lunedì 15 ottobre 2007

Il nuovo di oggi, anzi l’antico


Come da copione Walter Veltroni è stato incoronato segretario del Pd. La novità può circoscriversi alla sigla che è già entrata nel circuito mediatico, non certo nelle persone, oppure nella fusione di due partiti. Il Pd, insomma, nasce già vecchio.


Ci fu un Veltroni, l’anno scorso intervistato da Fabio Fazio, asseverare che al termine del secondo mandato di sindaco di Roma avrebbe lasciato la politica, perché c’erano altre cose di cui voleva interessarsi e, come leggendo nel pensiero dei più maliziosi, aggiunse che nonostante lo scetticismo suscitato da questa rivelazione, sarebbe stato irremovibile nella sua decisione. Si tratta per caso della stessa persona salita al trono ieri?


Ci fu ancora un altro Veltroni, molti anni prima, che con parole vibranti denunciò le interruzioni pubblicitarie nel film teletrasmessi: “Non si spezza così un’emozione!” ebbe a dire. Bene, bravo, bis. Ma in seguito si emozionò molto meno, visto che il massacro delle pellicole in tv è ormai placidamente accettato e con virtute perseguito. Un altro fratello gemello oppure si tratta del Veltroni da Fazio (il meritorio Blob lo ha mandato in onda alcune sere fa e pare che sia scomparso dal web, ma non ho verificato)? Oppure è già diventato uno e trino?


Comunque stiano le cose, pubblico l’editoriale di ieri del manifesto, scritto dal direttore del quotidiano comunista. E, visto che condivido la sua analisi, si può anche tirare a indovinare se abbia partecipato alle primarie oppure no. Non è difficile: basta poco.


Un partito unico


Gabriele Polo


Quello che oggi va in scena, tra gazebo, ristoranti e sedi di partito, non è solo un sondaggio demoscopico travestito con i panni della partecipazione, ma è l’atto di nascita di un potentato che piazzandosi al centro dello schieramento politico tenderà a occupare ogni spazio. Libero da radici identitarie e sociali, potrà muoversi come un blob avvolgente, schivando i conflitti sociali e di classe, accordandosi con i poteri industriali e finanziari, ignorando il lavoro subordinato e distribuendo prebende a quello delle «professioni», offrendo un po’ di carità agli esclusi e un po’ di polizia ai recalcitranti.


Sbaglia chi pensa che sarà un fenomeno passeggero: una volta piazzato al potere (e questo è il passaggio incerto, da cui tutto dipenderà) si muoverà seconda la logica del «partito unico» che tutto ingloba in una serie di lobbies che si confronteranno tra loro nella gestione della cosa pubblica. La sua grande forza è incarnare lo spirito del tempo dell’individualismo, stabilizzando il berlusconismo, smussandone le spigolosità populiste e gli eccessi autoritari. E di strutturare in un sistema di potere - su cui in molti si getteranno - l’unica vera cultura politica dell’Italia post-unitaria, quel trasformismo che ha saputo attraversare regimi dispotici, guerre e tentate rivoluzioni sociali. Depretis e Crispi, veri padri di questa patria, ne sarebbero fieri.


Walter Veltroni ne sarà l’incarnazione, l’uomo giusto per mettere l’Italia al passo con l’Europa delle «grandi coalizioni», che tagliano i «lati estremi», amministrano l’esistente, offrono stabilità istituzionale a mercati - al contrario - sempre in subbuglio e movimento. Lo farà facendo di questo paese un’America in tono minore e un po’ stracciona. Ma lo farà, seguendo un modello sperimentato in Campidoglio, utilizzando capacità mediatiche, il consenso dei forti e l’esclusione dei deboli. Avrà più da temere dalle bufere internazionali (economiche e militari) che dagli spifferi interni. Anche perché non si vedono particolari ostacoli, almeno a sinistra.


Lì c’è un vuoto, occupato da frammentazione partitiche che, culturalmente fragili e prive di riferimenti sociali forti, sopravvivono a stento, rischiando la lenta estinzione. E, poi, un’altrettanta frammentata conflittualità sociale che il blob-Pd spingerà a chiudersi in una serie di vertenze, «comprandone» alcune, reprimendone altre. E, poi, non c’è più il panorama sindacale che conoscevamo, perché il lavoro è ricondotto a variabile delle imprese e la Cgil sembra scegliere la strada del sindacato di mercato, con la prospettiva del sindacato non unitario, ma «unico» (a compendio del partito unico). E lì che ci sarebbe molto da fare, da elaborare, da ricostruire. Ma per farlo, evitando la scomparsa della sinistra, bisognerà prendere atto che questa costruzione può avvenire solo essendo liberi dai vincoli delle compatibilità: quelli di mercato e quelli di governo.


il manifesto (14 ottobre 2007)


 

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