giovedì 29 giugno 2006

Qui Via Tomacelli: abbiamo un'emergenza


Perché permettiamo a Bush di uccidere in nostro nome?
Cindy Sheehan


 


La nostra cultura americana è permeata di violenza. Nessuno può metterlo in dubbio. Una recente tragedia avvenuta in una famiglia a noi vicina, in Vacaville, California, ha portato letteralmente in casa mia e della mia comunità questa verità terribile. Una mia amica ha somministrato alla sua figlia undicenne un’overdose di medicinali, uccidendola. A giudicare dai resoconti, e dalla nostra ultima visita, la madre sembrava sana ed integra. La figlia era la prima della classe, nella stessa scuola che i miei due figli frequentarono anni fa. Perché? Tutti, ci siamo chiesti perché. Ovviamente ci sono selvagge speculazioni in proposito, ma nessuno di noi ne sa niente di certo. Pare che anche la madre abbia preso un’overdose di pillole. Era un omicidio-suicidio, o un omicidio con finto suicidio?


Ho visto una foto della mia amica durante l'arresto, nel giornale locale. E' perduta. E' inseguita. E' assente. E' senza speranza. E c'è poco di che meravigliarsi. So come ci si sente a non avere speranza. Anche senza lo stress aggiuntivo di dover seppellire il proprio figlio, è facile classificare quello che sta succedendo nella nostra società come normale se penso alla violenza che può cominciare presto la mattina, quando accendiamo la televisione e ci lasciamo invadere tutto il giorno da quella o quell'altra esperienza o immagine, finché non cadiamo in un sonno tormentato, vessati ed esauriti da un'altra giornata di odio.


Finché non realizzeremo che la violenza non è normale, la nostra società e la nostra cultura non cambieranno mai. La violenza porta alla violenza ed uccidere porta ad uccidere.


Tutto quello che dobbiamo fare è notare quanto abbondantemente i nostri capi usano i nostri voti o le loro firme o i loro ordini per condonare e portare ad altra violenza; e allora non dovrebbe scandalizzarci poi troppo se i nostri soldati sul campo commettono atrocità che, ne sono certa, vanno contro i loro più insiti fondamenti di umanità. I nostri soldati stanno soltanto copiando i loro capi ed adempiendo all'addestramento ricevuto che rende disumani loro ed il loro nemico. Violenti sono coloro che usano violenza.


Spesso mi ritrovo a chiedermi come mai noi americani seguiamo sempre così ciecamente i nostri leaders sul sentiero della distruzione. Dal genocidio alla virtuale estinzione della nostra popolazione nativa, alla disumanizzazione dei neri americani così che potessero venire usati come beni di consumo ancora ed ancora, fino al ritrovarci, oggi, ad essere l'unica «nazione civilizzata» che condanna a morte i propri detenuti. Perché permettiamo ai nostri leaders di uccidere ed opprimere la gente in nostro nome? E' forse perché così non ci dovremo mai mettere a riconoscere la nostra tendenza distruttiva? Come nazione, siamo forse così privi di speranza da esser pronti a passare l'intera vita quieta disperazione, e restarcene a guardare mentre Bush e la sua cricca distruggono l'Iraq, distruggono l'America, distruggono il mondo intero per i loro malvagi fini?


La nostra visione del futuro è un orizzonte fatto da una guerra infinita dopo l'altra, rivaleggiando per le risorse e sminuendo sempre più un pianeta così sciatto che ormai condoniamo il comportamento distruttivo dell'amministrazione Bush, visto che tanto stiamo in gara con i nostri vicini, perché ci siamo appena comprati la più sbrilluccicante cianfrusaglia della quale Madison Ave ci ha mai convinti avessimo bisogno? Prima che possiamo cambiare il mondo, dobbiamo guardarci dentro e cambiare noi stessi.


Prima che Casey rimanesse ucciso in Iraq, ho condotto anch'io questa vita di rampante consumismo. Ma questa non era vita. E' cambiato tutto dopo la morte di Casey. Le priorità si sono fatte più vivide e nette. Viaggiando in tutto il mondo in nome della pace, ho scoperto quanto poco basti per vivere. Non ho bisogno di aver paura per la roba nel mio appartamento - non c'è poi molto e quel che c'è è rimpiazzabile. Nonostante gli attacchi personali contro di me e la solitudine ed i viaggi estenuanti, sono una persona molto più felice.


Perdere la speranza è un'esperienza così devastante e distruttiva che finiamo con l'offrire meno resistenza possibile contro il percorso storico che ci porta sempre a questo stesso copione, nel quale i nostri capi sono a loro volta così strazianti e distruttivi. Nessuno ci chiede di diventare una sorta di pacifici monaci erranti ma, comunque, possiamo cambiare quel piccolo qualcosa della nostra vita che avrebbe poi un enorme impatto nel mondo. Che ne dite di venire a Camp Casey quest'estate? L'esperienza di Camp Casey ha ridato la speranza a così tanti di noi. Veterani che hanno combattuto in Vietnam ed Iraq dicono che il venire a Camp Casey ha ridato loro la fiducia di poter tornare a vivere una vita quasi normale. Famiglie che, come la mia, hanno tragicamente perso una persona amata hanno ritrovato la speranza .


Il movimento di Camp Casey ha portato tutti noi (circa 15.000 visitatori e migliaia di sostenitori nel mondo) a ciò che Gandhi chiamava «unità di cuore» con i nostri simili, esseri umani che meritano abbastanza, se non il corrispettivo dell' opulento stile di vita della maggior parte degli americani. E' giunto il momento di unirsi a noi ed impedire al nostro governo di dare ordini che uccidono iracheni innocenti in nome di una guerra globale al terrorismo che è soltanto un altro modo di dire colonialismo delle multinazionali .


E' giunto il momento di riconoscere l'abilità del nostro paese per armare ed addestrare dittatori e terroristi come Saddam ed Osama ed opprimere gli altri paesi per profitto e per chiedere che questa violenza finisca. Poiché soltanto quando ci indignamo; protestiamo, sì, chiediamo ai nostri leaders di rinunciare ad abusare dei nostri cari e cambiamo la nostra personale vita sprecona finirà la violenza. - Allora e solo allora avremo qualcosa per cui vivere. Come Martin Luther King, ha detto che non possiamo sempre aspettarci che i nostri capi cambino le loro priorità. Non lo faranno mai. E' giunto il momento per noi di obbligarli a vivere in base alle nostre.


il manifesto 23 giugno 2006


 


A Via Tomacelli hanno un problema: mancano le risorse finanziarie, il giornale sta attraversando una crisi grave. È partita una sottoscrizione. Il quotidiano rischia seriamente, questa volta, di dover cessare le pubblicazioni.


Non voglio pensare a quale colpo verrebbe inferto, in tale sciagurata ipotesi, alla libertà di stampa, allo sperpero di tanta ricchezza di informazione, certo più libera di altri giornali. Certo più specifica in determinati settori, incisiva, sempre in minoranza, tanto per citare Nanni Moretti, seppure apparentemente. Basti pensare alla netta posizione contraria alla guerra (come si può pensare di cambiare la Costituzione se dopo 60 anni deve ancora trovare piena applicazione?).


Per questo (ma non solo) ho deciso di postare la bella riflessione di Cindy Sheehan, madre di un giovane soldato morto in Iraq, la quale sta diventando il simbolo di quella parte di America che si può scrivere senza la “kappa”, un’America che non ha scelto Bush e che è memore del Vietnam.


Aggiungo anche che la recente modifica grafica de “il manifesto” non mi pace affatto: brutta carta, caratteri rimpiccioliti, eppure c’è sempre ogni giorno almeno una buona ragione per acquistarlo.


Sarebbe eticamente riprovevole lasciar affondare il “quotidiano comunista” per lasciare spazio in edicola ai giornalacci della destra e ad una certa omologazione che, non riesce ancora a scuotere una dormiente maggioranza, da cui attendo sempre che dica qualcosa di sinistra e non se ne penta il giorno dopo.


4 commenti:

  1. Grandissimo post.. ottima riflessione..

    Frank vai a leggere questo post..



    http://senzafreni2lavendetta.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=1069284



    Per il Manifesto ho già provveduto a "dare una mano" :D



    PS il lavoro?

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  2. Ciao compagno/a,

    mi permetto di scriverti questo messaggio che sembra uno spam, ma che nasce solo dalla passione e dall'appartenenza verso una "storia collettiva", per comunicarti che ho inserito il tuo post nella lista dei "manifestari" sul mio blog. Spero non ti dispiaccia.

    Salviamo Il Manifesto, fydaije.

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  3. bragiu, grazie per l'apprezzamento e anche l'attenzione. Al lavoro si resiste, nei contatti e nell'attesa delle risposte si esercita la pazienza. Nulla è però facile.

    fydaije, se mi dispiace? Mi onora essere nella lista di coloro che si battono per la resistenza de "il manifesto". Grazie. E scusa il ritardo.



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  4. Mi scuso con chi ha letto il precedente commento (???)#4, ovviamente anonimo, che ho provveduto a eliminare. Opinioni sì, cafoneria e volgarità (rispedite al mittente) no.

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