CATANIA 2 FEBBRAIO 2007
Il pallone appeso al chiodo
Quello che segue (siamo nel 1996) è il resoconto di un’ordinaria domenica vissuta nella curva di uno stadio, nella fattispecie l’Olimpico di Roma. Viene svelato un mondo a parte, senza legge, dove accade di tutto senza che la polizia possa intervenire. In questa terra di nessuno suscita semplicemente ilarità l’idea dei posti numerati e chi indica nei biglietti nominativi una delle soluzioni per restituire dignità di luogo civile ad uno stadio calcistico, dovrebbe fare un discorso a parte per le curve. Purtroppo. E, magari, non dico sperimentare, ma informarsi.
Chi scrive ha frequentato, in passato per alcuni anni, la curva di uno stadio italiano, ha conosciuto persone interessanti e intrecciato amicizie. Sembra trascorsa un’epoca, perché so che adesso sarebbe impensabile trovare lo stesso clima, parzialmente vivibile, di allora. Ogni rapporto è saltato, ragioni di portafoglio sopra il cuore hanno stravolto qualunque rituale e disintegrato un senso di solidarietà percepibile.
Sesso, droga & football
Una domenica allo stadio dietro le «quinte» del tifo ultrà. Ecco cosa succede nei labirinti di marmo della curva Sud dell’Olimpico durante una tranquilla partita di campionato: tra fumo, slogan e saluti fascisti spunta il sesso a pagamento, la «normalità» di una prostituzione, spesso minorile, vissuta tra un gol e l’altro. L’impunità dei capi tifosi e gli equilibri difficili di una delle curve più calde del nostro calcio.
Paolo Foschi
L’Unità 17 febbraio 1996
ROMA. È domenica pomeriggio, manca poco meno di un’ora, all’inizio di Roma-Cremonese. La curva Sud dello stadio Olimpico, da sempre roccaforte degli ultrà giallorossi, è già piena per metà, nonostante il freddo che ti gela le ossa. Quasi tutti ragazzini. E di gente ne arriva di continuo. Qualche striscione già campeggia, qua e là sugli spalti. Oltre ai soliti esclusivamente sportivi, quelli del tifo «antico», ce ne sono altri di ispirazione politica: inneggiano a non meglio identificati gruppi come Ordine romano e Fronte romano, che evocano inequivocabilmente la simbologia fascista. Nelle scale d’accesso alle gradinate, fra i tanti venditori di sciarpe e magliette giallorosse, c’è un posto dove è possibile acquistare tetre felpe tutte nere, con la scritta Orrore e fedeltà in caratteri gotici, sormontata da un gladio sguainato.
Terra di nessuno. Ci avviamo verso il settore laterale della curva, quello dalla parte della tribuna Monte Mario. Si passa attraverso il cancello numero 18, nel settore denominato A-B-C-L. È la zona più «calda» della curva più «calda». Sopra il boccaporto che immette sugli spalti dalle scale, si radunano i Boys, uno dei gruppi organizzati di ultrà. Una sorta di terra di nessuno, questa parte dello stadio. Non ci sono poliziotti, qui, i celerini sono tutti all’entrata centrale, pronti ad intervenire solo se succede qualcosa di grave. I Boys già appostati sono quasi tutti ragazzini, adolescenti o poco più. La gente tosta, i capi, per intenderci, arriverà più tardi, pochi minuti prima dell’inizio della partita. Loro, i capi ultrà, hanno altro da fare: vanno in giro liberamente per lo stadio, poco importa se qualcuno ha anche precedenti penali... possono passare impunemente da una tribuna all’altra.
Mentre il resto dello stadio resta quasi vuoto (Roma-Cremonese non è certo una partita di cartello), la curva Sud si riempie. Compare una bandiera del disciolto gruppo di estrema destra Movimento politico: sventolerà per tutto l’incontro, in risposta ad una bandiera col Che Guevara esposta per pochi minuti durante un incontro precedente, prima che l’audace «provocatore» fosse stato convinto a suon di ceffoni a far sparire il vessillo. Aspettiamo l’inizio della partita proprio sotto lo striscione dei Boys. È qui - se le informazioni che abbiamo avuto sono giuste - che da qualche tempo è stato organizzato un giro di prostituzione da stadio. Ed è a pochi metri da qui, proprio all’uscita delle scale, che - sempre a quanto si dice - si può comprare «fumo» a profusione. Del resto, da quando abbiamo messo piede in curva, siamo circondati da ragazzi che rollano e aspirano le proprie canne. E l’odore acre arriva forte, a zaffate, ogni qualvolta il vento gira.
Siamo in una posizione nodale dei «traffici» dello stadio. Non resta che aspettare. Inizia la partita, l’ambiente si scalda. La gente è in piedi, urla, applaude, inveisce ora contro l’arbitro, ora contro i giocatori della Cremonese, ora contro i romanisti che non segnano. Proprio alle nostre spalle, nelle scale d’accesso agli spalti, ci sono tre ragazzine. Giovani, giovanissime. Potrebbero avere 15, 16 anni, al massimo una ventina. Da lì non possono vedere quel che succede in campo. Sono vestite alla moda, il look è quello delle ragazze che frequentano lo stadio, due sono truccatissime, la terza per niente, tutt’e tre indossano dei jeans chiari: una ha un giubotto in pelle modello Schott, biondina, coi lineamenti aggraziati; un’altra, una moretta coi capelli cortissimi ingelatinati, si perde in un «bomber» di due taglie più grande di lei, al collo ha una sciarpa giallo-rossa; la terza, minuta minuta, sembra la più giovane, è coperta da una giacchetta di renna, faccia acqua e sapone. Tre ragazze norrnalissime. Parlottano fra loro, poggiate con le spalle al muro.
Passa qualche minuto, la partita è appena iniziata. Un giovanotto anche lui in divisa da stadio (bomber, capelli rasati con doppio taglio, stile naziskin, immancabile sciarpa al collo), si fa largo verso le scale, un po’ a spintoni. S’avvicina alle ragazze, abborda la biondina e scende, imboccando un corridoio cieco a destra. Dove ci sono solo i bagni maschili. Null’altro. Passa qualche minuto. E il ragazzo saltando i gradini due a due torna su. Per tuffarsi di nuovo nella bolgia che segue la partita. Qualche attimo dopo, con più calma, anche la biondina torna al suo posto. Sulle scale. La scena si ripete. Scende un signore di mezza età, scompare nel corridoio con la moretta. E via così. Seguendo il «traffico» con la coda dell’occhio, contiamo almeno una decina di persone, in un quarto d’ora. Decidiamo di scendere e vedere meglio che cosa succede. Davanti a noi c’è un giovanotto che parla con la ragazza acqua e sapone e la moretta, poi va via con la prima. La moretta volge lo sguardo verso di noi. lnterrogativamente. Esitiamo, a metà delle scale. Troppo. Perché quasi subito appare un gigante con la faccia da bambino (avrà al massimo diciott’anni, proprio ad esagerare), ma i modi da duro, alla vita è cinto da una bandiera della Roma arrotolata; con lui c’è un piccoletto avvolto in una sciarpa giallorossa e i capelli a spazzola. »Che caz... fai? Se voi anna’ colle ragazzine, devi paga’, scegli chi te piace, caccia i soldi e te la porti ar cesso. Sennò, vaff... e gira al largo». L’invito eloquente è del minaccioso piccoletto. L’altro resta lì in silenzio.
Occhi indifferenti. Colti di sorpresa dall’improvvisa materializzazione dei due ragazzi-protettori, che prima chissà dove stavano nascosti a controllare, senza ribattere nulla, ci allontaniamo. Scendendo le scale, per dare un’occhiata agli altri due ingressi della curva, passiamo davanti al corridoio cieco (alla nostra destra), quello dove scompaiono le ragazzine coi loro clienti. In quel momento esce un giovanotto. Sarà seguito dalla biondina di lì a poco. Sulla nostra sinistra, a pochi metri, c’è invece il bancone di uno dei bar interni. Ci sono due donne e un uomo che aspettano la ressa dell’intervallo. E sembrano totalmente indifferenti a ciò che accade sotto i loro occhi.
Prima di uscire dal tunnel delle scale, sulla sinistra c’è un ragazzo poggiato al muro. Se ne sta lì tutto solo, con un giubbotto americano, i jeans, un cappello calato sulla fronte e le mani in tasca. Dall’arena dello stadio arrivano i cori, le ovazioni e tutto quanto il resto. Ma lui sembra non farci caso. Forse è il venditore di «fumo» di cui si parla. Azzardiamo: «C’hai roba?». «Tutto quello che ti serve...», risponde, aggiungendo: «che cosa vuoi?». «Fumo..., per una canna», replichiamo noi. E lui: «Ma che cosa? E quanto vuoi spendere?». Noi: «Mah, è lo stesso, fai tu...». E lui: «Stronzo», scappando via di corsa come un fulmine, pensando magari di avere a che fare con un poliziotto in borghese.
Per riguadagnare gli spalti, passiamo dall’ingresso centrale della curva. Qui, la situazione è diversa. L’aria è assai più tranquilla. Davanti al boccaporto ci sono una quindicina di poliziotti. E non si notano «movimenti». Riscendiamo. E accediamo agli spalti stavolta dal terzo ingresso, quello che immette nella curva dalla parte della tribuna Tevere. Qui non si vedono agenti di polizia in divisa. Ma tutto sembra tranquillo.
I clienti si susseguono. All’inizio del secondo tempo, torniamo sotto lo striscione dei Boys. Lo scenario alle nostre spalle è identico a prima. Le tre ragazzine sono sempre lì. E i clienti si susseguono. Non si vedono i due ragazzi che qualche manciata di minuti prima ci avevano cacciati via. Ma sicuramente anche loro sono ancora lì. Appostati chissà dove per controllare, non visti, che tutto funzioni senza «problemi». Poco prima della fine della partita, quando la gente già inizia a sfollare, le tre ragazzine scompaiono. Anche per loro la domenica allo stadio è finita.
Bellissimo blog... Complimenti...^___^
RispondiEliminaBuona serata...
Francesco.
ciao!
RispondiEliminache cosa triste e vera racconti!
io ho casa a due passi dallo stadio olimpico.. e confermo tutto!
feau
Assolutamente senza parole.
RispondiEliminaNon pensavo succedessero queste cose in uno stadio. Triste, triste.
Un abbraccio per te.
Anna
Allora, secondo la teoria che le donne esprimono il contenuto nel post scriptum, per controverso si può postulare che gli uomini esprimono il contenuto nell'incipit?
RispondiEliminaDunque: Prove di rimozione.
Che mi dici? Come va?
Baci e abbracci :))
Ero troppo curiosa di seguire astime..
RispondiEliminaPS (Cosi quello che dico sembra importante :-) )
Ero troppo curiosa di seguire astime... (ciao bella)
Baci & abbracci, Paola
Incipit: bello l'articolo del post.
Io allo stadio vado solo per concerti; vediamo se ricordo bene il primo gli Spandau, l'ultimo -bho- non ricordo.