sabato 8 settembre 2007

Ma la notte no


Le analisi che il professor Ilvo Diamanti propone periodicamente su “la Repubblica” , meritano sempre di esser lette con attenzione per gli spunti di discussione che offrono, nonché per le “mappe” che disegnano e cercano di interpretare una società sempre più complessa. Molto opportunamente capita questo articolo, pubblicato sul quotidiano romano il 26 agosto scorso, che mi trova in sostanza d’accordo.


Il Paese che vuole abolire la notte


D’ estate, le notti si fanno sempre più bianche. Non solo perché cambiano le abitudini personali. I giorni sono più lunghi, la gente va in ferie e tende a fare tardi. Ma per iniziativa “politica”. Per scelta di molte amministrazioni municipali, che, da anni, in alcune date, promuovono il “giorno senza fine”.


Le "notti bianche", appun­to. In cui i negozi, i ristoranti, i bar, ma anche i mu­sei restano aperti, mentre, nelle piazze e nelle strade, si svolgono manifestazioni ed eventi spettacolari. È l'Italia delle "notti bian­che", di cui Roma si conferma capitale. Prima ad averla orga­nizzata, nel 2003, sulla scia di Pa­rigi. La prossima è imminente: il 7 settembre. Si tratta di iniziati­ve che hanno diversi fini. Servo­no a dare impulso al turismo e al commercio. A "fare immagine". A valorizzare le città, che di gior­no sono ostili, difficili da attra­versare e da "guardare". Riscuotono grande successo. Perché le città, davvero, in queste notti, si ripopolano, si riempiono di gen­te. Così, un anno dopo l'altro, le "notti bianche" si sono propaga­te un po' dovunque. Dalle gran­di città si sono riprodotte in quelle medie, irradiandosi fino ai paesi più piccoli. Ciascuno ha promosso la sua "notte bianca". Limitandosi, magari, a trasformare piazze e strade in altrettanti bar e ristoranti all'aperto, dove si pasteggia accompagnati da musicisti di strada. La "notte bianca", così, ha smesso di essere un evento singolare ed eccezionale. È divenuto routine. Che si ripete, talora, tutte le settimane.,Per mesi.


Nei luoghi più turistici, è dive­nuto un fatto permanente. Le di­scoteche si sono trasferite nelle spiagge. O nelle piazze. Dove si fa musica e si fa festa senza solu­zione di continuità.


Nei luoghi popolati dai giova­ni, la notte bianca si è istituzio­nalizzata. E ha sconfinato oltre i limiti dell'estate. Nelle città universitarie, ad esempio. Penso a Urbino, dove passo parte della mia vita. Dove il giovedì - ogni giovedì - è festa grande. Fino a mattina. Per un'abitudine ma­turata in passato, quando gli stu­denti, in gran parte residenti al­trove, "festeggiavano" ancora, prima di rientrare in famiglia, il venerdì. In seguito, l'abitudine è divenuta rito. Celebrato non so­lo dagli studenti, ma da tutti i giovani dell'area. E oggi al gio­vedì si sta aggiungendo anche il mercoledì. Ogni settimana, la notte è bianca. Fino alle prime luci del giorno. Quando i pochi residenti nel centro storico escono di casa. E gettano uno sguardo severo sui "residui" del­la festa.


Le "notti bianche", peraltro, per molti giovani si sommano ai "fine settimana lunghi". Da ve­nerdì sera a domenica. Sempre in festa. Senza soluzione di continuità.


Questo fenomeno, in rapida e costante dilatazione, non è solo italiano. Ricalca modelli già sperimentati altrove, in altre capitali europee. Ma ciò che si osserva da noi rammenta soprattutto l'istinto ludico e festoso della movida spagnola. Ciò che stupisce, in Italia, è la rapida moltiplicazione che ha registrato il feno­meno. Che si è diffuso ovunque, anche nei villaggi dell'interno, appena sfiorati dal turismo.


Questo "Paese in festa" con­trasta non poco con il clima d'o­pinione triste e con il pessimi­smo economico, che opprimo­no la società. Con l'atteggia­mento astioso che separa i citta­dini e le istituzioni. Con la diffi­denza reciproca, che distanzia sempre più, le persone. Con il di­sagio e l'estraneità che caratte­rizzano il rapporto fra la società e l'ambiente circostante. Fra le persone e la città.


Ma, forse, il successo delle manifestazioni dipende proprio da questi sentimenti.


a) Nelle "notti bianche", i cit­tadini possono affrontare la città superando le difficoltà quotidia­ne. La possono popolare, attra­versare, guardare. Vivere. Men­tre, normalmente, passano in fretta senza neppure avere il tempo di percepirla.


b) Poi, c'è la voglia di stare in mezzo agli altri, in un mondo sempre più individualizzato. Abitato da persone "sole". Che vivono chiuse nei luoghi di lavo­ro oppure in casa. Frequentano i familiari e pochi amici. Sono in­serite in gruppi sempre più stret­ti. Le grandi associazioni di una volta, d'altronde, oggi non fanno più "socialità". Ma si sono istitu­zionalizzate, aziendalizzate. I giovani comunicano senza nep­pure incontrarsi e vedersi. Complici i cellulari, i pc. I più anziani, invece, passano un tempo sem­pre più lungo davanti alla tivù.


È una società che si sta per­dendo. In mezzo a relazioni sen­za empatia. Una società senza comunità. Approfitta delle oc­casioni di incontro, delle oppor­tunità di fuga dall'auto-reclusione quotidiana. Con entusia­smo. Le persone, normalmente "sole", si tuffano in mezzo alla gente. Sperimentano dall'espe­rienza degli "altri". Per "evade­re", respirano l'euforia della fe­sta. E cercano di allungare que­sta occasione. Di riprodurla, sempre più spesso, sempre più a lungo.


Naturalmente, la musica, il ci­bo, l'alcol, aiutano. Ma non avrebbero la stessa efficacia, non produrrebbero la medesi­ma soddisfazione, altrove. In luoghi delimitati. Tra cerchie so­ciali chiuse. In ambienti "spe­cializzati". È il rapporto con la città e con gli altri, contempora­neamente, a rendere queste esperienze attraenti. A garantire loro tanto successo.


Eppure, questo fenomeno, per le proporzioni che sta assu­mendo, non ci piace. Spinto ai li­miti senza limite, a cui assistia­mo, evoca una deriva triste. E un po' di malinconia.


a) L'Italia delle notti bianche, appare un Paese dove alla comu­nità e alla società si sostituisce la "folla". Una massa di persone indistinte, che incontriamo senza vedere e senza conoscere. Come allo stadio, dove, però, ci unisce agli altri una comune bandiera. Nelle notti bianche, invece, "gli altri" sono senza volto, senza vo­ce e senza nome. Se ne stanno lì, intorno a noi, per non restare so­li. Per evadere dal grigio quoti­diano. Anche la "trasgressione", suggerita dall'esperienza della notte, sfuma, quando prevale l'i­terazione. Quando diventa un'attività consueta, una prati­ca di massa.


b) Nell'Italia delle notti bian­che la scoperta delle città, dei quartieri, delle strade e dei vico­li, dopo le prime volte, diventa routine. Avvolte alla folla, le città, le più belle e le più anoni­me, diventano uguali e indistin­te. Si trasformano in supermercati, centri commerciali, disco­teche, parchi giochi e diverti­menti. Ora sagra paesana, ora rave party. Non luoghi indiffe­renti alle non persone che le affollano. A loro volta indifferen­ti a ciò che hanno intorno. Poi, all'alba, la musica finisce, gli amici se ne vanno. Che inutile giornata...


c) L'Italia delle notti bianche è una scorciatoia senza sbocco. Offre l'emozione come alternativa al pessimismo e alla sfidu­cia. La folla come terapia alla so­litudine.


d) L'Italia delle notti bianche risponde alla domanda di co­munità senza soddisfarla. Per­ché non "costruisce" relazioni. L'indomani la città è la stessa di prima. I residenti, perlopiù, re­stano ai margini. Attendono che "passi la nottata". E poi riemer­gono, come reduci in mezzo alle macerie.


e) L'Italia delle notti bianche è un Paese dove i giovani protrag­gono la condizione di irresponsabilità in cui li hanno confinati gli adulti. Prigionieri e, al tempo stesso, privilegiati. Protetti, il più a lungo possibile, in attesa della "vita" da precari che li at­tende.


f) L'Italia delle notti bianche è il presente dilatato fino all'oriz­zonte, che compensa il declino del futuro.


Viene in mente, per riflesso naturale, il romanzo giovanile di Fèdor Dostoevskij, che ha per ti­tolo, appunto, "Le notti bianche. (Memorie di un sognatore)". Vi si narra di un impiegato, un "sognatore". Un solitario. Nelle sue passeggiate notturne, incontra una donna, con cui avvia un dia­logo lungo quattro notti. Un'e­sperienza intensa, di avvicina­mento e riconoscimento reci­proco. Ma, all'improvviso, il so­gno si spezza. La donna ritrova il suo amante, che temeva di aver perduto. E l'impiegato torna alla solitudine quotidiana di Pietroburgo. Dove abitava da otto an­ni senza essere riuscito "a fare quasi nessuna conoscenza".


Ecco, questo Paese sembra deciso ad abolire la notte. Per non uscire mai dal sogno. Per non provare l'angoscia del risveglio.


ILVO DIAMANTI


la Repubblica (26 agosto 2007)


 

2 commenti:

  1. L'articolo non ha preso in considerazione un altro punto negativo delle "notti bianche", e cioè di chi deve subirle.

    Prendiamo il caso di chi abita in una piazza o strada dove per tutta la notte c'è "animazione", dove "c'è vita", dove ci sono individui che s'incontrano, ma non si vedono, e che, comunque, fanno confusione. E quel qualcuno, magari, non ha voglia di "vivere una notte bianca", o meglio, di passare una "notte in bianco" solo perché l'indomani deve andare a lavorare ed il suo fisico necessita delle giuste ore di sonno.

    Ma si sa, ai politici forse non interessa. L'importante è organizzare qualcosa in modo che gli altri sappiano e, così, se ne ricorderanno alle prossime elezioni.

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  2. SergioYYY, sono d'accordo. Mi aspettavo anch'io una considerazione su chi, obtorto collo, deve subire ma, tranne un veloce accenno agli abitanti del centro storico (bellissimo) di Urbino e al loro sguardo "severo", nulla è stato aggiunto.

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