domenica 7 settembre 2008

Bocciata!







È iniziato tutto da queste poche righe.


Laurea a Brescia avvocato in Calabria


Il ministro Mariastella Gelmini è avvocato. Ma la sua biografia ufficiale trascura un dettaglio: ha superato l’esame di Stato a Reggio Calabria, non a Brescia o a Milano, dove ha sempre vissuto e lavorato. «La mia famiglia - spiega - non poteva mantenermi troppo a lungo. Dovevo iniziare a lavorare e quindi dovevo superare l’esame per l’abilitazione».


la Stampa (27 agosto 2008)


Ha poi provveduto Gian Antonio Stella ad integrare il “dettaglio” con l’esauriente racconto pubblicato sul “Corriere della Sera”.








Nella città calabrese l'anno precedente il record di ammessi con il 93 per cento


Da Brescia a Reggio Calabria Così la Gelmini diventò avvocato


L'esame di abilitazione all'albo nel 2001. Il ministro dell'Istruzione: «Dovevo lavorare subito»


Novantatré per cento di ammessi agli orali! Come resistere alla tentazione? E così, tra i furbetti che nel 2001 scesero dal profondo Nord a fare gli esami da avvocato a Reggio Calabria si infilò anche Mariastella Gelmini. Ignara delle polemiche che, nelle vesti di ministro, avrebbe sollevato con i (giusti) sermoni sulla necessità di ripristinare il merito e la denuncia delle condizioni in cui versano le scuole meridionali. Scuole disastrose in tutte le classifiche «scientifiche» internazionali a dispetto della generosità con cui a fine anno vengono quasi tutti promossi.


La notizia, stupefacente proprio per lo strascico di polemiche sulla preparazione, la permissività, la necessità di corsi di aggiornamento, il bagaglio culturale dei professori del Mezzogiorno, polemiche che hanno visto battagliare, sull'uno o sull'altro fronte, gran parte delle intelligenze italiane, è stata data nella sua rubrica su laStampa.it da Flavia Amabile. La reazione degli internauti che l'hanno intercettata è facile da immaginare. Una per tutti, quella di Peppino Calabrese: «Un po' di dignità ministro: si dimetta!!» Direte: possibile che sia tutto vero? La risposta è nello stesso blog della giornalista. Dove la Gelmini ammette. E spiega le sue ragioni.


Un passo indietro. È il 2001. Mariastella, astro nascente di Forza Italia, presidente del consiglio comunale di Desenzano ma non ancora lanciata come assessore al Territorio della provincia di Brescia, consigliere regionale lombarda, coordinatrice azzurra per la Lombardia, è una giovane e ambiziosa laureata in giurisprudenza che deve affrontare uno dei passaggi più delicati: l'esame di Stato.


Per diventare avvocati, infatti, non basta la laurea. Occorre iscriversi all'albo dei praticanti procuratori, passare due anni nello studio di un avvocato, «battere» i tribunali per accumulare esperienza, raccogliere via via su un libretto i timbri dei cancellieri che accertino l'effettiva frequenza alle udienze e infine superare appunto l'esame indetto anno per anno nelle sedi regionali delle corti d'Appello con una prova scritta (tre temi: diritto penale, civile e pratica di atti giudiziari) e una (successiva) prova orale. Un ostacolo vero. Sul quale si infrangono le speranze, mediamente, della metà dei concorrenti. La media nazionale, però, vale e non vale. Tradizionalmente ostico in larga parte delle sedi settentrionali, con picchi del 94% di respinti, l'esame è infatti facile o addirittura facilissimo in alcune sedi meridionali.


Un esempio? Catanzaro. Dove negli anni Novanta l'«esamificio» diventa via via una industria. I circa 250 posti nei cinque alberghi cittadini vengono bloccati con mesi d'anticipo, nascono bed&breakfast per accogliere i pellegrini giudiziari, riaprono in pieno inverno i villaggi sulla costa che a volte propongono un pacchetto «all-included»: camera, colazione, cena e minibus andata ritorno per la sede dell'esame. Ma proprio alla vigilia del turno della Gelmini scoppia lo scandalo dell'esame taroccato nella sede d'Appello catanzarese. Inchiesta della magistratura: come hanno fatto 2.295 su 2.301 partecipanti, a fare esattamente lo stesso identico compito perfino, in tantissimi casi, con lo stesso errore («recisamente» al posto di «precisamente», con la «p» iniziale cancellata) come se si fosse corretto al volo chi stava dettando la soluzione? Polemiche roventi. Commissari in trincea: «I candidati — giura il presidente della «corte» forense Francesco Granata — avevano perso qualsiasi autocontrollo, erano come impazziti». «Come vuole che sia andata? — spiega anonimamente una dei concorrenti imbroglioni —. Entra un commissario e fa: "Scrivete". E comincia a dettare il tema. Bello e fatto. Piano piano. Per dar modo a tutti di non perdere il filo».


Le polemiche si trascinano per mesi e mesi al punto che il governo Berlusconi non vede alternative: occorre riformare il sistema con cui si fanno questi esami. Un paio di anni e nel 2003 verrà varata, per le sessioni successive, una nuova regola: gli esami saranno giudicati estraendo a sorte le commissioni così che i compiti pugliesi possano essere corretti in Liguria o quelli sardi in Friuli e così via. Riforma sacrosanta. Che già al primo anno rovescerà tradizioni consolidate: gli aspiranti avvocati lombardi ad esempio, valutati da commissari d'esame napoletani, vedranno la loro quota di idonei raddoppiare dal 30 al 69%.

Per contro, i messinesi esaminati a Brescia saranno falciati del 34% o i reggini ad Ancona del 37%. Quanto a Catanzaro, dopo certi record arrivati al 94% di promossi, ecco il crollo: un quinto degli ammessi precedenti.


In quei mesi di tormenti a cavallo tra il 2000 e il 2001 la Gelmini si trova dunque a scegliere, spiegherà a Flavia Amabile: «La mia famiglia non poteva permettersi di mantenermi troppo a lungo agli studi, mio padre era un agricoltore. Dovevo iniziare a lavorare e quindi dovevo superare l'esame per ottenere l'abilitazione alla professione». Quindi? «La sensazione era che esistesse un tetto del 30% che comprendeva i figli di avvocati e altri pochi fortunati che riuscivano ogni anno a superare l'esame. Per gli altri, nulla. C'era una logica di casta, per fortuna poi modificata perché il sistema è stato completamente rivisto». E così, «insieme con altri 30-40 amici molto demotivati da questa situazione, abbiamo deciso di andare a fare l'esame a Reggio Calabria».


I risultati della sessione del 2000, del resto, erano incoraggianti. Nonostante lo scoppio dello scandalo, nel capoluogo calabrese c'era stato il primato italiano di ammessi agli orali: 93,4%. Il triplo che nella Brescia della Gelmini (31,7) o a Milano (28,1), il quadruplo che ad Ancona. Idonei finali: 87% degli iscritti iniziali. Contro il 28% di Brescia, il 23,1% di Milano, il 17% di Firenze. Totale: 806 idonei. Cinque volte e mezzo quelli di Brescia: 144. Quanti Marche, Umbria, Basilicata, Trentino, Abruzzo, Sardegna e Friuli Venezia Giulia messi insieme.


Insomma, la tentazione era forte. Spiega il ministro dell'Istruzione: «Molti ragazzi andavano lì e abbiamo deciso di farlo anche noi». Del resto, aggiunge, lei ha «una lunga consuetudine con il Sud. Una parte della mia famiglia ha parenti in Cilento». Certo, è a quasi cinquecento chilometri da Reggio. Ma sempre Mezzogiorno è. E l'esame? Com'è stato l'esame? «Assolutamente regolare». Non severissimo, diciamo, neppure in quella sessione. Quasi 57% di ammessi agli orali. Il doppio che a Roma o a Milano. Quasi il triplo che a Brescia. Dietro soltanto la solita Catanzaro, Caltanissetta, Salerno. Così facevan tutti, dice Mariastella Gelmini. Da oggi, dopo la scoperta che anche lei si è infilata tra i furbetti che cercavano l'esame facile, le sarà però un po' più difficile invocare il ripristino del merito, della severità, dell'importanza educativa di una scuola che sappia farsi rispettare. Tutte battaglie giuste. Giustissime. Ma anche chi condivide le scelte sul grembiule, sul sette in condotta, sull'imposizione dell'educazione civica e perfino sulla necessità di mettere mano con coraggio alla scuola a partire da quella meridionale, non può che chiedersi: non sarebbero battaglie meno difficili se perfino chi le ingaggia non avesse cercato la scorciatoia facile?


Gian Antonio Stella


Corriere della Sera (4 settembre 2008)
































Però è l’eccellente editoriale del neo-direttore de “l’Unità” a lasciare un segno tangibile. Non che le altre informazioni fossero secondarie, ma qui ho avvertito indignazione quanto basta per chiedersi, come ritengo che ogni persona dotata di buon senso (merce rara, lo riconosco) dovrebbe fare: “Quando si dimetterà questo sciagurato ministro?”. E a pretenderlo, più di altri, potrebbero essere le madri e i padri che accompagneranno i propri figli agli ingressi delle tante scuole primarie italiane. Accadrà? Ne dubito. Però, personalmente, ho raggiunto un tale grado di saturazione e disgusto per la compagine governativa, impresentabile in tanti elementi, ad iniziare dal capobanda, quel B. tessera P2 n°1816, che anche la fatalistica rassegnazione delle persone direttamente coinvolte nel ciclone Gelmini (più dannoso dei vari Gustav e Hanna) credo proprio che cominci a darmi fastidio.


 








Sulla pelle degli studenti







Concita De Gregorio


Sono un insegnante precario meridionale della scuola statale della provincia di Pordenone apprezzato dai miei alunni e dai loro genitori che ogni anno si battono per la mia riconferma. Dall'anno prossimo sicuramente a causa della riforma del maestro unico non lavorerò più (Sergio Catalano)


Comincia così una lunga lettera che racconta come dal tempo del «maestro unico» i saperi si siano allargati e specializzati, le classi cresciute di numero, la presenza di bambini stranieri aumentata, le risorse per il sostegno ai disabili diminuite ma come intatto resti invece il bisogno di chi ha sei anni o ne ha dieci di essere «seguito dalla presenza costante e attenta di uno sguardo adulto». Inoltre, dice il maestro Sergio, «i bambini di oggi non sono più quelli di vent'anni fa». Non lo sono più, non c'è dubbio, e a nulla servirà imporre loro di alzarsi in piedi quando entra l'insegnante, di mettersi il grembiule col fiocco, di imparare il Padre Nostro per obbligo come propone l'assessore veneto, di andare tutti il 4 novembre alla parata come suggerisce La Russa. È il mondo fuori che è cambiato, il mondo che i bambini delle elementari si portano in aula sugli schermi dei videofonini forniti da genitori ansiosi e assenti, di solito ansiosi in quanto assenti, e che gli insegnanti fino all'altro giorno non potevano sequestrare all'ingresso in classe perché sarebbe stato, appunto, un attentato alla proprietà privata. Intendiamoci. Cambiare la scuola ad ogni cambio di ministro è un'antica tradizione che ha prodotto guasti in ogni epoca e sotto ogni bandiera. L'assemblearismo e le «conquiste di libertà» non sempre hanno garantito progresso.


La decisione di non esporre i quadri coi risultati degli esami «per la tutela della privacy» è semplicemente grottesca, dice per esempio in una lettera il professor Mario Mirri da Pisa. Ha ragione. I miei figli hanno fatto le elementari andando uno in prima a cinque anni con la sperimentazione Berlinguer, uno a sette perché è nato a febbraio e la Moratti stabiliva al 30 gennaio il limite di ingresso, uno col tempo pieno, uno coi moduli, uno con la settimana corta l'altro con la giornata breve. Posso dire con certezza che cambia solo il grado di nevrosi dell'organizzazione domestica. Di nevrosi e di bisogno: una donna su cinque, ci dicono le cifre di ieri, quando fa un figlio smette di lavorare. A parte le implicazioni culturali e sociali (enormi) il danno è economico, vorrei dire a Tremonti: il lavoro femminile, per usare il linguaggio berlusconiano, «muove l'economia». Dal punto di vista della didattica però - dal punto di vista dei bambini - quello che conta non sono i voti né i grembiuli. Sono gli insegnanti, le persone. Va bene il grembiule, ha il vantaggio di non scempiare una maglietta al giorno col pennarello indelebile. Vanno bene i voti, i giudizi, il debito o il credito, l'esame a settembre: è lo stesso. Va bene persino farli alzare quando entra il maestro, se la palestra a scuola non c'è almeno si sgranchiscono le gambe. Dev'essere chiaro questo, però: il taglio di 87 mila insegnanti non ha nessuna motivazione culturale. È il taglio di 87 mila stipendi, tutto qui. È un risparmio giocato sull'unica cosa che in Italia funziona ancora meglio che nel resto del mondo: la competenza la passione e il talento delle persone che lavorano nella scuola elementare. Un governo che fa economia sui maestri è irresponsabile. Fa quadrare oggi conti che pagheremo tutti noi domani. L'unica risorsa di cui disponiamo è il futuro. Risparmiare sulla pelle dei bambini è criminale.


l’Unità (7 settembre 2008)



10 commenti:

  1. Un ministro serio di un governo serio darebbe subito le dimissioni!!!

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  2. non ho letto il post in dettaglio perché ho l'insonnia, e non voglio aggiungerci l'irritazione.

    ma hai mai parlato con le persone che li hanno votati, e che sono convinte di aver fatto la "scelta giusta"? io sì, e a me ciò che più stupisce (ossia, fa inca**are), è che continuano a negare l'evidenza.

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  3. Ti assicuro che sono molte le persone che danno ragione al ministro Gelmini per la sua condotta disinvolta. Sul mio blog, ad esempio, l'articolo di Stella non ha riscosso successo. Ormai si rischia di passare per moralisti se si sottolineano certe questioni di principio.



    Quando, in futuro, il centrodestra tornerà al potere e ministro dell'Istruzione sarà Lele Mora o un tronista della De Filippi (non ridere, accadrà), molti italiani saranno soddisfatti e non avranno niente da dire.



    Saluti

    Romina

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  4. depechemode84settembre 12, 2008

    è brava la gelmini...furba ...ovviamente sono ironiche le mie parole

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  5. la pelle degli studenti ... viva Concita!!!

    Ora che l'Unità è pubblicizzata grazie ad altra pelle il cerchio si chiude!!!



    Ciaociao

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  6. Uncas, devi avere qualche problema con Concita De Gregorio, magari dovresti rivolgerti a lei.

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  7. ... i problemi ce li ha Concita De Gregorio ... domani sera mi sa che per lei e Veltroni si prepara il trasloco ...

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  8. Uncas, che fanno? Mettono su casa insieme?

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  9. CASA ... al limite un loft con ampio salotto!!



    Uncas

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