lunedì 21 aprile 2008

L'epidemia mediatica


Emma ha 6 anni e frequenta con assiduità e profitto la 1ª elementare. Giovedì scorso non è andata a scuola. La maestra se n’è accorta al momento dell’appello e si è un po’ preoccupata. In fondo, l’insegnante che accoglie bambini così piccoli, finisce col considerarli, soprattutto verso la fine dell’anno scolastico, come propri figli e questi alunni, spesso pasticcioni, capricciosi, esuberanti, dispettosi, tenerissimi, tutti da coccolare, vedono nella maestra una seconda madre, l’educatrice che ha il delicato e prezioso ruolo di infondere loro quei piccoli semi che dovranno germogliare e poi sbocciare in modo proficuo.


Il giorno dopo Emma torna a scuola, vivace come sempre, accompagnata dalla madre che così giustifica l’assenza alla maestra: “Sa ieri sera è andata a dormire dopo mezzanotte e mezza”. “Ma, signora, una bambina non può andare a dormire così tardi”. “Ha guardato la televisione con la sorella di 12 anni. C’era la finale di Amici”.


Ecco che, racchiusa in questa storia minima, c’è la sciagura nazionale degli ultimi due decenni, il morbo che ha infettato una buona parte degli italiani, facendoli regredire all’anno zero. La mamma di Emma non si è proprio posta il problema della lezione del giorno dopo, non ha avuto alcuna esitazione a scegliere, anzi non ha dovuto vagliare proprio nulla, perché in un Paese che ha fatto dell’ignoranza il valore costitutivo l’unica scuola che può funzionare è quella televisiva, quella di “Amici”, quella messa in piedi dell’imbonitore truffaldino che offre al popolo della (pseudo) libertà (e non) una realtà dorata, disgustosamente finta che diventa la meta, l’obiettivo finale, il sogno che potrà tradursi nell’affermazione, nella comparsata sul piccolo schermo, nell’obnubilamento della memoria per poi rimuoverla e sostituirla con la vulgata corrente. Con gli “eroi” moderni.


La “cattiva maestra televisione” ha preso il posto delle tante buone maestre che oppongono ogni giorno, all’eversione sociale e alla deriva culturale in atto, la loro determinazione, la volontà, la capacità di disegnare orizzonti nuovi e di sperare che quei semini possano crescere, nonostante tutto. Perché credono in ciò che fanno. Alla stregua di ultime visionarie.


È illuminante ciò che scrive, in proposito, Karl Popper nel saggio “Cattiva maestra televisione” richiamato poco fa. Ne propongo ampi stralci dall’introduzione di Giancarlo Bosetti.


Il progetto di Sir Karl


“La prima volta che Popper mi parlò della televisione non sospettavo certo che le sue idee in materia avrebbero avuto tanta fortuna, che sarebbero diventate un piccolo-grande caso. È evidente che la risonanza dei giudizi di Popper è stata amplificata in Italia dalla particolare e stravagante stagione che questo paese ha attraversato tra il ‘93 e il ‘94. «Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisione», essa «è diventata un potere politico colossale, potenzialmente, si potrebbe dire, il più importante di tutti, come se fosse Dio stesso che parla». Il filosofo mi dettava queste parole, a poche settimane dalla sua morte, nell’agosto del ‘94, proprio mentre da noi si attraversava la fase più acuta del contrasto tra il circo mediatico berlusconiano e le norme di buona condotta di una decente democrazia. Va da sé che Karl Popper non aveva alcun particolare interesse per le vicende italiane, che conosceva molto sommariamente. Quando parlava di televisione, poi, aveva in mente soprattutto la letteratura pedagogica e psicologica e, in generale, quello che si scriveva sull’argomento nei tre paesi ai quali la sua vita era più legata: gli Stati Uniti, la «società aperta» per antonomasia e, anche televisivamente, il paese numero uno; l’Inghilterra, dove aveva scelto di vivere; la Germania, dove si parla la sua lingua madre e dove passava una parte dell’anno. Ebbene, pur trascurando dunque gli strani eccessi italiani, lo colpiva la tendenza evolutiva delle comunicazioni di massa verso il peggio: il peggio per la democrazia in termini di squilibrio di poteri ed il peggio per i bambini, in termini di diseducazione. Egli vedeva innescata nelle società sviluppate più forti una tendenza rovinosa e voleva dare l’allarme.


Il mio interesse giornalistico, filosofico, politico per Popper, quando cominciai a incontrarlo nel ‘91 riguardava altre cose che la televisione.(…) Ma fu lo stesso Popper a richiamare in modo molto deciso la mia attenzione sulla urgenza di alcuni grandi problemi di attualità, sui quali sperava si impegnassero le grandi autorità di questa terra (…) e, poi, la crisi televisiva che pure considerava di gravità estrema e che non esitava a mettere sul piano dei grandi flagelli, comprese le guerre, che affliggono periodicamente l’umanità.


Il paragone tra la televisione e la guerra non era per Popper una battuta, come sanno molti suoi autorevoli amici e allievi che hanno raccontato le interminabili discussioni che egli provocava su questo argomento. Sapeva di incontrare molto scetticismo quando lo affrontava. Del resto quando lui con un sorriso cattivo dichiarava che in casa sua la televisione non era e non sarebbe mai entrata si era portati a trattarlo come un nonno ribelle e refrattario a una tecnologia, per lui nato nel 1902, tutto sommato ancora nuova e aliena. (…) E poi non ci voleva molto a capire che non si trattava di una idiosincrasia, ma di una riflessione meditata e collegata sia alla sua concezione evoluzionistica dell’educazione sia alla sua visione liberale della politica. Era lui a rovesciare il gioco: io posso anche sbagliare, replicava, ma credo fino a prova contraria che siate voi a non capire le conseguenze della televisione perché, immersi in questo mondo di immagini, non vi rendete conto di quanto in profondità essa modifichi le basi della educazione. La televisione cambia radicalmente l’ambiente e dall’ambiente così brutalmente modificato i bambini traggono i modelli da imitare. Risultato: stiamo facendo crescere tanti piccoli criminali. Dobbiamo fermare questo meccanismo prima che sia troppo tardi, anche perché da quando voi - adulti, giornalisti e professori, quaranta-cinquantenni che obiettate - eravate bambini fino ad oggi la televisione è peggiorata. Se non si agisce, infatti, essa tende inesorabilmente a peggiorare per una sua legge interna, quella dell’audience, che Popper formulava più familiarmente come legge dell’ «aggiunta di spezie», che servono a far mangiare cibi senza sapore che altrimenti nessuno vorrebbe”.(…)


Karl Popper, Cattiva maestra televisione, Donzelli 1996, pagg. 7 e segg..

5 commenti:

  1. Mamma e papà di Emma = STRONZI!!!

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  2. Non c'entra niente la televisione... è colpa dei genitori.

    Forse diventati tali senza esserne pronti.

    Ogni sera sono lotte per far andare a letto la mia bimba grande, ma resisto e alla fine.. una volta messa la testa sul letto, dorme come un sasso.

    Sue amiche stanno a casa se "non hanno voglia" di andare all'asilo....

    E' dura farle capire il senso della scuola ed il rispetto per l'istituzione... ma ci vogliamo provare io e mia moglie...

    Grazie Frank

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  3. kittymol77aprile 23, 2008

    Gran bella riflessione. E' così sottile la trasformazione della percezione di sè e del circostante che la televisione opera, da essere diventati tutti quasi insensibili. Il riscontro di quanto in realtà sia pervasivo lo si ha nei rari periodi in cui ci si assenta dallo schermo tv, nei giorni di vacanza, nelle serate trascorse fuori, in quelle in cui abbiamo ospite qualche amico. Poche ore e riscopriamo una dimensione dell'essere con cui fatichiamo sempre di più a convivere. La tv è comoda: non chiede opinioni, ne dà; non chiede pensieri, li preconfeziona per te; non chiede scelte, ti conduce verso le sue. Il Grande Fratello non ha bisogno di spiarci (lo fa quando usciamo in strada attraverso le mille telecamere ovunque), gli è sufficiente che premiamo il pulsante di accensione della tv e ci evita comunque di diventare troppo pensanti e ribelli al sistema. Gran bel post.

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  4. Molto interessante... ma da dove hai preso l'intera introduzione del Bosetti? Mi servirebbe...

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  5. utente anonimo#4, dal libro citato.

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