domenica 7 ottobre 2007

Indovina chi viene a cena?


Metti di ricevere una lettera di questo tenore: “Sabato sera aiuto un paio di ragazze a cucinare al Pangrattato. Se qualcuno non conoscesse ancora questo posto sappia che è un circolo in cui ogni sabato sera qualcuno si offre di cucinare per tutti (30-40 persone) un menù a propria scelta. I partecipanti, che pagheranno un prezzo irrisorio (tipo 10-15 euro) corrispondente al costo della spesa e della donna delle pulizie, dovranno prenotarsi al più presto in quanto i posti disponibili sono grosso modo quelli indicati sopra, esauriti i quali si cena ognuno a casa propria.

Il menù non è ancora completamente definito, ma si pensa di optare verso il rustico non classico.

NB: La sottoscritta non ha MAI cucinato lì né ha MAI cucinato per tante persone, quindi portatevi un panino di sicurezza!”. Metti che la firmataria sia M., un’amica di lunga data, una di quelle che quando serve c’è, di poche parole e molti fatti, capace di iniziative curiose e stravaganti come quella che propone al suo gruppo. Metti anche e non è cosa di poco conto, che il destinatario dell’e-mail sia un discreto amante della buona tavola, almeno quella della mia amica. Aggiungi, infine, che l’insolita proposta risulti accattivante e sia di immediata presa. Considerato poi che il numero chiuso impone una risposta immediata, la mia conferma non si fa attendere.


Ignoro dove sia il locale, non conosco i dettagli sul menù e  meno ancora sullo svolgimento della serata. Il post-scriptum è “inquietante”, ma non porto con me nessun panino, mentre mi divora la curiosità per questo invito al buio.


La zona è semicentrale, trovo subito il circolo “Pangrattato” guidato anche da un rimescolare di pentole e coperchi, assieme a profumi invitanti. Sono in tre addette alla cucina, una di loro, Loredana, giovane, bionda, lunga coda di cavallo, filiforme, ombelico d’ordinanza in evidenza, mi accoglie con un sorriso, che diventa ancora più largo, quando mi fa notare che occorre tagliare il pane. Fa capolino M., in varie faccende affaccendata (dalle 15:30), lieta e misteriosa neppure per sua colpa. Per lei è la prima volta, ancora incerta sul numero dei partecipanti che peraltro è salito, secondo le versioni, a 50 persone. E, mentre lavoro alacremente ad affettare grosse pagnotte assieme ad un altro invitato, cominciano ad arrivare le prime persone: uomini, donne, coppie e single. S’intrecciano strette di mano e “piacere”, sorrisi e nomi che ovviamente non rammenterò a fine serata. Ed è un peccato, perché la presenza femminile, prorompente, si rivela in molti casi meritevole di attenta valutazione.


Qualcuno accende le casse di uno stereo, la musica invade il piccolo locale che si sta riempiendo. Giungono cartoni di vino. C’è chi sistema le tavole, chi pulisce le sedie, si formano i primi gruppi, mentre si apparecchia in una confusione crescente ed allegra. M. mi ha riservato un posto attorno ad un tavolo circolare e scritto su carta oleata, che funge da tovaglia, i nomi degli altri commensali. Lei siede di fronte a me, a sinistra c’è il suo compagno, T., un ragazzone di gran cuore e simpatia, alla mia destra siederà Fabiola, accanto a lei Raffaella che non tarda ad arrivare. Minuta e pallida, Raffaella ha un bel volto ovale, pulito e dai tratti aristocratici. Si scusa per il ritardo, ma il turno di lavoro l’ha impegnata. “Dove sei impiegata?” – chiedo – “In ospedale” – mi risponde. “Infermiera?” (che chissà perché uno pensa sempre che l’unico lavoro in ospedale sia quello di infermiera). “No, sono medico”. “Così giovane?” osservo veramente sorpreso. “Ho 34 anni” ribatte lei. Giuro che a vederla denuncia almeno sette-otto anni in meno. Ne è lusingata e arrossisce. Scorgo in lontananza un altro gruppo in arrivo, mi alzo perché ho presto capito che socializzare risulta essere l’imperativo principale e, a quanto pare, nessuno si mostra sorpreso o infastidito. Trovo un collega, distribuisco altre strette di mano a sconosciute e sconosciuti per poi bloccarmi davanti ad una ragazza. Che tace, divertita assai per il mio imbarazzato stupore. “Dai, che mi conosci” – mi incoraggia benevola. Mentre sta per aggiungere altri dettagli, in un giochino che pare divertirla, un lampo riporta la memoria volatile. “Alessandra!” esclamo stupito. Da anni non la vedevo, scomparsa dalla mia zona e l’ultimo ricordo mi trasporta su un parquet, mentre narravo le sue gesta atletiche. Era un’adolescente. Davanti ho adesso una giovane donna, di gradevole aspetto, che lavora in un centro estetico e che ha evidentemente applicato anche su se stessa le terapie miracolose che riserva alle sue clienti. Pareva ieri il suo ultimo canestro e invece, rammentiamo, risale ad anni fa.


Torno al mio tavolo dove finalmente è approdata anche Fabiola. Minuta anche lei, un’abbronzatura da sogno rimediata chissà dove, evidenziata dal civettuolo completo bianco che indossa. Molto femminile. E, combinazione, giovane medico pure lei.


Si mangia, alfine. Antipasto di spiedini con prugne secche avvolte da una striscia di guanciale di maiale, foglie di radicchio legate da formaggio fuso. Raddoppio lo spiedino. Innaffio cautamente con vino rosso siciliano: si lega bene. Arrivano poi le penne alla zucca, squisite e cotte al punto giusto (non era facile in una pentola enorme). Raddoppio anche qui e non lesino complimenti alle cuoche, anche se ad un certo punto non si sa più bene con precisione chi abbia cucinato e che cosa. Una gradevole confusione di ruoli per nulla nociva. Seguono salsicce di pollo con patate. All’apparenza patate, invece si tratta di mele cucinate assieme (ne sono state pelate una cinquantina, mi racconta Fabiola) con pinoli e pepe rosa. Qui il pane ci va a nozze, assieme ad un sorso del corposo vino rosso (Menfi Sirah). Frank non deve esagerare, perché in genere non beve vino, al massimo ci colora l’acqua.


Attendo il dolce con l'acquolina in bocca, perché è opera di M. e so che ci sa fare. Ecco così offrirsi per la gioia degli occhi un’intera, incredibile tavolata di strudel, quasi commovente nella visione. Mi faccio ardito e triplico ben presto la dose, aiutato da uno strepitoso Grecale, le cui caratteristiche organolettiche (colore: oro brillante con lievissimi riflessi topazio; odore: intenso ed armonico, decisamente moscato con netti sentori di albicocca; sapore: pieno, morbido con sentori di miele di acacia e piacevole fondo di fichi secchi e uva passa) sono rispettate in pieno. Delizioso, un autentico nettare degli dei. Che sia benedetta la terra che lo ha generato.


Sono ancora alle prese con la terza fetta di strudel (e una quarta M. me la incarta per la colazione del giorno dopo) quando prima Raffaella e poi Fabiola si congedano: per i medici non esistono domeniche, peraltro la mezzanotte è  ormai passata da un pezzo).


Ci rivedremo? Chissà? In fondo il grande gioco della tavolata autogestita (distribuzione dei piatti e raccolta di spazzatura compresa) è ricco di incognite, ha lo scopo di mettere in contatto persone tra loro con il pretesto comune di mangiare assieme. E forse ritrovarsi. Metti una sera a cena, appunto.

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