venerdì 23 febbraio 2007

Cadere per Kabul?


Ho ricevuto questa lettera da lontano, alcuni giorni fa.


“Sono nella valle del Panjshir in Afghanistan e ancora una volta con Emergency. Sono arrivato, sano e salvo e dopo tanto penare, al primo ospedale aperto da Emergency in Afghanistan. La valle del Panjshir, un posto incredibile e ricco di storia. Le montagne immobili da secoli, al momento coperte da una soffice neve caduta alcune settimane fa, parlano di storia, di combattimenti, di gente dura e fiera che solo ora, dopo tanti anni, inizia ad alzare la testa. La valle del comandante Massoud, il leone del Panjshir, che combattè per anni contro l’avanzata russa e contro il potere politico-religioso delle forze talebane. Il comandante che ancora è ritratto su tutte le macchine della zona, sui tappeti per la preghiera, sulle pareti delle moschee. La differenza tra qui ed il sud del paese è estrema sia a livello climatico, politico e lavorativo. Ma andiamo per ordine.


Tutto sembra come l’ho lasciato pochi mesi orsono, l’unica differenza una coltre bianca su tutta la città che la fa sembrare un posto più pacifico, più sereno. Kabul sembra diversa, ma la realtà è sempre la stessa. Passo una sola notte nella capitale, ma abbastanza da capire che le cose non sono cambiate. Feriti da mina, arma da fuoco ed incidenti stradali continuano ad arrivare al nostro pronto soccorso. Solo una notte, abbastanza. Kabul è gelida e nella mia stanza sono 10 gradi sotto zero. L’indomani partiamo dalla capitale alla volta della destinazione finale e di fronte a noi due ore per arrivare alle montagne della valle. Forse questo sarà il momento più “pericoloso” della nostra missione visto l’andamento spericolato del nostro driver, ma tutto è bene ciò che finisce bene e siamo in ospedale nel primo pomeriggio. Mi sembra come di essere tornato a “casa”. Ad aspettarci amici e colleghi pronti ad investirci di novità e ad aggiornarci sulla situazione dell’ospedale.


La valle del Panjshir è uno dei posti più sicuri dell’Afghanistan. Il passaggio stretto tra le montagne permette alla polizia locale di controllare chi entra e chi esce. Durante i cinque anni del governo talebano, la provincia del Panjshir fu l’unica a non esser controllata dai politici religiosi responsabili di ospitare Osama Bin Laden. Qui il pericolo non si vede. A volte le esplosioni delle varie miniere della valle mi riportano ai giorni di Lashkargah, ma tutti mi dicono di non preoccuparmi. Stanno solo detonando per raccogliere minerali, come il ferro, dalle montagne della valle. Sono già cinque settimane che sono qui.


Il mio lavoro è molto diverso da ciò che ho fatto finora. Sono salito di un gradino e adesso sono stato investito del titolo di Head Nurse. Il bello è che faccio tutto tranne che l’infermiere! Le mie mansioni sono tutt’altro che cliniche. Passo dall’incremento dell’uso della carta igienica ai rapporti con il ministro della salute provinciale, dalle assenze del personale alle gestione dei volontari internazionali. Un altro divertimento è quello di andarmene in giro per la valle a controllare i vari posti di pronto soccorso. È qui che ho la possibilità di vedere il vero Afghanistan. La gente mi racconta che, durante la guerra contro i russi, ci fu almeno un morto per ogni metro quadrato della valle. Le bandiere verdi a lutto ricoprono parte di montagne, di scarpate, di giardini. Attorno all’ospedale le rovine delle costruzioni dei rifugiati mantengono vive le memorie di una guerra che in questa valle sta finendo. Mi diverto e imparo un sacco di cose. L’unico aspetto negativo è che passo buona parte delle mie giornate rispondendo a e-mail, ordinando medicinali e organizzando meeting, ma poco tempo con i pazienti.


Kaylene, dopo aver lavorato un mese nel reparto pediatrico (esperienza completamente nuova) ora è parte del mio team nei reparti chirurgici. L’ospedale, a differenza di quello di Lashkargah, offre molti più servizi. Qui abbiamo la maternità e la ginecologia che sforna più di 130 bambini al mese, la pediatria, la chirurgia di emergenza e a volte quella elettiva e la medicina di emergenza. Sto bene, faccio un lavoro che mi piace e ho un panorama incredibile di fronte a me. Ogni mattina, quando mi alzo, le cime di 4000 metri sono innevate, il sole splende e la giornata finirà tra meeting, mal di testa, ma senza spargimenti di sangue. Penso spesso alla mia famiglia, a tutti voi”.


Trovo poi un pezzo di tutt’altro genere.


Dal raccolto record dell’oppio nuove risorse per il terrorismo


Nel 2006 le coltivazioni sono aumentate del 59 per cento


Antonio Maria Costa*


la Repubblica 11 settembre 2006


IL 2006 verrà ricordato per un record infame in Afghanistan: la coltivazione di oppio è aumentata del 59%. L’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine indica che l’area coltivata è di 165.000 ettari, pari a 6.100 tonnellate di prodotto, il 30% in più del consumo mondiale. E’ il picco raggiunto da un secolo, inferiore solo al record storico cinese di fine ‘800.


“L’Afghanistan è drogato dal proprio oppio”: non ho trovato altre parole nel presentare il rapporto al presidente Karzai. Ma la droga non è solo causa della crisi afgana, ma anche sintomo. Dalle province meridionali (Helmand, Kandahare Uruzgan) arrivano i segnali del collasso: all’oppio si intrecciano guerriglia e terrorismo, crimine e corruzione. In altre province, come a Badakhshan nel nord-est, le coltivazioni sono conseguenza di povertà, malgoverno e soprattutto arroganza dei signori della guerra.


Lo spaventoso aumento della produzione di oppio ci obbliga a lanciare l’allarme droga, ma anche un allarme politico, strategico e sanitario per un Afghanistan allo sfascio. Il dilagare dell’oppio accresce la sfiducia della popolazione nel governo, le istituzioni democratiche e la coalizione occidentale. Il reddito generato dall’illegalità -3 miliardi di dollari solo in Afghanistan - si traduce in enormi mezzi per gli estremisti.


Il traffico di eroina genererà altri 50 miliardi di dollari che andranno a vantaggio della mafia internazionale e alimenteranno violenza e terrorismo  in una dozzina di paesi tra l’Afghanistan e l’Europa. Il raccolto provocherà altri centomila morti all’anno per overdose in Occidente - e forse un numero maggiore, dato l’atteso incremento di eroina pura nelle dosi.


La mia valutazione, condivisa a malincuore con, e dal Presidente Karzai: siamo tutti responsabili. Certo, gli investimenti politici e militari della coalizione sono stati inferiori al dovuto. Il contingente internazionale è arrivato tardi per arginare il riorganizzarsi dei talebani ed ora è militarmente insufficiente (equivale ad 1/10 della presenza militare in Iraq). Questo favorisce la militanza islamica, che trova consenso tra le popolazioni rurali ed è in grado di sostituire le centinaia di morti causate tra le sue fila dalla Nato. Inoltre, grazie agli introiti dell’oppio, i ribelli offrono alle reclute 8-10 dollari al giorno, contro i 4-5 dollari per la raccolta dell’oppio, e 1-2 dollari guadagnati con lavori legali.


La responsabilità del collasso è soprattutto del governo afgano. A livello pro capite ha ricevuto un’assistenza inferiore ad altri paesi usciti dalla guerra, ma ha ricevuto comunque risorse. Abbiamo creato una polizia anti-narcotici, addestrato procuratori e giudici, aiutato nella redazioni dei codici, costruito tribunali e prigioni E’ sua responsabilità di far funzionare il sistema giudiziario e imporre lo stato di diritto, ma la macchina approntata con i soldi del contribuente occidentale non è utilizzata.


Questo è un conflitto che si combatte provincia per provincia: ho chiesto al governo afgano e alla Nato di riconquistare un palmo di terra alla volta. Già 6 province sono oggi libere dall’oppio. Le coltivazioni in altre 10 sono marginali e potrebbero cessare nell’arco di una stagione. Se in un anno raddoppiamo, o triplichiamo le zone senza droga, anche gli obiettivi militari sarebbero più facili da raggiungere. Nascerebbe un fronte interno contro la guerriglia, la corruzione e l’oppio che permetterebbe di segnare lo spartiacque tra chi lotta per la legalità e chi contro.


Anche la politica degli aiuti allo sviluppo deve cambiare. Chiedo ai donatori meno burocrazia, meno lungaggini e soprattutto meno consulenti. Poi chiedo agli enti eroganti di inserire una clausola: niente oppio e corruzione in cambio degli aiuti. Congratuliamoci con la Banca Mondiale per avere intrapreso questa via. Non c’è formula magica per salvare il Paese, neppure quella della trasformazione del suo oppio in morfina: l’Afghanistan ha prodotto solo quest’anno l’equivalente di 5 anni di consumo mondiale di morfina e l’oppio legale costa 20-30 dollari a chilo, contro i 100 dollari offerti dai trafficanti. Una differenza che vale un Eldorado per la mafia.


*L’autore è il Direttore Esecutivo dell’ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (Unodc).


Ecco, sarebbe auspicabile una guerra contro i trafficanti di droga i quali fanno affari d’oro da quelle parti e che, invece, al pari di bin Laden, regnano indisturbati. A questo punto, mi sfugge il significato della guerra, ammesso che la guerra possa averne uno, lanciata da Bush, con un poderoso uso di retorica, oltre che di uomini e mezzi, per vendicare l’11 settembre e consolidare le basi del vacillante impero americano.


DISCORSO A WASHINGTON SULLA GUERRA AL TERRORISMO


Bush: in primavera offensiva a Kabul


Il presidente Usa: "Anche gli alleati dovranno fare la loro parte"


MAURIZIO MOLINARI


CORRISPONDENTE A NEW YORK


La Stampa 16 febbraio 2007


La democrazia a Kabul resta in bilico, in primavera la Nato lancerà un’offensiva contro i talebani in una zona dell’Afghanistan «più selvaggia del Far West» ed i comandi militari hanno bisogno di più truppe e mezzi come anche di «poter disporre liberamente dei contingenti in campo». È questo il messaggio che il presidente americano, George W. Bush, recapita a chiare lettere agli alleati parlando per trenta minuti a Washington di fronte alla platea del centro studi neoconservatore «American Enterprise Institute». «Gli alleati della Nato devono dare ai comandanti militari in Afghanistan le truppe di cui hanno bisogno e devono togliere le restrizioni all’impiego dei propri soldati», dice l’inquilino della Casa Bianca, richiamandosi alle fondamenta dell’Alleanza perché «la Nato fu creata sulla base del principio che chi attacca un alleato li attacca tutti». E ciò vale, incalza Bush con un richiamo al Trattato atlantico, «se l’attacco avviene sul suolo di una nazione della Nato e anche se avviene contro forze impiegate in una missione all’estero».


L’accento sulle «restrizioni da togliere all’impiego delle truppe» è un riferimento esplicito ai “caveat” che alcuni Paesi Nato - inclusi Italia, Germania, Francia e Spagna - ancora impongono ai propri contingenti, impedendone l’impiego in operazioni nelle zone più calde, nel Sud e nell’Est, dove invece a combattere ed essere uccisi sono i soldati di Canada, Gran Bretagna, Olanda e Stati Uniti. (...) Adesso è il presidente a farsi sentire per far capire che le scelte sull’Afghanistan peseranno nei rapporti bilaterali. «Affinché la missione abbia successo quando i comandanti sul campo chiedono aiuto le nazioni Nato devono assicurarlo» sottolinea Bush, evitando di enumerare i Paesi dei "caveat" per citare invece uno ad uno quelli che già hanno accettato di fornire ulteriori aiuti: Norvegia, Lituania, Repubblica Ceca forniranno truppe speciali; Gran Bretagna, Polonia, Turchia e Bulgaria rafforzeranno i contingenti già schierati; l’Italia manderà degli aerei; la Romania contribuirà alla missione di polizia Ue; Danimarca, Grecia, Norvegia e Slovacchia forniranno fondi per le forze afghane; l’Islanda metterà a disposizione i cargo per il ponte-aereo.


L’elenco è minuzioso perché ha un valore politico: poiché la missione in Afghanistan è con 50 mila uomini la più importante operazione militare svolta, la Casa Bianca giudica il sostegno all’Alleanza sulla base del contributo che viene fornito. Un contributo che serve anche sul fronte della ricostruzione: dalla lotta alla coltivazione di oppio fino alle opere civili.


Mettere l’accento sull’Afghanistan serve a Bush anche nella partita con il Congresso. Ai leader democratici che valutano l’ipotesi di opporsi alla richieste del Pentagono di ulteriori 100 miliardi di dollari per la guerra al terrorismo, Bush ricorda che «si parla molto di Iraq, ma c’è anche l’Afghanistan». Come dire: se i democratici dovessero restringere i cordoni della borsa potrebbero indebolire la Nato contro i talebani ed Al Qaeda. In effetti se sull’Iraq Bush e democratici appaiono in rotta, sull’Afghanistan la situazione è differente.


Non a caso il californiano Tom Lantos, presidente della commissione esteri della Camera, striglia i "caveat" al pari della Casa Bianca: «E’ inaccettabile che i comandanti Nato debbano elemosinare truppe da Stati come Germania, Francia, Italia e Spagna, è una vergogna che solamente soldati americani, canadesi, olandesi, danesi e britannici vengano schierati nelle zone pericolose, non bisogna restare passivi quando questi cosiddetti alleati si approfittano di generosità e coraggio altrui».


Siamo proprio sicuri che lasciare il nostro contingente da quelle parti sia saggio ed opportuno? Siamo sicuri che dissentire dal finanziamento di questa missione militare sia da pazzi e irresponsabili? Siamo proprio così sicuri che la massima responsabilità sia dei due senatori dell’Unione che si sono astenuti e non, piuttosto, da addebitare alla longa manus del Vaticano per il tramite del senatore De Gregorio, eletto con l'Italia dei Valori e poi passato al centrodestra? Questo è un suo post del 30 gennaio scorso. “Ormai è evidente che sul tema dei Pacs, l’elettorato cattolico verrà tradito anche da una parte della rappresentanza politica moderata del Parlamento. Se ciò accadrà, allora Clemente Mastella, con la sua posizione ferma e determinata, assurgerà a ruolo di difensore delle ragioni dell’identità cattolica, rappresentando il disagio di milioni di persone, che guardano alla posizione del Vaticano come ad un punto di riferimento non negoziabile. Dal canto mio, sono in linea con il leader dell’Udeur ed invito ad una sana ed integralista mobilitazione a tutela della famiglia, dei valori e delle radici cristiane contro ogni imbarbarimento del dibattito politico, denunciando il tradimento subito dall’elettorato cattolico e moderato”.

2 commenti:

  1. Ecco, lo sapevo che non avrei dovuto leggere De Gregorio. Ora ho la nausea che non ho avuto quando ero incinta.

    Grrrrr!

    ciao

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  2. stefanomassafebbraio 26, 2007

    beh, interssante come sempre amico mio

    un saluto stef

    e buon inizio settimana

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