martedì 31 ottobre 2006

La colonizzazione consumistica


Streghe di Halloween e nostre identità perdute


Feste, fantasmi e zucche vuote


di Ernesto Galli Della Loggia


 


Perché degli italiani, giovani ma anche meno giovani, decidono a un tratto di mettersi a festeggiare Halloween sì che improvvisamente non solo le città ma anche i borghi più riparati della Penisola (ne sono stato testimone diretto) si riempiono improvvisamente di zucche, di streghe e di folletti? Perché degli italiani, giovani ma anche meno giovani, che probabilmente neppure si ricordano più di che cosa sia la Befana e che ancora più probabilmente non hanno mai saputo cosa siano i fuochi di San Giovanni, decidono invece che fa proprio al caso loro una festa celtica importata dagli irlandesi negli Stati Uniti? Perché tutto ciò che non si presenta con connotati italiani può, in Italia, contare sempre su un'attenzione immediata e spesso su un successo travolgente?


Sì, sarebbe interessante saperlo, cercare di scoprirlo, considerare i possibili motivi. Ma si può essere certi che non accadrà. Cioè che nessuno si prenderà la briga, non dico di rispondere, ma neppure di ragionare intorno a domande che, del resto, nel momento stesso in cui vengono formulate appaiono sterili e quasi prive di senso per primo a chi le formula. Eppoi, chi mai dovrebbe accollarsi l'onere di raccogliere domande difficili come quelle di cui sopra? Chi dovrebbe sentirsi tirato in ballo?


Certo, in Italia, per esempio, esiste - e anzi è stato appena istituito - un ministero della Cultura, ma proprio nell'istituirlo non ci siamo forse affrettati tutti a precisare che, per carità, il ministro della Cultura al massimo deve occuparsi solo di film, di musei, di biblioteche (bontà sua e se proprio vuole) e del paesaggio, cose d'altronde importantissime? Non abbiamo forse tutti sottolineato che il suddetto ministro deve però guardarsi bene dal pensar e che la cultura sia anche qualche cosa di più profondo e di più impalpabile dei musei e delle biblioteche, qualcosa che riguarda, per esempio, l'identità di un popolo, la sua storia, e che anche ciò meriti qualche attenzione e qualche tutela? Non siamo stati, non siamo forse tutti d'accordo che la democrazia italiana non ha bisogno di nessun Giovanni Gentile in sedicesimo?


Esiste certo, poi, anche un ministro della Pubblica istruzione, il quale - si potrebbe credere - forse qualcosa c'entra con ciò che soprattutto i giovani italiani hanno per la mente, con i loro gusti e i loro valori, con i loro atteggiamenti, con il loro eventuale sentirsi più italiani e più americani. Ma sono alcuni decenni, ormai, che lì, nella Fortezza Bastiani di viale Trastevere, si muovono solo fantasmi. Da ultimo il fantasma della scuola politicamente corretta, ottenuta mischiando attentamente un quarto di sperimentazione, un quarto di «Novecento», un quarto di attività extracurricolari e un quarto di «diritti e doveri delle studentesse e degli studenti».


Il problema della nazionalità delle une e degli altri non è problema destinato, in questa scuola, a suscitare un qualche visibile interesse. Come del resto non sembra suscitare l'interesse di nessun altro, per esempio di quelli che si è soliti chiamare gli intellettuali. Sventato così ogni pericolo di condizionamento dall'alto, di richiami a un vieto nazionalismo, di anacronistici pedagogismi autoritari, gli italiani, giovani e meno giovani, possono finalmente essere liberi. Liberi di abbracciare ogni idiozia di moda, di amplificare parossisticamente ogni rito e ogni mito che si presenti con il colore dell'esotico e che, naturalmente, porti un nome inglese.


Liberi di non leggere neppure un libro all'anno, come fanno, di essere sottoposti alla più alta quantità di televisione pro capite e, infine, come è giusto, liberi di rimanere affascinati in un sempre maggior numero (da questo punto di vista il successo di massa di Halloween è davvero simbolico) da streghe, santoni, fatture, culti satanici e altri consimili rappresentanti e cerimonie della dea Ragione. Diciamo la verità, oggi, in Europa, liberi e moderni come noi italiani quanti ce ne sono?


 


Il successo di Halloween è una sfida del secolarismo consumista


Prendi una festa cristiana, rubale il senso e il gioco (sporco) è fatto


di Umberto Folena


 


Prego, don Giovanni Gusmini, si accomodi. Le cediamo volentieri questo spazio. L'articolo lo scriva pure lei, perché noi meglio non potremmo fare. Meglio di lei, don Giovanni, parroco di Selvino, val Seriana, provincia di Bergamo. Esasperato dall'overdose di Halloween, don Giovanni ha scritto che… Ma procediamo con ordine.

Selvino da tre anni è la capitale di Halloween. Centinaia di turisti, manifestazioni a iosa, tre giorni di carnevalata celtica. Direte: che male c'è? Possibile che i cattolici non siano mai contenti di nulla e abbiano sempre da lamentarsi di qualcosa? Possibile che con tutti i problemi ben più seri, dalla fame alla guerra, perdano tempo con un'innocua festicciola che fa tanto divertire i bambini? E fatturando la bazzecola di 260 milioni di euro fa compiere un balzo al Pil? Le scriviamo tutte subito, le controdeduzioni di rito che ci pioveranno in capo stamattina, tanto prevedibili quanto zuppe, loro sì, di moralismo demagogico. In realtà don Giovanni, nel volantino distribuito a messa domenica scorsa, si dimostra un acuto, profondo analista, lui sì senza fette di bresaola sugli occhi. E allora diamogli tutto lo spazio che merita. Don Giovanni, prego si accomodi.


«Dal momento che il nostro paese è diventato largamente famoso per essere teatro di una delle più note feste di Halloween - scrive il nostro valoroso don - penso sia doveroso illustrare alla gente di cosa effettivamente si tratti. E ciò senza nascondere la preoccupazione che una delle più care feste della tradizione cristiana, dedicata alla meditazione nel senso cristiano della morte e della vita eterna, si sia ormai radicalmente trasformata in un carnevale di mostri e fantasmi (…). Il cristianesimo aveva cercato di dare un senso alla morte e alla vita eterna che riflettesse la luce della morte e della resurrezione di Gesù. Oggi pare in atto un processo che sta percorrendo lo stesso sentiero in una direzione esattamente opposta: nel giorno in cui dobbiamo pensare nel silenzio della preghiera alle anime dei nostri cari, popoliamo invece le nostre vie di spettri che invocano fracasso e oscurità».

Don Giovanni Gusmini, con la saggezza del pastore che vive accanto alla sua gente, dentro la storia, dentro i tempi, e non in un salotto laical-chic, ha capito il gioco vero, il gioco profondo, il gioco sporco del secolarismo. Togli a un popolo i suoi simboli svuotandoli di significato, e lo avrai in pugno. Poiché lo scopo della consumerist society è ridurre tutto a consumo, e l'unico suo valore è il denaro, spremiamo Ognissanti trasformandolo in una carnevalata-bis. Così quel poco di sacro e pietoso (da pietas) che ancora riempie i cuori degli italiani, conservandoli persone pensanti e non consumatori burattini, a poco a poco potrebbe finalmente svanire.

Se il vicesindaco di Selvino casca dal pero e si mostra assai contrariato, va capito: lui conta le palanche, i dané, non ha certo tempo per inezie come i sentimenti e la religione, i valori e la tradizione. Ah, questa Chiesa che con le sue ossessioni impoverisce la comunità! Intanto però qualche segnale di rinsavimento giunge, e non solo da qualche parroco assennato. Il cimitero del Villaggio Operaio di Crespi d'Adda - sempre nel Bergamasco - da anni per Halloween viene preso d'assalto da satanisti giocherelloni e altri curiosi in cerca di emozioni forti. Bambinate su cui sorvolare? Non esattamente, se la polizia comunale ha deciso di presidiare dalle 22 alle 5 il cimitero. Che l'Unesco ha dichiarato Patrimonio dell'Umanità. Ecco, a noi pare che in gioco ci sia per l'appunto l'umanità.



Eccoci, ci risiamo con Halloween e con le considerazioni che l’accompagnano.


Gli americani hanno questa loro festa che, partendo dalla macabra ritualità di Samhain, mescola alcune tradizioni irlandesi, qualche scheggia culturale raccattata  qua e là e la pretestuosa voglia di divertirsi, fin sopra le righe. 


Quello che più sconcerta e irrita è la raffinata campagna pubblicitaria che in Italia, da alcuni anni a questa parte (con la complicità del mondo scolastico volente o meno), si è insinuata dovunque (anche nelle vetrine più “sciccose” occhieggiano zucche e cappelli da strega) facendo leva sull’immaginario collettivo per imporre dall’alto questa ricorrenza che non appartiene alle nostre tradizioni culturali.


Si è avviato un perverso meccanismo pubblicitario  per generare il bisogno di fare cose macabre e zuccherose il 31 ottobre, sulla scia della colonizzazione di film e telefilm americani, cominciando nello stesso tempo a spargere la voce che tutti ne avrebbero fatte (di queste cose) e, soprattutto, che tutti si sarebbero aspettati che ogni singola persona ne avrebbe fatte, in un processo osmotico delirante.


La società consumistica ha necessità che si creino sempre nuovi consumi, pena la sua estinzione (che peraltro non avverrà in questo modo) e dunque questa festa capita a proposito. La sua fabbricazione artificiale è da manuale, facilitata da una popolazione di tv-dipendenti, però ultimi per uso del Web e lettura di libri e giornali (percentuali da brividi queste ultime).


Tra l’altro, osservo come tutti questi riti e questi gesti si siano sovrapposti, scolorendole, a quelle che un tempo neppure troppo lontano erano specificità del carnevale (il nostro carnevale), una celebrazione che, a parte le enclave dove rappresenta una rilevante risorsa turistica, ha perduto col passare degli anni il senso gioioso e spensierato, coinvolgendo sempre meno la popolazione. Col paradossale risultato finale, non certo esaltante, che pur avendo in casa una festa in cui poterci travestire e celebrare la fugacità delle nostre esistenze (chi vuol esser lieto, sia:di doman non c'è certezza), l'abbiamo fatta declinare illudendoci che la nostra presunta  società evoluta e globalizzata non avesse più bisogno, almeno ufficialmente, di maschere, per poi recuperare, esaltandole, altre maschere quali scheletri, streghe e zucche che non avrebbero titolo di appartenere alla nostra storia.  


I due pezzi che ho trovato si prestano, poi, ad ulteriori considerazioni.


Il primo è un classico, nel senso che anche l’anno scorso l’avevo postato. Si tratta di un editoriale di Ernesto Galli della Loggia, pubblicato sulla prima pagina del Corriere della Sera il 2 novembre 1998 scritto con lungimiranza. Il secondo è, invece, un commento, che mi trova sorprendentemente d’accordo, anche se per motivi diversi, nello stigmatizzare questo rito, pubblicato su Avvenire, quotidiano cattolico, il 31 ottobre 2006. 


 

7 commenti:

  1. ma soprattutto:

    perchè la cosa da così tanto fastidio?!

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  2. mmm, sulla levata di scudi di buoni credenti non entro in merito, mi viene l'orticaria.

    Ti lascio un ricordo: quando ero piccola la sera della Befana (cioè dell'Epifania) nel profondo nord celtico, che era il paese della nonna, c'era un'usanza simile. I bambini si travestivano con lenzuola, catenacci e maschere e giravano casa per casa. Certo, non dicevano dolcetto/scherzetto, ma la sostanza era la stessa. Allora la Chiesa sapeva ancora integrare le feste pagane.

    Hanno appena suonato, cacchiolina se ne sono andati con i miei dolcetti :)))

    Fortunatamente il figlio sedicenne pare refrattario a queste, come dire, sciocchezze, ecco sì, sciocchezze va bene. :)))

    ciao

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  3. Non penso sia ormai possibile mettere barriere alle tradizioni e usanze dei vari paesi.



    Buona festa,

    Anna :)

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  4. non abbiamo più una cultura popolare;

    non abbiamo più una classe dirigente originale;

    spazzate via da questo nuovo modo di produrre;

    la società fondata sui consumi deve essere tenuta in piedi con il continuo allargamento tendenziale degli stessi ottenibile col bombardamento mediatico.

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  5. Considerazioni interessanti, molto ben articolate. A parte che tutto è un pretesto per festeggiare, consumare, vendere...si sa, ma la tradizione è antica e qualcosa di Halloween è presente da sempre nelle nostre usanze popolari. Ha avuto particolare successo in questi ultimi tempi , probabilmente perché esorcizza le paure, compresa la paura per eccellenza : quella della morte. Carnem levare, il nostro Carnevale ha perduto le caratteristiche fondanti per molte ragioni : il venir meno dell'osservanza dei precetti quaresimali, la perdita della fusione con i personaggi della Commedia dell'Arte, la spettacolarizzazione turistica dell'evento, che è comunque ancora la fortuna di molte città italiane.

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  6. Innanzitutto non è una festa nostrana; è importata e sa solo di consumismo.

    C'erano tante feste, nei nostri paesi, ma, purtroppo, le abbiamo lasciate cadere nel dimenticatoio.

    Se vogliamo avere un'indentità come popolo sarebbe bene non lasciare perdere le nostre tradizioni.

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  7. weee...frank!!!!

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