venerdì 27 gennaio 2006

Mi ricordo di non dimenticare


(...) "Chissà dove avranno portato quei venti!" borbottò il cuoco lavorando attorno ad una torta.


"Qualche nuova idea dei tedeschi certamente! Non c'è mai da star tranquilli con quelli!".


"Che li ammazzeranno?" interrogai.


"Tu sei sempre paurosa,- intervenne
la Vittorina.- Ma
non pensare al peggio! Se non ci fossi io, tu vivresti sempre d'angoscia. Perché poi dovrebbero ammazzarli? Sono andati via con le vanghe ed i badili. Li avranno condotti a lavorare".


"Accidenti alle patate! - interruppi. - Non finiscono mai. Però, - continuai, - non c'è da star tranquilli".


"Non si sa mai come prenderle quelle bestie", rincarò il cuoco.


Non mi riusciva di scacciare un penoso presentimento. Era il dieci di luglio, otto giorni erano già trascorsi dalla visita di Ettore e da allora ero stata sempre inquieta. Gli inglesi si avvicinavano, si parlava di evacuare il campo ed io temevo che ci ammazzassero o che ci portassero in Germania, sebbene circolasse la voce della nostra liberazione.


"Svelte, - disse il cuoco, - altrimenti faremo tardi per il pranzo".


Quel giorno lavorammo preoccupate. Neppure a mezzogiorno i venti ebrei erano rientrati. Nelle baracche regnava un gran nervosismo. Si facevano i commenti più disparati. Tutti eravamo inquieti.


Non tornarono neppure la sera, quando ci adunammo sullo spiazzo per il controllo. Pensammo li avessero ammazzati.


Eravamo tutti in fila, ma regnava un'atmosfera pesante e perfino il maresciallo Hans aveva il viso oscuro. Anche a mensa io avevo notato qualcosa di strano. Un parlottare serio e serrato fra i tedeschi e delle animate discussioni. Io non avevo compreso nulla di quello che si diceva, ma avevo collegato quelle discussioni con l'assenza dei venti ebrei. Avevo provato a chiedere di loro, ma avevano risposto solo con grida e con pugni sui tavoli. Non avevo insistito ed appena terminato il lavoro ero corsa subito al campo.


Scuro in viso Hans terminò il controllo, poi si portò in mezzo allo spiazzo e disse: "Quelli che ora chiamo, prenderanno la loro roba ed andranno a dormire in un'altra baracca. Domattina partiranno per
la Germania
ed andranno in un campo di lavoro dove staranno molto bene".


Cominciò l'appello. Erano settanta.


Accanto a me udii piangere una donna. Era un’internata politica e suo figlio era fra quei settanta.


"Vedi, - mi disse, - se deve andare a star meglio sono contenta, ma ero tanto felice di averlo qui con me, quel figliuolo! L'altro me lo hanno fucilato a S. Vittore. Ma se veramente deve andare a star meglio, - ripeté, - che vada. in Germania, lavorando, è più difficile che lo ammazzino, mentre qui, con queste rappresaglie, non c'è da star tranquilli".


I settanta si erano frattanto riuniti, con tutta la loro roba. Vidi Fritz, l'interprete, parlare animatamente con loro, mentre si avviavano verso la baracca.


I venti ebrei non erano ancora rientrati.


Uno ad uno quei settanta vennero poi a salutarci tutti, e quella notte al campo, si fu più preoccupati per i venti ebrei che per quei settanta politici. La mattina seguente, andando in cucina, vidi che gli ebrei erano rientrati al campo. Stavano in gruppo fra la cucina e la mensa. Erano tutti pallidi.


"Signor Vita, signor Vita, - chiamai, rivolgendomi ad uno di loro, - ma dove siete stati? Qui al campo eravamo tutti in pensiero".


Il Vita non rispose. Scosse solo la testa con aria desolata.


"Alba, Alba, venga qua", gridò il cuoco.


Un tedesco si avvicinava. Erano circa le otto.


Presi il bricco del caffelatte e mi avviai alla mensa.


Uno dei tedeschi aveva un braccio fasciato.


"Capùt, capùt", dissi indicandogli il braccio. Intendevo chiedere se si fosse fatto male; nella speranza di attaccare discorso e saper qualcosa.


Mi guardò meravigliato ed accennando di sì con la testa, rispose: "Molto, molto capùt".


Uscii impressionata dalla mensa. Vidi i muratori che venivano al campo per lavorare. Anche loro avevano delle facce strane.


"Che è accaduto?" chiesi ad uno di loro.


"Li hanno ammazzati tutti, ma stia zitta, per carità", mi sussurrò.


"Ma chi, hanno ammazzato?" insistetti.


"Un gruppo di internati", rispose.


Compresi. Mi avviai in cucina. Vicino ad una baracca, a circa cento metri da me, vidi quella donna che la sera prima piangeva al mio fianco.


Non sapeva ancora.



Alba Valech Capozzi, deportata a Fossoli e poi a Birkenau, fu liberata dagli Alleati nel circondario di Dachau il 1° maggio 1945. Il brano è tratto dal rarissimo volume "A.24029" di Alba Valech Capozzi - Soc. An. Poligrafica, Siena, 1946, ristampato nel 1995 a cura dell'Istituto Storico della Resistenza Senese da Nuova Immagine Editrice – Siena.

13 commenti:

  1. io ho scelto "Se questo è un uomo" per il mio post. Davvero i miei complimenti per il tuo blog. Chissà perchè non mi sorprendo di trovare tra i tuoi link "vivamarcotravaglio". Continua così!

    RispondiElimina
  2. Kant si scrisse un biglietto: ricordarsi di dimenticare xy.

    A noi non serve appuntarsi: ricordare di non dimenticare :)))

    ciao frank

    RispondiElimina
  3. MADDYAFF, benvenuta e grazie per i complimenti e l'incoraggiamento. Sì la scelta che hai fatto va bene, perché non sarà MAI inutile riportare quei versi.

    Quanto al link citato non poteva mancare visto che quello è il mio secondo blog. E Travaglio merita la più ampia diffusione.



    ASTIME, no a noi non serve, ma penso sempre con terrore a quando l'ultimo superstite dei campi morirà e allora sarà nostro e dei nostri figli il compito di proseguire l'opera di conservazione della memoria di questa vergogna umanitaria. Perché se già ora trovano seguito i negazionisti figuriamoci dopo...

    Ciao, astime, buon fine settimana.

    RispondiElimina
  4. Blue__Angelgennaio 28, 2006

    Ciao carissimo,passo per un salutino :)

    Un abbraccio :*

    RispondiElimina
  5. Il mio pensiero è che, purtroppo, l'olocausto non è mai finito. Tanti "piccoli" olocausti continuano in giro per il mondo. Non serve memoria, serve aprire gli occhi e riconoscere ciò che si assomiglia.

    Buon fine settimana anche a te Frank.

    ciao :)))

    RispondiElimina
  6. cristhina6000gennaio 28, 2006

    ciao,arrivo da masso

    splendido post veramente tutto il blog

    e'interessante, leggero'con calma

    RispondiElimina
  7. vera.stazioncinagennaio 29, 2006

    grazie di queste pagine che non conoscevo!

    un sorriso

    veradafne

    RispondiElimina
  8. Di passaggio in una domanica nebbiosa.



    Un abbraccio.



    S.

    RispondiElimina
  9. lucanellaretegennaio 29, 2006

    è bellissimo questo racconto

    mi fa impazzire l'idea di quante storie, quante vite, quanti racconti sono tragicamente legati a questo abisso immane

    almeno una volta nella vita voglio visitare un campo di concentramento, sento che ne ho bisogno: sento che altrimenti non potrò mai capire come, sento che non riuscirò mai a capire perché

    ciao, buona serata e buona settimana

    luca

    RispondiElimina
  10. BLUE_ANGEL che bello! E’ già un segnale positivo, carissima, che tu passi. Ho notato, solo guardando la mia home page di Splinder, che hai ripreso a scrivere dopo una pausa lunghetta. Passerò per saperne di più. La tua è sempre una gradevolissima presenza.

    Un caro abbraccio



    ASTIME, è vero: nel mondo continuano tanti tragedie simili (il massacro in Ruanda, per esempio) e allora oltre alla memoria per ciò che è stata la Shoah, si tratta di essere attenti al presente e saper distinguere nella melassa delle notizie quelli che sono i “nuovi razzismi”.

    Buon inizio di settimana, astime.

    Ciao :-)))))



    CHRISTINA6000, benvenuta. Già il solo fatto di essere una “sassolina” costituisce referenza di primo grado. Fratel Masso è una delle persone più “belle” che abbia mai conosciuto e chi frequenta le rive del “fiume blu” deve per forza avere qualcosa di speciale. Grazie per l’apprezzamento.



    VERADAFNE, la storia dei tanti internati nei campi italiani, nella fattispecie Fossoli, è ancora tutta da scoprire ed è un “normale” orrore che sembra non finire mai.



    DOVESEI, anche per me domenica nebbiosa e si rischia di sprofondare nella depressione se non si reagisce al “maltempo” interiore. Le tue visite, un raggio di sole.

    Un caro abbraccio

    RispondiElimina
  11. LeAliDiUnAngelogennaio 30, 2006

    Sono passata per lasciarti un mio abbraccio di quelli forti enormi e pieni di affetto..e con tanta sincerità..grazie di esserci!!

    RispondiElimina
  12. Certi luoghi vivono di vita propria, come l'Overlook.

    Non ero riuscita finora a commentare senza che nel mio cuore calasse il terrore e l'angoscia provata ad una visita a Fossoli.

    Quindi, lucanellarete, da una parte te lo consiglio; per quanto mi riguarda, il come si puo' capire, il perche' e' piu' complicato.

    Un abbraccio, Paola

    RispondiElimina
  13. LUCA, è da ieri sera, da quando cioè ho letto, in ritardo, il tuo commento e non ho potuto integrarlo, che un tarlo mi divora: visitare un campo di concentramento. E voglio farlo, perché è più che un dovere civico, più di un esercizio di memoria, servirebbe anche a comprendere appieno quanta imbecillità criminale sia diffusa se in uno stadio di calcio, ieri l’Olimpico, possano vedersi striscioni e stendardi da vomito. Sì, dovrò visitarlo per sentire ancora più estranei costoro. Grazie per la nobile idea.

    Ciao e buona settimana.



    LEALIDIUNANGELO, questi tuoi passaggi a volo d’angelo, davvero, per lasciare incise frasi così penetranti mi lasciano sempre stupefatto. Di quanta dolcezza devi esser dotata! Grazie di cuore e ricambio con una scossa di affetto pari al tuo desiderio di esserne colmata.

    Un caro abbraccio



    PAOLA, il silenzio di fronte ad una sofferenza solo sfuggentemente comunicata mi sembra la cosa migliore.

    Un caro abbraccio

    RispondiElimina