martedì 10 ottobre 2006

Aggiungi un posto a tavola


Occorre confessare che si sentiva proprio la mancanza di un altro Stato folle che ama giocare al “piccolo chimico”: benvenuta nel club atomico Corea del Nord. Riceverai tutte le attenzioni del caso e anche i Grandi si accorgeranno che esisti. E se il cibo non basta (veramente non ce n’è proprio da quelle parti) cosa ci può esser di meglio che puntare un razzo fumante alla tempia di qualche sventurato vicino di casa (metti il Giappone per esempio), sempre chiedendo: “per favore ci date questo e poi quest’altro, ecco approfittiamo dei saldi stagionali per rifarci il look”.


Aggiungete un posto a tavola, signori, “fatece largo che arriviamo noi”. Lasciamo il missile fuori dalla porta, ci puliamo le scarpe sullo zerbino con la faccia di Bush, ci laviamo le mani (l’igiene innanzitutto, quando si maneggiano materiali nocivi) e poi scegliamo dal menu. Come, non siete contenti di vederci? In Iran saranno tutti chiacchiere e distintivo, ma noi non si scherza mica. E abbiamo appena cominciato, la fame è arretrata: vogliamo la nostra fetta di torta.


 


Stavo pulendo uno scaffale della mia biblioteca quando mi sono trovato tra le mani “L’uomo a una dimensione” di Herbert Marcuse. Alcuni fogli sono scivolati dalle pagine interne, reperti quasi archeologici: la pagina della cultura de “la Repubblica”. A quel tempo avevo l’abitudine di conservare all’interno dei libri articoli di giornale che ad essi si riferivano. In questo caso si trattava dell’ultima intervista realizzata al filosofo, tedesco di nascita, americano d’adozione, alcuni giorni prima della sua morte, avvenuta il 29 luglio 1979. La proporrò nei prossimi giorni, perché vi sono contenuti spunti interessanti. Qui invece riporto le prime due pagine della sua opera più famosa che mi sono sembrate molto attuali, come se fossero state scritte ieri, mentre il testo è del 1964.


 


L’uomo a una dimensione (Einaudi, Torino, 1967)

Introduzione

La paralisi della Critica: la società senza opposizione


 


“La minaccia di una catastrofe atomica, che potrebbe spazzar via la razza umana, non serve nel medesimo tempo a proteggere le stesse forze che perpetuano tale pericolo? Gli sforzi per prevenire una simile catastrofe pongono in ombra la ricerca delle sue cause potenziali nella società industriale contemporanea. Queste cause rimangono non identificate, non chiarite, non soggette ad attacchi del pubblico, poiché si trovano spinte in secondo piano dinanzi alla troppo ovvia minaccia dall’esterno - l’Ovest minacciato dall’Est, l’Est minacciato dall’Ovest. Egualmente ovvio è il bisogno di essere preparati, di vivere sull’orlo della guerra, di far fronte alla sfida. Ci si sottomette alla produzione in tempo di pace dei mezzi di distruzione, al perfezionamento dello spreco, ad essere educati per una difesa che deforma i difensori e ciò che essi difendono.


Se si tenta di porre in relazione le cause del pericolo con il modo in cui la società è organizzata e organizza i suoi membri, ci troviamo immediatamente dinanzi al fatto che la società industriale avanzata diventa più ricca, più grande e migliore a mano a mano che perpetua il pericolo. La struttura della difesa rende la vita più facile ad un numero crescente di persone ed estende il dominio dell’uomo sulla natura; in queste circostanze, i nostri mezzi di comunicazione di massa trovano poche difficoltà nel vendere interessi particolari come fossero quelli di tutti gli uomini ragionevoli. I bisogni politici della società diventano bisogni e aspirazioni individuali, la loro soddisfazione favorisce lo sviluppo degli affari e del bene comune, e ambedue appaiono come la personificazione stessa della ragione.

E tuttavia questa società è, nell’insieme, irrazionale. La sua produttività tende a distruggere il libero sviluppo di facoltà e bisogni umani, la sua pace è mantenuta da una costante minaccia di guerra, la sua crescita si fonda sulla repressione delle possibilità più vere per rendere pacifica la lotta per l’esistenza  - individuale, nazionale e internazionale.


Questa repressione, così differente da quella che caratterizzava gli stadi precedenti, meno sviluppati, della nostra società, opera oggi non da una posizione di immaturità naturale e tecnica, ma piuttosto da una posizione di forza. Le capacità (intellettuali e materiali) della società contemporanea sono smisuratamente più grandi di quanto siano mai state, e ciò significa che la portata del dominio della società sull’individuo è smisuratamente più grande di quanto sia mai stata. La nostra società si distingue in quanto sa domare le forze sociali centrifughe a mezzo della Tecnologia piuttosto che a mezzo del Terrore, sulla duplice base di una efficienza schiacciante e di un più elevato livello di vita.


Indagare quali sono le radici di questo sviluppo ed esaminare le loro alternative storiche rientra negli scopi di una teoria critica della società contemporanea, teoria che analizza la società alla luce delle capacità che essa usa o non usa, o di cui abusa, per migliorare la condizione umana. Ma quali sono i criteri di una critica del genere?


In essa hanno certamente parte dei giudizi di valore. Il modo vigente di organizzare una società è posto a confronto con altri modi possibili, che si ritiene offrano migliori opportunità per alleviare la lotta dell’uomo per l’esistenza; una specifica pratica storica è posta a confronto con le sue alternative storiche. Sin dall’inizio ogni teoria critica della società si trova così dinanzi al problema dell’obbiettività storica”..., (pagg.7 e 8).


 

7 commenti:

  1. Molto, molto interessante.

    Potremmo dire che anche l'odierna sfida dell'islam all'Occidente (o viceversa?) è un atto di protezione del Potere.

    Io credo che viviamo nell'epoca più repressiva e tirannica che la storia abbia conosciuto. Almeno nel nostro bel mondo occidentale. E che il resto del mondo venga in questa direzione...allora la storia HA un senso!

    Quest'epoca è ammantata di tolleranza, finta uguaglianza....

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  2. Oggi non ho commenti, solo una grande tristezza di fondo per tutto ciò che ho appena letto.

    A presto

    Lucia (quella dei profumi banchi e balocchi)

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  3. Ciao, sono passata per un saluto veloce... Un abbraccio da Fioredicampo

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  4. vera.stazioncinaottobre 12, 2006

    davvero molto interessante...e preoccupante...

    un sorriso

    veradafne

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  5. sermau, concordo con la tua valutazione: viviamo un'epoca repressiva e tirannica, fintamente libertaria e liberale, ammantata soprattutto di ipocrisia. Provo un senso di repulsione.

    Lucia, spero che la tua tristezza volga al declino, come questa giornata di metà ottobre. Anche se non è certo facile, visto che il futuro appare ancora più indecifrabile e preoccupante.

    A risentirci, certo.

    Fioredicampo, anche se fuggevoli le tue apparizioni sono sempre molto gradite. Io non riesco a fare neppure queste, però so che mi rifarò con gli interessi (in pubblico o in privato).

    Un caro abbraccio

    veradafne, avrei preferito che "l'interessante" prevalesse sul "preoccupante". Ma i tempi attuali offrono, purtroppo, svariati aspetti che impensieriscono. Speriamo che passi.

    Un sorriso, sempre



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  6. Beh, forse aveva ragione il filosofo che sosteneva che ogni guaio deriva dal fatto che nessuno vuole stare a casa sua :-( Guerre di conquista, paci armate, immigrazione, spostamenti epocali sull'asse geografico e temporale non possono che portare squilibrio, dalla notte dei tempi, ma è inevitabile. Gli uomini si spingono sempre oltre e costantemente distruggendo e costruendo.

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  7. flaviablog, benvenuta!

    Epoca di mutamenti epocali, appena in fieri: la nostra generazione non riuscirà a vederne il completamento.Permettimi solo di osservare che ci sono alcuni che proprio a casa loro non ci possono stare, per incompatibilità ambientale.Quello stesso ambiente, peraltro, che l'uomo sta sciaguratamente distruggendo.

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