venerdì 4 aprile 2008

Come i polli di Renzo


Sembra ormai essere diventato l’argomento principale, quello dell’Alitalia, al centro di dibattiti e campagna elettorale. L’unica cosa chiara è la contrapposizione di tutti contro tutti, a seconda delle convenienze del momento. Peccato che nessuno si faccia carico di riassumere la situazione, partendo dalle origini, perché messa così la questione sembra proprio che dipenda dal governo uscente. E invece si trascina da tempo.

Per esempio, nel quinquennio del centrodestra sono accadute parecchie cose che hanno peggiorato le sorti della compagnia di bandiera. Mentre il tesserato P2 n°1816 blatera di immaginifiche cordate…


Ai tempi d'oro... quando al governo litigavano la Lega e An

II quinquennio del centrodestra: immobilismo nel grande e costoso andirivieni di presidenti e amministratori


di Roberto Rossi / Roma    


Rinvii, piani industriali abortiti, privatizzazioni mancate, molti soldi pubblici, manager brucia­ti e Lega tanta Lega. I cinque an­ni di Alitalia sotto la gestione Berlusconi sono volati tra liti, ri­catti e mancate decisioni. Cin­que anni in cui la ex Casa delle Libertà ha avuto la responsabili­tà di gestire il sistema aeropor­tuale del Nord, compreso lo svi­luppo dello scalo di Malpensa. Un lustro d'attesa. Vissuto con il dualismo tra Malpensa e Fiu­micino, tra Lega Nord e Allean­za Nazionale. Un immobili­smo, che, per dirla come il mini­stro dello Sviluppo economico Pier Luigi Bersani, «ha portato l'azienda a una situazione pre­fallimentare» e a un sistema ae­roportuale tanto anarchico da vanificare il concetto stesso di hub di Malpensa.

Una via crucis per Alitalia. Tan­to che nel giro di una legislatura la società ha avuto tre ammini­stratori delegati, (Francesco Mengozzi, Marco Zanichelli e Giancarlo Cimoli) e altrettanti presidenti (Fausto Cereti, Giu­seppe Bonomi e Giancarlo Ci­moli). Air France, suo potenzia­le alleato, uno solo: Jean-Cyril Spinetta, dal 1997.

L'andirivieni di manager dal centro direzionale della Magliana ha una sua ragione economi­ca e politica. Quando nel 2001 il ministro dell'Economia Giu­lio Tremonti eredita Alitalia - il Tesoro è il principale azionista con oltre il 54% - la compagnia aeroportuale ha i conti gestibili. La società, grazie anche a parti­te straordinarie, nel 1998 aveva strappato persino un leggero utile. E problema è la gestione e la politica di alleanze. Il gruppo deve essere snellito e ridisegna­to. Si deve trovare poi un part­ner capace di garantire il salto. Va anche privatizzato. Lo vuole l'Europa e le tasche dei cittadini che negli ultimi dieci anni han­no versato nel gruppo oltre tre miliardi di euro. I punti sono concatenati. Ridisegnare il grup­po vuol dire anche farlo tornare alla redditività. Una società che fa utili è appetibile e può essere privatizzata più facilmente. Una volta privatizzata si può pensare alle alleanze. Come quella con Air France e Klm. Ed è a questo che il primo piano industriale di Francesco Men­gozzi, datato novembre 2001, due mesi dopo l'attentato alle Torri Gemelle, punta. Poche pa­role d'ordine: utile nel 2003, au­mento della flotta, ricapitalizzazione, esuberi per 2500 perso­ne, ma anche ridefinizione dell'hub di Malpensa. Perché l'aeroporto di Varese dalla sua na­scita nel 1998 non decolla. Le infrastrutture promesse dalle istituzioni locali non ci sono. I collegamenti veloci con le pro­vince limitrofe, le nuove metro­politane, i treni che devono spingere l'hub a diventare l'aeroporto di tutto il Nord Italia non vengono realizzati. Lo sca­lo, che doveva essere il punto di riferimento del Nord è isolato. E poi il Nord, almeno quello produttivo, preferisce volare da Brescia, Bergamo, Verona, Tori­no e addirittura da Linate. Al progetto di ridimensionare Malpensa si oppone la Lega Nord. Che chiede e ottiene, come con­trappeso, alle pretese di Allean­za Nazionale, la presidenza del gruppo con Giuseppe Bonomi. E siamo nel 2003.

Il piano Mengozzi annacquato da resistenze sindacali e politi­che è ormai vuoto. Così come il progetto di una privatizzazione. Al quale per ragioni simili, la salvaguardia di Fiumicino e Malpensa, cioè di bacini eletto­rali, vi si oppongono An e Lega. Mengozzi lascia nel 2004. L'azienda, rifiutata da Air France e Klm per una fusione parite­tica, arranca con perdite elevatissime (oltre 800 milioni). Il go­verno pensa a una gestione commissariale che consegni la parte sana di Alitalia in mano ad imprenditori disposti a rilan­ciarla. Si fa anche il nome del traghettatore: Maurizio Basile manager che ha condotto l'Eti, Ente tabacchi, alla privatizzazione. Ma il progetto non va in por­to, far fallire Alitalia significa ca­ricarsi costi sociali enormi. Si preferisce galleggiare. Con Giancarlo Cimoli, un passato al­le Ferrovie e una fama da risana­tore, un prestito ponte da 400 milioni e un'altra ricapitalizza­zione da un miliardo e 205 mi­lioni. Anche Cimoli promette il ritorno all'utile ma è solo una chimera. Alitalia affonda trascinata da Malpensa, che fa perde­re al gruppo oltre 200 milioni al­l'anno. Ma non la faccia al go­verno Berlusconi.


l’Unità (21 marzo 2008)

2 commenti:

  1. iosempreioaprile 04, 2008

    proprio ieri sera guardavo sulla rai (forse rai 2) un programma sulla storia di alitalia, della serie "dalle origini alla gloria alla decadenza". purtroppo ho spento la tivvù quando raccontavano dei problemi legati alla mancanza di strutture di trasporto per il neoaperto malpensa 2000, perché avevo sonno. Sarei curiosa di sapere cosa è stato detto dopo, ossia che taglio hanno dato alle informazioni presentate nel programma.

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  2. iosempreio, mi spiace di non poter soddisfare la tua curiosità, ma ieri sera mi sono gustato il film su RaiTre "La giuria", avendo letto alcuni mesi fa l'omonimo romanzo di Grisham.

    In compenso puoi gustarti un racconto (vero) dal ventre Alitalia. Credo che possa aiutare a capire meglio la prefallimentare situazione.

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