venerdì 19 settembre 2008

Del perduto amore




Affondare le mani nel proprio passato e poi scavare, scendere ancora più giù, facendosi largo tra metaforiche sterpaglie, urticanti vegetali, balsami rigeneranti e torpore euforizzante. Quindi uscirne fuori con un effetto straniante e un disorientamento, amplificati dall’eco di ciò che si è riusciti a percepire penetrando in quegli anfratti.


Accade, dunque, che decida di aprire un armadio da tempo rimasto chiuso, alla ricerca di quello spazio in via di esaurimento sugli scaffali a vista. Lo sportello che apro mi rivela una serie di classificatori, disposti in un arcobaleno di colori, tracce di “Avvenimenti” (il settimanale che forse anticipò troppo i tempi) denunciate da libri di ogni formato, documenti originali e inediti, sovente allegati alla rivista. Foto che pensavo smarrite, assieme ad un archivio parziale degli anni Ottanta. Tutto ben ordinato e catalogato. Solo una busta, larga, in parte stropicciata, anonima, si distingue per il primitivo candore avvizzito dal tempo passato. Svuoto l’armadio di ogni contenuto, ma quella busta rigonfia la metto da parte, appoggiandola sopra una mensola.


Come sperato, più che previsto, una buona parte del materiale conservato non è più di alcuna utilità e, pur non facendomi difetto l’inevitabile nostalgia che si cela dietro un titolo od uno scritto, riesco a ricavare un discreto spazio da utilizzare. Al termine dell’operazione, più lunga di quanto pensassi, posso ritenermi soddisfatto, anche se non completamente. Quella busta ingiallita dal tempo mi ha “osservato”, facendomi sentire la sua presenza per l’intero pomeriggio. E intanto si è fatta sera, perché le giornate si sono vistosamente accorciate.


L’orologio e, soprattutto, la pancia, suggeriscono inequivocabilmente l’unica cosa sensata da fare. Ma la fame può attendere, l’appetito si placherà nutrito dalla curiosità verso quella imprevista scoperta.


Ho spento lo stereo e adesso, il silenzio che mi avvolge, dopo aver pure chiuso le finestre, crea un’atmosfera impregnata di forte suggestione, come di attesa per un evento di cui sto per essere protagonista.


Mi infilo una felpa, perché anche la temperatura è scesa nel giro di pochi giorni e tengo sempre d’occhio l’involucro di carta. Sono perfettamente consapevole del rischio sentimentale che sto correndo. Certamente non ci saranno lettere d’amore, verosimilmente testimonianze di un’epoca spesso rimpianta e ormai remota. Dagli anni Ottanta a ritroso verso il decennio precedente? E se il contenuto mi facesse male? Se dilatasse ferite? Se… Basta! Devo aprire.


L’istinto, il modesto istinto di sopravvivenza, mi consiglia di parare il colpo a stomaco pieno. Così preparo un paio di toast, li innaffio con un generoso bianco, aggiungo rucola, pomodorini e cipolla, mescolando con yogurt greco, spilucco un grappolo d’uva, mentre fisso sempre quella busta. Prolungo, non so ancora se piacere oppure sofferenza. Però godo nel pensare che sono soltanto io a poter decidere quale svolta imprimere alla situazione.


Intanto ha iniziato a piovere, almeno le piante nei vasi ne trarranno beneficio allo stesso modo di come hanno patito l’arsura estiva. Già: l’estate. Come appare lontana, adesso, in questa serata quieta, con striature autunnali. E prospettive inebrianti. Forse.













Ma devo decidere, ho accresciuto fin troppo l’attesa. Prendo la busta. La soppeso. Con delicatezza la apro ed esplodono frantumi del passato che si conficcano attorno a me.


Scivola sul tavolo un calendario arrotolato: anno calcistico 1970-71. Lo pubblicava la “Domenica del Corriere” e io aspettavo impaziente proprio quel numero del settimanale, in genere metà settembre, per calarmi nella stagione del calcio, quello di una volta, quello vero.


Mi accorgo che sto per essere investito da un’ondata di commozione, stringo gli occhi. Ma si può piangere vedendo scorrere, dopo più di tre decenni, ciò che si scrisse allora? La visione di quei risultati inseriti a penna, con ordine, nelle caselline del calendario. Qualche annotazione sintetica e a tratti indecifrabile, i quadratini che formavano la classifica riempiti coscienziosamente giornata dopo giornata, che significava, all’epoca, domenica dopo domenica. E poi altri prospetti più casalinghi, realizzati con il righello, personalizzati, scritti con la matita, pronti per essere ripassati con la penna. Mai completati.


Ero proprio io l’autore? Ero sempre io colui che si accontentava di questi semplici strumenti per trascorrere la domenica? I fogli appoggiati sopra ad uno sgabello piazzato accanto alla radio, ma davanti agli occhi, con le orecchie attente a non perdere una sola sillaba di: “Tutto il calcio minuto per minuto”. La sigla iniziale, le voci inconfondibili, i rumori d’ambiente… Sembra tutto così reale adesso.


15 marzo 1970. Juventus e Cagliari si giocano lo scudetto (che vinceranno poi i sardi: un evento storico) nello scontro diretto, al Comunale di Torino. Per questo motivo l’indimenticabile Roberto Bortoluzzi raccomanda ai colleghi la massima sintesi negli interventi, per lasciare spazio a quella gara. Enrico Ameri da Torino, Giuseppe Viola da Milano per Internazionale-Lanerossi Vicenza, Sandro Ciotti da Roma per Lazio-Palermo. Sono inchiodato al divano, ipnotizzato da ciò che sto ascoltando. Si rincorre una raffica di nomi: Mazzola, Jair, Leonardi, Salvadore, Bardin e Gigi Riva su tutti. Il 2-2 finale, tra bianconeri e rossoblu, viene suggellato da un suo calcio di rigore che Anzolin non riesce a trattenere. Si torna in studio con i risultati finali e le classifiche di serie A e di serie B. L’arrivederci “a domenica prossima”, dopo aver ringraziato di essere stati in ascolto. Il solito garbo, la famosa classe che non s’inventa. Veri signori.


La trasmissione è terminata.

Rovescio ciò che è rimasto nella busta sul tavolo, ora cosparso di frammenti di memoria. Ci sono alcune curiose annotazioni sulle partite di calcio disputate all’oratorio, si tratta di giudizi ma su me stesso, su come avevo giocato, valutazioni oneste devo ammettere, perché trovo difetti anche se ho segnato molti gol. Peccato che manchi la data. Ma credo si riferisca alla seconda metà degli anni Sessanta. Poi scorgo una testata, anno 1966, del “Corriere dei Piccoli” con le figurine dei calciatori che furono pubblicate in quell’anno; alcuni fogli di quaderno con elenchi di gare calcistiche e gli scarabocchi fatti mentre ascoltavo la radio. Un altro calendario, stagione 1972-73 e un paio di cassette, oltre a quella che ho ascoltato. Stock 84. Se la tua squadra del cuore ha vinto festeggia con Stock84, se ha perso consolati con Stock84. E se ha pareggiato? Sempre Stock84.


Adesso una lacrimuccia scorre e so che si può anche piangere nel rivedere, attraverso ciò che ho conservato, il ragazzino che fui, nel ricordare l’impegno e la passione che mi impregnavano nell’età dell’innocenza. La confraternita della morte sarebbe arrivata molto più tardi. Ed io, allora, ero felice.    






2 commenti:

  1. beh, molto bello.



    Difficilmente mi "esalto" per il calcio - per il Toro sì, ma è un altra cosa - però apprezzo molto questo genere di "tuffi nel passato". Io in realtà ne faccio spessissimo, però... sono convinto che per me abbiano un valore diverso, e non lo dico in senso di superiorità. E' semplicemente che... è così, l'ho capito negli anni. Posso tornare ovunque, degli ultimi 23 anni, quasi senza errore. Ed uscirne indenne, se voglio, o in lacrime di gioia e di dolore, se lo voglio.



    Hai visto "Cuori in Atlantide"? Con Antony Hopkins - il mito - da un libro di Stephen King? C'è una frase stupenda, anzi due:



    "[il primo bacio] sarà il bacio verso il quale confronterai tutti gli altri baci che darai nella tua vita, trovandoli inferiori"



    "E' curioso come, da piccoli, il trempo sembri non passare mai... lunghe giornate eterne... ora sembrano tutte volate via in un attimo"



    Dario

    RispondiElimina
  2. Come sono belle, le tue riflessioni! Mi piace moltissimo il tuo stile e mi piace anche il tuo mondo interiore.

    ross

    RispondiElimina