lunedì 22 settembre 2008

La privata scuola







Ecco un’eccellente antologia di articoli scritti in apertura di anno scolastico e contro una ministra che non si accorge (tragicamente) del senso del ridicolo in cui sta sprofondando con il suo staff.


Temo, tuttavia, che tutto ciò non servirà. Per loro noi abbiamo perso le elezioni. E, mancando controdeduzioni allo stesso modo in cui a mancare è la connessione tra neuroni con altri apparati del corpo, non rimane che assistere alla penosa sceneggiata di regime.


Per facilitare la lettura ho diviso il post in quattro parti.


 








La scuola che comincia con il lutto al braccio


di FRANCESCO MERLO


La ministra Gelmini li voleva in rosso-Stalin, ma i maestri italiani non sono caduti nella trappola e si sono listati il braccio di nero-Gelmini. Viva, dunque, questa elegante protesta dei maestri che ha messo in lutto il governo e ha spiazzato la ministra che, con la sua corona di neo addetti stampa (ricordate gli utili idioti?) cerca, sogna e brama una sgangherata violenza sessantottina.


Si era insomma allenata, la signora di Brescia, per affrontare gli insegnanti sbracati di cui sparla da quando è diventata ministro. Perciò ora non sa come prendere la contestazione ironica e sobria espressa con quel nero, che lei stessa ama molto indossare e che non strumentalizza proprio nulla, meno che mai i bambini. E ci pare mal consigliata la Gelmini quando sostiene che, con quel nero al braccio, i maestri usano i bambini contro di lei. Gli insegnanti non si sono listati di nero né contro i bambini né insieme ai bambini. Sono in nero perché orfani di chi, meglio di tutti, dovrebbe rappresentarli e proteggerli; sono a lutto del buon governatore comprensivo come un padre di famiglia; protestano perché il ministro, che dovrebbe schierarsi con la scuola tutta, si è invece schierato contro l'anima della scuola. Viene dunque il sospetto che, spiazzata dalla civiltà e dalla compostezza della protesta, la Gelmini abbia usato - lei - i bambini come nascondiglio retorico per il suo disagio, per la sua prima sconfitta. Capita, del resto, alla Gelmini di imputare agli altri i propri peccati. Gian Antonio Stella ci ha raccontato sul Corriere di come proprio lei, che ha sprezzantemente accusato il Sud di regalare titoli di studio agli incompetenti, avesse raccattato un'




abilitazione professionale - avvocato - in un dirupo di Reggio Calabria.


Sono spesso neri i tailleur della Gelmini. Le permettono, grazie alla tinta del rigore, di esporre con dignità tranquillizzante la propria maliziosa femminilità. Anche i maestri italiani, ben lontani dallo stile straccione che la Gelmini vede in loro, hanno scelto il rigore del nero per denunziare, con la stessa dignità tranquillizzante dei sornioni tailleur ministeriali, che la scuola italiana è orfana, anzi è 'adespota' , senza capo, parola di etimo greco che abbiamo imparato in quel liceo che la Gelmini vorrebbe - anche questo! - rimpicciolire, avvelenare e dunque far sparire introducendo - come ha fatto sapere - 'il liceo breve' , che diventerebbe un' altra morte lenta ma, intanto, è già un' altra provocazione. Alle orecchie di chi conosce l' importanza del liceo italiano, - «la sartoria della vita» diceva Lucio Colletti - l' espressione «liceo breve» suona infatti come 'gigante nano' . E vale a poco sostenere che altri ministri dell' Istruzione di destra di centro o di sinistra, avevano già avuto qualcuna delle pensate della Gelmini.


La signora di Brescia non è la prima che, da ministro, maltratta la scuola, che la sottopone alla violenza dell' incompetenza. E ovviamente si capisce che il liceo breve, il liceo ridotto di un anno, farebbe risparmiare altro danaro. Ma non c' è solo la bassa ragioneria all' origine di queste provocazioni. La Gelmini provoca per dimostrare che dietro la formazione italiana, dietro il liceo - soprattutto classico - c' è ancora il sessantotto, ci sono i fannulloni fradici di ideologia comunista, anzi classico-comunista. Ma il liceo italiano non è 'la scuola quadri' dei rivoluzionari frustrati. Stia attenta la Gelmini a toccare il meglio dell' Italia e della sua memoria, la nostra eccellenza, il modello nazionale per il quale ancora, ogni tanto, ci distinguiamo nel mondo. E stia attenta a ripetere che bisogna fare come la Francia o come l' Inghilterra, o ancora come gli Stati Uniti o come la Germania. In realtà una virtù che bisognerebbe a tutti i costi 'rubare' a questi Paesi è il non inseguire modelli stranieri, quasi sempre incomparabili, ma di sostenere e di rafforzare un proprio sistema nazionale. Gli inglesi non vogliono diventare come gli americani né i francesi come i tedeschi (con la stessa, insopportabile retorica si potrebbe consigliare alla Gelmini di farsi... protestante).


E poi, andiamo!, avvocato Gelmini: l' adulto italiano che ripensa al liceo non si ferma alle manifestazioni, alle occupazioni e al 6 politico, ma si abbandona al ricordo della scoperta dei libri, della capacità di resuscitare i morti, dell' universo pieno di miti e di simboli, di quei professori ai quali i maestri che lei umilia devono per esempio l' ironia e l' arguzia di vedere in lei non il nemico di classe, ma la linguaccia lunga di Santippe che, surrogando il linguaggio intelligente, importuna Socrate e infastidisce la decenza (anche se per la verità si sospetta che Socrate si sia convinto a bere la cicuta proprio per liberarsi dalle angherie di Santippe). È grazie al liceo che i maestri italiani stanno affrontando le provocazioni della ministra non con la violenza della demagogia che la Gelmini a tutti i costi vuole (re) suscitare, non con il ritorno di Potere operaio e di Lotta continua che la signora ha bisogno di avere come nemici, ma con il nero dell' educazione civica, con il nero del catechismo morale, con il nero della scienza greca - mélas cholé è lo spleen inglese, l' umor nero, la malinconia della scuola -, e con il nero della scienza latina - nigri sed formosi, neri ma belli direbbe Orazio dei maestri in cromatica rivolta. La verità è che la Gelmini sta cercando con tutte le sue forze la protesta di piazza per poter dire che nella scuola italiana sono tutti comunisti, tutti fuori dalla storia prima che dal mercato. Ne ha bisogno per affrontare la scuola con lo sproloquio di Bossi, con la in-cultura della Lega, con il bisturi economicistico e con la demolizione della presunta egemonia culturale. Insomma la Gelmini si vede già protagonista di una specie di neo maccartismo alle vongole, anzi alla polenta. Speriamo dunque che si diffonda questo tipo di protesta fantasiosa ed efficace.


I colori infatti esprimono benissimo gli umori e rispondono alla regola delle opposizioni. Nei colori c' è l' idea relativista - laica - che anche la protesta è governata da quel principio di indeterminazione che abbiamo imparato al liceo: tutto dipende dalla dose e dal contesto e si può stare con il nero che rimanda al caos dell' inizio o con il nero che rimanda alla dolente compostezza della fine. Come abbiamo imparato ad usare la gobba di Leopardi contro quella di Andreotti così sappiamo che il rosso è allarme ma è anche sangue versato, è aggressività violenta ma è anche amore. E dunque, per esempio, contro Brunetta che sogna l' ipercinesi mercuriale del colore aragosta o del blu elettrico, gli statali potrebbero presentarsi in ufficio con una bandana celeste da fannulloni in relax. E i dipendenti dell' Alitalia potrebbero viaggiare con un arcobaleno di protesta sulla giacca verde... Infine, se la Gelmini dovesse davvero insistere nella volontà di accorciare il liceo, ebbene tutti quelli che lo hanno amato e vorrebbero ancora mandarci i propri figli potrebbero fondare il movimento delle camicie blu cobalto, che è il colore della gonna di quella bellissima dark lady che piaceva da morire al Falcone Maltese, romanzo ovviamente noir.


la Repubblica (16 settembre 2008)    


1 commento:

  1. Ho letto attentamente tutti e 4 i post.

    Ho due figli alle elementari, quindi sono ben preoccupata. A me del grembiule non me ne frega nulla. Io ho portato il grembiule nero, rigorosamente allacciato fino al collo fino a 18 anni, e non mi sembra una roba traumatica. E considerato come mi arrivano a casa i figli, ben venga il grembiule, che mi salva gli abiti sotto...

    Dei voti, in numeri o in giudizi, bah..., filosofia, se non è zuppa e pan bagnato, se la ministra prende il suo stipendio per far di queste pensate, potremmo farne a meno, e riparmiare il suo di stipendio. Devo però anche dire che quando ho spiegato ai miei figli la faccenda dei voti, e ho detto che ai miei tempi col sette in condotta si era bocciati, hanno manifestato di capire di più la faccenda, che non quando il giudizio era: vivace e disattento. Ma forse è solo che stanno crescendo e cominciano finalmente a essere responsabili.



    Quello che mi impensierisce sono i programmi.

    Che non si può costruire un fico secco per il futuro, disinvestendo economicamente dalla scuola.

    Che mi sembra che ci sia un mefistofelico piano plutocratico. Chi può mette di tasca sua, investe singolarmente in un modo o nell'altro, tappa le lacune, segue i figli negli studi personalmente, se ne ha la capacità, o fa seguire... C'è un fitto sottobosco di lezioni private, di ripetizioni a pagamento.... che certe volte fanno venire il dubbio che si affossi la scuola "istituzionale" apposta, per far fiorire traffici educativi alternativi.

    Come nella sanità, si affossi quella pubblica per far fiorire quella "convenzionata", clinichine e clinichette, laboratori e poliambulatori...e compagnia briscola.



    Non so. Mi sembra tutto un gran mercato. E mi fanno paura tutti questi saltimbanchi che si fannno passare per esperti e fanno e disfano ogni tre per due (ancora non avevo digerito la riforma Moratti, beccata in pieno in prima elementare con portfolo e altre boiate, già abolite, che ora ecco la 35enne rampante in tallieur che ne inventa altre....). E mi fa paura la gente che li ascolta.



    Non so. Non riesco a capire, ma mi piace sempre meno e mi inquieta il futuro che lascio ai miei figli.

    RispondiElimina