tiepolo, raggiungere il Santuario con la sua basilica barocca ed affacciarsi dalla terrazza panoramica di piazza della Vittoria a guardare la città dall'alto, per capire. Al santuario con terrazza di Monte Berico ci si può arrivare salendo per la strada carozzabile ma anche a piedi, seguendo il bel porticato settecentesco che, partendo dalle mura scaligere, si inerpica per settecento metri, raccordando la città «a forma di scorpione» al complesso in cima alla collina: si narra che anche Goethe l'abbia percorso per guardare nella sua interezza la città palladiana e abbia apprezzato il semplice e lunghissimo porticato più dell'imponente basilica barocca.


Basta vedere Vicenza dall'alto per capire, senza bisogno di altre spiegazioni, l'assoluto errore, «senza se e senza ma» come dicono i cittadini vicentini - e hanno ripetuto tutte le donne salite sul palco sabato scorso - del progetto della nuova base militare al Dal Molin.


Il colpo d'occhio è efficace, lascia stupefatti e non concede alcun margine di incertezza: la città è tutta lì sotto, con i suoi monumenti splendidi e famosi, che l'Unesco ha iscritto nella Lista dei beni che fanno parte del Patrimonio dell'Umanità. Monumenti tardo gotici e rinascimentali che, pur dall'alto, sembrano vicinissimi: la basilica palladiana, le belle chiese, il Teatro Olimpico, i palazzi dalle preziose facciate, il municipio, la Torre di Piazza, la Loggia; si intuisce persino il tracciato della città romana ora ridisegnato dai portici di quella medievale e moderna.

In effetti Vicenza è una città piuttosto piccola, conta 150.000 abitanti, meno di quelli che si sono dati appuntamento sabato per difenderla dallo scempio approvato anche da Prodi (forse perché l'80% dei vicentini ha votato a destra e Vicenza è considerata terreno elettorale perduto, come sospettano i cittadini di «sinistra»). Decine di migliaia di persone, forse 200.000, che hanno manifestato pacificamente, camminando tutto attorno al tracciato delle mura scaligere che circondano il centro storico. Già, il centro storico. Guardando dalla balconata si vede, sulla sinistra, giusto al margine dell'abitato, la base che c'è già, quella di Ederle. Dall'altra parte, molto prossima al centro storico, proprio dove sono i monumenti cari a tutto il mondo, si vede invece una grande area verde guarnita da un bosco e confinata da un piccolo fiume, il Bacchiglione, che traversa la città. A ben vedere dall'alto della collina, si tratta dell'unica area non costruita di Vicenza, potrebbe essere, con gran vantaggio per tutti gli abitanti (ad esempio per tutti quei bambini che hanno sfilato in corteo tra passeggini, palloncini e maschere di carnevale), un parco, un giardino.

Invece è il Dal Molin, l'aereoporto che si vorrebbe trasformare nella temuta nuova base militare americana. Proprio lì, dentro all'abitato, nel cuore della città fondata dai romani, a poche centinaia di metri da quel centro storico che per l'Unesco è «patrimonio di tutto il mondo», a un tiro di schioppo dai monumenti di Andrea Palladio, uno dei più importanti architetti del Cinquecento, che è, con i suoi capolavori, il simbolo di Vicenza, a cui è dedicato un importante Centro internazionale di studi e rappresenta uno degli aghi della bilancia della vita culturale cittadina.

Buttare lì una base militare rappresenta, basta guardare per capire, un vero e proprio insulto al patrimonio culturale (vicentino, nazionale e mondiale), un bene comune prezioso e «inalienabile», sul quale si fonda la nostra identità civile. In effetti, a guardar meglio, l'affaire del Dal Molin, oltre ad essere un problema politico, e dei più gravi, è anche un problema culturale, urbanistico e ambientale. Progettare edifici e strutture militari, tra l'altro con funzioni offensive e per un paese straniero, nell'unica area verde di una città storica ricca di monumenti di tale riconosciuto «valore» non dovrebbe essere consentito dalle leggi che proteggono il nostro patrimonio culturale e ambientale. In effetti, la nostra legislazione di tutela, che era la più avanzata, rigorosa e imitata del mondo (prima di essere pasticciata dal precedente governo, interessato a far cassa con i beni culturali), è dotata di norme, dirette e indirette, che impediscono di violentare quel paesaggio culturale che caratterizza tanto peculiarmente il nostro bel paese.


Stesso discorso vale, a maggior ragione, nelle città storiche: esistono, oltre alle norme dei piani regolatori e ai vincoli diretti (che riguardano edifici storici), addirittura vincoli di «rispetto» (ovvero indiretti) che limitano (nell'altezza, nel sedime, nel volume, nella tipologia) o addirittura vietano la costruzione di edifici in prossimità di monumenti o edifici storici.


Ma lo strumento più importante che la legislazione di tutela statale ancora prevede (condividendola con la legislazione regionale concorrente) è la Valutazione dell'impatto ambientale (Via) ai cui dovrebbero essere sottoposti i nuovi progetti, le nuove strutture di pertinenza dello stato, come sono le cosiddette «grandi opere». Il discorso dovrebbe valere anche per le strutture strategiche, militari, direzionali, soprattutto se queste sono progettate all'interno di un nucleo urbano dalle straordinarie caratteristiche storiche, culturali e architettoniche come Vicenza. Per questa ragione il Ministero che si occupa del patrimonio culturale e del paesaggio, attivato dal Ministero dell'ambiente, dovrebbe, ai sensi dell'art. 26 dell'attuale Codice, autorizzare per parte sua, previa istruttoria delle soprintedenze territoriali competenti, tali progetti in base alla Via. Quella della Via è dunque una buona strada da seguire, bene hanno fatto i Verdi a fare interpellanza. Ragionevole sarebbe scatenare un movimento internazionale d'opinione su questo delicato quanto trascurato aspetto.

Vien fatto di chiedersi se Rutelli, che in qualità di vice premier tanto frettolosamente si è espresso sull'ordine pubblico, ha trovato o troverà tempo per affacciarsi, come ministro dei beni culturali, dalla balconata del Monte Berico.




Si legge con molto piacere questo bel pezzo su Vicenza, quasi un inno d’amore alla suggestiva città veneta. Talmente volgari appaiono così i bagliori di guerra, le amerikanate, le pretese di dettare ordini, fare e disfare, insultando cittadini e ambiente, violando il buon senso e la volontà di pace che sono stati ribaditi. Calpestando soprattutto la sovranità nazionale, ridicolizzata per l’ennesima volta. Eppure temo che avranno ragione, purtroppo, i nuovi barbari.


Auguro al presidio Dal Molin solida tenuta e la realizzazione dei “desiderata” che poi sono anche della maggior parte degli italiani. Come conferma un sondaggio de “la Repubblica” del 20 febbraio (pubblicato il giorno dopo). Dopo il corteo, si dibatte sulla possibilità di cambiare il progetto della base Usa. Alla domanda: “Vicenza, cambiare la base?” aveva risposto affermativamente l’87,1% dei lettori. “Giusto. Bisogna tenere conto della volontà espressa dai manifestanti”. Invece è sbagliato per il 12,9%, perché “l’impegno è stato preso e cambiare significa cedere alle espressioni di una parte”.


Ma la sensibilità e l’attenzione verso i cittadini sono scarse anche da un governo di centro e(pseudo)sinistra e pure il presidente Napolitano ha una crisi di senescenza quando afferma che le manifestazioni di piazza "sono legittime, ma è fuorviante farne il sale della democrazia". Ha tristemente ragione Beppe Grillo. Scriveva il 23 febbraio: “Sia gentile, caro dipendente del Consiglio: le ho lasciato una cartellina con i caratteri in oro. Conteneva le primarie dei cittadini. Se può me la restituisca”. Forza Vicenza.

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