Quando si è in vacanza capita di frequentare, televisivamente parlando, spazi inesplorati, zone vergini, fasce orarie – come quella di mezzogiorno su RaiTre – e guardare con curiosità e, poi, crescente interesse, quei programmi riservati ad una platea di nicchia, ma non per questo meno autorevoli. Come è il caso di “Punto Donna”, microtrasmissione di venti minuti, condotta da una brava giornalista come Ilda Bartoloni.
L’argomento odierno, rigorosamente al femminile come da titolo, si occupava delle discriminazioni sul lavoro che subiscono le donne con uno o più figli, costrette a scelte umilianti e irrispettose della dignità umana. Ne prenda buona nota, anche di questo, il centrosinistra che governerà.
Ospiti una sindacalista e una funzionaria dell’Istat, si è discusso pacatamente del tema prendendo spunto da un documentario di Silvia Ferreri, realizzato con il contributo del comune di Roma, intitolato “Uno virgola due” (come il tasso di fecondità passato solo recentemente da
In Italia il tasso di occupazione nella fascia 20-49 anni è pari al 56 per cento per le donne senza figli, al 53,6 per quelle con un figlio, al 47 per quelle con due figli e al 33,7 per le madri di tre o più figli. Nei maggiori stati europei, le cose vanno assai diversamente.
Nel 2002, fonte Eurostat, in Olanda le percentuali erano (seguendo l’ordine appena illustrato), le seguenti. 82,3 senza figli, 73,4; 70,3 e 60,4. Si tratta del paese dove le cose vanno meglio. In Gran Bretagna la situazione è la seguente: 81,7; 69,9; 66 e 45,3.
ha un tasso di occupazione del 78,4 per le donne senza figli, poi si scende al 69,5; 59,2 e 40,8. In Francia la curva segue una strana traiettoria, perché mentre le donne lavoratrici senza figli sono il 71,3, quindi in calo rispetto alle nazioni precedenti, aumentano al 74,8 quelle con un figlio, per poi proseguire con il 65,8 e 41.
, infine, pur precedendoci, si attesta ai nostri livelli: 58,3 è il tasso di occupazione per le donne tra i 20 e i 49 anni senza figli, quindi cala al 52, poi 46,3 e 37,9.
Tornando in Italia vanno aggiunte altre considerazioni statistiche che riguardano la fase successiva alla nascita del figlio. Il 20,1 delle madri occupate al momento della gravidanza non lavora più dopo il parto: nel 69 per cento dei casi la donna si licenzia, nel 23,9 il contratto scade e nel 6,9 dei casi viene licenziata.
E fino a qui i numeri, aridi quanto si vuole ma paradigmatici di una situazione di “mobbing” largamente estesa. Semmai le cifre, dedotte da tabelle e quindi dotate di scarso “appeal”, non rendono adeguatamente dramma di queste giovani donne. Per questo motivo aggiungo quattro testimonianze a conferire maggiore sostanza. Con ciò il post si allunga, ma è inevitabile.
E poi credo che dare spazio alla vergogna di certe situazioni non sia mai eccessivo. Chissà se sono interessati a questo il sempre facondo Ruini e i Buttiglioni di complemento? Nulla da dire ai datori di lavoro, anzi ai padroni (chiamiamoli con il vero nome) che magari vanno pure a messa tutte le mattine come facevano il beato Fazio e l’angelico Fiorani? Lo so che costoro qui non c’entrano niente, ma sempre di farabutti si parla.
"Accusata di frode aspetto giustizia”
Maria Grazia, 34 anni, Roma. «Lavoravo come commessa per una catena di profumerie che aveva un negozio proprio sotto casa mia. Quando rimasi incinta del secondo figlio, prima mi chiesero di dimettermi, poi mi spostarono in una sede molto lontana. Fui costretta a prendere il motorino per attraversare la città in fretta: ebbi una minaccia d'aborto, il medico stilò un certificato di maternità anticipata. Fu come aver firmato una dichiarazione di guerra. Una volta partorito, il medico sbagliò di un giorno la data su un certificato. La corresse 24 ore dopo. Fui licenziata per frode e falso. Mi sono rivolta ad un avvocato: sono passati tre anni e ancora non sono stati ascoltati i testimoni. Quando ho ricominciato a cercare lavoro, le persone avevano una sola preoccupazione: hai già due figli, non avrai intenzione di fare il terzo! Perché il primo te lo passano; per il secondo ti fanno vedere i sorci verdi; al terzo, se solo ci pensi, sei una pazza».
“A non fare nulla in un magazzino"
Simona, 35 anni, Firenze. «Lavoravo in un’azienda nella quale mi occupavo del marketing e alla quale avevo dedicato tutta la mia vita, quasi fosse stato un figlio. Quando tomai dalla maternità dopo aver usufruito dei tempi minimi previsti dalla legge, non trovai più il mio ufficio. Mi misero una sedia in un magazzino e basta: non facevo nulla, solo di tanto in tanto qualcuno mi chiedeva di fare qualche fotocopia. Alla fine, riuscii ad ottenere una scrivania. Mi offrirono una buona uscita per andarmene. Rifiutai. Ma con la testa non ci stavo più. Era troppo duro così. Capivo che non c'era, non ci sarebbe mai più stato spazio per me lì dentro, perché per loro io non c'ero più, c'era solo una madre: non volevano utilizzarmi, ma eliminarmi. E ho mollato. Oggi, se potessi parlare ai politici, direi di proteggere il lavoro femminile e favorire il part time; alle madri, direi di non vergognarsi mai; ad una platea, che il lavoro nobilita l'uomo e anche la donna».
"Pannolini e filosofia connubio difficile"
Stefania, 33 anni, Roma. «Mi sono laureata a Roma in scienze politiche, poi il master alla Normale di Pisa, poi di nuovo a Roma come ricercatrice universitaria in filosofia politica. Mi ci volle non molto per rendermi conto che a livello di cattedra, le donne con una famiglia erano praticamente zero. Decisi allora di cambiare strada, di uscire dal mondo accademico che mi sembrava discriminatorio. Quello che trovai fuori, però, era quasi peggio. Puntualmente, ai colloqui di lavoro mi trovavo di fronte alla domanda: lei ha intenzione di sposarsi o di avere figli a breve? Io mi rifiutavo di rispondere, opponevo che questa non era questione attinente alle mie competenze professionali. Va da sé, che non ho mai superato nessun colloquio. A volte, quando mi lamento che alla mia età ancora non ho un figlio, mi sento dire: ma hai tempo fino a 40 anni! E io mi chiedo: a 40 il primo. E il secondo quando?».
"Che cosa si aspetta con un bambino?"
Teresa, 34 anni, Roma, laurea in economia e commercio. «Avevo un lavoro a tempo determinato in una banca. Erano soddisfatti di me e del resto avevo investito molto sulla mia preparazione professionale. Mi avevano assicurato che mi avrebbero rinnovato il contratto. Rimasi incinta. Ricordo che cercavo di nascondere la gravidanza con vestiti larghi; non fui più chiamata. Ma il peggio è stato poi andare per le agenzie di lavoro interinale dove mi presentavo con il bimbo e vedere le loro facce scandalizzate, come a dire: ma cosa vuoi trovare con suo figlio appresso? Già è difficile normalmente, e lei mette questi paletti! Ma non avevo nessuno a cui lasciarlo. Non ero abbastanza svantaggiata per avere un posto nell'asilo nido. Pensavo: studi, lavori, fai un figlio, torni e ti fanno ricominciare da capo; fai il secondo e di nuovo vai all'indietro e devi ripartire. Di questo passo quando arriveremo ai posti che ci permetterebbero di cambiare le cose?».
Serena notte.
RispondiEliminaSTELLINA, anche a te, grazie.
RispondiEliminaAnche a me è capitato, sei anni fa, in uno dei rari colloqui di lavoro che ho sostenuto: un frate cappuccino, presidente di una "opera pia" mi chiese se avessi intenzione di fare un figlio, mi sono tenuta a stento un "se Dio vuole" :)))) l'ho mollato due settimane dopo con un "non mi paga abbastanza" avendomi appena chiesto di "zittire il mio sottoposto". Comunque è dura, molto dura, specie se hai un lavoro di responsabilità.
RispondiEliminabuona giornata
E' davvero una vergogna. Come fanno a non rendersi conto che una donna con figli e' una risorsa ancora maggiore. Fortunatamente ci sono delle "isole felici" (precariato a parte come del resto dicono anche i tuoi dati :23,9% il contratto scade) e penso che tutti a cominciare dai/dalle colleghi/colleghe possano fare qualcosa. Poi e' logico che ci devono essere delle condizioni maggiormente tutelate e dei provvedimenti ad hoc. Bel post, peccato avere un quadratino cosi' piccolo per commentarlo. Ciao, Paola
RispondiEliminaASTIME, dunque, frate cappuccino e presidente di un'opera pia: che brava persona, davvero animata da carità cristiana. Sì, credo proprio che essere donna, madre e poi lavoratrice, sia peggio di un percorso ad ostacoli e venirne fuori brillantemente non può che far crescere, dal mio punto di vista, l'apprezzamento per coloro che resistono, si piegano magari, ma non si spezzano.
RispondiEliminaBuona giornata
PAOLA, come avere un quadratino per commentare? Puoi avere tutto lo spazio che desideri, no? Comunque grazie per l'apprezzamento.
Quando vengono messi in discussione principi basilari di convivenza, quando la discriminazione avanza, mi ritrovo particolarmente irritato (chiaro eufemismo). Le tutele in ambito lavorativo sono ormai non soltanto poste in discussione, ma fatte carta straccia. I ricatti quasi nella norma e comunque non tali da generare scandalo.
Hai ragione: una donna con figli rappresenta una risorsa ancora maggiore, da preservare a tutti i costi. Ma ormai prevalgono altre logiche e così i casi di "mobbing", di sfruttamento continuano a ondate sempre più violente e già così ti va pure bene, perché poi l'altro scandalo insostenibile riguarda le morti e gli infortuni sul lavoro.
Il discorso sui colleghi è interessante, ma penso che talvolta prevalga il logico spirito di conservazione, a discapito della solidarietà e spirito di corpo. Temi delicati, ma che riguardano la vita delle persone e per questo motivo la politica deve farsene carico. Anzi dovrebbe, perchè poi in realtà...
Ciao
P.S. Ieri sera non riuscivo a visualizzare il tuo blog, dico il testo. Ci riproverò.
Buon anno!
RispondiEliminaIl problema che poni nel post è , purtroppo, sempre attuale... una vera vergonga! non c'è parità in questo senso..
un sorriso
veradafne
Gia' lo spirito di consevazione come il voto sulle quote rosa. Quadratino per commentare perche' ci si potrebbero fare dibattiti e trasmissioni ( e sarebbero anche piu' interessanti di certe cose che vanno in onda).
RispondiEliminaPer il resto mobbing e ruolo della politica concordo appieno.
buona serata. Hai messo la calza? Anche nel caso peggiore del carbone fa sempre comodo.
PS. il blog aveva delle storie, ricaricato il template tutto bene.
VERADAFNE, grazie e buon anno anche e te!
RispondiEliminaNon credo che ci sia mai stata parità e la strada da percorrere è lunga. Dire vergogna è il minimo.
Un sorriso
PAOLA, l’invenzione delle “quote rosa” dev’essere stata partorita da una mente maschile, perché come si fa a trattare una questione seria e importante come la presenza femminile in politica e nel sociale, relegando la donna in una sorta di riserva garantita per la tutela della specie. La capacità di una persona non è certo determinata dal sesso.
Quanto ai microprogrammi e alle questioni trattate è fuori di dubbio che dovrebbero godere di spazi e considerazioni maggiori. Talvolta l’impressione che si ricava è quella di un contentino generosamente concesso, purché non si disturbi ulteriormente il manovratore, nella fattispecie il compilatore dei palinsesti.
La calza e il carbone che ne verrà saranno quanto mai utili, hai ragione. Di questi tempi non si butta via nulla.
Buona serata anche a te.
P.S. Ho verificato con esito positivo, per fortuna.
carissime, ho letto l'articolo su uno virgola due, di cui sono regista e autrice. vi scrivo per incitarvi a continuare il dibattito e le denunce. il lavoro di ricerca su maternità e lavoro non è finito con il documentario. noi continuiamo a raccogliere materiale. se avete storie e volete scrivermele fatelo. è attraverso le testimonianze che si arriva a un numero e forse a un cambiamento. l'indirizzo a cui mi trovate è silviaferreri@unovirgoladue.com
RispondiEliminagrazie a tutte. silvia ferreri