venerdì 6 ottobre 2006

Cosa nostra o cosa loro?


Strepitosa puntata (con una riserva: la telefonata del capitano Ultimo lasciata in sospeso) di “Annozero” ieri sera, sia per la tensione civile e morale che per le testimonianze in studio, all’interno di un eccellente reportage realizzato dai giornalisti Stefano Bianchi e Alberto Nerazzini, già autori del discusso e fastidiosissimo (per le persone coinvolte) documentario “La mafia è bianca”.  


Prendendo spunto dalla fiction di pochi giorni prima su Giovanni Falcone, congelata a maggio dai vertici Rai, perché si era in periodo elettortale, decisione cervellotica e ridicola, si è tornati a parlare di Cosa nostra in tv, dopo un silenzio vergognoso e complice.


Ma sotto il brand “11 settembre” adesso tira più il generico “pericolo terrorismo”, che partorisce bufale senza soluzione di continuità e poi non tocca interessi concreti. Mentre la mafia è di una pervasità diabolica e perversa. D’altra parte, se si delega ad una fiction il compito di parlare di argomenti “scomodi” e imbarazzanti, siamo proprio messi male. Facendo intendere che ciò che viene rappresentato è pur sempre finzione, anche se racconta fatti realmente accaduti. È come voler mettere un filtro, anestetizzare le coscienze, confondendo idee e prospettive. Liquidando, infine, il fenomeno come parto di menti ossessionate e relegandolo ad una lontananza. Un’isola. La Sicilia. Cosa loro e non anche nostra.


 


In questo pezzo si ricostruisce una delle vicende raccontate ieri sera. Straziante la testimonianza dell’ex prefetto Sodano. Chi l’ha vista non dimenticherà tanto facilmente.


COPPA AMERICA/L’INCHIESTA DI TRAPANI


È cominciata la Mafia’s Cup


Un appalto conteso tra un’impresa statale e una dei boss. L’ex prefetto denuncia pressioni del sottosegretario


di Marco Lillo


L’espresso 8 dicembre 2005


 


Alla mafia quel prefetto proprio non piaceva. Il boss di Trapani, Ciccio Pace, lo dice chiaro al suo braccio destro nel 2001: «Il prefetto Sodano è tinto e se ne deve andare». Sodano era «tinto”, cattivo, perché osteggiava gli appetiti della mafia sulle forniture di calcestruzzo. Quattro anni dopo quell’intercettazione, giovedì 24 novembre, il boss Pace è stato arrestato insieme a cinque imprenditori dalla squadra Mobile di Trapani diretta da Giuseppe Linares. Nel frattempo, le imprese mafiose sono riuscite ad accaparrarsi una parte importante della colata di cemento per l’America’s Cup di vela e il prefetto Fulvio Sodano è stato trasferito. Non dalla mafia, ma dallo Stato. Cose che succedono a Trapani dove istituzioni, imprenditori e mafia si annusano e si frequentano. Qui la famiglia del numero due del Viminale, il sottosegretario Antoni D’Alì di Forza Italia, ha stipendiato fino al 1993 l’attuale numero due di Cosa nostra: Matteo Messina Denaro che, all’insaputa dei D’Alì, ha organizzato le stragi mafiose in quegli anni. Tanti anni dopo Antonio D’Alì, secondo alcune testimonianze qualificate, si sarebbe schierato dalla parte sbagliata nella difficile partita del cemento che si è giocata tra mafia e antimafia. Oggetto del contendere è stata ed è la Calcestruzzi Ericina, fino al 2000 controllata dal vecchio boss della città, Vincenzo Virga. Dopo l’arresto e la confisca, il fatturato della Calcestruzzi è crollato del 50 per cento. È un film già visto: appena l’impresa passa allo Stato gli imprenditori la abbandonano e la mafia gongola. Quando la cantina Kaggio di Corleone era controllata da Riina, per esempio, raccoglieva tutte le uve del circondano, ora i suoi silos sono pieni di piccioni e guano.


La mafia vive di simboli, lo sa Riina, ma lo sa anche il prefetto Sodano che nel 2001 lancia un appello agli imprenditori dell’Assindustria: rifornitevi dalla Calcestruzzi Ericina. Sembra facile. Per tutta risposta l’Assindustria propone al prefetto di vendere la Ericina alla Calcestruzzi Mannina, proprio quella gradita al boss Ciccio Pace. Nell’occasione il presidente di Assindustria propone anche di fare Cavaliere il padre dell’attuale indagato Vincenzo Mannina. Il prefetto capisce che deve fare da solo: alza il telefono e chiede alla Ira di Catania, che ha appena vinto il mega-appalto del porto, di comprare il cemento dalla Ericina. Su quella fornitura da 2 miliardi di vecchie lire però ha già messo gli occhi il boss Pace che dice ai suoi: «Ericina è lo Stato. Non deve lavorare». La posta in gioco è l’onore. Chi vince comanda. Stato contro mafia, prefetto contro boss, cemento contro cemento. «L’appalto è già nostro», dicono i dipendenti di Mannina a quelli della Ericina. Ma il prefetto non molla. La sua offerta è imbattibile: «14 mila lire in meno delle altre», sibila don Ciccio indispettito. Lo Stato non paga il pizzo e costa meno, va eliminato. Il piano del boss prevede tre mosse. Primo: deviare le commesse sulla Mannina o sulla Sicilcalcestruzzi dove lavora il figlio del boss. Secondo: fare valutare a prezzo vile la società da Francesco Nasca, un funzionario che lavora al Demanio. Terzo: comprarla «all’asta pagandola zero». Il boss non vuole battere lo Stato, vuole umiliarlo.


In questa partita non è difficile capire dove stanno i buoni e i cattivi, eppure il sottosegretario D’Alì, secondo il racconto dell’ex prefetto Sodano, sbaglia. Sodano oggi è gravemente malato. Con un filo di voce nel luglio 2004 ha raccontato ai pm Gaetano Paci e Andrea Tarondo: «Il sottosegretario D’Alì si lamentò della mia attività in favore della Calcestruzzi Ericina». E poi ha aggiunto; «Sono stato trasferito sebbene avessi chiesto a Roma di non spostarmi per ragioni di salute». A “L’espresso” D’Alì replica: «Non ho mai fatto pressioni sul prefetto Sodano contro la Calcestruzzi Ericina. Il suo trasferimento non c’entra nulla con questa storia e non dipende da me. Comunque non mi sono mai interessato di appalti».


Anche i due amministratori giudiziari della Ericina parlano di D’Alì. L’avvocato Carmelo Castelli e il dottor Luigi Miserendino hanno raccontato ai pm che un’azienda di Partinico ha improvvisamente interrotto una fornitura di calcestruzzo. Subito dopo, il funzionario del Demanio Francesco Nasca riferì di avere ricevuto una telefonata dal senatore (che nega). D’Alì lo invitava «a far lavorare altre imprese locali del calcestruzzo tenuto conto del fatto che la Ericina aveva già ricevuto la grossa commessa del porto».


 

7 commenti:

  1. Ottimo post. L'argomento mi interessa. Ti dico che: è, in definitiva, il capitale che muove tutti questi interessi. A cui nessuno può opporsi da solo. Quindi, sperare di battere la mafia in una semplice lotta di buoni contro cattivi è impossibile.

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  2. sermau, grazie. E' certo difficile essere ottimisti, perchè la compenetrazione tra stato e antistato è totale. Nè d'altra parte mi sembrano efficaci i primi provvedimenti del governo Prodi ... Perchè qualche provvedimento (che so un decretino legge) è stato varato, vero?





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  3. Frank: quello che mi preoccupa è che anche Andreotti fece i suoi bei "atti" contro la mafia.

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  4. sermau e questi ancora nulla. La preoccupazione aumenta...

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  5. ...e ovviamente gli italiano hanno preferito guardare Gianni Morandi e I Cesaroni...sono i dati Auditel che non fanno testo, o siamo noi che siamo del tutto rincretiniti? Mah?!

    PS Complimenti per il blog...davvero interessante!

    Ciao

    Stefania

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  6. Stefania, benvenuta! Sui dati Auditel non farei molto affidamento, ma i pubblicitari e gli altri addetti ai lavori se la suonano e se la cantano come gli par più acconcio. I programmi che nomini mi fanno venire l'orticaria.

    Grazie per l'apprezzamento. Sono stato in rapida visita da te, dovrò però marcare la mia presenza, ma ciò che ho visto e letto già basta a rilanciarti,senza alcuna difficoltà, i complimenti.

    Ciao

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  7. Grazie...molto gentile! ;-)

    Ieri sera finalmente è tornato Crozza...un po' di umorismo intelligente mi mancava...poi è anche genovese (un po' campanilismo me lo concedi?)

    A presto!!

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